Industria del vetro pronta a decarbonizzare: 68% aziende ha roadmap

Super-enervigori, ma con numeri di riciclo da record e grandi innovazioni. L’industria italiana del vetro accoglie la sfida della decarbonizzazione e il 68% delle aziende ha già una roadmap definita.

La strategia passa dagli investimenti per ridurre i consumi e le emissioni, ma anche dalla diminuzione delle emissioni di CO2, grazie all’uso del rottame che rispetto allo scorso anno ha un prezzo molto inferiore. Nel 2022 sono state di 1.042.295 tonnellate le emissioni dirette risparmiate grazie all’uso del rottame di vetro. Aumenta inoltre l’elettrificazione dei forni e la quota di energia green impiegata, con nuovi combustibili. E ancora, in molti hanno già piani stringenti di riduzione dei gas serra per gli impianti produttivi attraverso nuove soluzioni tecnologiche, così come un approccio sistematico per ridurre l’impronta di carbonio della catena del valore. Si interviene anche sul prodotto, come l’alleggerimento di peso di bottiglie e vasetti e un maggior utilizzo di rottame nella produzione.

Le soluzioni tecnologiche per un cambio di paradigma energetico “ci sono”, sottolinea il presidente di Assovetro, Marco Ravasi. Ma non basta, avverte: “Occorre definire un quadro normativo- regolatorio chiaro e duraturo, con adeguati sistemi incentivanti che rendano sostenibili gli investimenti per le aziende“. Altri paesi, per facilitare la transizione energetica della propria industria energivora, hanno varato piani di supporto economico. Ravasi pensa alla con i ‘contratti di protezione del clima’ e agli Stati Uniti, con sovvenzioni per 6 miliardi di dollari.

Le aziende del vetro stanno facendo la loro parte. Il nostro report di sostenibilità ci dice che il 68% del campione esaminato ha formalizzato una roadmap di decarbonizzazione al 2030 e 2050 e molte vetrerie stanno già attuando importanti cambiamenti sia nel campo dei processi industriali che dei prodotti”, scandisce il presidente.

La percentuale di energia rinnovabile sul totale dei consumi, autoprodotta o acquistata, ha rappresentato oltre l’11% nel 2022 (+1% rispetto all’anno precedente); la diminuzione del peso di bottiglie e vasetti prosegue, le bottiglie di vino hanno ridotto in media il loro peso del 12% negli ultimi 10 anni, richiedendo minor consumo di materie prime, di energia e, di conseguenza, producendo minori emissioni di CO 2 ; l’utilizzo del rottame di vetro è arrivato all’85/87% di media (potenzialmente potrebbe arrivare al 100%) nella produzione delle bottiglie scure (l’utilizzo di una tonnellata di rottame consente di risparmiare 0,67 tonnellate di CO 2 ). Se tutti i forni italiani che producono bottiglie chiare (quelle che utilizzano una minor quantità di rottame) passassero al vetro scuro le emissioni di CO 2 diminuirebbero di circa l’8%.

Ma l’industria nazionale del vetro, come registra il Rapporto di Sostenibilità 2023, non ha solo ridotto la CO 2 , ma anche, tra il 2016 e il 2022, le emissioni di NO X del 41%, quelle di SO X del 49% e le polveri del 53%. Anche i consumi idrici hanno registrato nel 2022 un calo del 39% rispetto al 2016 (addirittura del 7,2% tra il 2021 e il 2022), anche attraverso un importante contributo del recupero. Le aziende vetrarie italiane procedono a passo spedito sulla strada della riduzione della propria impronta carbonica. Zignago Vetro, ad esempio, ha da tempo stabilito obiettivi strategici al 2030 e si è dotata di un vero e proprio Piano di decarbonizzazione. Un’iniziativa chiave di questo percorso è l’impianto di Fossalta di Portogruaro alimentato ad energia rinnovabile prodotta dall’impianto a biomassa di Zignago Power che rifornisce quasi il 100% dell’elettricità consumata dalla vetreria e copre circa il 38% del fabbisogno di energia elettrica del Gruppo.

La centrale di Zignago Power di Fossalta di Portogruaro, di tipo termoelettrico, utilizza, quale combustibile, biomassa di scarto (residui di potatura, scarti di segheria ecc.) e di filiera corta. Inoltre, recupera parte dell’energia termica dei fumi di combustione per produrre acqua calda ed anche per alimentare una rete di teleriscaldamento. Verallia sta portando avanti il progetto Heatox (preriscaldo di gas e ossigeno), nuovo sul mercato, in cui metano e ossigeno passano attraverso uno scambiatore che recupera il delta termico rispetto alla temperatura di uscita del forno. In questo modo, metano e ossigeno entrano nel forno già preriscaldati e hanno bisogno di minori calorie per raggiungere la temperatura di fiamma.

Consumando quindi meno combustibile, si arriva alla riduzione di circa il 5% delle emissioni di CO 2 “scope 1”, ovvero quelle generate direttamente dalla combustione del gas impiegato per l’attività di fusione. Il Gruppo lavora anche per realizzare prodotti super leggeri e a minore carbon footprint, ha da poco lanciato sul mercato la Bordolese Air 300gr, la bottiglia Bordolese più leggera di sempre. Un progetto che utilizza strumenti di modellazione all’avanguardia per prevedere la resistenza meccanica della bottiglia. Nello stabilimento O-I di Villotta di Chions ha preso il via un progetto di utilizzo dell’ossigeno nei suoi due forni fusori, la cosiddetta tecnologia oxy-fuel, che consente di aumentare l’efficienza energetica utilizzando l’ossigeno. Questa nuova tecnologia ha permesso una riduzione del consumo di energia superiore al 38% e delle emissioni di circa l’80%. Altre innovazioni hanno interessato lo stabilimento vetrario, come il riutilizzo “circolare” del calore proveniente dai fumi in grado di preriscaldare il rottame di vetro delle raccolte differenziate prima di immetterlo nei forni di fusione. Il perdurare della crisi geopolitica e dell’inflazione hanno fatto registrare nel 2023 un calo dei consumi in tutta Europa, Italia compresa, e di conseguenza anche della produzione dei contenitori in vetro, “vestito” d’eccellenza per cibi e bevande. La produzione di vetro cavo nel 2023 è diminuita del 5,3%. In particolare, la produzione di bottiglie è calata sempre del 5,3% e quella dei vasi dello 0,9%. È diminuito anche l’import e l’export di bottiglie rispettivamente dell’11,6% e del 18,3%. Per i vasi invece, mentre l’export è calato del 30%, l’import è aumentato del 5,5%.

Gentiloni

Sostenibilità, Gentiloni: Non riportare indietro transizione, in gioco competitività

“Proseguire a pieno ritmo con la transizione verde e non riportarla indietro come alcuni suggeriscono”. Paolo Gentiloni detta la linea, e cerca di rimodellare una campagna elettorale costruita attorno alle elezioni europee che fin qui ha visto da più parti rimettere in discussione quel Green Deal, o quanto meno alcune sue componenti, mai così indispensabili. Il commissario per l’Economia evita scontri frontali contro specifichi gruppi, né tira in ballo partiti, anche se il riferimento è mirato.

Al Delphi Economic Forum il commissario per l’Economia ricorda quanto ci sia in gioco per l’Unione europea e i suoi Stati membri, Italia compresa. Dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina e lo shock energetico che ne è derivato “siamo riusciti a dissociarci ampiamente dal gas russo ed evitare una recessione a livello dell’Ue”, rivendica Gentiloni. Tuttavia questi eventi “hanno avuto il loro prezzo” da pagare in termini di rallentamento. “Nel 2023 la crescita è stata pari solo allo 0,4% ed è diventata negativa in 11 Stati membri”. Le ultime previsioni economiche della Commissione europea indicano che la crescita “riprenda moderatamente nella seconda metà di quest’anno e acceleri leggermente nel 2025, anche se – ammette Gentiloni – parliamo di cifre relativamente modeste: 0,8% nel 2024 e 1,5% nel 2025 per l’area euro”.

Da qui considerazione e conclusione che per Gentiloni sono le logiche conseguenze di un contesto ammantato da “punti interrogativi” per la competitività dell’Europa. Se si guarda all’industria, “il problema oggi è che il nostro settore continua a pagare in media tre volte di più per l’elettricità rispetto agli Stati Uniti”. A parità di prodotto e di quantità vuol dire costi di produzione più bassi e margini di guadagno più alto, con l’Europa che rispetto al concorrente d’oltre oceano ha tutto da perdere. “L ’unica soluzione è proseguire a pieno ritmo con la transizione verde e non riportarla indietro come alcuni suggeriscono”, insiste Gentiloni . Che paventa scenari di delocalizzazione che non gioverebbero all’Unione europea. “Se non affrontiamo il costo dell’energia le nostre aziende non aspetteranno”.

Un messaggio chiaro per la politica, a cui ricorda che la via dei combustibili fossili è preclusa perché la transizione è già stata impostata. Tornare indietro rischia di essere l’opzione più costosa. L’imperativo, oggi più che mai, è “ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, e aumentare la diffusione delle energie rinnovabili”. Un suggerimento per quanti impegnati in campagna elettorale.

La sostenibilità passa anche dallo sport e dalla salute: Jakala ‘corre’ in campo per il sociale

Promozione del benessere, inclusione, solidarietà e sostenibilità sociale. Nasce con questi presupposti l’adesione di Jakala, azienda che combina marketing e tecnologia applicati al mondo dell’engagement e della fidelizzazione, alle giornate internazionali dello Sport e della Salute, che nelle prossime settimane coinvolgeranno decine di dipendenti, anzi ‘jakalers’ come preferisce definirli l’azienda stessa.

Il 7 e il 14 giugno torna la SuperLeague, l’evento organizzato dall’associazione PlayMore!, un torneo interaziendale e multidisciplinare aperto a persone di tutte le abilità. Le squadre sono composte da membri provenienti da aziende e persone supportate dall’associazione, cioè ragazzi e ragazze in condizioni di fragilità. Dal 2022, più di 30 dipendenti hanno partecipato al torneo, competendo in discipline di squadra all’interno di formazioni miste e anche in questa nuova edizione si faranno trovare in campo.

“Dal 2021 – racconta Claudia Volpato, responsabile della Sostenibilità in Jakalasiamo società benefit e promuoviamo diversità e inclusione, rivolgendoci sia agli stakeholders interni, cioè i nostri collaboratori, promuovendone il benessere, sia a quelli esterni, come le comunità che vivono nelle zone in cui si trovano le nostre sedi sociali”. Questi elementi, spiega, “vengono uniti e declinati verso attività che favoriscono il benessere e, allo stesso tempo, creano momenti di incontro e conoscenza con persone disabili o in situazioni di fragilità”.

Come, ad esempio, in occasione della Milano Relay Marathon. Lo scorso anno 8 dipendenti sono stati coinvolti a sostegno del progetto Solidando, il primo social market nato a Milano dell’associazione IBVA: un supermercato con casse, scaffali e carrelli, in cui le famiglie che ne hanno bisogno possono fare la spesa gratuitamente, secondo i propri desideri e bisogni, potendo accedere anche a un’assortita varietà di prodotti freschi – dal pane, alla frutta e alla verdura, ai prodotti da frigo. Si tratta di un presidio di aiuto alimentare unico nel suo genere. Per l’edizione 2024, le adesioni sono quadruplicate, con 33 corridori, dando la possibilità a Jakala di sostenere non solo Solidando, ma anche il progetto RunChallenge di Playmore!, un running club gratuito che mira a rendere la corsa accessibile a tutti e tutte, persone di qualsiasi età e abilità. Il progetto nasce dal sogno di 4 ragazzi con disabilità di correre la maratona e oggi conta più di 4500 persone in 14 città. Il valore del progetto risiede, inoltre, nella condivisione delle raccolte fondi aziendali, attivate tramite Rete del Dono: Jakala x RunChallenge e Jaka x Solidando.

I dipendenti, ricorda Volpato, “accolgono bene tutte queste iniziative. Siamo partiti con un numero piccolo di adesioni, poi l’interesse è cresciuto anche grazie al passaparola. Le nostre persone si autoproclamano ambassador di questi progetti”. E chi non può partecipare di persona, in qualche caso può contribuire da remoto. L’importante, spiega la responsabile della Sostenibilità di Jakala “è che la cultura delle nostre persone sia allineata ai principi di inclusione”, ovunque si trovino. Il 18 e il 19 maggio i ‘Jakalers’ parteciperanno anche alla Rimi Riga Marathon, a cui l’azienda ha aderito già nel 2021.

L’attenzione agli Sdg – cioè gli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’Onu – si declinano anche in una serie di iniziative dedicate a favorire il benessere e la salute. Come i community days in collaborazione con l’Avis per sensibilizzare i dipendenti alla donazione di sangue e plasma. Nei giorni scorsi l’autoemoteca ha fatto tappa nella sede di Nichelino (To) e presto sarà anche a Milano. L’azienda collabora anche con l’Admo. “Visto che gran parte dei dipendenti ha meno di 35 anni – dice Volpatodedichiamo una giornata alla tipizzazione di chi desidera partecipare”, cioè attraverso un semplice esame del sangue si viene inseriti nel registro internazionale dei donatori di midollo osseo. E, ancora, Jakala propone momenti di sensibilizzazione nei confronti di alcune patologie “per arrivare, poi, alla fine dell’anno a veri e propri screening di prevenzione”. L’idea di fondo è sempre la stessa: “Partiamo dall’ascolto delle persone – conclude – per capire quali attività ritengono più vicine e poi prendiamo contatto con le associazioni”. 

 

 

Moda più sostenibile con la pelle vegana senza plastica. E il merito è dei batteri

(Photo credit: Tom Ellis/Marcus Walker/Imperial College London)

Le alternative alla pelle animale, nell’ottica di una moda più sostenibile, finora non hanno dato grandi risultati, sia in termini di qualità sia di estetica. Spesso quella che viene definita ‘pelle vegana’ altro non è che plastica, lavorata in modo tale da assomigliare il più possibile alla pelle naturale, ma pur sempre inquinante. Ora i ricercatori dell’Imperial College di Londra hanno messo a punto un sistema in grado di ‘far crescere’ una pelle senza animali e senza plastica, capace di tingersi da sola. Merito di batteri ingegnerizzati.

Negli ultimi anni, scienziati e aziende hanno iniziato a utilizzare i microbi per la coltivazione di tessuti sostenibili o per la produzione di coloranti per l’industria, ma questa è la prima volta che sono stati ingegnerizzati per produrre contemporaneamente un materiale e il suo stesso pigmento. La tintura chimica sintetica è uno dei processi più tossici per l’ambiente nel settore della moda e i coloranti neri, soprattutto quelli usati per la pelle, sono particolarmente dannosi. I ricercatori dell’Imperial hanno deciso di utilizzare la biologia per risolvere il problema. Questo nuovo prodotto è già stato utilizzato per creare prototipi di scarpe e portafogli e secondo i ricercatori “rappresenta un passo avanti nella ricerca di una moda più sostenibile”.

Il nuovo processo, pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, potrebbe anche essere adattato teoricamente per produrre vari colori e motivi vivaci e per creare alternative più sostenibili ad altri tessuti come il cotone e il cashmere. Come spiega l’autore principale, Tom Ellis, del Dipartimento di Bioingegneria dell’Imperial College di Londra, la cellulosa batterica “è intrinsecamente vegana e la sua crescita richiede una minima parte delle emissioni di carbonio, dell’acqua, dell’uso del suolo e del tempo necessari per allevare mucche per la produzione di pelle”. A differenza delle alternative in pelle a base di plastica, può essere prodotta senza sostanze petrolchimiche e si biodegrada in modo sicuro e non tossico nell’ambiente.

Il team di ricerca ha già cominciato a lavorare con alcuni designer per far “crescere” la tomaia di una scarpa su uno stampo ad hoc. Dopo 14 giorni il prodotto ottenuto è stato ‘centrifugato’ a 30 gradi per 48 ore per attivare la produzione di pigmento nero da parte dei batteri. “Non vediamo l’ora di collaborare con l’industria della moda per rendere più ecologici gli abiti che indossiamo lungo tutta la linea di produzione”, dice Ellis. Gli autori hanno lavorato a stretto contatto con Modern Synthesis, un’azienda londinese di biodesign e materiali, specializzata in prodotti innovativi a base di cellulosa microbica.

Sneaker sostenibili: A-impact investe 350mila euro in id.Eight

Ogni anno, nel mondo, vengono prodotte oltre 24 miliardi di sneaker. Un dato che pesa sulle emissioni globali di gas serra per l’1,4%.  Come succede per gli abiti, i consumatori sempre di più a indirizzano le preferenze su prodotti sostenibili, facendo crescere il mercato della moda green in maniera esponenziale.

Il brand toscano Id.Eight, che realizza scarpe con materiali derivanti dagli scarti dell’industria alimentare, chiude un round di investimento di 350mila euro con a-impact, un fondo di venture capital promosso da Avanzi in collaborazione con Etica Sgr, a supporto dello sviluppo di Pmi e startup innovative che hanno la missione di generare un impatto sociale, ambientale e culturale positivo sulla collettività.

Id.Eight è nato nel 2019 per offrire una alternativa sostenibile, cruelty free e genderless alle sneakers tradizionali puntando su modelli continuativi, di stagione in stagione, contro l’overproduction.

La scelta dei materiali è l’elemento più interessante: è il risultato di una ricerca che ha portato all’individuazione di tessuti a basso impatto ambientale, alternativi alla pelle, realizzati a partire dalla trasformazione degli scarti della frutta (Uppeal e Vegea, nascono dalla bio-polimerizzazione delle bucce di mela e delle vinacce cedute dalle aziende italiane, Pinatex, realizzato con le foglie degli ananas e BioVeg a partire dal mais).

Ai materiali bio based si aggiungono tessuti tecnici in poliestere riciclato e cotone biologico, utilizzati sulla tomaia, fodera e sottopiede. Anche il packaging è studiato per essere a basso impatto: la scatola è in carta riciclata, all’interno si trova una ‘bomba di semi’, che una volta piantata contribuisce alla creazione di una biodiversità più favorevole alla vita delle api.

In cinque anni Id.eight è riuscito a conquistare un posto in primo piano nel mercato delle calzature sostenibili, trainato appunto da consumatori sempre più attenti nelle scelte e un mercato in forte ascesa che si attesta a 9,17 miliardi di dollari ma che si prevede raggiungerà quota 14 miliardi di dollari entro il 2031.

“Siamo particolarmente orgogliosi di questo round poiché entra nella nostra compagine sociale un partner che condivide i nostri stessi valori e il nostro stesso codice etico. Questa iniezione di risorse servirà a scalare il nostro business e mettere a terra nuovi progetti, anche in termini di ricerca e sviluppo: avremo l’opportunità di dialogare con le aziende testare nuovi materiali, individuare nuove soluzioni in termini di eco design, investire nelle attività di individuazione di materiali ancora più performanti dal punto di vista ambientale”, spiegano i due fondatori, Dong Seon Lee e Giuliana Borzillo.  In futuro, fanno sapere, “ci concentreremo in particolare nell’ampliamento della gamma di prodotti, nell’ulteriore processo di internazionalizzazione del nostro brand, in particolare in Germania e Olanda (Nord Europa) e nell’accrescimento della nostra capacità produttiva attraverso nuove sinergie. Il tutto però rimanendo sempre fedeli ai nostri alti standard di qualità e sostenibilità, che anzi, puntiamo a continuare a migliorare”.

L’investimento nel brand “va a rafforzare la nostra strategia di sostegno alle start up impegnate a promuovere in modo radicale e intenzionale la sostenibilità nel settore della moda”, spiega Davide Zanoni, Responsabile Area Investimenti di a|impact. Le scarpe di Id.eight, sostiene, “hanno il pregio di essere sostenibili nei materiali utilizzati e molto originali nel design, un mix che permette di posizionare questo brand tra i migliori esempi di imprese innovative capaci di declinare realmente il concetto di sustainable fashion”.

La carne sostenibile? Potrebbe arrivare dall’allevamento dei pitoni

L’aumento della popolazione mondiale e la necessità di trovare fonti alternative di cibo – in modo particolare di proteine – stanno spingendo la ricerca scientifica in questa direzione. Uno studio pubblicato su Scientific Reports ha indirizzato la propria ricerca verso l’allevamento dei pitoni, che potrebbe rappresentare un’alternativa più sostenibile al tradizionale bestiame. Lo studio si è concentrato su due allevamenti in Thailandia e in Vietnam e i risultati dimostrano che i pitoni reticolati e birmani sono cresciuti rapidamente nell’arco di 12 mesi, nonostante non abbiano bisogno di cibo con la stessa frequenza di altri animali da.

Le pressioni ambientali e demografiche stanno influenzando i sistemi agricoli convenzionali. Nella produzione zootecnica, gli animali a sangue freddo (ectotermi), come i pesci e gli insetti, sono molto più efficienti dal punto di vista energetico rispetto agli animali a sangue caldo (endotermi), come i bovini o il pollame. E il consumo di carne di serpente sta crescendo di popolarità in alcuni Paesi asiatici, ma l’industria rimane piccola.

Daniel Natusch e colleghi della Macquarie University di Sydney, in Australia, hanno studiato i tassi di crescita di 4.601 pitoni reticolati (Malayopython reticulatus) e birmani (Python bivittatus) in due allevamenti di pitoni situati nella provincia di Uttaradit in Thailandia e a Ho Chi Minh City in Vietnam. I rettili sono stati alimentati settimanalmente con una varietà di proteine di provenienza locale, tra cui roditori selvatici e farina di pesce, e sono stati misurati e pesati regolarmente per un periodo di 12 mesi prima di essere abbattuti. Gli autori hanno scoperto che entrambe le specie di pitone crescevano rapidamente – fino a 46 grammi al giorno – anche se le femmine avevano tassi di crescita più elevati dei maschi. Dopo la quantità di cibo consumato, il tasso di crescita di un serpente nei primi due mesi di vita è stato il miglior predittore delle sue dimensioni corporee in seguito.

Gli autori hanno sperimentato diverse combinazioni di fonti proteiche (tra cui pollo, prodotti di scarto del maiale, roditori e farina di pesce) su un sottogruppo di 58 pitoni birmani dell’allevamento di Ho Chi Minh e hanno scoperto che per ogni 4,1 grammi di cibo consumato si poteva raccogliere 1 grammo di carne di pitone. Questo rapporto di conversione del cibo non variava significativamente tra le diete dei pitoni e, in termini di conversione delle proteine, è più efficiente di altri animali studiati finora. Inoltre, il 61% di questi pitoni birmani ha digiunato per periodi compresi tra 20 e 127 giorni, perdendo però pochissima massa corporea durante questo periodo.
Secondo gli autori, questi risultati indicano che l’allevamento commerciale dei pitoni potrebbe essere un’opzione di produzione alimentare fattibile e sostenibile che potrebbe integrare i sistemi di allevamento esistenti.

Clima, emissioni e sostenibilità: la Commissione europea rivendica i 10 “risultati chiave”

La prima legge europea sul clima, il fondo europeo per una transizione giusta, il dispiegamento di colonnine elettriche su strade e autostrade d’Europa. E, ancora, la revisione dell’Ets, il sistema di certificati di emissioni, affiancato dal nuovo sistema di carbon tax transfrontaliero. Con la legislatura europea agli sgoccioli la Commissione prova a fare un bilancio dell’attività svolta e i successi ottenuti nel corso del mandato. Per quanto riguarda la parte ‘green’ dell’azione dell’esecutivo comunitario, il rapporto stilato a Bruxelles, si concentra su 10 risultati considerati chiave.

Al primo posto viene menzionata la prima legge europea sul clima, approvata nel 2021, che fissa obiettivi chiari per fare dell’Ue una regione climaticamente neutrale entro il 2050, oltre a fissare l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, rispetto al 1990. Obiettivi rivisti a febbraio 2024, con la raccomandazione della Commissione per un ulteriore obiettivo intermedio di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040.

Secondo obiettivo chiave raggiunto: il Just Transition Fund. “Con il sostegno di 19,7 miliardi di euro di finanziamenti – rivendica la Commissione – l’Ue ha aiutato le regioni vulnerabili a diversificare le attività economiche e ad affrontare l’impatto socioeconomico della transizione pulita”.

Terzo risultato della lista: sostegno a gli agricoltori di 22 Stati membri con 330 milioni di euro per far fronte agli impatti degli eventi climatici e ai maggiori costi dei fattori di produzione. A questo si aggiunge la concessione di flessibilità ai governi nazionali per integrare il sostegno dell’U e fino al 200% con fondi nazionali e di fornire anticipi più elevati sui fondi della politica agricola comune per migliorare il flusso di cassa degli agricoltori.

Risultato numero quattro: “Dal 2019 abbiamo approvato sette importanti progetti di comune interesse europeo (IPCEI) che coinvolgono 22 Stati membri”. Questi progetti ambiziosi riguardano, ad esempio, le batterie, la microelettronica, l’idrogeno e il cloud computing. Con aiuti di Stato pari a 32,9 miliardi di euro, si sbloccheranno almeno 50,3 miliardi di euro di investimenti privati aggiuntivi.

Il punto numero 5 della lista dei principali obiettivi ‘green’ raggiunti nella legislatura riguarda lazione per utilizzare meglio le risorse scarse e ridurre i rifiuti. Qui, sottolinea la Commissione, “abbiamo adottato misure per rendere i prodotti più sostenibili, riducendo i 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti che l’Ue produce ogni anno”.

In termini di efficienza e sostenibilità, il grande successo numero sei per la Commissione è “la nostra forte attenzione all’uso più intelligente dei materiali” dimostrata con il Nuovo Bauhaus europeo. “Con oltre 600 organizzazioni partner ufficiali che vanno dalle reti a livello europeo alle iniziative locali, il Bauhaus raggiunge ora milioni di cittadini”.

Ancora, durante questo mandato la Commissione ha aggiornato il sistema di scambio di quote di emissioni dell’Ue (ETS) per coprire più attività, motivando più settori economici ad attuare riforme verso la transizione pulita. Ciò genera maggiori entrate che verranno reinvestite in innovazione, azione per il clima e sostegno sociale, ad esempio attraverso il Fondo per l’innovazione, il Fondo per la modernizzazione e il Fondo sociale per il clima.

Risultato ‘green’ numero otto: la trasformazione sostenibile del settore trasporti. “Abbiamo sostenuto la produzione di batterie nell’Ue e lo sviluppo dell’idrogeno pulito”, sottolinea la Commissione. “Abbiamo inoltre stabilito requisiti per garantire che le stazioni di ricarica per veicoli elettrici siano disponibili ogni 60 km nella rete transeuropea dei trasporti”.

Nove: il meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio (Cbam). Con questo meccanismo “abbiamo affrontato la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, assicurandoci che le emissioni siano ridotte ovunque vengano prodotte, e non semplicemente all’estero”.

Infine, il Piano d’azione ‘Inquinamento zero’ (Zero Pollution) della Commissione, che ha portato a proposte per standard modernizzati sulla qualità dell’acqua, della qualità dell’aria, delle emissioni industriali e delle sostanze chimiche.

Chiude il bando ’10 tesi per la sostenibilità’: i partecipanti sono oltre 2mila

Il mondo universitario batte un colpo per un futuro a misura d’uomo: sono 2.062 i partecipanti, provenienti da oltre 80 università di tutta Italia, al bando ‘Dieci tesi per la sostenibilità’. Si tratta di un’iniziativa promossa da Fondazione Symbola, Unioncamere e Luiss con il sostegno di Deloitte Climate & Sustainability, con il patrocinio del ministero dell’Università e Ricerca, della Conferenza dei Rettori (Crui), la collaborazione del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, della Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (RUS) e del Consorzio Interuniversitario nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali (Instm) volta a premiare 10 tesi provenienti da tutte le discipline, sia scientifiche che umanistiche, collegate ai temi della sostenibilità. Sono 21 gli atenei direttamente coinvolti: l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, la Federico II di Napoli, Tor Vergata, La Sapienza, la Ca’ Foscari di Venezia, la Bocconi, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’Università Politecnica delle Marche, il Sant’Anna di Pisa, l’Universitas Mercatorum, l’Università di Macerata, le Università di Cagliari, Teramo, Camerino, Catania, Palermo e Brescia; Università LUMSA – Libera Università Maria Ss. Assunta. Il comitato scientifico che è al lavoro per valutare le tesi è presieduto da Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’Università di Bologna e Paola Severino, presidente della Luiss School of Law.

Le tesi provengono da oltre 80 università italiane. I partecipanti sono per il 61,6% donne e per il 38,4% uomini. Molte tesi provengono in particolare dall’Università Cattolica del Sacro Cuore; dall’Università degli Studi di Roma La Sapienza; Alma Mater Studiorum – Università di Bologna; Università degli Studi di Napoli Federico II; Politecnico di Torino; Università degli Studi di Roma Tre; Università Politecnica delle Marche; Politecnico di Milano; Università degli Studi di Torino; Università degli Studi di Padova. Ai vincitori sarà riservato un premio in denaro. Ci saranno poi menzioni alle tesi più meritevoli e verrà favorita la possibilità per i neolaureati di tirocini con imprese per favorire il rapporto con il mondo del lavoro. Tra gli ambiti più presenti ci sono economia e statistica; ingegneria civile, architettura e design; scienze giuridiche, politiche e sociali; ingegneria industriale e dell’informazione; scienze dell’antichità, letterarie, artistiche, storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche; chimica e biologia.

Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, commenta: “Il bando ‘10 Tesi per la Sostenibilità’ ha visto una partecipazione assolutamente straordinaria e senza precedenti che vale molto più di un sondaggio. Ci potrà fornire informazioni e stimoli importanti. La possibilità di affrontare le sfide che abbiamo davanti può contare anche sulle energie pulite e rinnovabili dei saperi e delle intelligenze giovani presenti nel nostro Paese. È un’iniziativa inedita rivolta a premiare 10 tesi universitarie provenienti da aree disciplinari diverse che abbiano forti e originali riferimenti al principio della sostenibilità. Un’occasione per dare forza ad un’Italia che fa l’Italia. Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. Una formidabile spinta per contrastare la crisi climatica è venuta in più occasioni dal Papa e dal presidente Mattarella. In questa direzione si muove l’Europa indicando coesione, transizione verde e digitale come la strada per rafforzare la nostra economia”.

Il viaggio di MasterChef nella sostenibilità

Puntata speciale di MasterChef, giovedì sera, con al centro un viaggio green attraverso le nuove frontiere della sostenibilità in cucina: si parla di futuro della gastronomia, il focus è sui nuovi scenari di tutela degli ecosistemi naturali. Negli episodi di giovedì 8 febbraio, su Sky e in streaming su Now, i giudici Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli accoglieranno, nell’ultimo Skill Test della stagione dedicato a una cucina che si prende cura del territorio valorizzandone gli ingredienti, due esempi eccellenti di sostenibilità, entrambi detentori di 1 stella Michelin e 1 stella verde Michelin. Prima la chef Chiara Pavan del ristorante Venissa, sull’isola di Mazzorbo a Venezia, che farà immergere i concorrenti nella laguna veneta raccontando la sua idea di cucina ambientale che da un lato si prende cura dell’ambiente e dall’altro lo descrive. Poi lo chef Riccardo Gaspari, del Sanbrite a Cortina d’Ampezzo, che porterà tra i fornelli i profumi della montagna e il sapere della cucina rigenerativa, capace di impiegare anche gli scarti e dare valore a ingredienti tipici del bosco molto specifici (come il pino mugo) o apparentemente semplici (come il sedano rapa).

Rimasti in 8, i cuochi amatoriali dello show vedono l’obiettivo finale sempre più vicino. La serata di giovedì 8 febbraio per loro si aprirà con una scintillante Golden Mystery Box che porterà con sé una dinamica a sorpresa e ingredienti green a dir poco alternativi; a seguire un nuovo Invention Test che stavolta farà stimolare la creatività degli aspiranti chef a partire da un ingrediente sostenibile e ricco di proprietà benefiche per l’organismo, anche se spesso sottovalutato: l’aglio.

Si rinnova quindi l’impegno di tutto il mondo MasterChef Italia in tematiche di sostenibilità ambientale e sociale, promuovendo il consumo consapevole ed ecosostenibile, rispettando l’ambiente e non sprecando risorse alimentari. Da anni, ormai, la produzione adotta in tutti i luoghi di lavoro un approccio plastic free ed eco-friendly, tutti i prodotti di consumo legati al cibo (piatti, bicchieri, posate, vassoi, tovaglioli) sono di natura compostabile ed ecosostenibile, e collabora con Last Minute Market per recuperare le eccedenze rimaste inutilizzate durante la registrazione delle puntate a favore della Onlus Opera Cardinal Ferrari che gestisce una mensa per persone in difficoltà a Milano. Sin dallo scorso anno, inoltre, perfezionando i processi di acquisto, di smaltimento e di recupero dei prodotti e implementando un sistema di gestione per gli sprechi alimentari, MasterChef Italia ha ottenuto, prima realtà al mondo, la certificazione Food Waste Management System da Bureau Veritas, presente a livello globale e accreditata da oltre 60 organismi internazionali, leader di livello mondiale nell’offrire servizi di verifica, certificazione e audit in ambito Qualità, Salute e Sicurezza, Ambiente e Responsabilità Sociale. Bureau Veritas, inoltre, ha certificato anche la corretta applicazione del protocollo Green Audiovisual che attesta la capacità nella gestione della sostenibilità ambientale, diminuendo i consumi e l’impatto ambientale, riducendo i trasporti, adottando un corretto smaltimento dei rifiuti e degli scarti generati.

Poliestere o cotone riciclato: occhio alle etichette

Nei negozi fioriscono le etichette “materiale riciclato“, ma la costosa tecnologia che permette di riciclare i filati in fili è ancora agli albori in tutto il mondo.

Il 93% dei materiali riciclati nei nostri abiti proviene da bottiglie di plastica e non da vecchi vestiti. Lo spiega Urska Trunk, direttore della campagna dell’ONG Changing Markets, a Bruxelles. “Meno dell’1% dei tessuti che compongono i nostri abiti viene riciclato per farne di nuovi”, precisa la Commissione europea all’Afp. Secondo la Commissione, in Europa il totale dei rifiuti tessili ammonta a 12,6 milioni di tonnellate all’anno (di cui 5,2 milioni di tonnellate di abbigliamento e calzature, mentre il resto è costituito da materassi, tappeti e altri arredi tessili).

La maggior parte dei rifiuti tessili usati viene gettata via o incenerita, mentre solo il 22% viene raccolto per essere riutilizzato o riciclato – principalmente in stracci, imbottiture o isolanti. Riciclare gli abiti è “molto più complesso che riciclare il vetro o la carta“, spiega all’AFP il produttore austriaco di fibre tessili a base di legno Lenzing.

Gli abiti usati devono essere suddivisi per materiale e colore, quindi privati dei loro “punti duri” (cerniere, bottoni, ecc.). Infine, tutto ciò che non può essere riciclato, come alcune fibre o tessuti composti da più di due materiali, deve essere scartato. Tuttavia, questo tipo di operazione non ha ancora raggiunto la fase industriale. Questa tecnologia è “agli inizi“, ribadisce Trunk. Il modo migliore per dare un’impronta “buona per il pianeta” ai propri vestiti è riciclare le bottiglie in PET (polietilene tereftalato) in fibre di poliestere. Questa tecnologia è l’unica realmente utilizzata su larga scala.

Nel 2023, il 79% del poliestere utilizzato nelle collezioni proveniva da materiali riciclati. Il gruppo H&M punta al 100% entro il 2025. Cosa fanno i marchi? Raccolgono le “scaglie” di plastica prodotte dal riciclo meccanico delle bottiglie dai produttori e poi producono la fibra nei propri stabilimenti, ha spiegato all’AFP Lauriane Veillard, responsabile delle politiche di riciclo chimico presso Zero Waste Europe (ZWE) a Bruxelles. “Siamo chiari, non si tratta di circolarità“: avvertono l’industria dell’imbottigliamento e le associazioni ambientaliste. Questo perché se queste bottiglie non fossero state utilizzate per produrre poliestere, sarebbero state di fatto utilizzate per produrre altre bottiglie di plastica. Mentre una bottiglia di PET può essere riciclata cinque o sei volte in un’altra bottiglia, una maglietta o una gonna fatta di poliestere riciclato “non può mai essere riciclata di nuovo”, sottolinea Trunk, che partecipa alle discussioni sulla Direttiva quadro sui rifiuti dell’UE. Il poliestere riciclato viene infatti spesso rigenerato utilizzando componenti chimici ed elastan, apprezzato per la sua elasticità, ma che ne impedisce il riciclo. Per non parlare dell'”energia e dei materiali” necessari per trasportare, selezionare, lavare, macinare, fondere, ecc. fino al filamento, come sottolinea Loom.

Dalla produzione al riciclo, si tratta di inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo: in breve, anche il poliestere riciclato non è una soluzione miracolosa”, ammette Jean-Baptiste Sultan, consulente di Carbone 4. Le ONG chiedono che l’industria tessile smetta di utilizzare questo materiale, che nel 2021 rappresentava il 54% della produzione di fibre, secondo Textile Exchange. Anche il riciclo del cotone non è l’opzione migliore: la fibra lavorata è di qualità inferiore e, per durare nel tempo, spesso deve essere intrecciata con altri materiali, anch’essi difficili da riciclare. Nel 2019, il 46% dei rifiuti tessili provenienti dall’UE è finito in Africa sui mercati dell’usato o più spesso “in discariche a cielo aperto”, segnala l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA). La pratica è ampiamente condannata dalle organizzazioni ambientaliste, come in Ghana.

Un “regolamento sulle spedizioni di rifiuti” adottato a novembre mira ora a “garantire, tra le altre cose, che le esportazioni di rifiuti dall’UE siano destinate al riciclaggio e non allo smaltimento”, ha dichiarato la Commissione europea all’AFP. Sempre nel 2019, il 41% dei rifiuti tessili europei è andato in Asia in “zone economiche dedicate dove vengono selezionati e trattati”, la maggior parte dei quali in Pakistan. Qui e in Bangladesh si stanno sviluppando veri e propri “hub” di smistamento e riciclaggio dei prodotti tessili, spesso all’interno di “Export Processing Zones”. I rifiuti sembrano essere “riciclati localmente, principalmente trasformati in stracci industriali o imbottiture, o riesportati, sia per il riciclaggio in altri Paesi asiatici che per il riutilizzo in Africa”, conclude uno studio dell’AEA del febbraio 2023. Ma l’Agenzia riconosce “la mancanza di dati coerenti sulle quantità e sul destino dei tessili usati” in Europa. Secondo Paul Roeland dell’ONG Clean Clothes Campaign, le EPZ sono soprattutto “note come enclavi ‘senza legge’, dove non vengono rispettati nemmeno i bassi standard lavorativi di Pakistan e India”.

“Inviare gli abiti in Paesi con bassi costi di manodopera per la selezione manuale è orribile in termini di impronta di carbonio”, sottolinea Marc Minassian, direttore commerciale per la Francia di Pellenc ST, che è all’avanguardia nella selezione ottica per il riciclaggio. Allo stato attuale, il riciclaggio dei tessuti è “un mito”, afferma Lisa Panhuber di Greenpeace.

Fibre di banana, bucce di agrumi, foglie di cactus, bucce di mela…tutto può essere riciclato per produrre tessuti. Hugo Boss, ad esempio, utilizza il Pinatex, ricavato dalle foglie di ananas, per alcune delle sue scarpe da ginnastica. “Un sottoprodotto dell’agricoltura odierna, le foglie d’ananas sono utilizzate per creare questo tessuto unico, che non richiede risorse aggiuntive per crescere”, vanta il marchio tedesco sul suo sito web. Tuttavia, esperti come Thomas Ebélé del marchio SloWeAre si interrogano sul modo in cui vengono prodotte queste fibre agglomerate e non tessute, con l’aggiunta di un legante, “nella maggior parte dei casi poliuretano” o PLA (acido polilattico), spiega. Questa composizione non standardizzata rende l’indumento “talvolta biodegradabile” alla fine del suo ciclo di vita, ma non riciclabile. Insiste: “Biodegradabile non significa compostabile! Significa che queste fibre possono degradarsi in condizioni industriali, cioè con una pressione superiore a tre atmosfere, un’igrometria superiore al 90%, una temperatura compresa tra 50 e 70 gradi e con agitazione meccanica”. Al di là di tutti questi processi, “è soprattutto il volume degli indumenti prodotti a essere problematico”, afferma Céleste Grillet dell’unità energia di Carbone 4. Per Lisa Panhuber, la soluzione è sicuramente “ridurre i consumi, riparare e riutilizzare”.