olio cucina

Commissione nazionale Unesco: “Cucina italiana sia patrimonio culturale immateriale”

La cucina italiana è ufficialmente candidata a patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. A presentarla all’esame del Comitato intergovernativo è stato il Consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, presieduto da Franco Bernabé. Il dossier di candidatura, dal titolo ‘La cucina italiana fra sostenibilità e diversità bioculturale’, indica tra le motivazioni il suo essere un “insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basate sui tanti saperi locali che, senza gerarchie, la identificano e la connotano”.

Questo mosaico di tradizioni territoriali “riflette la diversità bioculturale del Paese e si basa sul comune denominatore di concepire il momento della preparazione e del consumo del pasto a tavola come occasione di condivisione e di confronto”. “Ovunque, in Italia – si legge nella nota Unesco – cucinare è un modo di prendersi cura della famiglia e degli amici o degli avventori. È il frutto di un continuo gioco di connessioni e scambi che dalle precedenti generazioni arriva alle nuove. È anche una manifestazione quotidiana di creatività che rimanda al “buon vivere” italiano per il quale, nel mondo, siamo apprezzati e talvolta invidiati”.

Come evidenzia lo storico Massimo Montanari, “la candidatura vuole rappresentare la cucina italiana, domestica e non, come un mosaico in cui le singole tessere permettono di definire un insieme coerente che trascende l’unicità e la specificità di ogni singola tessera”. Tutto ciò è il risultato di una storia plurisecolare caratterizzata da numerosi scambi, interferenze e contaminazioni reciproche. La cucina italiana, come emerge dal dossier di candidatura, “è un elemento essenziale, vivo e attuale dell’italianità, riconosciuto tanto all’interno del paese quanto all’estero”.

Il Consiglio direttivo ha inoltre approvato la candidatura transnazionale ‘Arte campanaria tradizionale’, estensione all’Italia di questo elemento iscritto dalla Spagna lo scorso anno. La partecipazione italiana è promossa dalla Federazione nazionale dei suonatori di campane, che raggruppa 22 associazioni presenti sul territorio italiano. Il dossier contiene diversi elementi, come le differenti tecniche di suonata; i paesaggi sonori quali feste, anniversari, riti; le forme delle campane realizzate da fonderie storiche e le strutture architettoniche dei campanili, come quelli di Piazza San Marco a Venezia e di Santa Maria del Fiore a Firenze.

Fa’ la cosa giusta: la sostenibile leggerezza del km zero

C’è un volto della moda lontano dai riflettori, ma vicinissimo alle persone: è quello dell’artigianato. In Italia lo slow fashion è un settore chiave, anche se spesso poco valorizzato: è etico, impatta poco, dà spazio ai giovani

Al Critical Fashion di ‘Fà la cosa giusta!‘, la Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili di Milano (24-26 marzo) aziende e artigiani presentano abbigliamento e accessori realizzati con materiali riciclati o di riuso, filati biologici e naturali, materie prime organiche, tinture vegetali. 

Con il progetto ‘Moda: il bello del km consapevole’, realizzato con il contributo di Regione Lombardia, i visitatori possono scoprire l’ecosistema creativo lombardo, le giovani imprese e i designer che fanno della sostenibilità un valore centrale del proprio brand. L’incontro ‘La sostenibilità umana nella filiera della moda’ racconta come l’industria della moda si stia adattando alla richiesta di sostenibilità ambientale nella filiera di produzione, anche se rimane ancora tanto da fare nell’ambito dei diritti dei lavoratori: sono 70 milioni le persone che lavorano in questo settore e ricevono la paga minima, spesso sotto il livello di povertà. Protagonista dell’incontro è Marina Spadafora, designer e stilista militante, portavoce in Italia del movimento Fashion Revolution che, insieme a una cordata di ONG, ha depositato una proposta di legge al Parlamento Europeo sul salario dignitoso e ha lanciato la campagna di raccolta firme, che termina il prossimo luglio, ‘Good Clothes Fair Pay’.

Al fast fashion è dedicato l’incontro ‘Moda, cooperazione e sostenibilità: oltre il fast fashion‘, che riflette sul rapporto tra sostenibilità, produzione di moda e cooperazione. Grazie ai risultati di uno studio della Cattolica, in collaborazione con Mani Tese e Aics (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), viene approfondito l’impegno delle piccole imprese in Italia del settore tessile-abbigliamento nella gestione degli aspetti sociali e ambientali delle proprie attività, nella prospettiva di un passaggio dal fast fashion a una filiera tessile trasparente e sostenibile.

Tra i tanti laboratori della Piazza Critical Fashion, i visitatori della fiera hanno la possibilità di partecipare a corsi di cucito gratuiti, per imparare a fare piccole riparazioni fai-da-te e personalizzare gli abiti, grazie allo spazio interattivo allestito con le macchine da cucire messe a disposizione da Del Vecchia Group.

“Oltre il tessuto – Materiali non convenzionali che diventano moda’ è la mostra organizzata da Sfashion-net per raccontare la tradizione e l’innovazione delle produzioni di alcuni brand italiani che hanno a cuore l’ambiente e che attuano forme di upcycling contemporaneo: recuperano e riutilizzano in modo creativo materiali non convenzionali e non destinati al mondo della moda trasformandoli con pazienza per ridare loro una nuova forma e un nuovo utilizzo. 

 

vino atacama

Argea: “Sperimentiamo vino biosimbiotico contro siccità. Etichette? Mossa politica”

Contenitori alternativi al vetro. Impianti fotovoltaici. Laghi di raccolta acqua e vino biosimbiotico. Il settore enologico sta affrontando grandi sfide dettate dall’aumento dei prezzi delle materie prime, dalla crisi energetica e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Non da ultimo, a preoccupare i produttori italiani è l’iniziativa dell’Irlanda di apporre sulle etichette di vino i messaggi di allerta per il rischio sulla salute, i cosiddetti health warning, parificando di fatto il vino alle sigarette. “Il 2022 è stato un anno difficile, dopo la pandemia abbiamo affrontato difficoltà dovute all’incremento dei costi dei materiali. Molti produttori sono stati colpiti dalla crisi energetica… La sfida è cercare di seguire le abitudini di consumo e le richieste di alcuni mercati che sono considerati più evoluti che anticipano un po’ le tendenze del mercato, anche in termini di sostenibilità”, ha spiegato a GEA Massimo Romani, amministratore delegato di Argea, gruppo nato a settembre dall’unione di Botter e Mondo del Vino con l’obiettivo di competere sui mercati esteri e portare la qualità dell’Italia nel mondo.

Come sta proseguendo la vostra avventura?

“Argea è una nuova realtà nata dall’unione delle parole arte e gea (terra): arte della terra. Abbiamo presentato il gruppo il 29 settembre del 2022 ma abbiamo una lunga storia perché nasciamo dall’unione di Botter e Mondo del Vino, con quasi 100 anni di storia. Abbiamo ora 600 dipendenti diretti, oltre a tutta la filiera. Lavoriamo su 9 cantine in 6 regioni italiane. Abbiamo chiuso il 2021 a 420 milioni di euro di cui il 95% di export. Il 2022 è stato un anno difficile, ma siamo comunque riusciti a produrre una crescita rispetto al 2021, stiamo chiudendo ora i conti. Certo, ci sono le prime avvisaglie di attenzione sul mercato a inizio del 2023 ma crediamo poi si vada a stabilizzare”.

Crisi energetica, cambiamenti climatici, aumento dei prezzi.. come il settore può sopravvivere?

“Seguendo le abitudini di consumo e le richieste di alcuni mercati che sono considerati più evoluti che anticipano un po’ le tendenze del mercato: ovvero, sostenibilità. Dal canto nostro, stiamo cercando di studiare soluzioni alternative, ad esempio contenitori alternativi rispetto al classico vetro, che da un lato danno maggiore sostenibilità ambientale e dall’altro offrono un’economicità maggiore del prodotto, in modo da renderci più competitivi come richiede il mercato. Penso a contenitori in pit, a contenitori con carta, allo sviluppo del concetto di bag-in-box, che si usa molto nei mercati nordici, trasferito però sulle bottiglie. A questo si accompagna tutta una serie di studi che vanno ben sperimentati per capire l’impatto organolettico sulla nostra materia prima che è nobile e che va trattata di conseguenza. Tradotto: siamo ben consapevoli della tradizione ma stiamo cercando di capire cosa si può fare per renderci più sostenibili nel medio periodo e anche più competitivi“.

La crisi dei materiali ed energetica ha infatti costretto a ripensare alle fonti di approvvigionamento, rendendo forse sempre più indispensabile una transizione ecologica ed energetica .. nel vostro settore come è attuabile?

Stiamo portando avanti un importante progetto di transizione energetica, ed ecologica, per aumentare la nostra produzione da fonti rinnovabili. Ad esempio, su tutta la parte in cantina, e degli impianti di imbottigliamento e su tutti i magazzini logistici stiamo attivando processi a 360 gradi di produzione di energia da fotovoltaico. Abbiamo un piano rilevante sulla riduzione degli sprechi, sia come educazione sia come investimenti in tecnologie che consumano meno. Questa attenzione la portiamo in tutti gli aspetti della filiera cercando di firmare protocolli con i nostri fornitori che sono spesso anche nostri partner”.

Che cosa chiedete alle istituzioni?

“Un loro aiuto in buona parte è già presente. Ma se in tutto questo percorso, il Pnrr e i progetti del Mase ci aiutassero negli investimenti e ad accelerare questa fase di transizione, potremmo diventare meno sensibili alle oscillazioni di elettricità e gas. E se questo fosse ripetuto su tutti i player della filiera (dal vetro al cartone fino allo scaffale) aiuterebbe in modo concreto un passaggio che oggi è diventato cruciale e a cui gli imprenditori, da anni, stanno lavorando”.

Anche perché gli effetti del riscaldamento globale sono già in atto. Penso alla forte siccità che sta colpendo l’Italia, soprattutto al Nord.

Il cambiamento climatico è una realtà, non è più un messaggio che qualcuno cercava di far passare. Sono anni, 2022 incluso, che rischiamo di avere vendemmie povere. Per fortuna l’anno scorso a inizio agosto ha iniziato a piovere e ci siamo salvati. Le produzioni sono state in linea con gli anni precedenti. Noi siamo presenti in Veneto e in Piemonte (al confine tra Langhe e Roero) e siamo molto preoccupati. A livello di gruppo abbiamo iniziato a lavorare su due fronti: dove c’è la possibilità abbiamo lavorato sulle infrastrutture, come ad esempio in Emilia Romagna dove abbiamo la cantina Podere Dal Nespoli a 300 metri di altitudine. Qui abbiamo lavorato per mettere in funzione laghi di raccolta che ci servono per il sistema di irrigazione. E poi abbiamo lavorato in vigna dove, sulle nostre tenute, una 50ina di ettari, abbiamo creato il primo distretto biosimbiotico in Italia”.

Come funziona?

Vengono inseriti microrganismi in simbiosi con la pianta che la rendono più resiliente agli stress che arrivano dall’ambiente in cui vive, in particolare la siccità e gli sbalzi termici. E questo ci sta portando ad avere una vite molto più resistente rispetto a quella che arriva da sistemi più tradizionali. Sono fasi sperimentali: abbiamo prodotto le prime 18mila bottiglie la scorsa vendemmia, ma è una dimostrazione del fatto che la pianta può sopravvivere in condizioni meno gentili. Si dovrebbe fare di più, perché ora è una realtà con cui dobbiamo fare in conti, tutto il sistema ha bisogno di studiare sistema di iniziative in questo senso perché se non si agisce rischiamo di avere meno produzione, soprattutto in alcune aree”.

E’ possibile che la vendemmia venga anticipata?

“In alcune aree geografiche molto votate alla viticoltura, ma non in Italia, abbiamo visto ad anticipi già di vendemmia nell’ordine delle due tre settimane. Questo però ha provocato diversità nel gusto e nel profilo organolettico del prodotto. Qui ci avventuriamo in un territorio molto complesso di cui non abbiamo risposte”.

Anche perché l’Italia ha proprio una tradizione vinicola molto forte e qui mi connetto al famoso tema dell’Earth Warning dalle famose etichette. Quali rischi possono esserci per l’export italiano? E davvero il vino è dannoso alla salute?

“Ritengo che la situazione sia un po’ scappata di mano. Il vino rientra nell’elenco di tutti gli alimenti che sono stati di volta in volta attaccati, dalle carni rosse ai salumi. In realtà quello che studi anche a livello incrociato, sostenuti dalle varie associazioni, hanno sempre dimostrato è che questi alimenti e bevande consumati in moderazione non danno problemi alla salute. Non sono un medico, ma è chiaro che tutto va fatto con un certo tipo di moderazione. Io credo che sia più un tema commerciale e politico, poi non dubito che magari qualche Paese abbia problemi ben più alti del nostro in termini di consumo. Ma cercare di ridurre l’abuso con questo sistema non gestito rischia di penalizzare di volta in volta l’export di tutti gli Stati dell’Unione europea a seconda del cibo o della bevanda di cui si parla. Allo stesso tempo, al momento non la vedo come una cosa che possa danneggiare in maniera sostanziale almeno nel breve periodo il settore. Ma ricordiamoci che il settore del vino in Italia vale circa 15 miliardi di euro di cui 8 di export, con una quantità di addetti importante e una tradizione oserei dire millenaria. E questo va tutelato”.

Gucci

Gucci e il lusso green del futuro: nasce primo Circular Hub

Materie prime, design, produzione, logistica. L’intera catena produttiva della moda in Italia cambia pelle, con il primo hub per il lusso circolare in Italia. Lo lancia Gucci, supportata da Kering, per accelerare la trasformazione del modello produttivo in chiave circolare, attraverso una piattaforma di ‘open innovation’.

Obiettivo: creare il prodotto del lusso circolare del futuro – un prodotto che massimizza l’utilizzo di materiali riciclati, la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti a fine vita.

L’hub sarà in Toscana e dialogherà con le strutture del Gruppo Kering, un ecosistema di oltre 700 fornitori diretti e 3500 subfornitori. Le attività dell’hub saranno poi estese agli altri brand del Gruppo Kering per diventare uno strumento a disposizione dell’intero settore.

L’industria della moda ha oggi la responsabilità di stimolare azioni concrete e trovare soluzioni in grado di accelerare il cambiamento, ripensando anche alle modalità produttive e all’impiego delle risorse. La creazione del Circular Hub è un importante traguardo e nasce proprio per perseguire quest’obiettivo. È motivo di orgoglio per me che l’hub nasca in Italia, sede di alcuni dei più importanti e rinomati poli produttivi e del know-how del Gruppo”, spiega Marie-Claire Daveau, Chief Sustainability and Institutional Affairs Officer di Kering. La circolarità offre “una visione che coinvolge l’intero ciclo produttivo: è una grande sfida per rendere ancora più forte e competitivo il Made in Italy”, conferma Antonella Centra, Executive Vice President, General Counsel, Corporate Affairs & Sustainability di Gucci. Con Circular Hub, afferma, “abbiamo la responsabilità e soprattutto l’opportunità di creare la strada per l’industria del lusso del futuro. Condividendo i medesimi obiettivi e mettendo a fattore comune risorse, know-how e sinergie, la piattaforma rappresenta uno strumento concreto per abilitare l’intera catena di fornitura e specialmente le piccole e medie imprese, cuore pulsante del nostro Paese, rendendole parte attiva del percorso di innovazione costante che rende unico il saper fare italiano nel mondo”.

La prima fase dei lavori prenderà il via nel primo semestre 2023 e si avvarrà delle competenze dei ricercatori del Kering Material Innovation Lab (MIL) di Milano e del supporto di tecnici e ricercatori di prodotto per abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori dei centri d’avanguardia di artigianato industriale e sperimentazione di Gucci di Scandicci e di Novara.

Per lo sviluppo delle attività progettuali, la piattaforma prevedrà inoltre il supporto di partner industriali e la collaborazione scientifica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che opererà nel perimetro di intervento delle linee di ricerca industriale e di sviluppo di soluzioni circolari, anche relativamente ai modelli operativi e logistici.

Il progetto migliorerà le performance di impatto ambientale del Gruppo Kering, di Gucci e della sua filiera e dei territori in cui esse operano. Renderà possibile consumare meno risorse, ridurre le emissioni di gas serra, creare occupazione di qualità e contribuire al benessere del territorio. Da una prima stima degli impatti ambientali effettuata sull’ecosistema Gucci pelletteria, sarà possibile arrivare a una riduzione sino al 60% delle emissioni di gas serra attualmente generata nella gestione degli scarti produttivi. Il Circular Hub anticipa i nuovi modelli produttivi che saranno vincolanti in Europa nei prossimi anni e che istituiranno la responsabilità estesa del produttore, obbligando le aziende a farsi carico del fine vita del prodotto e dei materiali di scarto. Il progetto è complementare alle attività che saranno svolte dal Consorzio Re.Crea, coordinato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana per gestire i rifiuti e promuovere l’innovazione del riciclo, del quale Gucci fa parte come socio promotore, e si pone in linea di continuità con l’ingresso della Maison come partner strategico nella Ellen MacArthur Foundation.

Sostenibilità, economia circolare e app per smaltire i rifiuti: il piano di Nestlé

Una app per aiutare i consumatori a conferire i rifiuti. Una ‘Alleanza per il riciclo delle capsule in alluminio’, fondata nel 2021 da Nespresso in partnership con Illycaffè, che da febbraio 2023 si è ulteriormente potenziata con l’ingresso di Starbucks by Nespresso. Sono solo alcuni dei tanti progetti che il Gruppo Nestlé in Italia porta avanti nel suo percorso di sostenibilità. Ma come riuscire a coniugare l’impegno verso un sistema alimentare rigenerativo con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050? “‘Good food Good life’ è il purpose di Nestlé che riguarda tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione”, spiega a GEA Valeria Norreri, Strategic Group Marketing and Communication Manager di Nestlé Italia. La nostra promessa si applica su tre ambiti: le Persone, il Pianeta e le Comunità. “Perché per Nestlé il concetto di “buono” non riguarda solo il gusto del cibo, ma anche quanto questo sia bilanciato a livello nutrizionale, quanto sia rispettoso del territorio e di chi lo produce”, continua Norreri. Una dichiarazione di intenti che si traduce in atti concreti e in impegni per il futuro ben definiti. Ad esempio, già oggi il 97% delle confezioni prodotte in Italia è riciclabile. O ancora, le fabbriche Nestlé in Italia, acquistano il 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili e inviano a riciclo o recupero circa il 99% dei propri rifiuti.

Pioniera nel riservare grande attenzione al tema del corretto conferimento dei rifiuti, nel 2020 Nestlé ha lanciato l’app ‘Dove lo butto?‘, piattaforma digitale creata con l’obiettivo di informare e aiutare i consumatori in modo rapido e intuitivo sul corretto smaltimento delle confezioni dei prodotti, in qualsiasi parte d’Italia si trovino. “Nel nostro Paese, infatti, le regole per la differenziata variano tra un territorio all’altro a causa delle esigenze tecniche e operative con cui si interfacciano le diverse municipalizzate locali. Si pensi ai contenitori per liquidi a base carta, come il TetraPack: a seconda del Comune di riferimento, possono essere conferiti assieme alla carta, o al multimateriale, insieme alla plastica. Ne consegue che non sempre i consumatori siano certi di come smaltire correttamente gli imballaggi dei prodotti che utilizzano. La piattaforma vuole quindi supportarli nel rispondere alla domanda più comune che tutti almeno una volta ci siamo posti davanti ai bidoncini della raccolta differenziata: ‘… E questo, dove lo butto?‘”, spiega Valeria Norreri.

Ed è proprio questo uno degli argomenti che Nestlé presenterà ai ragazzi in occasione di ‘GEA EDU-Idee per il futuro’, il progetto didattico promosso dalla Fondazione Articolo 49, emanazione di WITHUB S.p.A, e destinato alle scuole secondarie di II grado. “Nestlé ha sempre ritenuto fondamentali i progetti educativi rivolti a una sensibilizzazione degli stili di vita, per questo abbiamo aderito con interesse. Da tempo lavoriamo per raggiungere obiettivi importanti attraverso i nostri prodotti, le nostre marche e le nostre persone che sono in prima linea per guidare il percorso di crescita sostenibile dell’azienda”, continua Norreri ricordando che un Gruppo come Nestlé studia con attenzione dove e come “muoversi perché grandi dimensioni portano con sé grandi responsabilità. Da soli possiamo raggiungere grandi risultati, ma per fare davvero la differenza dobbiamo adottare soluzioni collaborative. Questo implica coinvolgere i nostri consumatori, che supportiamo nella corretta raccolta differenziata degli imballaggi e ispiriamo attraverso il gioco. Ma anche collaborare con i nostri clienti e le istituzioni, e soprattutto creare una cultura della sostenibilità nelle nuove generazioni favorendo la conoscenza e la consapevolezza verso buoni stili di vita alimentari e pratiche quotidiane”.

Sostenibilità, iN’s Mercato: Grande distribuzione ha responsabilità verso giovani

A testimonianza del valore e dei principi di cui si fa portatrice e nell’ottica di favorire legami e connessioni tra le persone, la cultura e il territorio , iN’s ha scelto dunque di sostenere dei progetti che confermano il suo impegno nei confronti della comunità”. Lo dichiara il Direttore Generale di iN’s Mercato Moreno Fincato commentando il sostegno del gruppo al progetto didattico ‘GEA EDU-Idee per il futuro’, promosso dalla Fondazione Articolo 49, emanazione di WITHUB S.p.A, e destinato alle scuole secondarie di II grado per approfondire insieme alle nuove generazioni le tematiche relative allo sviluppo sostenibile, alla transizione ecologica e ai nuovi ‘green job’ con uno sguardo generale rivolto all’Europa. “Si tratta di iniziative volte a sostenere il valore della persona, la sostenibilità ambientale e le generazioni future, tematiche per noi importanti su cui si fonda il nostro modo di lavorare e di pensare – ha aggiunto – Sentiamo di avere una forte responsabilità in questi ambiti in quanto il settore della grande distribuzione può svolgere un ruolo di potenziale contatto con molte persone e, in questo senso, può dare un contributo positivo all’evoluzione della nostra società”.

Allo stesso modo, “la nostra partecipazione all’iniziativa GEA EDU si inserisce nell’ambito del percorso di Corporate Social Responsibility di In’s Mercato, che comprende l’ insieme di attività e comportamenti responsabili che la nostra insegna adotta e promuove all’interno e all’esterno, a favore del contesto di sostenibilità sociale e ambientale”, aggiunge la responsabile Marketing e comunicazione Francesca Salmaso. “Sia nell’attività di business che nella gestione interna, promuoviamo una cultura attenta al valore della persona. Negli anni abbiamo infatti supportato iniziative volte a sostenere il ruolo delle donne, nell’ambito del progetto INS PER LEDONNE, anche in collaborazione con realtà come Unicef e WeWorld. Abbiamo sostenuto, e continuiamo a sostenere, progetti a supporto dell’empowerment e dell’imprenditoria femminile e a favore delle eccellenze del Made in Italy in rosa e riserviamo sempre una profonda attenzione nei confronti della tutela ambientale, portando avanti azioni mirate ed efficaci per ridurre l’impatto sull’ecosistema. Siamo inoltre coinvolti in un importante piano di sensibilizzazione nei confronti delle generazioni più giovani. Si tratta di un tema, quest’ultimo, a cui teniamo in modo particolare e a cui ci dedichiamo in questa prima parte dell’anno sostenendo diverse partnership con realtà i cui ambiti d’azione sono l’educazione (intesa in senso ampio e quindi in riferimento anche all’importanza della pratica sportiva e alla conduzione di uno stile di vita sano), l’istruzione e la formazione.

Al via progetto didattico GEA EDU-Idee per il futuro: la sostenibilità arriva ‘inclasse’

Approfondire insieme alle nuove generazioni le tematiche relative allo sviluppo sostenibile, alla transizione ecologica e ai nuovi ‘green job’ con uno sguardo generale rivolto all’Europa. È l’obiettivo che si pone GEA EDU-Idee per il futuro, il progetto didattico promosso dalla Fondazione Articolo 49, emanazione di WITHUB S.p.A, e destinato alle scuole secondarie di II grado. Il progetto, patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ed in collaborazione con il Parlamento Europeo, è partito il 6 febbraio e ha già all’attivo oltre 2.050 studenti, appartenenti a 82 classi di 27 istituti in 13 regioni italiane. Il progetto educativo GEA EDU si inserisce nel sistema dell’Agenda Onu 2030 che ingloba 17 obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile. Gli studenti verranno invitati a riflettere sui ‘goal’ 11 (città e comunità sostenibili), 12 (produzione e consumo responsabili), 13 (lotta contro il cambiamento climatico), lavorando sulle azioni e i comportamenti sostenibili di ogni singolo individuo.

Tre moduli didattici – Nel quadro delle possibilità offerte dall’introduzione dell’educazione civica obbligatoria nelle scuole, il progetto educativo GEA Edu – Idee per il futuro propone tre moduli indipendenti, ognuno dei quali affronterà diverse macro-tematiche riguardanti l’economica circolare. In particolare: Produzione e consumo sostenibile: il ruolo del cittadino e delle imprese nella gestione quotidiana dei prodotti; Economia circolare, riuso, riciclo e gestione dei rifiuti: la circolarità dei consumi con uno sguardo particolare allo smaltimento e alla nuova vita degli scarti; Innovazione e nuove professioni: le nuove professioni della sostenibilità offrono nuove opportunità di occupazione. Ciascun modulo, della durata di 40 ore, permette ai ragazzi, una volta completato, di ricevere un attestato di partecipazione che l’istituto di appartenenza potrà trasformare in crediti formativi. Insegnanti e studenti si possono registrare al progetto sulla piattaforma inclasse.net, sulla quale potranno seguire il percorso didattico e scaricare i materiali a supporto delle tematiche affrontate. Gli studenti potranno confrontarsi e collaborare per sviluppare un pensiero critico sulle tematiche trattate e partecipare al contest ‘Idee per il futuro’ dando sfogo alla loro creatività e fantasia.

Il contest ‘Idee per il futuro’: I ragazzi si faranno promotori di idee innovative per migliorare la vita di tutti i giorni per loro stessi e per la loro comunità. Una giuria di esperti selezionerà i tre migliori progetti; le tre classi vincitrici saranno premiate il 25 maggio a Roma presso Europa Experience, lo spazio multimediale dedicato all’UE e intitolato a David Sassoli, nel contesto del calendario degli Eventi di Withub www.withub.it/meet   “Lanciamo oggi questo progetto educativo – ha detto Andrea Poli, presidente della Fondazione Articolo49 – che si pone tre diversi specifici obiettivi: rendere gli studenti protagonisti della transizione ecologica, trasmettere competenze per l’adozione di buone pratiche nella vita quotidiana e stimolare il confronto. Questi goal sono in linea con il concerto di significati contenuti nella Costituzione Italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE e costituiscono una fonte di ispirazione per i valori sostanziali della Fondazione49, promotrice del progetto. Libertà, partecipazione e democrazia sono al centro della nostra mission e rappresentano un patrimonio che vogliamo condividere e diffondere nelle scuole, tra i ragazzi e le loro famiglie”.
Il progetto GEA EDU è sostenuto da Federacciai, CoReVe, iN’s Mercato e Nestlé.

Carne sintetica, dalla produzione ai vantaggi nel consumo

Creare la carne in vitro non è più fantascienza; non solo è possibile, ma è proprio in quella direzione che il mercato alimentare si sta già muovendo. Dopo gli Stati Uniti, dove la carne sintetica ha avuto il via libera dalla Food and Drug Administration (Fda), l’ente del governo statunitense che regola i prodotti alimentari e i farmaci, anche la Commissione europea ha parlato a un possibile ok al cibo prodotto in laboratorio, a patto che rispetti gli standard nutrizionali.

La carne sintetica, detta anche coltivata, artificiale o ‘clean meat’ in inglese è il risultato di un processo di coltivazione cellulare operata in laboratorio su cellule animali staminali, ovvero cellule che possono generare una grande varietà di tessuti animali se opportunamente “condizionate”. È carne a tutti gli effetti ma non prevede l’allevamento di un intero animale e nemmeno di un processo di macellazione quindi risulta essere ‘cruelty free’, cioè ottenuta senza sofferenza animale.

Come si produce. A differenza della carne ‘classica’ che ha bisogno della mucca o del maiale, nella produzione di carne sintetica si ricreano in laboratorio esclusivamente le cellule e di conseguenza i tessuti di nostro interesse. Grazie ai recenti progressi della scienza si è in grado, tramite tecniche di ingegneria cellulare, di indirizzare le cellule verso lo sviluppo di una specifica tipologia generando artificialmente cellule muscolari, nervi e tessuti connettivi. In questa maniera da una singola cellula si possono creare milioni e milioni di cellule che andranno a comporre un vero e proprio muscolo, successivamente trasformato in carne. Le cellule vengono inizialmente isolate da un animale e sviluppate all’interno di linee cellulari che vengono poi congelate. Piccoli campioni di queste linee possono poi essere trasferiti nei bioreattori – in genere di grandi vasche d’acciaio – dove le cellule vengono alimentate con dei terreni di coltura che contengono i nutrienti di cui hanno bisogno per dividersi. Una volta che sono cresciute e si sono differenziate formando il tipo di tessuto corretto, le cellule possono essere raccolte e utilizzate in prodotti a base di carne sintetica. Coltivare le cellule con questo processo, tuttavia, è ancora estremamente costoso. Produrre della carne in laboratorio (almeno inizialmente) è molto più dispendioso che produrre carne in maniera tradizionale, considerando che si sono anche costi indiretti di gestione da includere. Prevedere i costi è particolarmente difficilmente perché i protocolli non sono ancora del tutto standardizzati e non è facile predire come la produzione massiva (detta anche scale up industriale) possa incidere sui costi fissi e variabili.

Carne vegetale. La carne sintetica non ha nulla di vegetale e, per questo motivo, non va confuso con la carne vegetale. Quest’ultima infatti, chiamata anche ‘fake meat’ (carne falsa), è un alimento composto da soli ingredienti vegetali. La sua composizione ha però l’obiettivo di replicare, nel modo più fedele possibile, il gusto, l’aspetto e le proprietà nutritive della carne originale. Tale prodotto quindi, a differenza della carne sintetica, può essere usato all’interno di una alimentazione vegetariana o vegana. Le principali tipologie di carne vegetale oggi presenti in commercio sono il seitan ed il muscolo di grano.

Sostenibilità ambientale. Il consumo mondiale di carne è previsto aumentare del 40-70% entro il 2050 ed è quindi necessario ridurre gli effetti nocivi della sua produzione. La carne ha un altissimo impatto ambientale nonché contribuisce al riscaldamento globale, alla deforestazione, al consumo di suolo, acqua ed energia. Circa un terzo delle emissioni di gas serra a livello globale è riconducibile all’industria alimentare, il 18% solo a gli allevamenti. Queste stime sono destinate ad aumentare in futuro per rispondere alla sempre più crescente domanda di cibo. La scelta di produrre carne in laboratorio può restare un’opzione valida per quattro principali ragioni: come tutte le tecnologie, inizialmente dispendiose, se vengono avviate ad uno scale up industriale i costi si abbassano. La regola è molto semplice: più Paesi e aziende iniziano a produrre una determinata cosa e più i costi per la singola unità nel tempo si abbassano. Le ricadute ambientali sarebbero positive, andando a ridurre alla lunga le spese per le politiche di lotta al cambiamento climatico. La produzione di carne in laboratorio potrebbe portare con sé interessanti prospettive di sviluppo in campo biomedico, rendendo queste tecnologie maggiormente abbordabili anche in altri settori. Infine un ulteriore vantaggio sarebbe la sicurezza alimentare che un prodotto ottenuto in condizioni standard e strettamente controllate porterebbe con sé. L’assenza di contaminanti biologici, chimici e fisici sarebbe possibile con dei limiti molto più rigidi e ben oltre gli attuali risultati ottenibili nel mercato, vista la purezza delle condizioni di produzione necessarie all’ottenimento del prodotto.

Fontana ci riprova in Lombardia: “Più economia circolare, solare e sostenibilità alimentare”

Attilio Fontana ci riprova. Il presidente della Regione Lombardia, domenica e lunedì alle elezioni, punta al bis. L’avvocato ex sindaco di Varese ed ex presidente del Consiglio Regionale lombardo è sostenuto da 5 liste: Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Moderati-Sgarbi e la civica che porta il nome del governatore. In questi cinque anni ha superato emergenza pandemica e crisi energetica, ciò nonostante – in base a numerosi osservatori nazionali e internazionali – la Lombardia ha aumentato la sua leadership in Europa.

Presidente, i prossimi 5 anni saranno decisivi per la transizione energetica ed ecologica. Ha tre progetti se rimanesse alla guida della Regione?

“Scegliendone tre, direi che prima di tutto Regione Lombardia deve continuare a essere un’eccellenza nell’economia circolare, dove siamo già a un ottimo livello, grazie a un sistema di gestione dei rifiuti molto efficiente, con una raccolta differenziata al 73% e programmato che arrivi all’83% entro il 2030; con il 62% dei rifiuti urbani e il 85% dei rifiuti delle attività produttive che vengono avviati a recupero e la gran parte di questi effettivamente riciclati. La seconda linea di interventi è legata da un lato alla produzione di energia pulita, con il fotovoltaico, scelto come tecnologia più adatta – e per questo obiettivo dovrà raddoppiare la capacità di produzione -, dall’altro saranno le riduzioni di consumi, tramite una forte azione di efficientamento energetico. Inoltre, dobbiamo diventare competitivi anche con l’idrogeno verde. Terzo il contenimento del consumo di suolo da cui dipende anche la sostenibilità alimentare, lo sviluppo del settore agricolo e l’assorbimento di CO2″.

L’aumento delle auto elettriche implica anche una trasformazione urbana e non solo di città e centri abitati. La Regione come può aiutare i Comuni?

“La parola chiave deve essere sostenibilità, sia ambientale, sia economico-sociale. Crediamo infatti che la transizione debba essere prima di tutto un processo da governare più che da subire. Negli anni scorsi abbiamo fatto la nostra parte con incentivi per l’acquisto di questi veicoli o con bandi per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica. I fatti dimostrano quindi la nostra propensione allo sviluppo di questo settore, ma con i suoi tempi, legati anche al potenziamento delle fonti rinnovabili capaci di alimentare i nuovi fabbisogni energetici. Nel frattempo, in attesa del potenziamento di queste reti, non possiamo nemmeno vietare l’endotermico al quale la nostra economia è fortemente legata e che può, con la ricerca sui combustibili sintetici e sui biocombustibili, rappresentare un’altra via verso la sostenibilità. Quello che possiamo fare è continuare a investire sull’efficientamento energetico e sulla possibilità di produrre energia in modo sostenibile e capillare anche nei Comuni più piccoli. Lo sviluppo di questo settore, come di tutta la nostra economia, non è slegato ai costi dell’energia, anche e soprattutto elettrica”.

Bollette alle stelle e imprese in difficoltà. Per usare meno gas e abbassare i costi della luce servono più rinnovabili. La Regione, attraverso le commissioni Via-Vas, è determinante nelle autorizzazioni. Come si possono accelerare?

“In Regione Lombardia abbiamo rafforzato la Commissione VIA e tutte le strutture tecniche di supporto, ma soprattutto abbiamo introdotto il Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR), che consente con un unico provvedimento di ottenere tutte le autorizzazioni regionali, provinciali e comunali per la realizzazione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. E questo consente di accelerare i tempi medi, che per le vie statali sono fino a 18 mesi, mentre in Regione Lombardia sono al massimo di 7 mesi”.

Capitolo infrastrutture: nell’ultimo decennio sono nate grandi arterie autostradali, tuttavia l’alta velocità per, ad esempio, Venezia, va a rilento… Serviranno più trasporti su ferrovia piuttosto che su strada?

“Le infrastrutture della mobilità devono essere pensate per le necessità del futuro. Il nostro modo di muoversi sta già cambiando e lo farà sempre di più in futuro. Pensate anche solo a quali ricadute avranno tecnologie come la guida autonoma e i sistemi di condivisione dei veicoli. Per questo immaginiamo che la rete di trasporto ferroviaria sarà sempre più strategica nel collegare i territori, non solo per estendere le reti di trasporto urbano negli hinterland. Saranno quindi importanti interventi di potenziamento e ammodernamento della rete ferroviaria capaci di permetterci di raggiungere obiettivi di sostenibilità economica, sociale e ambientale”.

Il Po navigabile, i Navigli a Milano… secondo lei servono più investimenti per avviare progetti di trasporto fluviale?

“La rete di trasporti deve essere sempre più multimodale e, in Lombardia, le merci possono percorre anche le strade dell’acqua. Servono tuttavia poli logistici trimodali, in grado di smistare le produzioni lombarde su ferro acqua e gomma. Non sono nemmeno secondari accordi e intese con territori vicini per rendere navigabili alcune tratte tutto l’anno. È un sistema che riveste un’importanza strategica e non mancheremo di fare la nostra parte anche in questo settore pensando anche che la navigazione su fiumi e navigli, insieme a quella sui laghi, costituisce un elemento di attrattività turistica e fruizione sostenibile del nostro territorio”.

Pnrr. Che progetti ha in mente? Le Regioni non sono protagoniste nella cosiddetta messa a terra, ma non crede che dovrebbero diventare protagoniste nella regia dei progetti?

“Vero, le Regioni non giocano un ruolo di primo piano nella gestione dei fondi del Pnrr. C’è stato un confronto, ma nella gestione siamo comunque abbastanza esclusi. È una decisione che abbiamo cercato di contrastare anche in sede di Conferenza delle Regioni. Nella ripartizione delle competenze, è indubbio che l’ente più vicino al cittadino è quello che più è in grado di rispondere ai bisogni dei territori. Non per niente è costante il nostro confronto con i Comuni: modello che avremmo potuto replicare con successo anche con il Pnrr”.

Sostenibilità. La manifattura lombarda è la prima in Europa. E’ possibile aiutare le imprese verso minori risparmi energetici e, allo stesso tempo, mantenere una leadership mondiale o europea? Secondo lei non c’è rischio deindustrializzazione?

“Abbiamo visto negli ultimi anni come la competitività delle nostre imprese sia stata messa a rischio dai costi dell’energia. Ricordo che Regione Lombardia è stata la prima a lanciare l’allarme su questi costi e insieme a tutti gli stakeholder lombardi è stato predisposto un manifesto, con proposte concrete, inviato all’allora governo Draghi e all’Europa. È infatti un problema che richiede interventi su vasta scala. Noi possiamo tuttavia continuare a mettere a disposizione risorse per l’efficientamento energetico e continuare a favorire le nuove fonti di energia. Il nostro Paese sconta già la carenza di alcune materie prime, per non perdere posizioni dobbiamo essere capaci di spingere almeno sulla produzione di energia. Nel breve termine resta importante continuare a intervenire a livello centrale con risorse per calmierare i prezzi, così come ha fatto anche il governo Meloni”.

Un miliardo e 380 milioni alle imprese turistiche per digitale e sostenibilità

Al via il nuovo incentivo per le imprese turistiche ‘FRI-Tur’ che punta a migliorare i servizi di ospitalità e a potenziare le strutture ricettive, in un’ottica di digitalizzazione e sostenibilità ambientale. L’incentivo è gestito da Invitalia ed è promosso dal ministero per il Turismo. La domanda potrà essere presentata dalle ore 12 del 1° marzo 2023 fino alle ore 12 del 31 marzo 2023, mentre dallo scorso 30 gennaio – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – sulla piattaforma web di Invitalia è possibile scaricare la documentazione”. Per inviare la domanda è necessario essere in possesso di un’identità digitale, di una firma digitale e di un indirizzo di posta elettronica certificata.

Il 50% delle risorse è destinato agli interventi di riqualificazione energetica, mentre un altro 40% – prosegue Santomauro – delle risorse stanziate per il contributo diretto alla spesa è destinato alle imprese con sede in una delle regioni del Mezzogiorno: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia”. Va precisato che l’investimento deve essere riferito ad una o più unità dell’impresa richiedente situate sul territorio nazionale e deve prevedere spese ammissibili, al netto dell’IVA, comprese tra 500.000 euro e 10 milioni di euro. Inoltre, i progetti devono essere realizzati entro il 31 dicembre 2025 ed essere conformi alla normativa ambientale nazionale ed europea, alla Comunicazione della Commissione UE (2021/C 58/01) e agli orientamenti tecnici sull’applicazione del principio DNSH, a norma dell’art. 17 del Regolamento UE 2020/852.