Withub e Fondazione Articolo 49 accolgono appello a partecipare di Mattarella e Meloni

“La Repubblica vive della partecipazione di tutti. È questo il senso della libertà garantita dalla nostra democrazia”. Nella conclusione dell’intervento di Capodanno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella c’è il filo conduttore del suo breve ma intenso saluto agli italiani. Ed è proprio al concetto di partecipazione che anche la Presidente del Consiglio si rifà nel suo videomessaggio di auguri sui social: “Dobbiamo farlo insieme”, è l’appello di Giorgia Meloni nell’augurare al Paese un 2023 di ripartenza.
All’alba del 75° anno di vita della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, Mattarella e Meloni convergono sulla ricetta che consentì al Paese di costruire le basi della ripartenza. All’indomani della fine della Seconda guerra mondiale l’Italia scelse la via della partecipazione per costruire le fondamenta della vita comune. Il referendum del 2 giugno del ’46 avviò l’Italia sulla strada della Repubblica; nella stessa tornata elettorale, poi, si definì la composizione dell’Assemblea Costituente: votò l’89% degli aventi diritto, e tra questi – per la prima volta – c’erano anche le donne. Oggi alla guida del Paese – per la prima volta, come ricordato da Mattarella – c’è una donna: ma il tasso d’affluenza delle politiche che hanno visto il suo schieramento conquistare la maggioranza è stato il più basso della storia repubblicana, il 63%.

Tra il 1946 e il 1948, in 18 mesi, tutti i partiti riuniti in Assemblea Costituente parteciparono a costruire la Carta fondamentale, la stessa che ancora oggi Mattarella definisce “la nostra bussola”. Il Paese usciva allora da vent’anni di regime e da un conflitto mondiale che aveva nuovamente dilaniato l’Europa. Oggi la guerra bussa insistentemente alle porte del Vecchio Continente: da un anno imperversa in Ucraina e rischia di estendersi ai Balcani, con la questione ‘kosovara’ che vive una recrudescenza inattesa. Nato e Ue hanno sollecitato il dilago tra Belgrado e Pristina, dopo aver faticosamente convinto la popolazione serba a rimuovere i blocchi stradali, ma la tensione resta alta.
Non è casuale che il primo gennaio 2023 abbia visto l’ingresso della Croazia nell’Euro e nell’area Schengen; non è un caso che il 6 dicembre scorso si sia tenuto a Tirana il primo vertice Ue-Balcani Occidentali. Il summit europeo, che ha visto l’esordio come premier di Giorgia Meloni, ha avuto al centro del confronto gli stessi temi toccati da Mattarella: condanna all’aggressione russa, rinnovo convinto degli sforzi per agenda verde e digitale, attenzione ai giovani (“L’Ue sta già gradualmente associando i partner a programmi dell’UE quali Erasmus+, il corpo europeo di solidarietà e l’iniziativa delle università europee”, si legge tra l’altro nella dichiarazione di Tirana).

Ripartire dalla partecipazione come architrave della democrazia, della Repubblica e quindi della libertà non è scontato; non sarà di facile attuazione. Le sofferenze di molta parte della popolazione hanno contribuito ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni e a fiaccare di pari passo la volontà di concorrere a determinare la politica nazionale attraverso il voto. Mattarella, fiducioso, conta sui partiti tutti e su una “democrazia matura, compiuta”, anche grazie alla “esperienza, da tutti acquisita, di rappresentare e governare un grande Paese”, sottolineando come ci si trovi di fronte ad una situazione nuova, in cui “nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari”.
Nel 2024 si terranno le elezioni Europee: l’affluenza è sempre stata più bassa rispetto alle politiche (quasi il 73% alle politiche del 2018, appena il 56% alle europee dell’anno successivo); se il trend fosse confermato, ci troveremmo a dover fare i conti con un “quorum” insufficiente a incarnare il concetto di democrazia rappresentativa. Questa volta, dunque, la partecipazione al voto, più ancora della preferenza a uno dei partiti, potrebbe essere essenziale per la salute della democrazia europea e italiana. In ossequio alla legge di Murphy, la fine del 2022 ha consegnato alle cronache quello che potrebbe sembrare l’embrione di una nuova Tangentopoli di dimensioni comunitarie. Il Qatar dei petroldollari e dei diritti umani fondamentali negati ha provato a comprarsi la benevolenza di un’Europa che dovrà scegliere tra mere dichiarazioni d’intenti e politiche concrete. Si tratta di “riconoscere la complessità, esercitare la responsabilità delle scelte, confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali”, per dirla con le parole del Capo dello Stato. Si tratta di scegliere se limitarsi a condannare formalmente gli Stati che negano i diritti o se puntare concretamente a renderli operanti: “Ci guida ancora la Costituzione – ha ricordato Mattarella – , laddove prescrive che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ledono i diritti delle persone, la loro piena realizzazione. Senza distinzioni”. Si tratta di scegliere anche e soprattutto nel campo della transizione ecologica: “Mettere al sicuro il pianeta, e quindi il nostro futuro, il futuro dell’umanità, significa affrontare anzitutto con concretezza la questione della transizione energetica”, ha ribadito il Presidente Mattarella. Significa, quindi, decidere se questa rivoluzione verde debba essere reale e in quanto tale sostenibile anche socialmente ed economicamente; se debba essere imposta e subita o partecipata.

Per favorire la consapevolezza e partecipazione attraverso l’informazione è nata il 4 aprile 2022 GEA, Green Economy Agency: tenendo fede all’invito che il Presidente della Repubblica ci ha rivolto nell’incontro al Quirinale del luglio scorso, lavoreremo alla diffusione di un’informazione puntuale, esaustiva, plurale. Per conseguire i medesimi obiettivi con diversi strumenti, Withub ha dato vita alla Fondazione Articolo 49, veicolo di attuazione della responsabilità sociale di un gruppo che della partecipazione tra aziende, istituzioni, media e cittadini ha fatto il suo oggetto sociale. Da fine gennaio oltre 2.000 studenti saranno coinvolti dalla Fondazione Articolo 49 nel progetto educativo sulla transizione ecologica che ha recentemente ottenuto l’alto patrocinio del MASE, ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. “Lo dobbiamo ai nostri giovani e al loro futuro”; nella scuola “prepariamo i protagonisti del mondo di domani. Lì che formiamo le ragazze e i ragazzi che dovranno misurarsi con la complessità di quei fenomeni globali che richiederanno competenze adeguate, che oggi non sempre riusciamo a garantire”.

Grazie Presidente, ci riconosciamo profondamente nelle sue parole: “La Repubblica siamo tutti noi. Insieme. La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune. La Repubblica è nella fatica di chi lavora e nell’ansia di chi cerca il lavoro. Nell’impegno di chi studia. Nello spirito di solidarietà di chi si cura del prossimo. Nell’iniziativa di chi fa impresa e crea occupazione”. Withub e la Fondazione Articolo 49 intendono partecipare e divenire catalizzatore di una sempre più ampia partecipazione, con l’ottimismo e l’orgoglio a cui ci ha richiamato anche la Presidente del Consiglio.

Dall’Eeb l’agenda verde per la prossima presidenza svedese del Consiglio europeo

Sei mesi per cercare di imprimere un deciso cambio di passo nella politica verde e sostenibile e fare del Green Deal europeo le fondamenta della nuova Unione europea. Sei mesi complicati perché carichi di sfide non facili, ma che hanno nella Svezia un Paese che, per tradizione e attenzione ai temi ambientali, può fare la differenza. Il mondo ecologista ripone grandi aspettative nella presidenza di turno che si apre il primo gennaio. Le 180 sigle riunite European Environmental Bureau (Eeb) invitano quindi a focalizzare l’attenzione sull’agenda verde dell’Ue, con un documento rivolto proprio al governo di Stoccolma, che per sei mesi avrà il compito di dirigere i lavori in sede di Consiglio dell’Ue. Certo le preoccupazioni non mancano, come dimostra Patrick ten Brink, segretario generale dell’ Eeb, che nell’introduzione alla relazione non può fare a meno di interrogarsi: “La domanda è: la Presidenza svedese faciliterà i passi avanti e l’ascesa alla sfida storica che l’Europa e il mondo devono affrontare?”.

L’auspicio è quello di “avanzare con ambizione nei fascicoli sotto la presidenza svedese del Consiglio dell’Ue”. Per cercare di trovare quelle risposte che il mondo dell’associazionismo vorrebbe, si stila innanzitutto il ‘decalogo’ delle cose da fare, una lista dei dieci ambiti di intervento. Avanti con il Green Deal, garantire la sicurezza energetica, e poi ancora proteggere la biodiversità e promuovere un’agricoltura più sostenibili. L’ombrello delle associazioni ecologiste chiede quindi alla Svezia, come quinta cosa, di “affrontare le pressioni sulle acque superficiali e sotterranee e garantire acqua pulita per tutti”. Azione numero sei: politiche per una migliore qualità dell’aria. Quindi politiche di contrasto alla diffusione delle sostanze chimiche, “passare a un’industria a inquinamento zero”,cogliere tutto il potenziale dell’economia circolare” e rafforzare e promuovere la giustizia ambientale.
Alla presidenza ormai prossima si offrono anche suggerimenti su come declinare questa agenda. Sul fronte dei trasporti si esorta a occuparsi degli spostamenti marittimi. Per dare impulso al Green Deal europeo occorre “decarbonizzarlo, rimuovendo l’esenzione fiscale per i combustibili marini” attraverso la direttiva sulla tassazione dell’energia (ETD). Ed è sempre in quest’ottica che si invita a “concordare uno standard per i combustibili a intensità di carbonio (EUFuelMaritime) e ridimensionare l’infrastruttura dei combustibili rinnovabili nei porti attraverso il regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi”.

Capitolo rinnovabili, essenziale per l’indipendenza energetica e la transizione verde. Qui si insiste sulla necessità di “accelerare in modo significativo l’adozione” dei permessi “semplificando i processi amministrativi senza compromettere le salvaguardie ambientali e fornendo una forte certezza giuridica sia per gli sviluppatori di progetti che per le autorità di autorizzazione”. Si chiede inoltre di garantire “la pianificazione territoriale per accelerare la realizzazione di infrastrutture per le energie rinnovabili”. Più in generale, però, si invita la presidenza svedese di turno del Consiglio dell’Ue a “sostenere e promuovere obiettivi più elevati per andare oltre la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, poiché una maggiore ambizione creerà nuovi posti di lavoro e ridurrà le bollette energetiche”. In tal senso si chiede dimantenere un obiettivo del 45% per la quota di energia rinnovabile nel consumo finale di energia entro il 2030” nella revisione della direttiva sulle energie rinnovabili, e procedere a “l’adozione di un obiettivo di efficienza energetica del 40% nel consumo finale di energia” nella revisione della direttiva sull’efficienza energetica. Ancora, si chiede di “negoziare solidi criteri di sostenibilità per l’approvvigionamento e l’uso della biomassa”, compreso un meccanismo di limitazione e riduzione graduale per ridurre significativamente l’uso di biomassa legnosa primaria nell’Ue”. Il documento non manca di toccare il tasto del conflitto russo-ucraino, e gli impegni assunti dall’Ue e dai suoi Stati membri per la ricostruzione. Quest’ultima andrebbe realizzata essendo guidati “dagli obiettivi del Green Deal europeo in particolare neutralità in termini di emissioni di carbonio, inquinamento zero, e una transizione giusta”. Non certo un impegno di poco conto. Ecco perché, scandisce il segretario generale dell’Eeb, “i prossimi sei mesi saranno essenziali per dimostrare e migliorare l’impegno dell’U e nell’affrontare la tripla crisi climatica, della biodiversità e dell’inquinamento e contribuire a rendere il Green Deal l’agenda di trasformazione di cui l’Europa ha bisogno”. L’European Environmental Bureau offre il proprio contributo all’azione politica. La parola ora al governo svedese.

Sostenibilità, Gallo (Italgas): Se fatta bene porta anche benefici economici

“Noi trattiamo un chilo di Co2 come trattiamo un euro. Nei nostri report mensili che discutiamo nel Comitato esecutivo c’è anche un report mensile che si chiama Sustainability business Review che approccia il tema delle emissioni di Co2, di consumi di energia elettrica e di gas e il trattamento dei rifiuti esattamente nello stesso modo in cui trattiamo un conto economico o una valutazione di costi o la produzione finanziaria”. Così Paolo Gallo, ad di Italgas, in una intervista a GEA. “Questo approccio molto pesante anche per quanto riguarda l’organizzazione stessa ci ha permesso di cogliere quanto l’efficienza energetica e la sostenibilità in generale, se fatta bene, in profondità dalle aziende, dà benefici economici ed ambientali”.

La Cia-Agricoltori: “Innovazione e nuove tecnologie per le montagne del futuro”

Sviluppo economico delle zone rurali, sostenibilità ambientale e ricadute sociali positive per le comunità: sono questi alcuni dei benefici legati all’agricoltura di montagna, un’attività essenziale per un Paese in cui circa la metà dei comuni ha solo territori montani. Dopo anni di scarso interesse e bassi tassi di imprenditorialità, oggi questo settore sta combattendo per trovare una nuova centralità: per riuscirci sono necessari investimenti, nuove tecnologie e interventi incisivi da parte delle politica. Ne abbiamo parlato con Cristiano Fini (nella foto), presidente nazionale di Cia-Agricoltori italiani.

Perché l’agricoltura di montagna è importante per la tutela dell’ambiente?
“Le montagne hanno un ruolo strategico nella transizione verde perché sono una fonte essenziale di servizi ecosistemici unici. Insieme al patrimonio ambientale e paesaggistico dei tanti Parchi italiani, tutelano e valorizzano la biodiversità. Possiedono inoltre risorse eccezionali, dalle acque correnti al potenziale idroelettrico, dai pascoli alle biomasse boschive. A livello europeo, le zone di montagna rappresentano quasi il 30% di tutto il territorio, anche se ospitano solo il 16,9% della popolazione. Parliamo quindi di aree a rischio abbandono, che oggi sopravvivono soprattutto grazie all’agricoltura. Sono le aziende del settore, spesso a conduzione familiare, a farsi custodi del territorio attraverso l’agricoltura: “eroica” se guardiamo ai vigneti con pendenze di terreno superiore al 30% e sopra i 500 metri slm, ma anche “multifunzionale”, con aziende in crescita che fanno girare l’economia e forniscono servizi essenziali per il benessere delle comunità. Questo avviene attraverso le botteghe, i mercati contadini, le fattorie didattiche e soprattutto gli agriturismi: oggi sono più di 24mila e, nelle aree interne, sono cresciuti del 39% in dieci anni”.

Qual è il ruolo economico di questa attività?
“In Italia il 48,9% della superficie è coperta da comuni con solo territori montani. Le imprese presenti sono 86,7 ogni 1.000 abitanti (nelle altre zone sono 84,7) e contribuisco al 16,3% del Pil (circa 250 miliardi annui) generato dalle Terre Alte. Tra queste, le aziende agricole montane sono il 17% del totale nazionale (quelle delle aree rurali più a valle sono il 31). Molte trovano stimolo nei distretti, in crescita costante per la maggiore necessità – tra le comunità locali e gli imprenditori – di valorizzare le relazioni di prossimità, le produzioni tipiche e di nicchia, il legame con il territorio e le sue tradizioni. Infatti, sebbene piccole, le aziende agricole di montagna, sono riconosciute di alta qualità produttiva, una caratteristica che incuriosisce sempre più spesso anche i giovani. Non a caso, il tasso di imprenditorialità è più elevato nei comuni totalmente montani che in quelli non montani. C’è molta strada da fare in questo senso, perché i servizi a supporto – viabilità e rete internet in primis – sono ancora inadeguati e rallentano il ricambio generazionale”.

Quali sono i valori aggiunti?
“Bisogna considerare almeno tre elementi. Innanzitutto, questa attività contribuisce in modo consistente alla tutela del territorio, curando le vie di accesso, salvaguardando paesaggio e biodiversità. L’agricoltura di montagna promuove, inoltre, una produzione agroalimentare che è l’anima del made in Italy. Pensiamo alle produzioni tipiche certificate Dop, Igp o Stg: valgono complessivamente 16,6 miliardi di euro, il 19% del fatturato totale dell’agribusiness del nostro Paese. Infine, queste produzioni sono una componente strategica della multifunzionalità agricola e per la più ampia ricettività locale e, quindi, un motore per l’economia delle Terre Alte, tra agriturismi, botteghe, alberghi e ristoranti”.

Quali sfide devono affrontare gli imprenditori agricoli?
“Innovazione e nuove tecnologie sono i due pilastri necessari per costruire le “smart mountains” del futuro. Sono asset chiave e obiettivi, definiti e condivisi lo scorso ottobre a Camigliatello Silano, nel Parco della Sila, tappa italiana scelta da Euromontana per la dodicesima Convention europea della Montagna. In quell’occasione, davanti a istituzioni nazionali e comunitarie, abbiamo rilanciato il nostro appello alla politica perché investa sulle “smart mountains” e orienti fondi e progettualità su settori chiave come agricoltura e turismo: sono la vera forza delle montagne e delle aree interne, ma hanno bisogno di risorse e strategie per essere autosufficienti, resistenti ai cambiamenti climatici, attrattive per le nuove generazioni”.

Quali azioni chiedete alle istituzioni per tutelare l’agricoltura di montagna?
“È urgente lavorare per infrastrutture più adeguate, sono fondamentali allo sviluppo sostenibile e tecnologico del 30% del territorio comunitario. Serve un piano strutturato di prevenzione e messa in sicurezza del territorio per affrontare seriamente il rischio dissesto idrogeologico che coinvolge gran parte d’Italia e per lo più le zone rurali. Poi, bisogna lavorare per una nuova mobilità, anche alternativa e pulita. Tra le priorità vorrei sottolineare il miglioramento della connettività a beneficio delle imprese e delle famiglie, la digitalizzazione dei punti rurali multiservice per servizi di qualità, nuove tecnologie per il monitoraggio ambientale e la gestione sostenibile delle risorse naturali, investimenti in agricoltura e allevamenti 4.0 con robotizzazione in campo e nelle stalle (sistemi satellitari, sensoristica, ecc.)”.

Da dove potrebbero arrivare i finanziamenti?
“Le risorse ci sono: possono essere trovate, per esempio, nella politica di coesione dell’Unione europea e nei relativi fondi, che affrontano le disparità economiche, sociali e territoriali a livello regionale. Si tratta di circa 392 miliardi in totale, per il periodo 2021-2027, fondamentali a spingere ricerca e innovazione per aree montane sempre più vivaci, sostenibili e attraenti”.

Mastandrea (Incyte): “Sostenibilità culturale per far sì che Italia diventi hub europeo”

Sostenibilità ambientale sì, ma non solo. Nella mission di Incyte c’è molto di più. C’è l’ambizione di sviluppare una sostenibilità integrale, umana e di conoscenza. Lo spiega a GEA Onofrio Mastandrea, associate vice president e general manager Italia della società di biofarmaceutica.

La sua è un’azienda focalizzata sulla scoperta, sullo sviluppo e sulla commercializzazione di terapie innovative, in particolare in aree in cui ci sono ancora alti bisogni terapeutici insoddisfatti. Fondata nel 2002 a Wilmington nel Delaware (Usa) da un team di ricercatori, chimici e biologi, conta oggi più di 2000 dipendenti dislocati nelle principali sedi negli Stati Uniti, Canada, Europa e Giappone. “Abbiamo una visione sistemica“, scandisce a margine dell’evento ‘Pandemie, strategia farmaceutica e transizione ecologica‘ organizzato a Roma da GEA ed Eunews. L’obiettivo ecologico è ambizioso: raggiungere la carbon neutrality al 2025. “Al di là di questo, però, è la sostenibilità culturale che rappresenta sicuramente uno degli aspetti più innovativi della nostra azione“.

A monte, c’è la ricerca. “Una scienza rigorosa è alla base di tutto ciò che facciamo per scoprire, sviluppare e commercializzare nuovi farmaci in grado di migliorare la vita dei pazienti“, spiega la casa farmaceutica.

Incyte è stata riconosciuta tra le 10 aziende che investono di più in Italia in ambito clinico, ecco perché il general manager insiste sul concetto di ‘sostenibilità culturale’: “Ricerca è trasferimento di conoscenze e di tecnologie – afferma Mastandrea -. Tutto il capitale investito favorisce una crescita dei centri di eccellenza, la possibilità di inserire l’accademia all’interno di network internazionali, di eccellere anche da un punto di vista esistenziale“. I fatti dimostrano che il metodo c’è e funziona: “Tutti i centri inclusi nei nostri trial di ricerca in Italia acquisiscono una maggiore consapevolezza della evidence based medicine e tutto questo diventa beneficio nel trattamento del paziente, patrimonio per il nostro Sistema Sanitario Nazionale, per cui la ricerca rappresenta il trait d’union tra la sostenibilità culturale e tecnologica“.

L’investimento è in prospettiva, l’orizzonte è lungo: “Speriamo che l’Italia possa acquisire un ruolo di leadership internazionale competendo in ambito europeo per diventare un hub della ricerca, traducendo in maniera attiva e ambiziosa la strategia farmaceutica europea in azioni concrete“.

Energia, Zanardi (Assofond): Piano Germania crea squilibri devastanti

Le fonderie sono fra le aziende energivore per eccellenza, e dunque fra quelle più in difficoltà per la crisi energetica in corso. Ma sono anche fra i motori della sostenibilità, dell’economia circolare e della transizione ecologica. Parola di Fabio Zanardi, presidente di Assofond, associazione di Confindustria, che in un’intervista a GEA, a margine del 36esimo Congresso Nazionale Fonderia in corso a Torino, racconta la situazione attuale del comparto e le prospettive future.

Presidente, quale è il focus di questo Congresso?

“In questo momento è fondamentale farci forza e fare sistema sulle condizioni avverse che stiamo affrontando. I lavori sono legati alle poche e non piacevoli sicurezze che abbiamo che si chiamano soprattutto inflazione e incertezza. Cercheremo di inquadrare questi temi in modo da riuscire a fare impresa in modo più virtuoso, partendo dagli scenari dei tre pilastri della sostenibilità: People, Planet e Profit”.

Le aziende del vostro settore sono fra le più colpite dai rincari dell’energia. Cosa succederà nei prossimi mesi?

“Il problema lo stiamo vivendo da un anno ormai, oggi il problema delle alte bollette si sta riversando su settori non energivori mentre noi energivori abbiamo già lanciato l’allarme tempo fa. Ormai siamo quasi assuefatti a questa situazione. Per una fonderia media l’energia incideva il 10% del fatturato. Il prezzo ora è quintuplicato, quindi si fa presto a fare i conti. Inevitabilmente per riuscire a sopravvivere abbiamo dovuto aumentare i prezzi. L’inverno che sta arrivando ha il problema non solo dei prezzi e dell’alta volatilità, ma anche quello della disponibilità del gas e quindi si affaccia l’ulteriore incognita di potenziali fermate imposte per mancanza di disponibilità. Oltre alle grandissime incognite sulla tenuta del mercato che ci chiediamo fino a che livello possa reggere”.

Per voi si apre anche il tema della competitività, soprattutto se in altri Stati le imprese riceveranno maggiori aiuti dai Governi…

“Se nel breve termine siamo riusciti a sopravvivere e miracolosamente il mercato è riuscito a reggere nonostante gli aumenti dei costi, è chiaro che nel medio e lungo termine abbiamo una perdita di competitività rispetto al resto del mondo che ci metterà inevitabilmente fuori mercato. La cosa vale per l’Europa verso gli altri continenti, ma in questi giorni vediamo il grossissimo pericolo che si verifichi Europa su Europa. Il piano da 200 miliardi della Germania, anziché una soluzione condivisa europea, rischia di creare degli squilibri anche all’interno del continente che avrebbero effetti devastanti per la tenuta dell’industria e dell’Europa”.

Cosa chiedete all’Europa e al Governo italiano che sta per insediarsi?

“Le industrie hanno già chiesto moltissimo, ci sono già state proposte attraverso il gruppo tecnico energia di Confindustria: maggior impiego di gas nazionale, dare alle aziende una quota di energia rinnovabile a prezzo di produzione e non di mercato… Queste misure ancora non hanno visto attuazione e adesso sembra che l’electricity release vedrà la luce a gennaio. Credo che le aziende abbiano già detto in modo molto efficace quali sono i problemi e spiegato quanto sono strategiche. E devo dire che dalla politica c’è un ascolto e un recepimento del problema. Purtroppo non stiamo verificando nei fatti, soprattutto a livello europeo, una adeguata azione volta a risolvere un problema che potrebbe scoppiarci in mano”.

Un eventuale stop delle fonderie sarebbe un danno anche per la transizione ecologica?

“Le fonderie sono fondamentali per realizzare la transizione ecologica. Un generatore eolico è composto all’80% da fusioni. Le fusioni di ghisa, acciaio, alluminio sono dei manufatti resistenti che mettono il materiale solo dove serve. Costituiscono la massima efficienza dal punto di vista della manifattura e la massima potenzialità di alleggerimento, per esempio nel mercato dei veicoli. Per la fonderia c’è sicuramente un futuro in un mondo che vuole decarbonizzarsi”.

Che ruolo avete, invece, nell’economia circolare?

“La fonderia è con orgoglio, in particolare quella italiana, campionessa di riciclo. Il 95% di ciò che utilizziamo viene o convertito in altri utilizzi come sottoprodotto o utilizzato nella stessa fonderia come materiale di produzione. Un getto di ghisa, alluminio o acciaio può essere riciclato semplicemente prendendo il componente dismesso e ributtandolo in forno per essere fuso e riutilizzato per un numero infinito di volte”.

La situazione attuale, quindi, rischia di frenare anche la corsa verso la sostenibilità?

“Credo che in questi momenti di forte incertezza non dobbiamo comunque perdere di vista l’obiettivo a lungo termine che, pur con tutte le difficoltà, deve essere un mondo con meno emissioni ed ecologicamente più sostenibile. In questa direzione noi dobbiamo andare e continuare a pensare per la nostra evoluzione. Sicuramente la situazione che stiamo affrontando non aiuta e si rischia di perdere la via maestra. L’importante è distinguere tra strategia di lungo termine e tattica”.

Ma è ancora possibile, in questo momento, investire in sostenibilità per le vostre aziende?

“Sicuramente oggi per investire in sostenibilità e risparmio energetico siamo fortemente penalizzati non solo dai prezzi alti, ma anche da questa estrema volatilità. Se volessi investire in una infrastruttura che mi permette di risparmiare costi energetici, se calcolassi con il prezzo che l’energia aveva ad agosto avrei un ritorno dell’investimento in meno di un anno, se invece calcolassi con il costo di questi giorni potrei avere un ritorno in tre anni. In queste condizioni, purtroppo, con gli investimenti ingessati, questo non fa bene a nessuno”.

Per Cingolani l’unica alternativa è nucleare: Salvini esulta, Verdi e M5S attaccano

Il nucleare occupa da almeno 30 anni il dibattito pubblico, ma la politica è ancora lontana da una soluzione. Anche perché il tema tocca quasi tutti i gangli nevralgici del nostro Paese: dall’economia all’ambiente, dal sociale all’industria. Anche in questa campagna elettorale è tornato più volte negli interventi dei vari leader o candidati, ma nessuno ha messo nero su bianco un impegno, sia a riprendere il discorso, sia per chiuderlo definitivamente. A riaccendere i riflettori stavolta è un tecnico, Roberto Cingolani, ad oggi ministro della Transizione ecologica del governo Draghi, dunque in carica, anche se per gli affari correnti. Il responsabile del Mite, però, è anche un tecnico. Anzi, per la precisione un fisico esperto di robotica, dunque non estraneo alla materia. “L’indipendenza energetica oggi è anche sociale e finanziaria. Con le rinnovabili non riusciremo a mandare avanti per sempre la manifattura del Paese“, dice ai microfoni di Radio24, introducendo il discorso.

Per Cingolani nel 2040-2050 bisognerà “dare sorgenti continue“, rispettando l’impegno di “uscire da carbone e gas perché producono Co2“. Dunque, “l’unica alternativa è il nucleare” per il ministro. Che poi sottolinea: “Io parlo di quello di nuova generazione, ma se non facciamo questa scelta non riusciremo mai a sbloccarci“, ammonisce. Il discorso tocca corde molto tese, ma nelle parole di Cingolani c’è un orizzonte ben più largo del presente: “Il futuro dei nostri figli lo stiamo bloccando con l’ideologia di oggi“. Non un inedito, il suo pensiero è sempre stato questo, senza mai nasconderlo dietro il politically correct.

Il primo a esultare è Matteo Salvini, che spesso rilancia il nucleare nei suoi appuntamenti di campagna elettorale. “Bene Cingolani – commenta il leader del Carroccio -. Il nucleare moderno è la forma di produzione energetica più pulita e sicura. Chi in Italia dice no al nucleare, dice no ad un futuro di libertà energetica, con emissioni zero e bollette meno care. Per la Lega nessun dubbio: ritorno al nucleare subito“. Rincarando la dose ai microfoni di ‘Un giorno da pecora’, su Rai Radio1: “Il referendum è di qualche annetto fa, sono in corso le ricostruzioni di 55 reattori: dagli stati Uniti al Giappone, dalla Francia alla Romania, non possiamo rimanere gli unici che dicono no. Non è più il Nucleare come quello di Chernobyl“.

Non la pensa così, invece, il M5S. “Non trovo nulla di stucchevole nel fatto che paesaggio e ambiente siano tutelati dalla nostra Costituzione – sostiene il senatore pentastellato, Gianluca Perilli -. Trovo incomprensibile, e totalmente anacronistico, il fatto di mettere i cittadini dinanzi alla scelta tra bisogni energetici e tutela dell’ambiente. Come se le politiche energetiche del futuro non potessero convivere con i nostri paesaggi. L’emergenza non può e non deve rappresentare un motivo valido per violare un principio costituzionale“.

Non tarda nemmeno la risposta di Europa verde: “A Cingolani, la cui visione di futuro è ancora offuscata dal nucleare, vogliamo far notare cosa sta succedendo in Francia dove il Presidente Macron si è visto costretto a ricapitalizzare la Edf in modo da sopperire ai forti debiti e dove i lavori di costruzione della centrale di Flamanville, in Normandia, iniziati nel 2007“, dice Angelo Bonelli. Puntando il dito verso il responsabile del Mite: “Questa campagna di delegittimazione delle rinnovabili condotta dal ministro della Transizione ecologica è inaccettabile. Insegue il passato“. L’impressione, però, è che dell’argomento si sentirà ancora parlare.

transizione verde

Promesse, illusioni e quel compromesso (obbligato) sull’energia

Non di sole promesse vive l’uomo e nemmeno di troppe illusioni. Nell’ingorgo parolaio di queste settimane che conducono alle elezioni del 25 settembre tante promesse vengono fatte e tante illusioni vengono costruite intorno a ciò che può essere tracciato come transizione ecologica e sostenibilità. Ma cosa potrà essere fatto nei prossimi cinque anni di legislatura si scontra con ciò che deve essere fatto subito per far fronte alla crisi energetica, magari sacrificando o posticipando il processo di decarbonizzazione fissato dall’Unione europea.

Diventa sempre più frequente ascoltare leader politici che antepongono la salvaguardia delle imprese e delle famiglie alla salvaguardia del pianeta in nome e per conto di un compromesso dettato dal buonsenso. Bene ma non benissimo, però…. Però se la Germania torna a spingere sulle centrali a carbone per tappare la falla del Nord Stream 1; però se l’Europa finge di non sentire preoccupata della congiuntura economica; però se si trivella a destra e a manca sempre per surrogare il gas mancato in arrivo dalla Russia; però se tutto questo sta accadendo allora quel compromesso sembra obbligato. Ma deve restare circoscritto a un arco temporale ridotto.

La tutela del pianeta riempie la bocca e gonfia i cuori, la tutela delle famiglie e delle aziende è dirimente in una fase congiunturale italiana e mondiale da mettere i brividi. L’appello da rivolgere ai leader di tutti i Paesi è quello di tutelare l’economia senza violentare l’ambiente, di mettere in sicurezza le finanze senza venire meno agli accordi di Parigi, al Fit for 55. Non facile da fare ma indispensabile da realizzare.

transizione verde

Fondo sociale clima, la proposta Ue contro i costi della transizione

Per ammortizzare i costi sociali della transizione verde e in particolare dell’introduzione del secondo sistema Ets per edifici e trasporti, la Commissione Europea ha proposto nel pacchetto ‘Fit for 55’ di introdurre un ‘Fondo sociale per il clima‘ (‘Climate action social facility’), per sostenere le famiglie e cittadini più vulnerabili a investire nell’efficienza energetica, in mobilità più green e nuovi sistemi di raffreddamento e riscaldamento delle case.

Si tratta di un fondo di compensazione sociale, dal valore di 72,2 miliardi di euro tra 2025 e 2032 che la Commissione europea pensa di co-finanziare attraverso il 25% delle entrate previste dal nuovo sistema Ets (il sistema europeo di scambio di quote di emissioni di CO₂) dedicato alle emissioni dell’edilizia e dei carburanti per il trasporto su strada. Il resto (75%) è assegnato attraverso i bilanci degli Stati membri. Secondo le stime provvisorie della Commissione, l’Italia sarebbe il terzo Paese per quantità di finanziamenti con quasi 8 miliardi di euro tra 2025 e 2032. Prima di Roma, la Polonia (12 miliardi di euro) e la Francia (8 miliardi di euro), segue la Spagna con quasi 8 miliardi.
Il Parlamento europeo riunito a Strasburgo dal 6 al 9 giugno è chiamato a finalizzare la sua posizione su otto dossier del pacchetto ‘Fit for 55’, proposto a luglio 2021 dalla Commissione Ue con l’obiettivo di portare il Continente a tagliare le emissioni di gas serra del 55% (rispetto ai livelli registrati nel 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per l’azzeramento delle emissioni entro il 2050 (la neutralità climatica). Tra le otto proposte all’ordine del giorno della plenaria, l ’Aula di Strasburgo voterà sulla relazione, elaborata congiuntamente dalle commissioni Ambiente (Envi) e Occupazione e affari sociali (Empl) del Parlamento, a prima firma dell’eurodeputata del Partito popolare europeo, Esther de Lange, che mira a stabilire definizioni comuni in tutta l’Ue su cosa sia la povertà energetica e la povertà da mobilità, perché il Fondo vada a beneficio delle famiglie, delle microimprese e degli utenti dei trasporti più vulnerabili e particolarmente colpiti dall’impatto della transizione.

Dal momento che il Parlamento nota che ci sono ancora molte differenze tra Stati membri nella definizione, chiede alla Commissione europea di valutare entro il primo luglio 2026 come queste vengono interpretate nei diversi Stati membri e, se necessario, presentare una proposta per un approccio unitario. Per accedere alle risorse del Fondo, gli Stati membri dovranno presentare dei “piani sociali per il clima”, ovvero dei piani formulati con le autorità locali e regionali, le parti economiche e sociali e la società civile in cui i governi dovranno indicare quali misure intendono introdurre per affrontare la povertà energetica e della mobilità. Secondo i deputati, tra queste misure i governi dovrebbero includere misure temporanee di sostegno diretto al reddito (come una riduzione delle tasse e delle tasse sull’energia), purché siano limitate a un massimo del 40% del costo totale stimato di ciascun piano nazionale per il periodo 2024-2027 e gradualmente eliminate entro la fine del 2032.

agricoltura 4.0

Di Maio: “L’insicurezza alimentare crea instabilità”

Non c’è solo il problema del gas e dell’indipendenza dalla Russia. La guerra in Ucraina, considerata il granaio d’Europa, sta ponendo in maniera forte il tema dell‘insicurezza alimentare che coinvolge Paesi di primo piano a livello mondiale. Per uscire da questa situazione delicata, una delle vie può, anzi deve, essere l’investimento nelle tecnologie, anche se questo argomento è quasi ignorato dagli agricoltori italiani. “Solo il 6% dell’agricoltura italiana è interessata a processi d’avanguardia. L’obiettivo, per questo settore, deve essere quello di far aumentare sempre più questo numero”,  ha evidenziato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio partecipando all’evento Techagriculture meeting Italia-Israele.

Ad ascoltare Di Maio, oltre all’innovazione digitale occorre tenere presente anche il percorso verso la transizione ecologica e considerare l’influenza che le coltivazioni hanno sull’ambiente. Nonostante a livello globale l’agricoltura italiana sia una delle meno impattanti, la tecnologia potrebbe aiutare il settore a ridurre le emissioni di gas serra che mettono in pericolo il Pianeta. “Investire nella tecnologia per l’agricoltura significa utilizzare al massimo il suo potenziale e renderla sempre più sostenibile“, le parole del ministro che tendono verso una direzione ben precisa.

Nonostante ci sia ancora tanto lavoro da fare, i dati sull’espansione del comparto agrario sono incoraggianti. “Nel 2020, con un giro d’affari di 540 milioni di euro, la filiera ha registrato una crescita del 20% rispetto al 2019”, ha osservato Di Maio. Ma il percorso è appena cominciato. Per fare un esempio, “le superfici ad oggi coltivate in Italia con strumenti di agricoltura 4.0 sono nell’ordine del 3-4% del totale“, ha evidenziato Di Maio sottintendendo che si tratta di una percentuale che va alzata in maniera brusca nel più breve tempo possibile.