Zanardi (Assofond): “Situazione mai vista, crollo ordini e rincari energia”

Bollette in salita, imprese in difficoltà. Soprattutto le cosiddette energivore, come le fonderie. Fabio Zanardi, presidente di Assofond, è preoccupato: “L’impatto dei rincari energetici è immediato, come quelle che stiamo vivendo adesso. Vanno in presa diretta con la marginalità del mese corrente. I costi li vedi nel mese in corso con i termini di pagamento”, spiega a GEA.

Come reagisce l’impresa?

“Ogni fonderia sta variando le scelte commerciali o alzando i prezzi o perdendo marginalità, con un impatto sulla competitività e sulla solidità delle imprese. Aggiungo che il tutto si inserisce in un contesto di mercato ai minimi storici dal 2009. Una situazione paradossale, mai vista prima: ordini bassi, lunghe chiusure, cassa integrazione e costi in continuo aumento”.

Perché dice “situazione mai vista prima”?

“Di solito quando cala il mercato, calano i costi, ma ora non è così. Anche le materie prime restano alte per le sanzioni alla Russia, così come il costo del lavoro è più alto in seguito all’impatto inflattivo e al rinnovo dei contratti. Bisogna dunque lavorare sul prezzo, a causa della grande capacità disponibile, per restare sul mercato”.

Quando è iniziato il calo del giro d’affari?

“Abbiamo iniziato a calare, come settore, a metà 2023 con una riduzione degli ordini e il processo non si è mai fermato nel 2024. Ora il 2025 presenta una piattezza come il 2024. Così la maggior parte delle fonderie ha dovuto fare ricorso alla cassa integrazione”.

Come si può reagire e ripartire?

“Abbiamo dei punti di forza: sul fronte ambientale, ad esempio, le fonderie italiane sono le migliori del mondo. Se il Green deal è una cosa seria, l’Europa non può non affidarsi alle fonderie italiane. Continuiamo a investire nella transizione 5.0, che è stata sbloccata e migliorata. Poi c’è l’Energy Release che dovrebbe partire e potrebbe calmierare i costi energetici, anche se il provvedimento chiede impegni stringenti sulle rinnovabili… capiremo. Ma la vera speranza è la fine del conflitto ucraino con una ripresa degli investimenti su costruzioni, movimento terra ed edilizia che trascina tutta la meccanica. Abbiamo tutti i settori, diversi dal trasporto, che oggi sono in una fase di stallo senza speranza e con la fine della guerra potrebbero risollevarsi”.

Se non calano i prezzi energetici, che succede?

“Dal punto di vista industriale è auspicabile avere prezzi energetici paragonabili al resto del mondo. Se saremo costretti al Gnl d’oltreoceano costantemente, avremo sempre un gap competitivo e saremmo costretti a ridimensionarci nel lungo termine come industria pesante”.

Le rinnovabili possono risolvere il problema costi?

“Le rinnovabili non sono sufficienti, ci vorrebbe una fortissima spinta sull’eolico. Stiamo andando veloci sul solare che però non dà il fabbisogno che serve, anche perché la spinta alla mobilità elettrica richiede un maggiore fabbisogno elettrico. Ma anche l’eolico non sarebbe sufficiente. Per cui bisogna decidere se sdoganare il gas come vettore energetico della transizione, per poterlo utilizzare senza troppe restrizioni legate alla tassonomia europea, oppure torniamo a parlare di nucleare ma in maniera concreta”.

E il Green Deal?

“Ecco, come dicevo, non va mollato. Per noi fonderie è un importante vantaggio competitivi. Senza Green deal abbiamo fatto investimenti nella tutela dell’ambiente che non hanno paragoni nel resto del mondo. Usiamo dunque il Green deal con coscienza e non smontiamolo, perché allora saremmo sopraffatti dal resto del mondo, che avrebbe un vantaggio economico e monetario”.

Zanardi (Assofond): “Europa nata su carbone a acciaio ma si sta sganciando da industria”

Assofond, l’associazione imprenditoriale di categoria che rappresenta le imprese di fonderia italiane guidata da Fabio Zanardi, è stata fondata nel 1948, qualche anno prima che nascesse la Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio dalla quale poi è nata la Ue.

Presidente, com’è cambiata l’Europa?

“L’Europa che oggi conosciamo è la figlia diretta della Comunità economica del carbone e dell’acciaio, con la quale nel 1951 Francia, Italia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo intuirono che queste due materie prime sarebbero state fondamentali per la ripresa economica del continente dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale. Oggi, nel nome della transizione ecologica, l’Europa sta però sostanzialmente decidendo di sganciarsi dalla vocazione industriale che l’ha caratterizzata per tutto il Novecento. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di ridurre l’impronta ambientale delle attività umane e l’Europa fa bene a voler giocare questa partita da prima della classe. Ma ci sono due strade per raggiungere questo obiettivo”.

Quali?

“La prima è quella che punta a raggiungere la destinazione con un percorso pragmatico e realistico, che può essere a tratti tortuoso e anche contemplare la possibilità di deviazioni e persino di qualche retromarcia se ci si rende conto che la via intrapresa è troppo impervia. È un percorso che guarda all’obiettivo finale con un occhio attento anche ai possibili effetti collaterali”.

E l’altra via?

“La seconda strada, invece, prevede un percorso più ideologico che razionale, che fissa delle deadline senza se e senza ma, a prescindere dall’effettiva possibilità di raggiungere gli obiettivi ambientali preservando al tempo stesso l’economia europea. L’Europa, e questo sarà il grande compito che attende la nuova Commissione, deve scegliere una di queste due strade: quella realistica e pragmatica o quella ideologica. Ben sapendo che, se la prima strada può significare raggiungere gli obiettivi del Green Deal magari con qualche deroga o qualche ritardo, la seconda porta dritti alla deindustrializzazione del nostro continente, con effetti potenzialmente disastrosi non solo in termini economici e occupazionali ma, e quanto sta accadendo in questi giorni con la crisi del Mar Rosso dovrebbe farlo capire anche a chi ancora non lo ha capito, anche di dipendenza strategica da altri Paesi potenzialmente ostili”.

Cosa succederebbe se in Europa non si producesse più acciaio, o se non ci fossero più le fonderie?

“Dovremmo importare tutto dall’estero, con il rischio di trovarci completamente scoperti nel momento in cui per qualsiasi motivo le supply chain si dovessero interrompere come già avvenuto più volte negli ultimi anni. Possibile che il Covid non ci abbia insegnato niente? Ci ricordiamo il dramma delle mascherine, che in Europa erano introvabili perché nessuno le produceva più ma tutti le compravano dalla Cina? Se per perseguire gli obiettivi del Green Deal, che personalmente condivido, ci dimentichiamo di considerare il rischio di perdere completamente la capacità di produrre materie prime indispensabili e di realizzare prodotti strategici, allora significa non aver imparato nulla da quella lezione”.

Ci sono però dei target energetici e climatici da raggiungere…

“Demonizzare l’industria non è la via corretta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Le fonderie, ad esempio, sono un anello indispensabile per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Europa. Le nostre imprese sono infatti dei formidabili facilitatori della transizione per innumerevoli settori industriali a valle, dato che solo con la nostra tecnologia è possibile realizzare componenti indispensabili per trasformare in ottica green il sistema produttivo europeo. Senza fonderie non ci sarebbero turbine eoliche, centrali idroelettriche, automobili sempre più leggere e dalle ridotte emissioni, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Il tutto – anche questo è bene non dimenticarlo – grazie a un processo produttivo intrinsecamente circolare: la fonderia è un’azienda di riciclo che riutilizza materiali, i rottami metallici, che altrimenti finirebbero in discarica per realizzare una vastissima gamma di prodotti, molti dei quali estremamente complessi e ad alto valore aggiunto e tecnologico”.

Vuole dire che senza le fonderie non ci sarebbe la transizione?

“Posso dire senza timore di smentita che, senza le fonderie, gli ambiziosi obiettivi dell’Europa nel suo processo di transizione ecologica non sarebbero raggiungibili. In Italia, peraltro, le imprese del nostro settore, sono all’avanguardia in fatto di decarbonizzazione del processo produttivo, con investimenti dedicati all’ambiente che, in media, rappresentano per le nostre associate oltre il 20% di quelli totali”.

Se il vostro settore è indispensabile per la transizione, cosa chiedete all’Europa?

“La decarbonizzazione dei settori cosiddetti ‘hard to abate’ – e quindi oltre alle fonderie, anche acciaio, cemento, carta, vetro, chimica e ceramica – deve rappresentare un’assoluta priorità nell’ambito della politica industriale italiana ed europea. Siamo il cuore dell’industria manifatturiera europea. Solo in Italia, i settori considerati garantiscono 350.000 posti di lavoro diretti, numero che raddoppia a 700.000 persone calcolando anche l’indotto. Possiamo davvero fare a meno di queste filiere? Possiamo decidere di cancellare con un colpo di spugna un secolo e più di industrializzazione che ha portato l’Europa a raggiungere il ruolo che oggi ricopre? Io credo di no. Bisogna, e questo è evidente, spingere forte per permettere a queste imprese di realizzare una transizione ecologica equa e sostenibile”.

Entrando nel dettaglio, chiedete aiuti pubblici?

“Assofond ha sottoscritto l’Industrial Decarbonization Pact, insieme alle altre associazioni confindustriali che rappresentano i settori energivori come Assocarta, Assovetro, Confindustria Ceramica, Federacciai, Federbeton e Federchimica, con il quale ci siamo impegnati a raggiungere la neutralità carbonica al 2050. Per farlo, però, è necessario il supporto delle istituzioni. Servono appositi strumenti finanziari e fiscali per sostenere i progetti di decarbonizzazione, una riforma strutturale dei mercati energetici per permettere alle imprese di approvvigionarsi di energia green al giusto prezzo e, da ultimo, deve essere garantita la neutralità tecnologica, ossia la possibilità di utilizzare tutte le tecnologie disponibili per arrivare all’obiettivo, senza preclusioni ideologiche che – e lo vediamo nell’auto – rischiano anzi di essere pericolose in termini di dipendenza strategica da Paesi esteri. Solo così la transizione ecologica potrà essere rapida e inclusiva. Solo così potremo dare una risposta pragmatica alle richieste che ci giungono dalla società civile di fermare il veloce declino ambientale del pianeta”.

Nel frattempo però è arrivata la tassa sul carbonio extra-Ue. Un bene o un male per voi?

“Il CBAM, cioè il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere voluto dall’Unione Europea per contrastare la concorrenza sleale di molti Paesi extra UE e sulla carta per sostenere i settori industriali a rischio delocalizzazione, in realtà è potenzialmente critico per il nostro settore. Da qualche mese è partita la fase transitoria, che si concluderà a fine 2025 e che impone agli importatori di dichiarare il volume delle loro importazioni e le emissioni di gas a effetto serra incorporate durante la loro produzione, senza però dover pagare alcun adeguamento finanziario, cosa che invece avverrà dal 2026. Purtroppo, a oggi possiamo dire che questo sistema, ancorché condivisibile nei suoi principi, rischia di diventare un gigantesco boomerang”.

Energia, Zanardi (Assofond): Piano Germania crea squilibri devastanti

Le fonderie sono fra le aziende energivore per eccellenza, e dunque fra quelle più in difficoltà per la crisi energetica in corso. Ma sono anche fra i motori della sostenibilità, dell’economia circolare e della transizione ecologica. Parola di Fabio Zanardi, presidente di Assofond, associazione di Confindustria, che in un’intervista a GEA, a margine del 36esimo Congresso Nazionale Fonderia in corso a Torino, racconta la situazione attuale del comparto e le prospettive future.

Presidente, quale è il focus di questo Congresso?

“In questo momento è fondamentale farci forza e fare sistema sulle condizioni avverse che stiamo affrontando. I lavori sono legati alle poche e non piacevoli sicurezze che abbiamo che si chiamano soprattutto inflazione e incertezza. Cercheremo di inquadrare questi temi in modo da riuscire a fare impresa in modo più virtuoso, partendo dagli scenari dei tre pilastri della sostenibilità: People, Planet e Profit”.

Le aziende del vostro settore sono fra le più colpite dai rincari dell’energia. Cosa succederà nei prossimi mesi?

“Il problema lo stiamo vivendo da un anno ormai, oggi il problema delle alte bollette si sta riversando su settori non energivori mentre noi energivori abbiamo già lanciato l’allarme tempo fa. Ormai siamo quasi assuefatti a questa situazione. Per una fonderia media l’energia incideva il 10% del fatturato. Il prezzo ora è quintuplicato, quindi si fa presto a fare i conti. Inevitabilmente per riuscire a sopravvivere abbiamo dovuto aumentare i prezzi. L’inverno che sta arrivando ha il problema non solo dei prezzi e dell’alta volatilità, ma anche quello della disponibilità del gas e quindi si affaccia l’ulteriore incognita di potenziali fermate imposte per mancanza di disponibilità. Oltre alle grandissime incognite sulla tenuta del mercato che ci chiediamo fino a che livello possa reggere”.

Per voi si apre anche il tema della competitività, soprattutto se in altri Stati le imprese riceveranno maggiori aiuti dai Governi…

“Se nel breve termine siamo riusciti a sopravvivere e miracolosamente il mercato è riuscito a reggere nonostante gli aumenti dei costi, è chiaro che nel medio e lungo termine abbiamo una perdita di competitività rispetto al resto del mondo che ci metterà inevitabilmente fuori mercato. La cosa vale per l’Europa verso gli altri continenti, ma in questi giorni vediamo il grossissimo pericolo che si verifichi Europa su Europa. Il piano da 200 miliardi della Germania, anziché una soluzione condivisa europea, rischia di creare degli squilibri anche all’interno del continente che avrebbero effetti devastanti per la tenuta dell’industria e dell’Europa”.

Cosa chiedete all’Europa e al Governo italiano che sta per insediarsi?

“Le industrie hanno già chiesto moltissimo, ci sono già state proposte attraverso il gruppo tecnico energia di Confindustria: maggior impiego di gas nazionale, dare alle aziende una quota di energia rinnovabile a prezzo di produzione e non di mercato… Queste misure ancora non hanno visto attuazione e adesso sembra che l’electricity release vedrà la luce a gennaio. Credo che le aziende abbiano già detto in modo molto efficace quali sono i problemi e spiegato quanto sono strategiche. E devo dire che dalla politica c’è un ascolto e un recepimento del problema. Purtroppo non stiamo verificando nei fatti, soprattutto a livello europeo, una adeguata azione volta a risolvere un problema che potrebbe scoppiarci in mano”.

Un eventuale stop delle fonderie sarebbe un danno anche per la transizione ecologica?

“Le fonderie sono fondamentali per realizzare la transizione ecologica. Un generatore eolico è composto all’80% da fusioni. Le fusioni di ghisa, acciaio, alluminio sono dei manufatti resistenti che mettono il materiale solo dove serve. Costituiscono la massima efficienza dal punto di vista della manifattura e la massima potenzialità di alleggerimento, per esempio nel mercato dei veicoli. Per la fonderia c’è sicuramente un futuro in un mondo che vuole decarbonizzarsi”.

Che ruolo avete, invece, nell’economia circolare?

“La fonderia è con orgoglio, in particolare quella italiana, campionessa di riciclo. Il 95% di ciò che utilizziamo viene o convertito in altri utilizzi come sottoprodotto o utilizzato nella stessa fonderia come materiale di produzione. Un getto di ghisa, alluminio o acciaio può essere riciclato semplicemente prendendo il componente dismesso e ributtandolo in forno per essere fuso e riutilizzato per un numero infinito di volte”.

La situazione attuale, quindi, rischia di frenare anche la corsa verso la sostenibilità?

“Credo che in questi momenti di forte incertezza non dobbiamo comunque perdere di vista l’obiettivo a lungo termine che, pur con tutte le difficoltà, deve essere un mondo con meno emissioni ed ecologicamente più sostenibile. In questa direzione noi dobbiamo andare e continuare a pensare per la nostra evoluzione. Sicuramente la situazione che stiamo affrontando non aiuta e si rischia di perdere la via maestra. L’importante è distinguere tra strategia di lungo termine e tattica”.

Ma è ancora possibile, in questo momento, investire in sostenibilità per le vostre aziende?

“Sicuramente oggi per investire in sostenibilità e risparmio energetico siamo fortemente penalizzati non solo dai prezzi alti, ma anche da questa estrema volatilità. Se volessi investire in una infrastruttura che mi permette di risparmiare costi energetici, se calcolassi con il prezzo che l’energia aveva ad agosto avrei un ritorno dell’investimento in meno di un anno, se invece calcolassi con il costo di questi giorni potrei avere un ritorno in tre anni. In queste condizioni, purtroppo, con gli investimenti ingessati, questo non fa bene a nessuno”.