grano

Mercato instabile e prezzi alle stelle: l’agricoltura è sempre più cara

Il problema è noto da tempo e sia gli agricoltori, sia i consumatori lo stanno sperimentando direttamente: le conseguenze della guerra russa in Ucraina, con il blocco delle esportazioni dai porti del Mar Nero, sta avendo un impatto significativo sui prezzi dei prodotti agricoli e alimentari in tutto il mondo, e l’Europa non fa eccezione. Ma a certificare e quantificare questo rincaro con i dati dell’economia dell’Unione europea è Eurostat, che rileva “l’ulteriore instabilità dei mercati, con forti aumenti dei prezzi dei principali prodotti e input agricoli” a causa dell’invasione dell’Ucraina messa in atto dal Cremlino: “Ciò ha disturbato in modo significativo i mercati agricoli globali, soprattutto perché Russia e Ucraina sono stati grandi esportatori di cereali, grano, mais, semi oleosi e fertilizzanti“, si legge nella nota di Eurostat a corredo dei dati pubblicati il primo luglio.

A spiccare è l’aumento del prezzo medio della produzione agricola nei Paesi membri dell’Unione Europea, pari al 19,9% dal primo trimestre del 2021 allo stesso periodo di quest’anno, con particolare attenzione per i cereali (+41,5%), i semi oleosi (+51,7%), i bovini (+24,2%), il pollame (+22,2%) e il latte (+21,4%). La tendenza al rialzo dei prezzi era già stata rilevata nell’ultimo trimestre dello scorso anno, ma l’accelerazione è stata sensibile nei primissimi mesi di quest’anno, in particolare dopo il 24 febbraio: rispetto all’ultimo trimestre del 2021, sul territorio comunitario si è assistito a un ulteriore rincaro del 6%, con i picchi registrati in Lituania (+18,1%), Romania (+14,4%) e Paesi Bassi (+13,9%). L’Italia rimane invece in linea con la media Ue, al +5,4%.

A questo si deve aggiungere il parallelo aumento dei prezzi dei beni e servizi attualmente consumati in agricoltura (ovvero i fattori produttivi non legati agli investimenti). Comparati con i dati di un anno fa, nel primo trimestre 2022 è stato registrato un rincaro del 27%, causato dal quasi raddoppio dei prezzi dei fertilizzanti (+96,2%) e di poco più della metà per l’energia e i lubrificanti (+55,6%), senza dimenticare i mangimi (+22,9%). Che la tendenza sia esponenziale dal momento dello scoppio della guerra in Ucraina lo conferma il confronto con gli ultimi tre mesi del 2021. A livello Ue l’aumento è del 9,5% e tutti i Paesi membri l’hanno sperimentato in diversa misura: se in Italia si attesta al +8%, è ancora la Lituania a registrare il livello più alto (+24,5%), seguita da Lettonia (+18,9%) e Slovacchia (+14,6%), mentre i tassi di incremento più bassi sono stati registrati a Malta (+4,7%), Slovenia e Portogallo (entrambi +6,2%).

(Photo credits: Oleksandr GIMANOV / AFP)

Il settore agricolo è sempre più green e con donne ai vertici

Un’agricoltura sempre più giovane e dinamica, con tantissime imprese a conduzione femminile e con una crescente attenzione agli sviluppi della ricerca e alle sue applicazioni, ma anche alla digitalizzazione“. Le parole del presidente di Copagri, Franco Verrascina, inquadrano efficacemente i primi risultati del settimo censimento dell’agricoltura dell’Istat relativo all’annata 2019-2020 (in confronto con il 2010 e il 1982). Il report infatti fotografa un settore in buona salute, sia per quanto riguarda le coltivazioni sia per gli allevamenti, e conferma il sostegno al Pil nazionale da parte del Made in Italy agroalimentare. Tuttavia è il dato storico a preoccupare: a ottobre 2020 risultano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole, ma nell’arco di 38 anni sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. Rispetto al 1982 c’è stata una flessione del 63,8% e la riduzione è stata più accentuata negli ultimi 20 anni: il numero di aziende agricole si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era a circa 2,4 milioni.

Secondo il CensiAgri, inoltre, dal 2010 le aziende agricole sono in netto calo e soprattutto al Centro-Sud: almeno -22,6% in tutte le regioni, ad eccezione delle province autonome di Bolzano (-1,1%) e di Trento (-13,4%) e della Lombardia (-13,7%). Il calo più deciso si registra in Campania (-42,0%). Nel decennio la riduzione del numero di aziende è maggiore nel Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%) mentre nelle altre ripartizioni geografiche si attesta sotto la media nazionale.

LE COLTIVAZIONI

Dal censimento emerge che oltre la metà della Superficie agricola utilizzata (Sau) continua a essere coltivata a seminativi (57,4%), seguono i prati permanenti e pascoli (25,0%), le legnose agrarie (17,4%) e gli orti familiari (0,1%). Più nel dettaglio, i seminativi sono coltivati in oltre la metà delle aziende italiane, ossia più di 700mila (-12,9% rispetto al 2010), per una superficie di oltre 7 milioni di ettari (+2,7%) e una dimensione media di 10 ettari. In Emilia-Romagna, Lombardia, Sicilia e Puglia è concentrato il 41,4% della superficie nazionale dedicata a queste colture. Tra i seminativi, i più diffusi sono i cereali per la produzione di granella (44% della superficie a seminativi). In particolare, il frumento duro è coltivato in oltre 135mila aziende per una superficie di oltre 1 milione di ettari.

ALLEVAMENTI

Quanto all’allevamento, la Sardegna primeggia in Italia con circa 24mila aziende (10% del totale italiano), seguita da Veneto (8,3%) e Lombardia (8,2%), con circa 20mila aziende, e dal Piemonte (7,6%) con 18mila. Il contributo minore è dato invece dalle regioni dove predomina la catena alpina o la costa rocciosa, ossia la Valle d’Aosta (circa 1.400 aziende, lo 0,7% del totale), la Liguria e Trentino, entrambe con circa 4mila aziende (il 2% del totale). All’1 dicembre 2020 in Italia si contano 213.9841 aziende agricole con capi di bestiame (18,9% delle aziende attive). In termini assoluti, i capi allevati in Italia sono 203 milioni, dei quali 8,7 milioni suini, 7 milioni ovini e 5,7 milioni bovini (a cui si aggiungono ovviamente galline, tacchini, conigli etc…). Il contributo maggiore di animali allevati spetta al Nord-est, dove si trova la metà di tutti i capi censiti (quasi un terzo nel solo Veneto).

DONNE E GIOVANI

Il CensiAgri Istat si concentra anche sulla demografia delle imprese agricole italiane. Spicca ad esempio il dato sulla presenza femminile, che in termini numerici diminuisce tra il 2010 (36,8%) e il 2020 (30%) mentre aumenta la partecipazione in ruoli manageriale: i capi azienda sono donne nel 31,5% dei casi (era il 30,7% nel 2010). A livello anagrafico, è ancora limitata la presenza di capi azienda nelle fasce di età più giovanili: nel 2020 i capi azienda fino a 44 anni sono il 13%, in calo rispetto al 2010 (17,6%). Ad ogni modo il CensiAgri sottolinea che le aziende con a capo un under45 sono 4 volte più informatizzate rispetto a quelle gestite da un capo over 64 (32,2% e 7,6%). E l’incidenza delle aziende digitalizzate è maggiore nel caso in cui esse siano gestite da un capo azienda istruito e ancora di più nel caso in cui il percorso di studi sia orientato verso specializzazioni di tipo agrario. A proposito di innovazione, l’11% delle aziende agricole coinvolte nel censimento ha dichiarato di aver effettuato almeno un investimento innovativo tra il 2018 e il 2020. I maggiori investimenti innovativi sono stati rivolti alla meccanizzazione (55,6% delle aziende che innovano), seguono l’impianto e la semina (23,2%), la lavorazione del suolo (17,4%) e l’irrigazione (16,5%).

INNOVAZIONE E TRANSIZIONE GREEN

In tema di innovazione e investimenti le aziende agricole guardano sempre di più alle fonti di energia alternative e pulite. Secondo un’analisi Coldiretti, dal 2010 è triplicato il numero di imprese del settore che producono energia, dal biometano al solare. La crescita è monstre: +198% nel giro di un decennio. “L’obiettivo – spiega la Coldiretti – è ridurre la dipendenza del Paese dall’estero e fermare i rincari che stanno mettendo in ginocchio famiglie e imprese, mentre il prezzo della benzina sale ancora arrivando a 2,073 al litro e al G7 si discute sul tetto al gas e al petrolio da Mosca”. Partendo dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano a livello nazionale per alimentare le flotte del trasporto pubblico come autobus, camion e navi oltre alle stesse auto dei cittadini.

In questo modo – spiega una nota dell’associazione agricola – sarà possibile generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica in materia di carburanti green“. Gli impianti di biogas in Italia – spiega la Coldiretti – oggi producono 1,7 miliardi di metri cubi di biometano ma è possibile quadruplicare questa cifra in meno di dieci anni con la trasformazione del 65% dei reflui degli allevamenti. Ma un aiuto importante potrebbe venire anche dal fotovoltaico pulito ed ecosostenibile per il quale – ricorda Coldiretti – sono tra l’altro previsti 1,5 miliardi di euro di fondi nell’ambio del Pnrr. Secondo uno studio di Coldiretti Giovani Impresa solo utilizzando i tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili, laboratori di trasformazione e strutture agricole sarebbe possibile recuperare una superficie utile di 155 milioni di metri quadri di pannelli con la produzione di 28.400Gwh di energia solare, pari al consumo energetico complessivo annuo di una regione come il Veneto.

packaging

Il 98% aziende del Food investe in sostenibilità: attenzione ai packaging

Il 2021 ha segnato una forte ripresa nel settore del food, con una crescita record del 6,8%, superiore a quella del Pil (6,6%). La crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023, con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio del Pil. È quanto emerge dal Food Industry Monitor (FIM), l’Osservatorio sul settore food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors. Giunto alla sua ottava edizione, l’Osservatorio è dedicato quest’anno all’analisi del rapporto tra innovazione e crescita sostenibile delle aziende alimentari, con un focus sulle aziende familiari e le specificità dei loro modelli di business.

PREZZI MATERIE PRIME

La redditività commerciale (ROS) ha raggiunto il 6,5% nel 2021, e le proiezioni indicano una sostanziale tenuta anche per 2022, nonostante le forti tensioni sui prezzi delle materie prime. La struttura finanziaria delle aziende del settore resta solida, con una lieve crescita del tasso di indebitamento. Nel 2021 le esportazioni hanno ripreso a crescere con un tasso superiore al 10%, in forte rimbalzo rispetto al -0,4% del 2020. Le esportazioni continueranno a crescere, ma a tassi molto più contenuti fino al 2023. I comparti delle farine e del caffè saranno interessati nel 2022 da una crescita a due cifre, questo anche per effetto dell’aumento dei costi delle materie prime. Faranno bene anche i comparti dell’olio, dei surgelati e del latte. Il vino crescerà del 4,8%, appena al di sotto della media settoriale. I comparti più dinamici per le esportazioni nel 2022 saranno: distillati, birra, latte e soft drink, ma anche vino e pasta fanno bene nell’export.

PERFORMANCE DI SOSTENIBILITÀ

L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni. “Materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. La tendenza è molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo”, ha precisato Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “Se dunque il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità”, ha aggiunto.

SOCIETÀ FAMILIARI

Le società familiari hanno un ruolo preponderante nel settore del food. Il 78% del campione di aziende analizzato è controllato da una o più famiglie. L’86% ha un Consiglio d’Amministrazione interamente composto da membri della famiglia, l’11% è caratterizzato da una composizione del CdA mista, che comprende membri esterni e interni alla famiglia; il 3% ha un CdA composto interamente da membri esterni. Solo l’8% delle imprese analizzate ha un CEO esterno alla famiglia: “Un elemento su cui riflettere – sottolinea Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking per Ceresio Investors – se si considera che circa il 65% delle aziende è attualmente gestito dalla prima generazione di imprenditori, il 30% dalla seconda e poco più del 4,5% riesce a giungere alla terza e quarta generazione. In molti casi insomma non si considerano i benefici di un modello gestionale aperto, che preveda l’affiancamento di manager esterni a membri familiari, e questo è spesso una delle cause di forte freno allo sviluppo. In taluni casi può minare la continuità familiare dell’azienda”. In generale, comunque, le aziende familiari che riescono a mantenere una guida solida e stabile hanno performance di redditività e produttività superiori a quelle con un CEO non familiare. “I dati dimostrano che la scelta vincente è un management team con membri della famiglia affiancati da manager professionisti, cosa che consentirebbe alle aziende di ottenere migliori performance di redditività (ROS) e soprattutto di costruire un profilo di sostenibilità più solido”, conclude Gabriele Corte, direttore generale di Banca del Ceresio.

siccità

Siccità, l’Italia chiude i rubinetti: al via turnazione idrica

Le Regioni, i Comuni e i Consorzi lo chiedevano da tempo e ora la questione siccità è arrivata concretamente al tavolo dei piani alti. Per mettere in campo le competenze necessarie per affrontare la questione su più fronti – infrastrutturale, competenze regionali, eventuali ristori – è stato istituito un tavolo di coordinamento che comprende tutte le amministrazioni interessate, quindi la Protezione civile, il ministero delle Politiche agricole, della Transizione ecologica, degli Affari regionali, delle Infrastrutture e dell’Economia. “Il governo sta lavorando moltissimo“, assicura il ministro Roberto Cingolani.

L’azione ora è su più linee: da un lato il coordinamento ministeriale, dall’altro le Regioni, che sono al lavoro sull’individuazione dei criteri per poter dichiarare lo stato d’emergenza. Sarà poi compito della Protezione civile predisporre un Dpcm da trasmettere al Consiglio dei ministri. Per quanto concerne il settore agricolo, e sempre su proposta delle Regioni, come ricorda il Mipaaf, “si potrà proclamare lo ‘stato di eccezionale avversità atmosferica’ qualora il danno provocato dalla siccità superi il 30% della produzione lorda vendibile“.

E mentre le istituzioni lavorano e da più parti si invoca “una cabina di regia nazionale“, capace non solo di far fronte all’emergenza, ma di avviare un piano concreto di gestione delle acque, l’Italia chiude i rubinetti. Ormai sono centinaia i Comuni che hanno emesso ordinanze per limitare l’uso dell’acqua potabile alle necessità igieniche e domestiche e decine quelli che hanno sospeso l’erogazione durante le ore notturne. In 22 Comuni della Provincia di Frosinone è già stata avviata la turnazione idrica e molti altri hanno subito un abbassamento della pressione. Continuano a calare vistosamente anche fiumi e bacini laziali: l’Aniene ha portata dimezzata, il Tevere è ai livelli minimi in anni recenti, il Sacco è sempre più a secco.

Ma è al nord che la situazione è più drammatica. “La linea del Garda – dice l’Anbiè l’ultima speranza idrica per ristorare l’esangue fiume Po e contrastare la risalita del cuneo salino, che ormai sta pericolosamente marciando verso i 20 chilometri all’interno della pianura di Ferrara“. Il sale rende, di fatto, inutilizzabile l’acqua per l’agricoltura e rischia di trasformare le falde. I grandi bacini del nord sono ai livelli minimi: i laghi di Como (13,5% di riempimento) e d’Iseo sono ormai vicini al record negativo, già più volte superato invece dal lago Maggiore, oggi riempito al 20%. L’anno scorso i bacini settentrionali in questo periodo erano ancora oltre il 90% del riempimento e la neve sui monti era abbondante ben oltre la media.

Il Po continua a registrare una magra epocale lungo tutto il corso: al rilevamento finale di Pontelagoscuro, la portata si è dimezzata in 2 settimane, scendendo a poco più di 170 metri cubi al secondo, quando la soglia critica per la risalita del cuneo salino è fissata a 450 mc/s. In Piemonte, ad eccezione della Stura di Lanzo, decrescono tutti fiumi e il Tanaro è al 30% della portata di dodici mesi fa. In Valle d’Aosta, la Dora Baltea si attesta sui valori minimi in anni recenti ed è ormai Siccità estrema nelle zone centro-orientali della regione.

In Lombardia, le portate del fiume Adda, nel cui bacino idrografico le precipitazioni sono state finora di 270 millimetri contro una media di 460, sono inferiori del 67% al consueto, così come sono -54% sul Brembo, -63% sul Serio , -64% sull’Oglio. Sciolta in anticipo tutta la neve in montagna, la riserva idrica regionale è il 60% della media.

Non va meglio a nord-est dove, in Veneto, il fiume Adige ha un’altezza idrometrica inferiore di 2 metri e mezzo rispetto all’anno passato e di circa 20 centimetri rispetto al 2017. Anche la Livenza è a -2 metri rispetto al livello 2021. In Friuli, i serbatoi nei bacini della Livenza e del Tagliamento mantengono valori prossimi o inferiori ai minimi storici del periodo.

La Protezione civile, intanto, ha emesso l’allerta gialla per cinque Regioni (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e settori di Piemonte e Trentino Alto Adige), per il rischio di temporali. Pioverà, insomma, ma non abbastanza e non con le modalità necessarie a dare respiro ai terreni aridi: le grandinate previste rischiano di dare il colpo di grazia alle coltivazioni sofferenti.

(Photo credits: Piero CRUCIATTI AFP)

energia

Come i prezzi energia influenzano quelli dei beni alimentari

L’aumento dei prezzi dei beni alimentari è sotto gli occhi di tutti e ha raggiunto un nuovo massimo storico nel 2022, dopo l’invasione russa in Ucraina. Eppure l’inflazione su ciò che mettiamo in tavola era già in aumento prima della guerra in tutta l’area euro. La causa? Sicuramente la pandemia che nel 2020 ha vincolato l’offerta ma, successivamente, dal quarto trimestre del 2021, è cresciuta ancora, raggiungendo il 3,5% a gennaio 2022 e il 7,5% a maggio, il livello più elevato dall’avvio dell’unione monetaria.

L’aumento dei prezzi dell’energia – e in modo particolare del gas – ha influito pesantemente sulla componente alimentare del paniere dei consumi. Ma come sono collegati questi due elementi? Prova a chiarirlo la Bce, che nel bollettino economico, ricorda che l’equazione aumento prezzi energia = aumento beni alimentari è determinata da tre elementi.

Innanzitutto, la produzione agricola e la lavorazione dei prodotti alimentari sono settori ad alta intensità di energia. La coltivazione dei campi, ad esempio, dipende in larga misura dal carburante per i macchinari agricoli, per cui i rincari dell’energia tendono a trasmettersi rapidamente ai costi di produzione, che di conseguenza aumentano.

Inoltre, poiché il gas naturale costituisce uno degli input nella produzione di fertilizzanti, l’aumento dei suoi prezzi fa crescere quelli dei fertilizzanti stessi, incrementando i costi degli input agricoli. Infine, i maggiori costi di trasporto si ripercuotono sui prezzi dei beni alimentari, rendendo così più costosa la sostituzione delle materie prime con quelle provenienti da fonti di approvvigionamento più lontane.

Anche i prezzi delle materie prime alimentari a livello internazionale – ricorda la Bce – hanno registrato un incremento per via delle condizioni meteorologiche avverse in alcune aree“. In aggiunta, i più elevati costi del trasporto marittimo dovuti alle strozzature nelle catene di approvvigionamento mondiali hanno acuito le pressioni sui prezzi.

In questo circolo vizioso si aggiungono, poi, altri elementi fondamentali. In primo luogo, l’Ucraina ha introdotto un divieto di esportazione per alcuni prodotti alimentari, tra cui segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne. In secondo luogo, il trasporto delle materie prime alimentari dalla Russia è divenuto più dispendioso a causa dei maggiori costi assicurativi e, inoltre, la Russia ha vietato la vendita all’estero di fertilizzanti, di cui è il maggiore esportatore mondiale, fino ad agosto 202210. Infine, l’Unione europea ha adottato ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, imponendo un divieto totale alle importazioni di idrossido di potassio e carburanti, fra gli altri altri prodotti. Queste restrizioni al commercio internazionale di concimi, riferisce la Bce, “determineranno ulteriori aumenti dei prezzi sia a livello mondiale sia nell’area dell’euro, mentre la riduzione dell’offerta potrebbe anche incidere sui rendimenti mondiali dei raccolti nel periodo a venire“.

Po

L’Italia ha sete. Le Regioni chiedono lo stato di emergenza, Cirio: “Situazione drammatica”

Una situazione drammatica, mai così grave negli ultimi anni. È il quadro che, in piena emergenza siccità, restituiscono i presidenti delle Regioni del Nord Italia. Lo fa il governatore del Piemonte Alberto Cirio, che chiede “risorse economiche per i nostri agricoltori” e che “il Governo prenda in mano la questione sotto forma di emergenza nazionale. Per evitare che questa situazione torni a replicarsi in futuro, il Pnrr deve essere declinato in modo che gli agricoltori possano costruire piccoli invasi consortili“. E lo fa il collega della Lombardia, Attilio Fontana, che al termine della riunione tra la Conferenza delle Regioni e il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, parla di “una situazione eccezionale, di una gravità che non si era mai verificata in questi anni“. Intanto la Protezione Civile sta lavorando sui parametri tecnici per andare incontro alle richieste di stato di emergenza.

Da una parte c’è l’esigenza di non dover razionare l’acqua per uso domestico, dall’altra quella di sostenere e risarcire gli agricoltori danneggiati dalla siccità. Senza dimenticare il funzionamento delle centrali idroelettriche, messe a grave rischio dalla mancanza di flussi. Per quanto riguarda l’agricoltura, già in mattinata il ministro Patuanelli aveva parlato della necessità di “fare un percorso di avvicinamento all’obbligo assicurativo” per il settore. E annunciato una riunione con il Mite e la Protezione civile per fare il punto sulla situazione. In ogni caso, secondo il ministro, “lo stato di emergenza e lo stato di calamità dovranno lavorare insieme” per “portare l’acqua dove serve con la Protezione civile” e per avviarne la razionalizzazionecioè per modificare le modalità degli usi domestici, agricoli e nelle centrali idroelettriche“. Lo stato di calamità, invece, “consente di superare i limiti della norma 102 per intervenire sui danni“.

Intanto, l’Autorità Distrettuale del fiume Po continua a lanciare l’allarme sul cuneo salino nel Delta del Po, che ha raggiunto i 21 km. “Il livello del fiume è così basso – spiega il segretario generale Meuccio Berselliche consente all’Adriatico in alta marea di penetrare e cambiare le caratteristiche della falda che da acqua dolce diventa salmastra“. L’acqua salmastra, afferma, “diventa inutilizzabile per le colture. C’è quindi un danno ambientale e un danno economico“. Una situazione drammatica, appunto, dove lo stato di emergenza e calamità sembrano avvicinarsi ogni giorno di più.

Cos’è il cuneo salino e perché è così dannoso per uomo e ambiente

Intere aree desertificate, acqua razionata e addirittura erogazioni interrotte nelle ore notturne, orti e giardini a secco, autobotti in movimento. L’emergenza della primavera-estate 2022 è la ‘grande sete’ che colpisce l’intero Paese e che rischia di compromettere l’agroalimentare Made in Italy con conseguenze disastrose su disponibilità dei prodotti e costi, già influenzati dal caro-energia. La situazione del Po d’altronde può essere definita allarmante: da circa 70 anni non si registrava un livello così basso dell’acqua. Senza pioggia, lo scenario rischia addirittura di peggiorare con l’ondata di calore che in alcune zone ha già portato le temperature oltre i 35 gradi per due settimane. Risultato: le falde sono sempre più basse e contaminate dal cuneo salino che rende inservibile l’acqua per potabilizzazione e per l’irrigazione.

Sul delta del Po, in particolare, la sofferenza idrica si è presentata con almeno un mese d’anticipo. Il cuneo salino consiste nella risalita alla foce di un fiume dell’acqua marina che si incunea sul fondo dell’alveo fluviale. Si tratta di un fenomeno che colpisce quasi sempre il Po in maniera più o meno pronunciata a seconda dei periodi dell’anno, ma che negli ultimi due lustri si è intensificato. Si è infatti assistito a una progressiva intrusione di acqua marina verso l’interno del corso fluviale, che ora ha superato i 15 chilometri.

La risalita è dovuta dall’intervento umano diretto (prelievi incontrollati di acqua e gestione poco accorta della risorsa), ma principalmente dai cambiamenti climatici: scarse precipitazioni, ridotti rilasci idrici montani e dai laghi, portate molto contenute dei fiumi, abbassamento dell’alveo per minore apporto di sedimenti dagli affluenti e innalzamento del livello del mare.

po

Alcune conseguenze dell’aumento di salinità dell’acqua dolce sono ovvie, altre meno. L’intrusione dell’acqua marina nei corsi d’acqua comporta infatti l’interruzione delle irrigazioni per l’agricoltura, la salinizzazione delle falde e l’inaridimento delle zone litoranee con successive micro-desertificazioni. A ciò si aggiunge la difficoltà di approvvigionamento dagli acquedotti (visto che le centrali di potabilizzazione non sono in grado di desalinizzare l’acqua) e le modifiche delle caratteristiche biologiche dei fiumi, con gravi conseguenze per flora e fauna (dalla scomparsa si zone forestali e umide fino alla sparizione di alcune specie).

Ricehouse

Ricehouse, la startup dell’edilizia che punta sugli scarti del riso

Provare a modificare i principi dell’edilizia, indirizzando il settore verso una concezione più improntata sull’economia circolare. La missione nobile di Ricehouse, startup italiana fondata nel 2016 da Tiziana Monterisi e Alessio Colombo, negli ultimi mesi sta incontrando anche le necessità di un comparto colpito dai rincari delle materie prime. Come lascia intendere il nome, infatti, l’azienda utilizza gli scarti della lavorazione del riso per sostituire i prodotti petrolchimici usati abitualmente nel mondo dell’edilizia, riuscendo così a ridurre notevolmente le emissioni. “La carenza della materia prima – racconta Tiziana Monterisi, ad. e cofondatrice di Ricehouse – così come gli alti costi di questa, ha spostato l’attenzione verso la ricerca di alternative. La bioedilizia inizia molto tempo fa, con le costruzioni fatte con materiali naturali perché effettivamente erano gli unici materiali accessibili. L’industria del mercato edile ha poi distrutto, o nascosto, qualsiasi logica utilizzata nel passato. Oggi, la bioedilizia ritrova un mercato forte e di valore grazie alle attenzioni verso qualità e sostenibilità, che giocano un ruolo strategico per indirizzare la domanda di materiale edile”.

L’attività di Ricehouse rende protagonisti gli agricoltori, che rappresentano un interlocutore fondamentale: “Abbiamo coinvolto gli agricoltori fin dall’inizio. Per loro, la nostra collaborazione significa risparmio immediato. In concreto, hanno un risparmio di costi e aumento delle entrate”, prosegue Monterisi, che poi apre una parentesi estremamente interessante sulle opzioni che Ricehouse può esplorare nei prossimi mesi e anni: “Il nostro obiettivo è quello di riuscire a valorizzare il più possibile tutto lo scarto risicolo a disposizione in Italia e far in modo che il nostro Paese possa essere il produttore per eccellenza di materiali naturali. Usando i sottoprodotti del riso per produrre materiali naturali per il mondo edile, potremmo compensare 1.950.000t di CO2 ogni anno, ovvero l’equivalente di piantare 81.000.000 di alberi”.

Ricehouse

Un’analisi che arriva da una società che fin dal 2016 ha saputo leggere le esigenze di un settore cruciale per il nostro Paese. L’attività di Ricehouse è nata con una lunga fase di ricerca delle giuste sinergie, con aziende che potessero sposare i valori e i processi innovativi proposti. Sviluppando una linea di prodotti per l’edilizia derivante dal riciclo degli scarti di lavorazione agricoli, si è resa portavoce di valori nobili e ha anticipato i temi che sarebbero poi stati introdotti dalle istituzioni italiane e internazionali. “Dopo tanti anni – ammette Monterisi – finalmente siamo nel centro dell’argomento. Noi continuiamo a dire quello che dicevano prima, il nostro messaggio non è cambiato. Di fatto, prima mancava il destinatario con cui rapportarsi. Oggi, invece, possiamo sederci a un tavolo di lavoro per dialogare su punti critici e progetti ambiziosi”. Uno di questi punti è indubbiamente la gestione del Superbonus: “Deve essere un percorso serio, uno strumento valido per una transizione ecologica. Per noi è un’opportunità, tanto più concreta quanto più è strutturato in maniera corretta. La vera svolta potrebbe essere data inserendo i materiali naturali come plus. Inoltre, per una valida bioarchitettura servirebbero parametri per la qualifica energetica”.

È la Giornata mondiale contro la siccità: e in Italia scatta l’allarme

In Italia la grande sete avanza. Se la situazione al Nord è talmente grave da aver portato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, a chiedere a Roma lo stato di calamità per l’agricoltura, gli effetti della siccità iniziano a estendersi rapidamente anche al Centro. Più di un quarto del territorio nazionale (28%) è a rischio desertificazione e la siccità è “solo la punta dell’iceberg di un processo che mette a rischio la disponibilità idrica nelle campagne e nelle città“, denuncia Coldiretti.

La situazione a livello nazionale è monitorata con molta attenzione dagli osservatori permanenti sugli utilizzi idrici che sono stati istituiti con protocolli d’intesa inter-istituzionali con le amministrazioni locali competenti. Lo scenario è uno dei peggiori che si possano prevedere“, informa il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Il ministero sta costituendo un tavolo politico istituzionale “di alto profilo alla presenza di tutte le autorità di bacino per fare un quadro d’insieme sulla scala dell’intero Paese, l’attenzione è costante“, assicura. L’obiettivo a stretto giro sarà ridurre le perdite di acqua e potenziare la collezione di acque piovane, creando un certo numero di bacini: “Basterebbe un quarto della piovosità nazionale per soddisfare il fabbisogno agricolo“, afferma il ministro.

L’Autorità distrettuale del fiume Po la definisce “la peggior crisi da 70 anni: “La portata del fiume sarà ancora più bassa nelle prossime settimane“, avverte il segretario Meuccio Berselli. Il delta è stato “conquistato” ormai per 30 chilometri dalla risalita del cuneo salino e lungo tutta l’asta registra una “magra” epocale.

Ai sindaci di un centinaio di Comuni piemontesi e di almeno 25 Comuni della provincia di Bergamo è stato già chiesto di emanare ordinanze per il contingentamento dell’acqua. In Lombardia i produttori idroelettrici da oggi aumentano i rilasci dell’acqua a supporto dell’agricoltura.

È una situazione complessa soprattutto nelle parti montane e pedemontane del nostro territorio, l’assenza di precipitazioni nevose in inverno e la siccità prolungata poi hanno svuotato i serbatoi idrici“, aveva spiegato il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo. Che non aveva immediatamente lanciato l’allarme sul capoluogo, ma che aveva spiegato che “ci stiamo rendendo conto di quanto sia importante questo bene prezioso e di quanto sia importante la programmazione“. E non aveva negato il rischio di stato di calamità: “È inutile affermare il contrario. Al momento la situazione è sotto controllo, noi come città metropolitana abbiamo chiesto ai colleghi sindaci di emettere ordinanze sul contingentamento. Aiuteranno, ma dobbiamo metterci in sicurezza qualora questo periodo dovesse continuare”.

L’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche evidenzia in maniera massiva le conseguenze dei cambiamenti climatici sull’intera Penisola. Il secondo fiume della Toscana, l’Ombrone, è ridotto ormai a uno “stato torrentizio” dopo mesi di sofferenza. La portata è di 890 litri al secondo, quando il minimo per garantire la vita in alveo è indicato in 2mila litri al secondo. Nelle Marche, il fiume Sentino tocca già il minimo storico (-37 centimetri), registrato nell’Agosto 2021, anno considerato idricamente critico per la regione; anche Esino e Nera sono ai livelli più bassi degli ultimi cinque anni. In Umbria, i il fiume Tevere, nel suo tratto iniziale, registra il livello più basso (35 centimetri) dal 1996. Continua a restare basso nel Lazio, dove però è ancora più grave la situazione dell’Aniene, ridotto ad una portata di circa 3mila litri al secondo contro una media di oltre 8mila. Non va meglio ai laghi: in una settimana, il Maggiore si è abbassato di 20 centimetri, il Lario di oltre 30 e l’Iseo di 7. In Lombardia sono ormai completamente esaurite, con due mesi d’anticipo, le riserve di neve.

Sulla situazione e le possibili soluzioni, oggi, giornata mondiale della Siccità e della desertificazione, si tiene un convegno alla Camera con Federica Daga e il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli.

siccità

FIUME PO

agricoltura

Dal 2021 agricoltura in crisi. Continua la ‘tempesta perfetta’

La stragrande maggioranza delle aziende agricole e agroalimentari italiane intervistate ad aprile da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) nel primo trimestre 2022 ha incontrato serie difficoltà nella gestione d’impresa, a causa dei forti rincari dovuti all’aumento del costo dell’energia e delle materie prime (soprattutto fertilizzanti). Il dato emerge dal rapporto diffuso dall’istituto che ha per titolo ‘I costi correnti di produzione dell’agricoltura. Dinamiche di breve e lungo termine, effetti degli aumenti dei costi e prospettive per le imprese della filiera’ e che contiene anche un sondaggio su 795 aziende per il settore agricolo e 586 imprese dell’industria alimentare.

Ma il problema viene da lontano. “Il 2021 – spiega Ismea – rappresenta un punto di rottura. Quella che i media definiscono la ‘tempesta perfetta’, ovvero l’allinearsi in senso sfavorevole di una molteplicità di fattori di tipo strutturale e congiunturale, endogeni ed esogeni al settore, ha obbligato ad acquisire tale consapevolezza con una specificità: una crisi talmente ad ampio raggio da interessare, concentrandoci sul settore agroalimentare, tutte le filiere e, nell’ambito delle stesse filiere, tutti gli anelli di cui sono composte; dalla produzione dei mezzi tecnici al consumatore finale, cui peraltro una quota importante del proprio reddito è stata ‘distratta’ verso il pagamento degli incrementi notevoli di spese prioritarie come le bollette e il pieno dell’auto, proprio mentre l’inflazione è andata a interessare gran parte dei beni alimentari“.

DAL CALO DEI PREZZI IN PIENA PANDEMIA, ALL’IMPENNATA DEL 2022

Se nel 2020, spiega Ismea nel suo report, come conseguenza della pandemia e del rallentamento delle attività produttive del blocco dei flussi turistici e dei viaggi aerei, si registrò un forte calo dei prezzi del petrolio e delle materie prime energetiche in generale (-32% la riduzione dell’indice rispetto all’anno precedente), che ha trascinato al ribasso anche l’indice dei prezzi dei fertilizzanti, diminuito del 10%, “nel 2021 si è assistito all’impennata dei prezzi di tutte le commodity, non solo gli energetici (+82% nel consuntivo 2021 rispetto al 2020), che hanno spinto un incremento analogo dei fertilizzanti (+81% rispetto all’anno precedente), ma anche i minerali e metalli e i metalli preziosi, con questi ultimi che avevano già registrato un aumento nel 2020 nel contesto di incertezza legato alla pandemia“. In particolare, nel 2021, il prezzo del petrolio è cresciuto del 67% rispetto al 2020, portandosi a 69 dollari al barile, ancora ben lontano dal massimo del periodo 2008-2021 di 105 dollari, raggiunto nel 2012; ma soprattutto si è registrata una vera e propria esplosione del prezzo del gas naturale quotato in Europa, con una crescita del 397%.

I FORTI RINCARI DEL PREZZO DEL GAS NATURALE

La crescita dell’indice internazionale del prezzo del gas naturale ha impattato a sua volta fortemente sul prezzo dei fertilizzanti, essendone il gas una componente produttiva; in particolare, il prezzo dell’urea è più che raddoppiato in un anno, con una quotazione di 483 dollari per tonnellata in media nel 2021, che si avvicina al valore massimo del periodo di 515 dollari, raggiunto nel 2008. Forte la crescita anche per fosfato diammonico e del triplo superfosfato o superfosfato concentrato, ma per questi due prodotti le quotazioni nel 2021 sono rimaste comunque lontane dai livelli massimi del 2008. Lo scenario per il 2022 si è poi drammaticamente aggravato con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. “La messa fuori uso dei porti sul Mar Nero, le tensioni politiche e le sanzioni comminate alla Russia hanno ulteriormente destabilizzato il mercato delle commodity agricole e degli input produttivi come petrolio, gas e fertilizzanti, nonché fenomeni speculativi che in tutte queste incertezze hanno trovato un florido terreno di coltura“, conclude Ismea nella sua analisi.

GLI AUMENTI NON SARANNO FATTI RICADERE SUI CONSUMATORI

La soluzione per contenere i rincari sarà quindi aumentare i prezzi dei prodotti finiti e far così ricadere gli aumenti sul consumatore finale? La maggior parte delle aziende intervistate non la pensa così. Il 38% delle imprese agroalimentari italiane ritiene infatti che nei mesi a venire sarà difficile aumentare i listini dei propri prodotti per recuperare gli incrementi dei costi correnti (47% per l’industria delle paste alimentari e 55% per il settore vitivinicolo). Tuttavia, il 28% delle imprese appartenenti all’industria della trasformazione dei prodotti ortofrutticoli dichiara che nei prossimi mesi i prezzi di vendita dei propri prodotti aumenteranno tra il 3-6% del valore (contro il 19% del campione). Infine, le imprese esportatrici (che rappresentano circa la metà delle imprese dell’industria alimentare intervistate), intervistate sulla maggiore o minore possibilità di riversare sui prezzi gli aumenti dei costi per i prodotti venduti all’estero, hanno dichiarato in maggioranza (55% delle esportatrici) che le vendite all’estero non hanno consentito di assorbire più facilmente l’incremento dei costi, dato che i mercati esteri sono maggiormente sensibili all’aumento dei listini, ma circa il 30% invece ha avuto maggiori possibilità di recuperare gli aumenti attraverso le vendite all’estero.