agricoltura biologica

Biologico? Sempre più attuale ma ostacolato da caro-energia

L’attenzione all’agricoltura biologica è sempre più attuale. E questo è un dato di fatto, dal momento che, si osserva nella relazione sui ‘Finanziamenti per la ricerca nell’agricoltura biologica’, il fatturato – tra consumi interni ed esportazioni – nell’arco di una decina di anni è passato da 2 a 6 miliardi di euro.

La sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha approvato il rapporto con Delibera n. 8/2022/G, in cui la magistratura contabile ha esaminato la gestione del ‘Fondo per la ricerca nel settore dell’agricoltura biologica’ che finanzia i programmi di ricerca nel ramo, oltreché in quello relativo alla sicurezza e salubrità alimentari. L’esame della Corte incentrato sulla verifica dei risultati conseguiti a fronte di quanto stabilito nel ‘Piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico’, elaborato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, in cui il Fondo stesso è ricompreso.

È stata evidenziata la necessità di un’accelerazione nell’attuazione dei progetti e l’adozione, da parte dell’amministrazione, di un efficace sistema di monitoraggio degli stessi per attivare la tempestiva revoca del finanziamento, con recupero di quanto anticipato, nei casi di inerzia non giustificata dei soggetti proponenti.

L’agroalimentare è sempre stato il traino delle esportazioni del nostro Paese – ha affermato il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli – e continua ad esserlo perché i tassi di crescita sono importanti: oltre al record di 52 miliardi di export dello scorso anno, ci sono anche i primi mesi di quest’anno in cui non si cede il passo“. “Sicuramente le complicazioni ci sono, la situazione internazionale la conosciamo – ha aggiunto il Ministro – e le difficoltà indotte dall’invasione della Russia in Ucraina sono evidenti, in termini di aumento dei costi, di difficoltà delle imprese a sostenere il costo dell’energia in particolare, che a cascata incide su tutte le produzioni. Il governo sta facendo, per la parte interna, tutto quello che deve fare per sostenere i settori produttivi, ma è importante che l’Europa non receda da quella voglia di stare assieme e agire comune che ci ha caratterizzato nel momento in cui abbiamo affrontato la crisi dovuta alla pandemia, che era asimmetrica, mentre questa è asimmetrica perché colpisce alcuni Paesi in maniera più profonda di altri. E questo può indurre al ritorno delle dinamiche degli egoismi europei“, ha concluso Patuanelli.

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Il biogas è tra le dieci azioni di Farming For Future

Garantire un sistema alimentare sostenibile che permetta di utilizzare meno risorse tutelando la biodiversità e producendo di più con maggiore qualità e a costi più accessibili. Sono questi gli obiettivi di Farming For Future, il progetto avviato dal Consorzio Italiano Biogas per la conversione agroecologica dell’agricoltura italiana stimolata dalla diffusione del biogas agricolo, in accordo con gli obiettivi del Green Deal e le relative strategie di settore.

Farming For Future è una proposta che si declina in 10 azioni, delle quali 8 strettamente connesse all’agricoltura e ai suoi investimenti, mentre 2 sono di pertinenza dell’industria, quella del gas in primis.

  1. Energie rinnovabili in agricoltura: sostituire i combustibili fossili con fonti di energia rinnovabili per ridurre l’inquinamento e le emissioni;
  2. Azienda agricola 4.0: adottare tecniche di agricoltura e zootecnia avanzate per calibrare le risorse necessarie alle colture e allevamenti;
  3. Gestione dei liquami da allevamento: impiegare effluenti zootecnici e scarti agricoli nella digestione anaerobica per ridurre le emissioni e produrre bioenergie rinnovabili;
  4. Fertilizzazione organica: utilizzare fertilizzante organico (digestato) per restituire nutrienti al suolo e ridurre l’uso di fertilizzanti chimici;
  5. Lavorazioni agricole innovative: adottare tecniche avanzate di lavorazione del suolo e fertilizzazione organica per ridurre le emissioni dai suoli;
  6. Qualità e benessere animale: implementare tecniche agricole e zootecniche di eccellenza per migliorare la qualità e il benessere degli allevamenti;
  7. Incremento fertilità dei suoli: adottare le doppie colture per incrementare la cattura della Co2 e la fertilità dei suoli;
  8. Agroforestazione: integrare coltivazioni suoli legnose nei campi coltivati per aumentare la fotosintesi e la sostanza organica nei suoli;
  9. Produzione e uso di biomateriali: sviluppare e utilizzare materiali di origine biologica, naturali e rinnovabili;
  10. Biogas e altri gas rinnovabili: produrre metano e idrogeno rinnovabili dal biogas agricolo.

Il progetto punta a raggiungere un potenziale di produzione di 6,5 miliardi mc di biometano agricolo entro il 2030, all’abbattimento delle emissioni del settore agricolo del 32%, oltre a una ulteriore riduzione del 6% delle emissioni nazionali di Co2 legate all’uso di energia fossile.

Agricoltura come soluzione alla crisi energetica. Più biogas e biometano

Il superamento della crisi energetica può passare anche dall’agricoltura? Sì, ma è necessario l’allentamento dei vincoli burocratici che, da un lato costringono le imprese a produrre meno energia di quanto potrebbero e, dall’altro, rendono difficile lo sviluppo del biogas e del biometano. Ne è certo Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas (CIB) – che rappresenta tutta la filiera della produzione di biogas e biometano in agricoltura – secondo il quale rimuovendo alcuni limiti burocratici, “gli impianti agricoli esistenti potrebbero garantire un incremento di produzione di 600 milioni di metri cubi di biogas nel mix energetico (pari a circa 15% dell’attuale produzione) da destinare al mercato elettrico”. L’immediata applicazione delle misure previste dal Pnrr, inoltre, spiega, “potrebbe garantire la produzione di oltre 4 miliardi di metri cubi di biometano al 2026, pari a circa il 30% dell’obiettivo del nostro Governo di sostituzione delle forniture di gas naturale importato dalla Russia”.

Secondo i dati dello Statistical report 2021 di EBA (European Biogas Association), inoltre, dal 2019 al 2020 c’è stata una crescita notevole del biometano in Europa e le previsioni sono rosee. Oggi, la produzione di biogas e biometano potrebbe coprire il 4,6% del fabbisogno in Ue ed entro il 2050 la percentuale potrebbe salire al 30%.

LA DIFFUSIONE DEL BIOGAS AGRICOLO

Attualmente in Italia ci sono 1700 impianti agricoli, che rappresentano l’84% degli impianti di biogas sul nostro territorio, per un potenza installata agricola di 1014 MW. Negli ultimi 10 anni lo sviluppo della digestione anaerobica ha fatto registrare 4,5 miliardi di euro di investimenti, creando 12mila posti di lavoro stabili.

SERVONO INVESTIMENTI

Ma allora cosa manca per agire? La filiera, assicura Gattoni, “è pronta a investire nel settore”, ma servono “misure ad hoc per aumentare la disponibilità di biogas da destinare alla produzione di energia elettrica degli impianti esistenti” e “accelerare l’emanazione dei decreti di attuazione del Pnrr sul biometano”.

LE OPPORTUNITÀ OFFERTE DAL PNRR

Il Pnrr rappresenta sicuramente una grande opportunità per il settore. Alla missione 2, la cosiddetta ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’, sono stati assegnati circa 60 miliardi di euro, cioè quasi un terzo (il 31%) dei 191 miliardi di euro del Piano complessivo. All’interno di questo capitolo, poco più di 23 miliardi di euro (il 34% del totale della missione 2) sono destinati alle energie rinnovabili e alla mobilità sostenibile. Ed è proprio qui che si inserisce lo sviluppo delle rinnovabili. Con il Pnrr si è aperta la possibilità di produrre biometano da destinare anche a settori diversi dai trasporti: per questo punto il piano di sviluppo prevede lo stanziamento di circa 1,92 miliardi di euro.

A PICCOLI PASSI

All’inizio di aprile nel decreto legge Energia è stata inserita una norma sul digestato equiparato, che ne ha riconosciuto il valore fertilizzante. “La possibilità di sostituire fertilizzanti chimici con digestato equiparato, un digestato agricolo utilizzato in modo ottimale – spiega Gattoni – consente di ridurre i costi a carico delle molte aziende agricole già fortemente provate dalla crisi economica in corso, di tutelare la fertilità dei suoli e di favorire davvero l’economia circolare in agricoltura, su cui il settore biogas e biometano è impegnato da oltre un decennio“. Ora si attende l’adozione del decreto FER 2, che introduce diversi incentivi per la realizzazione di impianti geotermici, a biomasse, a biogas, solare termodinamico ed eolico offshore.

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L’Italia perde la leadership sul valore aggiunto agricolo. Vince la Francia

La Francia guida la produzione agricola in Europa, tallonata dall’Italia. Lo riferisce l’Istat nella relazione ‘Economia e legislazione agricola – Anno 2021’. Con 81,6 miliardi di euro (circa il 18,4% del totale dei 27 Paesi Ue) nel 2021 la Francia ha consolidato infatti la leadership della produzione agricola tra gli Stati membri, seguita da Italia (60 miliardi di euro e 13,5% del totale), Germania (59,4 miliardi di euro e 13,4% del totale) e Spagna (56,4 miliardi di euro, 12,7%); seguono Paesi Bassi (30,3 miliardi di euro, 6,8%) e Polonia (27,5 miliardi di euro e 6,2%). Tra i 27 Stati dell’Unione, 22 hanno registrato un andamento positivo del valore della produzione agricola nel 2021. Gli incrementi maggiori hanno interessato, tra i principali Paesi membri, Romania (+29,5%), Spagna (+7,8%), Paesi Bassi (+7,4%), Polonia (+7%), Francia (+6,9%), Italia (+5,6%) e Germania (+3,1%).

VALORE AGGIUNTO, L’ITALIA PERDE LA LEADERSHIP CHE DETENEVA DAL 2013

Il valore aggiunto agricolo si è attestato a 184 miliardi di euro per il complesso dell’Ue, segnando un incremento del 3,5% rispetto al 2020. “In tale contesto – riferisce l’istituto di statistica – va menzionato l’exploit della Francia (+12,7%) che, con 35,1 miliardi di euro, ha raggiunto il primo posto della classifica, scavalcando l’Italia. Pur avendo incrementato del 2,3% il proprio valore aggiunto agricolo, il nostro Paese si è fermato a 32,7 miliardi di euro perdendo una leadership che durava ininterrottamente dal 2013. Spagna (29,7 miliardi) e Germania (19,4 miliardi) figurano in terza e quarta posizione“.

Tra i maggiori produttori, solo la Romania è riuscita a superare la performance della Francia (+23,3%), mentre per gli altri principali Stati membri l’incremento del valore aggiunto è stato più contenuto (+3,8% per Spagna, +2,4% per Paesi Bassi, +2,3% per l’Italia) e in alcuni casi negativo (Polonia -17,8%, Germania -6,1%). Riguardo agli input agricoli dell’Ue (consumi intermedi), dopo la frenata del 2020 (-0,8% in valore), nel 2021 si è registrato un consistente incremento del valore dei costi (+9,8%), dovuto soprattutto al rincaro dei prodotti energetici e dei fertilizzanti. I prezzi (misurati in termini di prezzo base) hanno manifestato un generale consistente rialzo per il complesso dell’Ue27 (+7,4%). Gli aumenti più accentuati sono stati rilevati in Romania (+10,8%), Francia (+8,6%), Grecia (+7,9%), Paesi Bassi e Polonia (+7,8%) e Spagna (+7,6%).

L’indicatore di reddito agricolo – che misura la produttività del lavoro in agricoltura – è cresciuto dell’1,5% a livello Ue27 ma, tra i principali Stati membri, solo Romania (+28%) e Francia (+16,3%) hanno fatto registrare una crescita rilevante, mentre tutti gli altri sono risultati in negativo (Polonia -18,9%, Germania -10,8%, Spagna -5,2%, Grecia -3,3%, Paesi Bassi -2,8% e Italia -1,6%).

istat

LA RESILIENZA DELL’AGRICOLTURA EUROPEA

Secondo l’Istat, nel 2020 l’economia agricola europea ha dimostrato, nel complesso, una notevole capacità di resilienza di fronte alle difficoltà legate alla crisi sanitaria e le ripercussioni sono risultate contenute. Inoltre nel 2021, in base alle prime stime, il valore della produzione del comparto agricolo ha fatto registrare segnali di ripresa per l’insieme dei Paesi Ue27 rispetto all’anno precedente. A livello quantitativo, i comparti in maggiore sofferenza sono stati quello vinicolo (-13,4%) e quello frutticolo (-4,9%), mentre hanno segnato un notevole recupero la produzione di olio d’oliva (+13,3%), le coltivazioni industriali (+5,8%) e quelle cerealicole (+5,6%). In termini di valore, olio d’oliva, cereali e piante industriali sono state le coltivazioni più redditizie (rispettivamente +43,1%, +34,5% e +30,4%). “Decisivo nel 2021 – conclude l’Istat – è stato il ruolo giocato dall’andamento dei prezzi alla produzione che, spinti essenzialmente dal robusto aumento dei costi degli input intermedi, sono risultati in generale sensibile aumento per tutte le tipologie di produzioni, con un picco raggiunto da olio d’oliva, cereali e piante industriali. Anche il comparto zootecnico ha fatto registrare sensibili aumenti dei prezzi alla produzione, ad eccezione di quelli delle carni suine“.

produzione agricola

allevamento

Allevamenti ad alte emissioni. Quanto inquina la produzione di carne e latte?

Nella strategia Farm to fork, incentrata sull’intera filiera alimentare che va dal campo al piatto dei consumatori, l’Unione europea affronta il problema di come rendere più sostenibili le attività agricole, che in Europa sono la terza fonte di emissione di Gas a effetto serra (Ghg). Tra queste, l’allevamento è quella più impattante, responsabile dei quattro quinti delle emissioni agricole. La situazione non è però omogenea a livello mondiale. Vale quindi la pena di approfondire il tema per capire quanto in effetti inquini la produzione di carne, latte e altri alimenti di origine animale. Partiamo dal contesto globale, confrontando alcuni studi sull’impatto dell’attività zootecnica per comprendere l’entità delle emissioni climalteranti prodotte da questo comparto e valutarne il peso effettivo rispetto ad altre attività antropiche.

allevamenti

Al livello globale, secondo la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), tra il metano sprigionato dalla fermentazione enterica dei ruminanti e dalla gestione delle deiezioni animali che produce anche ossido di azoto, nel 2019 l’impatto degli allevamenti è stato di 3,7 Gigaton (Gt) di Co2 equivalente, unità di misura che prende in considerazione gli effetti delle diverse sostanze climalteranti rapportandoli a quelli dell’anidride carbonica, standardizzandone così la misurazione. Si tratta dei dati più recenti disponibili, pubblicati nel rapporto ‘FaoStat Analytical Brief 2021’ e riferiti al 2019, dai quali emerge che la zootecnia è responsabile del 51,4% delle emissioni derivanti dall’attività agricola, al netto di quelle prodotte dal cambio di destinazione d’uso del suolo. Rispetto al totale delle emissioni antropiche a livello globale, indicate nello studio ‘Emission gap report 2020’ dell’Unep (Programma delle Nazioni unite per l’ambiente) in 59,1 Gt di Co2 equivalente nel 2019, l’agricoltura nel complesso risulta responsabile del 12,2 per cento delle emissioni, mentre agli allevamenti in particolare è imputabile il 6,3 per cento del totale dei gas serra prodotti dall’uomo.

Per avere un’idea più chiara del peso della produzione di cibo sul riscaldamento globale, può essere utile un confronto con le altre attività produttive. Il riferimento è sempre il rapporto Unep 2020, che attribuisce il 24% delle emissioni totali prodotte nel 2019 alla sola produzione di elettricità e riscaldamento. Il settore dei trasporti, altro comparto critico per l’aumento delle temperature globali, è invece responsabile del 14% delle emissioni totali, prodotte principalmente dal trasporto su gomma. Nel settore dell’industria, il solo utilizzo di energia produce l’11 per cento dei Ghg globali, e un ulteriore 9 per cento è prodotto dai processi industriali.

intelligenza artificiale

IA e agricoltura 4.0 vanno di pari passo con il Green Deal Ue

Digitalizzazione e transizione verde sono un binomio inscindibile nella strategia a lungo termine dell’Ue, ma, come ha recentemente ammesso il vicepresidente della Commissione europea per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, “dobbiamo calcolare l’impatto ambientale della trasformazione digitale, perché i settori delle nuove tecnologie diventeranno i più inquinanti”. A questo obiettivo può contribuire l’intelligenza artificiale (IA), in particolare nei suoi risvolti positivi nel settore agricolo, come ha rilevato uno studio pubblicato dalla commissione speciale per l’Intelligenza artificiale (Aida) del Parlamento europeo.

Le applicazioni di intelligenza artificiale in questo ambito si concentrano principalmente sui sistemi agricoli intensivi e industrializzati: i dati necessari sono generati da tecnologie di telerilevamento (satelliti, aerei e droni) e attraverso sensori a terra, per l’identificazione dello stress idrico, il monitoraggio delle malattie delle colture, la mappatura delle erbe infestanti e la previsione della resa delle colture. Il caso più avanzato è l’agricoltura di precisione, dove l’elaborazione dei dati attraverso l’IA consente agli agricoltori di prendere decisioni sulla gestione più efficiente di fertilizzanti e pesticidi: per esempio, le telecamere installate sulle macchine agricole possono generare immagini delle piante sul campo da elaborare attraverso deep learning per riconoscere in tempo reale le erbacce, che saranno estirpate in modo mirato dalle macchine stesse. Con questo processo si prevede di ridurre l’uso degli erbicidi del 77%.

Ma è soprattutto sul piano della riduzione delle emissioni che l’intelligenza artificiale può fare la differenza. L’agricoltura è responsabile del 10% delle emissioni di gas serra dell’Ue e una soluzione per la riduzione del consumo di carburante delle macchine agricole può arrivare dallo sviluppo delle pratiche di precisione implementate dalle nuove tecnologie. Non va poi dimenticato il contributo per diminuire le emissioni di diossido di azoto dai terreni agricoli. Un effetto noto delle nuove tecnologie è l’aumento delle rese e la gestione della salute del suolo, portando a una minore pressione per l’espansione della superficie agricola e liberando colture e pascoli su suoli organici: l’intelligenza artificiale può diminuire i costi del monitoraggio e analizzare l’efficacia delle misure sul contenuto di carbonio nel suolo.

C’è poi un ultimo aspetto su cui le tecnologie di IA possono dare un contributo alle ambizioni del Green Deal europeo: la riduzione del consumo d’acqua. L’intelligenza artificiale può essere utilizzata – attraverso immagini satellitari e informazioni sui volumi delle precipitazioni – per determinare l’umidità del suolo e altri parametri rilevanti per gli agricoltori, guidandoli a fare un uso più efficiente dell’irrigazione. L’ottimizzazione della gestione idrica dipende anche da informazioni meteorologiche accurate e l’IA può essere sfruttata sia migliorare le previsioni (anche a livello di singola azienda agricola), sia per sviluppare modelli di adattamento ai cambiamenti climatici.

Deforestazione

L’impatto delle commodities agricole sulla deforestazione

L’espansione dell’agricoltura nelle regioni tropicali è la più grande minaccia per le foreste, determinando la conversione di circa 5 milioni di ettari (Mha) l’anno. I 7 giganti che dominano la distruzione delle foreste tropicali sono (in ordine di importanza): bovini, olio di palma, soia, cacao, gomma, caffè e legno, responsabili (tra il 2001 e il 2015) del 57% della deforestazione connessa all’agricoltura, un’area grande quanto tutta la Germania. Ma quali sono le materie prime agricole che impattano di più sulla deforestazione del pianeta?

Deforestazione

PASCOLI PER IL BESTIAME. L’allevamento di bovini è la principale causa di perdita di foreste tropicali al mondo. Complessivamente, la carne bovina causa il 37% della deforestazione e, tra il 2011 e il 2015 ha distrutto 45,1 milioni di ettari di foreste. Il 70% di quest’area si trova in Amazzonia.

PALMA DA OLIO. A livello globale, tra il 2001 e il 2015, le piantagioni di palma da olio si sono espanse su 22,4 Mha, facendo aumentare del 167% l’impronta totale di questa commodity. Solo il 19% dell’olio di palma prodotto globalmente è certificato RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil).

SOIA. A livello globale, tra il 2001 e il 2015, le coltivazioni di soia hanno sostituito 8,2 Mha di foresta. Il 97% di questa deforestazione
si è verificata in Sud America. Solo l’1% della soia prodotta globalmente è certificata RTRS (Round Table on Responsible Soy).

CACAO. Tra il 2001 e il 2015, il cacao ha causato la perdita di 2,3 Mha di foresta. L’Indonesia e la Costa d’Avorio sono stati i due Paesi con la maggiore superficie forestale sostituita dalle coltivazioni di cacao (rispettivamente 25% e 22% del totale globale), seguite da Brasile (19%), Ghana (10%) e Camerun (6%).

CAFFÈ. Quasi 2 Mha di foresta sono stati sostituiti da piantagioni di caffè tra il 2001 e il 2015, di cui 1,1 Mha per la varietà Robusta e 0,8 Mha per l’Arabica.

GOMMA. Tra il 2001 e il 2015, la gomma ha causato la perdita di 2,1 milioni di ettari di foresta.

 

(Fotografia di Gianfranco Mancusi)