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Clima, Onu: Meno inquinamento atmosferico da polveri sottili in Europa e Cina

L’inquinamento atmosferico da polveri sottili è diminuito lo scorso anno in Europa e in Cina grazie alla riduzione delle emissioni legate alle attività umane. Lo ha reso noto l’Onu, invitando ad affrontare congiuntamente il cambiamento climatico e la qualità dell’aria.
Le particelle sottili PM2,5 (con un diametro non superiore a 2,5 micron) rappresentano un grave rischio per la salute se inalate per lunghi periodi, poiché sono abbastanza piccole da raggiungere il flusso sanguigno.

Le fonti di queste particelle sono le emissioni derivanti dalla combustione di combustibili fossili, come i veicoli e l’industria, ma anche fonti naturali come gli incendi boschivi o la polvere del deserto trasportata dal vento.

“I dati per l’anno 2023 indicano un’anomalia negativa, cioè una diminuzione del PM2,5 rispetto al periodo di riferimento 2003-2023, su Cina ed Europa”, ha dichiarato il dottor Lorenzo Labrador, esperto scientifico dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), in occasione della pubblicazione del bollettino annuale sulla qualità dell’aria e il clima.

Il bollettino, pubblicato dall’OMM, un’agenzia delle Nazioni Unite, in vista della Giornata internazionale dell’aria pulita per cieli blu, che si celebra il 7 settembre, sottolinea che la qualità dell’aria e il cambiamento climatico sono correlati, poiché le sostanze chimiche responsabili dell’inquinamento atmosferico sono generalmente emesse contemporaneamente ai gas serra.
Il cambiamento climatico e la qualità dell’aria non possono essere trattati separatamente. Vanno di pari passo e devono essere affrontati insieme”, ha dichiarato il segretario generale aggiunto dell’OMM Ko Barrett in un comunicato stampa. L’OMM avverte: “Il circolo vizioso tra cambiamenti climatici, incendi boschivi e inquinamento atmosferico sta avendo impatti negativi sempre più gravi sulla salute umana, sugli ecosistemi e sull’agricoltura”.

Per quanto riguarda il particolato, il bollettino non presenta un’analisi globale o regione per regione, ma riporta diverse tendenze regionali.
Sulla base dei dati del servizio europeo di monitoraggio atmosferico Copernicus e della NASA, l’OMM ha rilevato che “in India sono stati misurati livelli di PM2,5 superiori alla media, a causa dell’aumento delle emissioni di inquinanti legate alle attività umane e industriali”, secondo il comunicato. Questo “aumento di PM2,5” riguarda “il subcontinente indiano e alcune parti del Sud-Est asiatico”, secondo Lorenzo Labrador. D’altra parte, la Cina e l’Europa hanno misurato livelli inferiori alla media, secondo l’OMM.

Tendiamo a pensare che il calo dell’inquinamento in Europa e in Cina sia il risultato diretto di una riduzione delle emissioni in questi Paesi nel corso degli anni. Abbiamo notato questa tendenza da quando abbiamo iniziato a pubblicare il bollettino nel 2021”, ha aggiunto lo scienziato, che ne ha coordinato la pubblicazione. Negli Stati Uniti, la situazione è essenzialmente “come al solito rispetto al periodo di riferimento”, ha spiegato, ma i dati mostrano che gli incendi boschivi in Nord America, secondo l’OMM, “hanno causato emissioni di PM2,5 eccezionalmente elevate rispetto al periodo di riferimento 2003-2023”. Il WMO segnala anche emissioni di polvere inferiori al normale nei deserti della Penisola Arabica e in gran parte del Nord Africa.

Coste e mare ostaggio dell’illegalità: accertato un reato ogni 119 metri. Nel 2023 crescono del 29,7%

Ogni 119 metri di coste italiane si verifica un reato ambientale, cioè 8,4 per chilometro. Si va dal ciclo illegale del cemento (10.257 reati, +11,2% nel 2023 rispetto al 2022), a quello dei rifiuti legato all’inquinamento del mare (6.372, +59,3%), fino alla pesca illegale (4.268 illeciti penali, +11,3%). Preoccupa anche la violazione delle normative che regolano la nautica da diporto: 2.059 illeciti penali accertati nel 2023, + 230% rispetto al 2022. Coste e mari italiani sono sempre più minacciati dalle illegalità e lo scorso anno è stato da “codice rosso”: 22.956 i reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, cioè il 29,7% in più rispetto al 2022. Oltre 25mila le persone denunciate (+43% rispetto all’anno precedente). A scattare questa fotografia è il nuovo report ‘Mare Monstrum 2024’ che Legambiente ha presentato alla vigilia del 14esimo anniversario dell’uccisione a Pollica (SA) del sindaco pescatore Angelo Vassallo, per tenere viva la memoria del suo impegno contro speculazioni e illegalità. Cresce, però, l’efficacia dell’azione repressiva, come dimostra il numero di persone arrestate (204, +98,1% rispetto al 2022) e quello dei sequestri, pari a 4.026, in crescita del 22,8% sul 2022.

Il rapporto mostra una grande disparità a livello geografico. Un reato su due (50,3%) si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania (3.095 illeciti penali), Sicilia (3.061), Puglia (3.016) e Calabria (2.371), che guidano nell’ordine, come numeri assoluti, la classifica regionale, seguite dal Lazio (1.529 reati) e dalla Toscana (1.516). Nelle prime dieci regioni figurano Sardegna, Veneto, Liguria e Marche. Proprio questa regione è, invece, la prima come numero di illeciti complessivi (reati e violazioni amministrative) per km di costa (38,9), seguita da Friuli-Venezia Giulia (31,9 illeciti per km) e Basilicata (30,9).

Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, chiede di “rafforzare il ruolo e le attività di competenza di tutte le istituzioni coinvolte” e invita a “potenziare l’attività di demolizione degli immobili abusivi, e non prevedendo nuovi condoni, ammodernare e completare il sistema di fognature e depuratori, potenziare l’economia circolare e prevedere sanzioni più severe per la pesca illegale”.

Entrando nel dettaglio, il ciclo illegale del cemento (dall’abusivismo edilizio alle occupazioni illecite del demanio marittimo fino alle cave fuorilegge), con 10.257 reati (+11,1% sul 2022) rappresenta da solo il 44,7% di tutte le infrazioni accertate nel 2023 contro i mari e le coste. Al cemento lungo le coste si sommano l’abbandono e gli smaltimenti illegali di rifiuti, gli scarichi in mare e la mala depurazione. Primo posto in classifica per illeciti di questo tipo, spetta alla Campania anche se in leggera flessione (-2,3%) rispetto al 2022, seguita dalla Puglia e dalla Calabria. Sul fronte della pesca illegale, analizzando tutti gli illeciti, sia penali sia amministrativi, in termini assoluti la Sicilia guida la classifica con 1.872 infrazioni, seguita da Puglia (1.264), Lazio (824) e Liguria (809).

Dall’Arca di Noè al deposito sulla Luna: ecco come salvare la biodiversità

Una volta c’era l’Arca di Noè, oggi il biorepository lunare. Con numerose specie a rischio di estinzione, un team internazionale di ricercatori ha proposto una soluzione innovativa per proteggere la biodiversità del pianeta: una sorta di ‘deposito’ di campioni crioconservati custodito sulla luna.

Guidato dalla dottoressa Mary Hagedorn del National Zoo and Conservation Biology Institute dello Smithsonian, il team prevede di sfruttare le temperature naturalmente fredde della Luna, in particolare nelle regioni permanentemente in ombra vicino ai poli, dove si resta costantemente al di sotto dei -196 gradi Celsius. Queste condizioni sono ideali per la conservazione a lungo termine di campioni biologici senza la necessità di intervento umano o di alimentazione, due fattori che potrebbero minacciare la resilienza dei depositi sulla Terra. Altri vantaggi chiave di una struttura lunare sono la protezione dai disastri naturali terrestri, dai cambiamenti climatici e dai conflitti geopolitici.

Un primo obiettivo nello sviluppo di un biorepository lunare sarebbe la crioconservazione di campioni di pelle animale con cellule di fibroblasti. Il team di autori ha già iniziato a sviluppare protocolli utilizzando l’Asterropteryx semipunctata, un tipo di pesce, cui seguiranno altre specie. Gli autori prevedono inoltre di “sfruttare il campionamento su scala continentale attualmente in corso presso la National 190 Ecological Observatory Network (NEON) della U.S. National Science Foundation” come fonte per il futuro sviluppo di cellule di fibroblasti.

Le sfide da affrontare includono lo sviluppo di un imballaggio robusto per il trasporto nello spazio, l’attenuazione degli effetti delle radiazioni e la creazione di un complesso quadro di governance internazionale per il deposito. Per questo gli autori richiedono un’ampia collaborazione tra nazioni, agenzie e parti interessate internazionali per realizzare questo programma decennale. I prossimi passi comprendono l’ampliamento delle partnership, in particolare con le agenzie di ricerca spaziale, e la conduzione di ulteriori test sulla Terra e a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.

Nonostante le sfide da superare, gli autori sottolineano che la necessità di agire è forte: “A causa di una moltitudine di fattori antropici, un’alta percentuale di specie ed ecosistemi si trova ad affrontare minacce di destabilizzazione ed estinzione che stanno accelerando più velocemente della nostra capacità di salvare queste specie nel loro ambiente naturale”.

foreste

Il cambiamento climatico ‘stressa’ le foreste e le espone a incendi e parassiti

l cambiamento climatico sta aumentando la suscettibilità delle foreste mondiali a fattori di stress come incendi e parassiti, secondo una nuova pubblicazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) che sottolinea il ruolo dell’innovazione nel raggiungimento di un futuro sostenibile per il settore forestale. Il rapporto, intitolato ‘The State of the World’s Forests 2024: Forest-sector innovations towards a more sustainable future’ è stato presentato oggi in occasione della 27esima sessione del Comitato per le Foreste (Cofo), in corso presso la sede della Fao a Roma fino a venerdì. Il Cofo è l’organo di governo forestale più importante della Fao e ha il compito di individuare le questioni politiche e tecniche emergenti, cercare soluzioni e consigliare l’organizzazione sulle azioni da intraprendere. Il tema dell’incontro di quest’anno è ‘Accelerare le soluzioni forestali attraverso l’innovazione’.

Secondo il documento “ci sono prove” che indicano che il cambiamento climatico sta rendendo le foreste più vulnerabili a fattori di stress come incendi e parassiti. Di fronte a queste sfide, il rapporto sostiene che l‘innovazione nel settore forestale “è un fattore cruciale” per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

“La FAO riconosce che la scienza e l’innovazione sono ingredienti cruciali per raggiungere soluzioni basate sulle foreste”, scrive il direttore della Fao QU Dongyu nell’introduzione del rapporto.

AUMENTANO GLI INCENDI BOSCHIVI. L’intensità e la frequenza degli incendi selvaggi stanno aumentando, anche in aree precedentemente non colpite, e si stima che nel 2023 gli incendi abbiano rilasciato 6.687 megatonnellate di anidride carbonica a livello globale. In passato gli incendi boreali erano responsabili di circa il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica. Nel 2021, tali incendi hanno raggiunto un nuovo picco, principalmente a causa della prolungata siccità che ha provocato un aumento della gravità degli incendi e del consumo di combustibile, e hanno rappresentato quasi un quarto delle emissioni totali di incendi boschivi.

LE SPECIE INVASIVE. Il cambiamento climatico rende anche le foreste più vulnerabili alle specie invasive, con insetti, parassiti e malattie patogene che minacciano la crescita e la sopravvivenza degli alberi. Il nematode del pino ha già causato danni significativi alle pinete autoctone di alcuni Paesi asiatici e si prevede che entro il 2027 alcune aree del Nord America subiranno danni devastanti a causa di insetti e malattie.

LA PRODUZIONE DI LEGNO. La produzione globale di legno, invece, rimane a livelli record. Dopo un breve calo durante la pandemia, la produzione è tornata a circa 4 miliardi di metri cubi all’anno. Quasi 6 miliardi di persone utilizzano prodotti forestali non legnosi e il 70% dei poveri del mondo si affida a specie selvatiche per cibo, medicine, energia, reddito e altri scopi. Le proiezioni indicano che la domanda globale di legno tondo potrebbe aumentare fino al 49% tra il 2020 e il 2050.

SOLUZIONI INNOVATIVE. Il rapporto identifica cinque tipi di innovazione che aumentano il potenziale delle foreste nell’affrontare le sfide globali: tecnologica, sociale, politica, istituzionale e finanziaria. Tra gli esempi, il potenziale dell’intelligenza artificiale per facilitare l’analisi automatizzata di un vasto volume di dati ottici, radar e lidar, esistenti e futuri, raccolti quotidianamente da droni, satelliti e stazioni spaziali; l’adozione del legno massiccio e di altre innovazioni basate sul legno che possono sostituire i prodotti a base fossile nel settore edilizio; le politiche volte a coinvolgere le donne, i giovani e le popolazioni indigene nello sviluppo di soluzioni guidate a livello locale; le innovazioni nel settore finanziario pubblico e privato per aumentare il valore delle foreste in piedi.

Dal momento che l’innovazione può creare vincitori e vinti, il rapporto sostiene la necessità di approcci inclusivi e rispondenti alle esigenze di genere per garantire un’equa distribuzione dei benefici tra uomini, donne e giovani di tutti i gruppi socioeconomici ed etnici. La promozione dell’innovazione deve considerare e integrare le circostanze, le prospettive, le conoscenze, i bisogni e i diritti di tutte le parti interessate.

Il rapporto elenca cinque azioni che contribuiranno a far crescere l’innovazione nel settore forestale: sensibilizzare l’opinione pubblica, potenziare le competenze, le capacità e le conoscenze in materia di innovazione, incoraggiare i partenariati di trasformazione, garantire finanziamenti maggiori e universalmente accessibili per l’innovazione e fornire un ambiente politico e normativo incentivante.

 

 

Nel 2023 impennata delle ecomafie: +15,6% i reati ambientali, 4 ogni ora. Mercato vale 8,8 miliardi

In Italia le ecomafie premono sempre di più sull’acceleratore e fanno affari d’oro. A dimostrarlo è l’aumento dei reati ambientali che nel 2023 salgono a 35.487, registrando +15,6% rispetto al 2022, con una media di 97,2 reati al giorno, 4 ogni ora. Illeciti che si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% deli illeciti penali, +3,8% rispetto al 2022. Tutto il mercato illegale nella Penisola è valso agli ecomafiosi nel 2023 ben 8,8 miliardi.

CICLO ILLEGALE DEL CEMENTO E DEI RIFIUTI. A tracciare un quadro di sintesi è il nuovo report di Legambiente ‘Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia’ (edito da Edizioni Ambiente), nel 30esimo anno dalla sua prima pubblicazione, e i cui dati sono stati presentati oggi a Roma. Dati nel complesso “preoccupanti”: nel 2023 in Italia aumenta anche il numero delle persone denunciate (34.481, +30,6%), così come quello degli arresti (319, +43% rispetto al 2022) e quello dei sequestri (7.152, +19%). Tra gli illeciti, nella Penisola continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento (13.008 reati, +6,5%), che si conferma sempre al primo posto tra i reati ambientali; ma a preoccupare è soprattutto l’impennata degli illeciti penali nel ciclo dei rifiuti, 9.309, + 66,1% che salgono al secondo posto. Al terzo posto con 6.581 reati la filiera degli illeciti contro gli animali (dal bracconaggio alla pesca illegale, dai traffici di specie protette a quelli di animali da affezione fino agli allevamenti); seguita dagli incendi dolosi, colposi e generici con 3.691 illeciti. Crescono anche i numeri dell’aggressione al patrimonio culturale (642 i furti alle opere d’arte, +58,9% rispetto al 2022) e degli illeciti nelle filiere agroalimentari (45.067 illeciti amministrativi, + 9,1% rispetto al 2022), a cominciare dal caporalato. Sono inoltre 378 i clan mafiosi censiti.

CAMPANIA E NAPOLI IN TESTA ALLA CLASSIFICA PER NUMERO DI REATI. La Campania è la regione italiana al primo posto della classifica con più illeciti ambientali nel 2023. Si tratta di 4.952 reati, pari al 14% del totale nazionale, seguita da Sicilia (che sale di una posizione rispetto al 2022, con 3.922 reati, +35% rispetto al 2022), Puglia (scesa al terzo posto, con 3.643 illeciti penali, +19,2%) e Calabria (2.912 reati, +31,4%). La Toscana sale dal settimo al quinto posto, seguita dal Lazio. Balza dal quindicesimo al settimo posto la Sardegna. Tra le regioni del Nord, la Lombardia è sempre prima.

A livello provinciale, Napoli torna al primo posto, a quota con 1.494 reati, seguita da Avellino (in forte crescita con 1.203 reati, pari al +72,9%) e Bari. Roma scende al quarto posto, con 867 illeciti penali, seguita da Salerno, Palermo, Foggia e Cosenza. La prima provincia del Nord è quella di Venezia, con 662 reati, che si colloca al nono posto ed entra nella classifica delle prime venti province per illegalità ambientale.

CIAFANI: “DAL GOVERNO ASPETTIAMO UN SEGNALE”. “In questi tre decenni – spiega il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – il Rapporto Ecomafia è diventato sempre più un’operaomnia per analizzare i fenomeni criminali legati al business ambientale, grazie anche a contributi istituzionali di rilievo, come dimostra l’edizione 2024. Dalla nostra analisi, emerge però che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove continuano a mancare norme importanti, come quelle che dovrebbero semplificare gli abbattimenti degli ecomostri – assegnando ad esempio ai Prefetti l’esecuzione delle ordinanze di demolizione mai eseguite nei decenni passati –, l’inserimento nel Codice penale dei delitti commessi dalle agromafie oppure l’approvazione dei decreti attuativi della legge istitutiva del SNPA per rendere più efficaci i controlli pubblici delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente”. “Dal Governo Meloni – aggiunge – ci aspettiamo un segnale di discontinuità. Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi”.

acqua

Ambiente, quanti litri di acqua servono per fare una T-shirt

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA sono riportati i numeri comunicati dalla Direzione generale ambiente della Commissione europea. “Per produrre una maglietta (T-shirt) – viene spiegato -, sono necessari 2.700 litri di acqua dolce. Pari a quanto beve una persona in 2 anni e mezzo”. Ad esempio, oltre alla T-shirt, la Dg Ambiente riporta che per 1 Kg di cioccolata sono necessari 17.196 litri di acqua; per 1 Kg di carne ne servono 15 mila, per una lampadina 1.301 litri.
agricoltura

Nel 2022 in Europa troppo ozono su 32,5% terreni agricoli, impatto sulla salute

Nel 2022, quasi un terzo dei terreni agricoli europei era esposto a livelli di ozono superiori al valore soglia stabilito per la protezione della vegetazione dalla Direttiva sulla qualità dell’aria ambiente (AAQD) dell’Ue. L’obiettivo a lungo termine è stato raggiunto solo per l’11,2% dei terreni agricoli. A riportarlo è l’Agenzia europea dell’Ambiente che ha sottolineato che “l’inquinamento dell’aria dovuto all’ozono troposferico è una seria preoccupazione in Europa” in quanto “ha effetti negativi sulla salute umana, sulla vegetazione e sugli ecosistemi in tutta Europa”, comportando “una riduzione dei raccolti e della crescita delle foreste e una perdita di biodiversità”.

L’ozono troposferico è un inquinante secondario di origine fotochimica, le sue concentrazioni sono determinate dalle emissioni di precursori e dalla meteorologia e tendono ad essere naturalmente più elevate in alcune regioni, come l’Europa meridionale. L’Agenzia ha ricordato che la Direttiva Ue sulla qualità dell’aria ambiente mira a proteggere la vegetazione dall’ozono e stabilisce due standard: un valore target e un obiettivo a lungo termine che si basano, entrambi, sull’esposizione accumulata all’ozono superiore a una soglia di 40 ppb (parti per miliardo) (Aot40). “Aot40 è la somma della differenza tra concentrazioni orarie superiori a 80 µg/m3 (40 ppb) e 80 µg/m3 in un dato periodo utilizzando solo i valori di un’ora misurati ogni giorno tra le 08:00 e le 20:00 ora dell’Europa centrale”, ha spiegato l’Agenzia. Il periodo va da maggio a luglio per la protezione della vegetazione e delle colture. Il valore target per la protezione della vegetazione è fissato a 18.000μg/m3.ora, calcolato su cinque anni, tuttavia questo indicatore esamina il suo valore ogni singolo anno (quella che noi chiamiamo soglia del valore target). L’obiettivo a lungo termine per la protezione della vegetazione è fissato a 6.000μg/m3/ora.

La frazione di terreno agricolo nei Paesi membri del See esposta a livelli di ozono superiori alla soglia è notevole. Nel corso del tempo si sono regolarmente osservati superamenti nell’Europa centrale, meridionale e orientale. Le considerevoli variazioni di anno in anno rendono difficile l’identificazione della tendenza, in parte a causa delle diverse condizioni meteorologiche”, ha precisato l’Agenzia. La frazione di terreno esposto a livelli di ozono superiori alla soglia del valore obiettivo ha raggiunto un minimo assoluto nel 2020 pari al 5,5%, per aumentare al 18% nel 2021, raggiungendo il 32,5% nel 2022. Ciò equivale a una superficie totale di 719.442 km2 di terreni agricoli essere esposti a livelli superiori alla soglia del valore obiettivo nel 2022. “I valori relativamente più alti nel 2022 potrebbero essere collegati all’influenza meteorologica sulla formazione di ozono. Secondo Copernicus, il 2022 è stato il quinto anno più caldo a livello globale e il secondo anno più caldo mai registrato in Europa. L’estate del 2022 è stata l’estate più calda mai registrata in Europa”, ha precisato ancora l’Agenzia europea dell’Ambiente. Intanto, 12 Paesi membri del See hanno avuto tutti i loro terreni agricoli esposti a valori inferiori alla soglia del valore obiettivo nel 2022: i 5 Paesi nordici, le tre repubbliche baltiche, il Benelux e l’Irlanda.

L’obiettivo a lungo termine è in linea con il livello critico di ozono per la protezione delle colture definito dalla Convenzione della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece) sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lungo raggio (Clrtap o Convenzione aerea). Nel 2022, questo obiettivo a lungo termine è stato raggiunto solo per l’11,2% della superficie agricola totale dei Paesi del See. Finlandia, Islanda, Irlanda, Lettonia e Lituania sono stati gli unici Paesi del See ad avere tutti i loro terreni agricoli esposti a valori inferiori all’obiettivo a lungo termine”, ha puntualizzato l’Agenzia. Per quanto riguarda la protezione delle foreste, la Convenzione Unece definisce un livello critico di esposizione all’ozono, come Aot40 definito da aprile a settembre, pari a 10.000 μg/m3 ora. “Tra il 2005 e il 2022 sono state osservate ampie variazioni nell’esposizione delle aree forestali all’ozono. Nel 2006, quasi tutte le foreste sono state esposte a livelli superiori al livello critico e nel 2018 ciò è avvenuto per l’87,5% della superficie forestale. Al contrario, nel 2015, 2017 e 2020, oltre il 40% delle foreste era esposto a livelli inferiori al livello critico, con un valore simile del 38% nel 2022. Nel 2022, il livello critico per le foreste non è stato superato in Estonia, Finlandia, Islanda e Lituania”, ha specificato in conclusione l’Agenzia europea.

I grandi vecchi che stanno dietro l’ambientalismo estremista

Continuo a pensare che dietro l’estremismo ambientalista, ideologico ed astratto, che purtroppo ha orientato negli ultimi dieci anni anche le politiche europee contro il climate change e per il così detto green deal, ci siano anche alcuni “grandi vecchi”, sconfitti nel loro credo dalla storia, ma che hanno rivestito lo spirito e il pregiudizio anticapitalista e anti-impresa con le bandiere dei verdi.

La lettura di un libro-intervista importante per il peso degli autori, Noam Chomsky e Robert Pollin: ‘Climate Crisis and the Global Green New Deal’ (2020 ed. Verso Books), mi ha definitivamente convinto di ciò e mi ha fatto ancora di più comprendere che se la battaglia contro il climate change per preservare il pianeta a beneficio delle future generazioni non si libererà al più presto del furore e dell’estremismo ideologico di questi grandi vecchi è destinata a fallire, travolta dagli schematismi astratti e dalle reazioni di rigetto che tutti gli estremismi provocano.

Noam Chomsky (Philadelphia 1928) non ha bisogno di presentazioni. È il maggiore linguista vivente e uno dei punti di riferimento della sinistra radicale americana e internazionale. È professore emerito all’MIT (Massachusetts Institute of Technology).

Robert Pollin (Washington 1950) è professore di Economia e Co-direttore del Political Economy Research Institute (PERI) alla University of Massachusetts Amherst e da molti anni si occupa di green economy.

I due intellettuali americani, veri e propri maîtres à penser cui si ispirano vasti settori della sinistra ambientalista, confermano nel loro libro-intervista che vi è una corrente di pensiero vasta e influente che ha trasformato le politiche ambientali e le lotte al cambiamento climatico in una moderna religione neopagana che di fatto demonizza il progresso economico e tecnologico, e che predica per il futuro sacrifici dolorosi oppure l’Apocalisse imminente. Non a caso la traduzione italiana del loro libro reca come titolo “Minuti contati”.

La tesi di fondo è che occorre considerare la crisi climatica come il prodotto di un sistema che ha guidato l’economia da più di 500 anni. Noam Chomsky afferma senza tentennamenti che “la tendenza intrinseca del capitalismo è degradare l’ambiente da cui dipende la vita. La logica capitalistica, se priva di vincoli, è una ricetta per la distruzione”; e ancora, collegandosi e rispolverando nostalgicamente i dogmi del marxismo-leninismo, afferma nell’intervista che “gli elementi fondanti del capitalismo conducono direttamente alla distruzione delle basi della vita sociale”. E prosegue: “Il modello occidentale di industrializzazione è stato fondato sulla schiavitù (con la creazione dell’impero del cotone e degli elementi costitutivi di gran parte dell’economia moderna), sul carbone (che si trovava in abbondanza in Inghilterra e altrove) e nel ventesimo secolo sul petrolio”.

Come non cogliere, in queste affermazioni, non solo le radici di un ambientalismo fondamentalmente anticapitalista ma anche quelle della così detta “cancel culture” che bolla tutta la storia occidentale come un abominio?

Le ricette di Chomsky e Pollin, quando gli autori cercano di passare alla pars construens, sono quanto mai vaghe e confuse. Vengono scartate, come strumenti per raggiungere la decarbonizzazione dell’economia, tutte le tecnologie non rinnovabili (nucleare, carbon capture, biocombustibili ecc.): e anche in questo caso non possiamo non ricollegare tale rifiuto alla battaglia campale, ancora in corso in Europa, per negare il concetto di “neutralità tecnologica” che è stato combattuto a lungo dall’ambientalismo radicale.

Nel mio piccolo vorrei, proprio partendo dal tema delle tecnologie, fare le mie principali contestazioni al pensiero anticapitalista e antioccidentale dei due intellettuali  statunitensi.

Non si tratta tanto di fare una difesa di principio del capitalismo e dell’ideologia neo-liberista, che di fatto non ha governato adeguatamente gli effetti della globalizzazione soprattutto nei confronti di vasti strati sociali occidentali che oggi soffrono e si ribellano.

Né si tratta d’altra parte di ricordare che proprio la globalizzazione capitalista ha tolto dalla miseria miliardi di persone nel mondo, soprattutto nelle economie emergenti, ed ha allungato la speranza di vita media come mai era successo nella storia dell’umanità.

Vorrei strettamente rimanere sul tema del climate change.

Oggi in realtà i più grandi sforzi di decarbonizzazione sono condotti proprio in occidente, in Europa e negli Stati Uniti d’America, dove sono proprio le imprese capitalistiche, in moltissimi settori, che fanno ricerca e innovazione per raggiungere processi e prodotti industriali sempre più sostenibili. Come si è già detto, non mancano gravi problemi di protezione di tutti quei settori industriali e di quelle classi sociali, già indeboliti dalla globalizzazione e ancor più colpiti dalle conseguenze di processi di deindustrializzazione provocati dalla gestione ideologica e estremista di tali politiche: “Voi parlate della fine del mondo ma noi ci preoccupiamo della fine del mese. Come sopravviveremo alle vostre riforme?” è questa la domanda pressante a cui bisogna dare risposte concrete onde evitare un rigetto totale delle politiche ambientaliste.

Ma nonostante tutti i problemi e le difficoltà l’Occidente andrà avanti, correggendo magari gli approcci più astratti e insensati della decarbonizzazione, ma andrà avanti con la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo di nuove tecnologie e la crescita necessaria per finanziare gli enormi investimenti necessari a combattere il cambiamento climatico, perché tutto ciò fa parte del corredo genetico del capitalismo. E saranno le imprese che svilupperanno questo programma, a condizione di non essere criminalizzate e contrastate fino a farle chiudere.

Noam Chomsky e Robert Pollin guardano con diffidenza a tutto ciò. È talmente grande il pregiudizio anticapitalistico che si ha la sensazione che leggano la maggior parte di questi processi come “greenwashing”.

Ma c’è un’altra critica ancora più sostanziale al loro ragionamento: non vi è in esso alcuna seria considerazione di ciò che sta effettivamente avvenendo nel mondo.

I dati sui consumi energetici del 2023 a livello mondiale ci dicono infatti due cose: la prima è che le fonti rinnovabili crescono in tutto il mondo a doppia cifra; ma la seconda è che parallelamente cresce anche il consumo di combustibili fossili, petrolio, gas e carbone.

La spiegazione di tutto ciò è semplice. I consumi totali di energia crescono soprattutto perché trainati dalle economie emergenti, come Cina e India, e le rinnovabili non riescono neanche a coprire l’aumento della domanda. Così i combustibili fossili continuano a soddisfare più dell’80% (!) del consumo totale di energia a livello mondiale: esattamente quanto succedeva 20 anni fa in termini percentuali, ma con il piccolo problema che i valori assoluti si sono più che raddoppiati, con le conseguenze facilmente immaginabili sulle emissioni totali di CO2.

Ciò naturalmente è dovuto anche al fatto che non basta solo l’elettricità prodotta dalle rinnovabili, perché ci sono settori come quelli del trasporto aereo, del trasporto marittimo, di quello su gomma oppure di taluni processi industriali non elettrificabili e del riscaldamento domestico che continuano ad avere bisogno del petrolio e/o dei suoi derivati.

Risultato: le emissioni totali continuano ad aumentare e hanno registrato il loro picco storico proprio nel 2023.

Intere aree del mondo, Asia e Africa in primis, hanno un’enorme fame di energia, una fame di energia che non può essere soddisfatta solo dal sole e dal vento, che sono fonti non programmabili, ed hanno bisogno di altre fonti capaci di coprirne la temporanea assenza (cioè quando non c’è il sole e quando non c’è il vento). Ed è questa una delle ragioni per le quali ci si torna ad occupare intensamente, in molte nazioni del mondo compresa l’Italia, di nucleare e delle sue nuove tecnologie di quarta generazione con gli SMR (small reactor) e con i microreactor, molto più sicuri e meno costosi.

I “grandi vecchi” sembrano non accorgersi di questa contraddizione e, forse in omaggio ad un terzomondismo duro a morire, pongono con forza il tema della decarbonizzazione dei paesi occidentali, ed omettono di fare altrettanto con riferimento a quei Paesi che sono già i colossi economici di oggi come Cina, India, Indonesia, Brasile, Turchia e Russia, cioè tutti quei paesi che rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale, la stragrande maggioranza delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e che esplicitamente si pongono come un’alternativa all’occidente.

Se oggi per un colpo di bacchetta magica tutta l’industria europea chiudesse facendo sparire le sue emissioni di CO2, che son più o meno il 3,5% di tutte le emissioni mondiali (!), ciò non servirebbe a nulla perché le stesse aumentano nel globo annualmente della stessa quantità.

Infine, Chomsky e Pollin fanno sorridere quando scartano per l’Occidente il nucleare civile, per la sua presunta vicinanza a questioni militari, e nulla si sentono di dire del continuo arricchimento dell’uranio fatto in Iran e in altri stati canaglia per arrivare alla bomba.

Al via la presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue, le priorità su clima e ambiente

Promuovere la transizione verso un’economia circolare, verde e climaticamente neutra, facendo in modo che abbia il favore dei cittadini: è la direzione su cui lavorerà la presidenza ungherese dell’Ue – da oggi a fine anno – cercando di puntare anche su competitività e giusta transizione. Nel suo programma per i prossimi sei mesi in cui guiderà il Consiglio dell’Ue, al capitolo ‘Un’Europa sostenibile, sana e competitiva’ si legge che la priorità di Budapest sarà “discutere l’attuazione degli obiettivi definiti nel Green deal europeo e nel pacchetto Fit for 55, nonché promuovere la transizione verso un’economia circolare, verde e climaticamente neutra” contribuendo alla triplice sfida di ridurre l’inquinamento, mitigare il cambiamento climatico e preservare la biodiversità. Sul fronte della politica climatica, per il Paese magiaro lo scopo è contribuire sia al mantenimento del ruolo guida dell’Ue sulla scena globale che al processo di definizione di un obiettivo climatico intermedio entro il 2040, “ambizioso ma raggiungibile, che garantisca che nessun cittadino o Stato membro venga lasciato indietro, assicurando insieme la competitività e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Ue”.

Allo stesso tempo, la presidenza ungherese mira a monitorare da vicino l’attuazione del pacchetto ‘Fit for 55’ del 2030come pietra angolare” per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e, in questo contesto, “si impegna a discutere le sfide e condividere le buone pratiche dei vari Stati membri: siamo fermamente convinti che una transizione verde di successo possa essere raggiunta solo se sostenuta dai cittadini”.

Nel suo semestre di presidenza, l’Ungheria lavorerà “a promuovere una più agevole cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione europea sui piani nazionali per l’energia e il clima” mentre alla 29a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop29) “si sforzerà di porre la massima enfasi possibile sull’incoraggiamento dell’azione per il clima da parte dei Paesi terzi, nonché di tenere conto degli aspetti di sicurezza del cambiamento climatico”.

Per quanto riguarda la tutela della biodiversità – definita “uno dei pilastri ambientali dell’Ue” – la presidenza ricorda gli eventi internazionali che si terranno sul tema nei prossimi mesi, dove il suo compito sarà preparare, organizzare e garantire la rappresentanza dell’Ue e dei suoi Stati membri. Rispetto all’inquinamento, la presidenza intende “compiere ulteriori passi verso l’obiettivo dell’inquinamento zero entro il 2050, promuovendo i negoziati in corso sulle proposte legislative presentate durante l’attuale mandato della Commissione al fine di ridurre al minimo l’inquinamento”.

L’obiettivo per Budapest è compiere progressi significativi, ad esempio, sulle proposte legislative sul monitoraggio del suolo e sul pacchetto One Substance One Assessment (Osoa). Altra priorità dell’Ungheria per il suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue è l’economia circolare e nel suo programma ha messo nero su bianco che “farà tutto quanto in suo potere per sostenere l’aumento della competitività e la protezione della natura nell’Unione europea nel suo insieme, incoraggiando il riutilizzo e sviluppando un sistema di raccolta e utilizzo dei rifiuti di qualità basato su soluzioni nuove e innovative”, senza che questo riduca la competitività globale delle imprese europee. Inoltre, la presidenza ungherese lavorerà per “promuovere un accordo sulla regolamentazione dei veicoli fuori uso per creare un quadro giuridico sostenibile e completo per l’industria automobilistica” e per “ottenere i maggiori progressi possibili nei negoziati sulla direttiva Green Claims”, contro il greenwashing.

Infine, per quanto riguarda il capitolo agricoltura e pesca, il programma sottolinea le pressioni sul settore date dal contesto geopolitico e dagli effetti del cambiamento climatico così come dai requisiti di produzione e dagli oneri amministrativi. “La presidenza ungherese faciliterà le discussioni su come creare un sistema alimentare europeo competitivo, a prova di crisi, sostenibile, favorevole agli agricoltori e basato sulla conoscenza”, si legge. Nel campo della pesca, “la presidenza ungherese dedicherà particolare attenzione allo sviluppo di un settore dell’acquacoltura europeo sostenibile e competitivo” e alla promozione di “una pesca europea sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale, fissando le catture annuali ammissibili per gli stock ittici in modo prevedibile e basato sulla scienza”.

Le spugne ‘magiche’ cancella-tutto rilasciano microplastiche

Se possedete un paio di scarpe bianche o avete mai provato a rimuovere una macchia di pastello da un muro, probabilmente siete grati alle spugne di melamina. La buona notizia è che questi prodotti cancellano praticamente le macchie e i graffi più difficili grazie alla loro particolare abrasività e senza l’uso di altri prodotti per la pulizia. La cattiva è che pur essendo “magiche” rilasciano fibre di microplastica quando si consumano. Lo rivela una ricerca pubblicata su ACS’ Environmental Science & Technology, secondo la quale a livello mondiale, le spugne di melamina potrebbero rilasciare oltre mille miliardi di fibre microplastiche ogni mese.

La schiuma di melamina è fatta di polimero di poli(melamina-formaldeide), una rete di fili di plastica dura assemblati in una schiuma morbida e leggera, sorprendentemente abrasiva, che la rende il materiale perfetto per ‘cancellare’ (quasi) tutto. Tuttavia, quando le spugne si consumano con l’uso, la schiuma si rompe in pezzi più piccoli che possono rilasciare fibre di microplastica che si riversano nei sistemi fognari. Una volta rilasciate nell’ambiente, le fibre possono essere consumate dalla fauna selvatica ed entrare nella catena alimentare.

Il team di ricerca ha acquistato diverse spugne di tre marche popolari, poi le ha strofinate ripetutamente contro superfici metalliche strutturate, provocando l’usura della schiuma. Hanno scoperto che le spugne fatte di schiuma più densa si consumavano più lentamente e producevano meno fibre di microplastica rispetto a quelle meno dense. Il team ha poi determinato che una singola spugna rilascia circa 6,5 milioni di fibre per grammo usurato e ha ipotizzato che tutte le spugne vendute, in media, siano usurate del 10%. Per avere un’idea approssimativa di quante fibre potrebbero essere rilasciate al mese, hanno esaminato le vendite mensili di Amazon per l’agosto 2023. Supponendo che questi numeri rimangano costanti, il team ha calcolato che ogni mese potrebbero essere rilasciati 1,55 trilioni di fibre dalle spugne di melamina. Tuttavia, questo numero tiene conto di un solo rivenditore online, quindi la quantità reale potrebbe essere ancora più alta.

Per ridurre al minimo l’emissione di fibre di microplastica, i ricercatori raccomandano ai produttori di creare spugne più dense e resistenti all’usura. Inoltre, suggeriscono ai consumatori di optare per prodotti per la pulizia naturali che non utilizzano plastica e raccomandano l’installazione di sistemi di filtraggio per catturare le fibre di microplastica rimosse in casa o negli impianti di trattamento delle acque reflue.