Allarme Wwf: “In 50 anni vertebrati selvatici calati del 73%, soprattutto in acqua dolce”

(Photo credit: © naturepl.com – Eric Baccega – WWF)

In 50 anni, dal 1970 al 2020, le diverse popolazioni di animali selvatici hanno perso in media il 73% dei loro individui, soprattutto a causa delle azioni umane. Lo rivela il ‘Living Planet Report (Lpr) 2024’ del Wwf, pubblicato pochi giorni prima dell’avvio della COP16 sulla Biodiversità in Colombia. Le conclusioni del rapporto, tuttavia, non significano che più di due terzi del numero di animali selvatici del pianeta siano scomparsi, ma che la dimensione delle diverse popolazioni (gruppi di animali della stessa specie che condividono un abitante comune) è diminuito in media del 73% negli ultimi cinquant’anni. Nella precedente edizione del report, nel 2022, il trend era del 68%.

Il Living Planet Index (LPI), fornito dalla ZSL (Zoological Society of London), si basa sui trend di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) in tutto il mondo, in un indice stabilito e aggiornato ogni due anni dalla Zoological Society di Londra (ZSL) a partire dal 1998.

L’indice è diventato un riferimento internazionale per tastare il polso degli ecosistemi naturali e analizzarne le conseguenze sulla salute umana, sull’alimentazione o sui cambiamenti climatici, nonostante le ripetute critiche degli scienziati contro il metodo di calcolo, accusato di esagerare notevolmente l’entità del declino. “Restiamo fiduciosi nella solidità” dell’indice, ha risposto Andrew Terry della ZSL, sottolineando l’uso complementare di una “serie di indicatori sui rischi di estinzione, sulla biodiversità e sulla salute degli ecosistemi per ampliare il quadro più ampio”. Ma “non si tratta solo di fauna selvatica, ma anche di ecosistemi essenziali che sostengono la vita umana”, ha avvertito Daudi Sumba, curatore capo del Wwf, durante una presentazione online.

La nuova edizione del rapporto ribadisce la necessità di affrontare congiuntamente le crisi “interconnesse” del clima e della distruzione della natura. E sottolinea la crescente minaccia di “punti critici” in alcuni ecosistemi. “I cambiamenti potrebbero essere irreversibili, con conseguenze devastanti per l’umanità”, ha avvertito Sumba, citando l’esempio dell’Amazzonia, che rischia di passare dal ruolo di “serbatoio di carbonio a emettitore di carbonio, accelerando così il riscaldamento globale. Altro esempio: la perdita dei coralli altererebbe la rigenerazione delle specie ittiche vittime della pesca eccessiva e, a sua volta, priverebbe l’umanità di preziose risorse alimentari”.

Nel dettaglio, il calo più forte si osserva nelle popolazioni delle specie di acqua dolce (-85%), seguite da quelle terrestri (-69%) e marine (-56%). “Abbiamo svuotato gli oceani del 40% della loro biomassa”, ricorda Yann Laurans del WWF Francia. Continente per continente, il calo ha raggiunto il 95% in America Latina e Caraibi, seguiti da Africa (-76%), Asia e Pacifico (-60%). La riduzione è “meno spettacolare in Europa e Asia centrale (-35%) e Nord America (-39%), ma solo perché in queste regioni gli impatti su larga scala sulla natura erano già visibili prima del 1970: alcune popolazioni si sono stabilizzate o addirittura si sono espanse grazie agli sforzi di conservazione e alla reintroduzione delle specie”, spiega il rapporto.

Il bisonte europeo, scomparso allo stato selvatico nel 1927, contava 6.800 individui nel 2020 grazie alla “riproduzione su larga scala” e alla reintroduzione riuscita, principalmente in aree protette. “Il quadro delineato è incredibilmente preoccupante”, ha affermato Kirsten Schuijt, direttore esecutivo del Wwf. “Ma la buona notizia è che non siamo ancora al punto di non ritorno”, ha aggiunto, citando gli sforzi in corso sulla scia dell’accordo sul clima di Parigi o dell’accordo di Kunming-Montreal. Quest’ultimo fissa una ventina di obiettivi di conservazione della natura che gli stati di tutto il mondo dovranno raggiungere entro il 2030.

Tre Cop e un trattato sulla plastica: fine d’anno intensa per l’ambiente

Tre conferenze internazionali sul clima, la biodiversità e la desertificazione, oltre a una sessione finale di negoziati per un nuovo trattato sulla plastica: l’autunno sarà un periodo intenso per la diplomazia ambientale. Questi incontri, che si svolgono sotto l’egida delle Nazioni Unite, mirano a raggiungere un difficile consenso di fronte a una crisi globale con molti aspetti strettamente interconnessi (riscaldamento globale, inquinamento, scomparsa di specie, avanzata dei deserti, ecc.)

COP16 SULLA BIODIVERSITA’ IN COLOBIA. La COP16 sulla biodiversità – ufficialmente la 16esima riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica – si terrà dal 21 ottobre al 1° novembre a Cali, in Colombia. Più che di una svolta, si tratterà di un incontro di follow-up, per verificare l’attuazione degli storici impegni assunti due anni prima alla Cop15 di Montreal (le Cop dedicate alla biodiversità si tengono ogni due anni). Quest’ultima si è conclusa con l’ambizioso accordo di proteggere il 30% della terra e del mare entro il 2030. I Paesi dovranno fare il punto sull’attuazione di questo nuovo quadro e presentare strategie nazionali coerenti con esso. Gli osservatori sperano che il Paese ospitante svolga un ruolo di primo piano. Il Wwf ha salutato la “leadership” nei negoziati internazionali della Colombia, “che ospita quasi il 10% della biodiversità del pianeta”.

CONFERENZA SUL CLIMA COP29 A BAKU. La Cop29 sul clima si svolgerà dall’11 al 22 novembre a Baku, in Azerbaigian, un Paese esportatore di idrocarburi. Mentre l’anno scorso a Dubai, la Cop più grande mai organizzata in termini di numero di partecipanti, si era concentrata sulla transizione dai combustibili fossili, questa volta sarà il denaro a dominare i dibattiti. L’incontro si concluderà con un nuovo obiettivo di finanziamento del clima (noto come ‘Nuovo obiettivo collettivo quantificato’ o NCQG). Questo obiettivo sostituirà quello fissato nel 2009, che chiedeva ai Paesi ricchi di fornire 100 miliardi di dollari di aiuti annuali ai Paesi in via di sviluppo, una cifra che dovrà essere faticosamente raggiunta entro il 2022. Il World Resources Institute (WRI), un think tank americano, ritiene che “la Cop29 rappresenti un’opportunità per sbloccare maggiori investimenti per il clima da una più ampia gamma di fonti pubbliche e private e per migliorare la qualità di tali finanziamenti”. Il problema è che, per il momento, non c’è consenso sull’ammontare, la destinazione o i finanziatori dei fondi. E l’esito delle elezioni americane, proprio alla vigilia della Cop29, influenzerà certamente i dibattiti. Resta inoltre da vedere quanti leader mondiali si recheranno sulle rive del Mar Caspio, poiché alcuni potrebbero preferire guardare alla Cop30 del prossimo anno in Brasile.

TRATTATO SULLA PLASTICA A BUSAN. La quinta e ultima sessione di negoziati internazionali per la definizione del primo trattato globale contro il flagello della plastica (INC-5) è in programma dal 25 novembre al 1° dicembre a Busan, in Corea del Sud. Le delegazioni di 175 Paesi hanno concordato nel 2022 di finalizzare tale trattato entro la fine del 2024. Ma le divisioni persistono, in particolare tra le nazioni che vogliono un limite ambizioso alla produzione di plastica e alcuni Paesi produttori che preferiscono migliorare il riciclaggio. Hellen Kahaso Dena, responsabile del progetto panafricano sulla plastica di Greenpeace, spera che i Paesi “si accordino su un trattato che dia priorità alla riduzione della produzione di plastica”. “Non c’è tempo da perdere con approcci che non risolveranno il problema”, ha dichiarato l’attivista all’AFP.

COP16 SULLA DESERTIFICAZIONE A RIYADH. La 16a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione (Cop16) si terrà a Riyadh, in Arabia Saudita, dal 2 al 13 dicembre. Come le altre due convenzioni sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità, la UNCCD è nata dal Summit della Terra di Rio (1992) ed è meno conosciuta. Ma questa Cop dovrebbe segnare “un punto di svolta cruciale” con la speranza di raggiungere “un consenso su come rafforzare la resilienza di fronte alla siccità e su come accelerare il ripristino dei terreni degradati”, osserva Arona Diedhiou, direttore della ricerca presso l’Institut de recherche pour le développement (IRD) con sede all’Università Houphouët Boigny in Costa d’Avorio. “Le discussioni si concentreranno sui modi per ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terra entro il 2030, nonché sulla creazione di accordi per gestire la siccità che sta già colpendo molte regioni del mondo”, aggiunge l’esperto, che ha sottolineato all’Afp la preoccupante situazione in Africa.

Ex Ilva, sentenza annullata: processo per disastro ambientale da rifare a Potenza

Tutto da rifare. La sezione distaccata di Taranto della Corte d’assiste d’appello di Lecce annulla la sentenza di primo grado del processo ‘Ambiente svenduto’ per disastro ambientale a carico della gestione dell’ex Ilva da parte dei Riva, giudicando competente il tribunale di Potenza.

Di fatto la corte accoglie il ricorso del pool difensivo, che sin dalle prime battute aveva ritenuto indispensabile cambiare perché da ritenere “parti offese” i giudici togati e popolari che avevano emesso il verdetto di colpevolezza a carico di 37 imputati e tre aziende. Uno degli avvocati dei Riva, Pasquale Annicchiarico, raggiunto al telefono da GEA, spiega che “è stata accolta la tesi che avevo presentato dieci anni fa“, perché “lo avevamo detto subito che quel processo doveva essere celebrato a Potenza: in sei mesi si poteva fare tutto e poi ripartire, invece abbiamo perso dieci anni“. Secondo quanto stabilito oggi in aula, dunque, “adesso ci saranno 15 giorni per il deposito delle motivazioni, che leggeremo con attenzione” e poi si attiverà l’iter per il passaggio di competenze del processo. Ma, stando a quanto sottolinea il legale, rispondendo a una precisa domanda di GEA, il rischio che nel frattempo intervenga la prescrizione non è così immediato. “Per certi reati i tempi sono lunghi...”, dice Annicchiarico. Secondo le recenti modifiche alle normative in materia di reati ambientali, la prescrizione per disastro ambientale adesso va dai 30 ai 37 anni, mentre per il reato di inquinamento ambientale è dai 12 ai 15 anni.

La reazione di politica e associazioni è di rabbia e delusione, se non addirittura rabbia. “Una giornata triste per tutti coloro che ci hanno creduto, ma noi non ci scoraggiano per niente“, è il commento dell’associazione ‘Genitori Tarantini‘, uno dei gruppi più attivi in questi anni. Su Facebook dice la sua anche uno dei legali di Gt, Maurizio Rizzo Striano: “Nel mio piccolo, da sempre sono stato convinto che la strada del penale non era quella giusta per mettere in ginocchio il mostro. Il processo penale serve a condannare i delinquenti non a fare chiudere industrie. Le prove raccolte nel processo resteranno inoppugnabili anche se alla fine non vi sarà nessuna condanna perché tutti i reati saranno prescritti”.

Scoramento viene espresso anche da un’altra associazione, Giustizia per Taranto: “Si dovrà ripartire da zero con grosse possibilità che vada tutto in prescrizione. Ennesimo schiaffo ai danni della città di Taranto. Le parole le abbiamo finite“.

Il Codacons, intanto, annuncia che presenterà un esposto “per incompetenza contro i giudici (Misserini e D’errico) che hanno emesso la sentenza annullata dalla Corte, affinché siano accertate le relative responsabilità nella vicenda giudiziaria“. Intanto, sulla decisione si esprimono in termini netti: “Enorme delusione, la giustizia italiana celebra il suo funerale”.

Anche per Legambiente è “una decisione sconvolgente: ingiustizia è fatta“. Il presidente nazionale, Stefano Ciafani, assieme ai presidenti delle sezioni regionale e tarantina, Daniela Salzedo e Lunetta Franco, attenderanno di leggere le motivazioni, ma assicurano che l’associazione “si costituirà come parte civile anche nel nuovo processo a Potenza“.

Dura anche la presa di posizione del portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli: “Sono esterrefatto! L’inquinamento è stata un’invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia. Con questa decisione su Taranto si infligge l’ennesima ferita dopo il disastro sanitario”. Il deputato di Avs cita alcuni dati: “A Taranto, nel corso degli anni, è stato immesso in atmosfera il 93% della diossina prodotta in Italia, insieme al 67% del piombo, secondo quanto riportato dal registro Ines dell’Ispra, successivamente diventato E-Prtr. Questa situazione ambientale drammatica spinse, il 4 marzo 2010, l’autorità sanitaria a vietare il pascolo entro un raggio di 20 km dal polo siderurgico“. Bonelli, poi, tuona: “Siamo di fronte a uno dei disastri sanitari e ambientali più gravi della storia italiana ed europea, che ha causato troppe vittime, soprattutto tra i bambini. Questa sentenza non rappresenta un atto di giustizia, ma una ferita inferta a chi ha già pagato un prezzo altissimo con la propria salute e con la propria vita“.

Yemen - Mar rosso

Petroliera attaccata a largo delle coste dello Yemen: rischio catastrofe ambientale

Una petroliera, che trasporta più di un milione di barili di greggio, attaccata dai ribelli yemeniti Houthi e abbandonata al largo delle coste dello Yemen potrebbe causare una “catastrofe ambientale” nel Mar Rosso se dovesse rompersi o esplodere. L’avvertimento arriva dagli esperti. La Sounion, battente bandiera greca e, colpita da missili il mese scorso, era ancora in fiamme sabato, aumentando il rischio di una fuoriuscita di petrolio quattro volte più grande di quella causata dalla Exxon Valdez al largo dell’Alaska nel 1989. “Una fuoriuscita di petrolio di questa portata potrebbe essere virtualmente impossibile da contenere, contaminando vasti tratti di mare e di costa”, avverte Julien Jreissati, direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Greenpeace. “L’impatto a lungo termine sulla biodiversità marina potrebbe essere devastante, poiché i residui di petrolio potrebbero persistere nell’ambiente per anni o addirittura decenni”.

Gli Houthi, che controllano ampie zone dello Yemen, da mesi prendono di mira navi che ritengono legate a Israele, Stati Uniti o Regno Unito, sostenendo di agire in solidarietà con i palestinesi della Striscia di Gaza, nel contesto della guerra tra Israele e il movimento islamista palestinese Hamas.

La Sounion, che trasporta 150.000 tonnellate di greggio, ha preso fuoco e ha perso la sua forza motrice dopo essere stata attaccata il 21 agosto. I 25 membri dell’equipaggio sono stati evacuati il giorno successivo da una fregata francese della missione europea Aspides dispiegata nella zona. Pochi giorni dopo, i ribelli hanno dichiarato di aver fatto esplodere delle cariche sul ponte della nave, innescando nuovi incendi.

Le compagnie private che avrebbero dovuto rimorchiare la nave, ancorata a metà strada tra lo Yemen e l’Eritrea, hanno deciso che non era “sicuro” farlo, ha annunciato la scorsa settimana la missione Aspides, responsabile di garantire la loro protezione, precisando che si stavano studiando “soluzioni alternative”. Con la petroliera “pesantemente carica, immobilizzata e in fiamme, la situazione è estremamente pericolosa e imprevedibile”, ha dichiarato Jreissati, aggiungendo che “il rischio di un grave disastro ambientale è alto, poiché la nave potrebbe rompersi o esplodere in qualsiasi momento”.

Da novembre, gli attacchi degli Houthi hanno causato la morte di almeno quattro membri dell’equipaggio e l’affondamento di due navi, tra cui la Rubymar, una nave portarinfuse affondata a marzo con migliaia di tonnellate di fertilizzante a bordo. Tuttavia, la Sounion rappresenta la minaccia più grande ad oggi. “Questa situazione è un disastro ambientale che si sta lentamente svolgendo sotto i nostri occhi”, lamenta Wim Zwijnenburg dell’ONG PAX, che lavora per la pace nel mondo.

Il Centro comune di informazione marittima (JMIC), gestito da una coalizione navale multinazionale che comprende Stati Uniti e Paesi europei, ha riferito di “diversi” incendi sul ponte della nave sabato, ma ha detto di non aver visto alcuna fuoriuscita di petrolio. Ha detto che un’operazione di salvataggio e di spegnimento degli incendi dovrebbe iniziare questa settimana. “In alcune immagini satellitari sono state rilevate piccole chiazze di petrolio, probabilmente legate al petrolio bruciato dopo le esplosioni o proveniente dal motore”, ha dichiarato Zwijnenburg. Ma al momento non ci sono indicazioni “che ci sia stata una fuoriuscita di greggio dal carico trasportato dalla nave”.

La minaccia rappresentata dalla Sounion nel Mar Rosso ricorda il rischio rappresentato per lungo tempo dalla superpetroliera FSO Safer, una nave cisterna di 47 anni abbandonata per anni al largo delle coste dello Yemen a causa della guerra civile che da oltre un decennio dilania l’impoverito Paese.

Nell’agosto 2023, le Nazioni Unite sono riuscite a trasferire il suo carico di oltre un milione di barili di petrolio dopo un’operazione lunga e costosa. Il salvataggio della Sounion potrebbe rivelarsi tanto più difficile in quanto i ribelli Houthi continuano i loro attacchi nell’area, sottolinea Noam Raydan del Washington Institute for Near East Policy.

Trovare rimorchiatori adatti nelle vicinanze, pronti a operare in un ambiente così rischioso, potrebbe essere difficile”, afferma l’esperto. E le forze navali “dovranno rimanere vicine alla petroliera per evitare che gli Houthi interrompano il processo di salvataggio”.

inquinamento

Clima, Onu: Meno inquinamento atmosferico da polveri sottili in Europa e Cina

L’inquinamento atmosferico da polveri sottili è diminuito lo scorso anno in Europa e in Cina grazie alla riduzione delle emissioni legate alle attività umane. Lo ha reso noto l’Onu, invitando ad affrontare congiuntamente il cambiamento climatico e la qualità dell’aria.
Le particelle sottili PM2,5 (con un diametro non superiore a 2,5 micron) rappresentano un grave rischio per la salute se inalate per lunghi periodi, poiché sono abbastanza piccole da raggiungere il flusso sanguigno.

Le fonti di queste particelle sono le emissioni derivanti dalla combustione di combustibili fossili, come i veicoli e l’industria, ma anche fonti naturali come gli incendi boschivi o la polvere del deserto trasportata dal vento.

“I dati per l’anno 2023 indicano un’anomalia negativa, cioè una diminuzione del PM2,5 rispetto al periodo di riferimento 2003-2023, su Cina ed Europa”, ha dichiarato il dottor Lorenzo Labrador, esperto scientifico dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), in occasione della pubblicazione del bollettino annuale sulla qualità dell’aria e il clima.

Il bollettino, pubblicato dall’OMM, un’agenzia delle Nazioni Unite, in vista della Giornata internazionale dell’aria pulita per cieli blu, che si celebra il 7 settembre, sottolinea che la qualità dell’aria e il cambiamento climatico sono correlati, poiché le sostanze chimiche responsabili dell’inquinamento atmosferico sono generalmente emesse contemporaneamente ai gas serra.
Il cambiamento climatico e la qualità dell’aria non possono essere trattati separatamente. Vanno di pari passo e devono essere affrontati insieme”, ha dichiarato il segretario generale aggiunto dell’OMM Ko Barrett in un comunicato stampa. L’OMM avverte: “Il circolo vizioso tra cambiamenti climatici, incendi boschivi e inquinamento atmosferico sta avendo impatti negativi sempre più gravi sulla salute umana, sugli ecosistemi e sull’agricoltura”.

Per quanto riguarda il particolato, il bollettino non presenta un’analisi globale o regione per regione, ma riporta diverse tendenze regionali.
Sulla base dei dati del servizio europeo di monitoraggio atmosferico Copernicus e della NASA, l’OMM ha rilevato che “in India sono stati misurati livelli di PM2,5 superiori alla media, a causa dell’aumento delle emissioni di inquinanti legate alle attività umane e industriali”, secondo il comunicato. Questo “aumento di PM2,5” riguarda “il subcontinente indiano e alcune parti del Sud-Est asiatico”, secondo Lorenzo Labrador. D’altra parte, la Cina e l’Europa hanno misurato livelli inferiori alla media, secondo l’OMM.

Tendiamo a pensare che il calo dell’inquinamento in Europa e in Cina sia il risultato diretto di una riduzione delle emissioni in questi Paesi nel corso degli anni. Abbiamo notato questa tendenza da quando abbiamo iniziato a pubblicare il bollettino nel 2021”, ha aggiunto lo scienziato, che ne ha coordinato la pubblicazione. Negli Stati Uniti, la situazione è essenzialmente “come al solito rispetto al periodo di riferimento”, ha spiegato, ma i dati mostrano che gli incendi boschivi in Nord America, secondo l’OMM, “hanno causato emissioni di PM2,5 eccezionalmente elevate rispetto al periodo di riferimento 2003-2023”. Il WMO segnala anche emissioni di polvere inferiori al normale nei deserti della Penisola Arabica e in gran parte del Nord Africa.

Coste e mare ostaggio dell’illegalità: accertato un reato ogni 119 metri. Nel 2023 crescono del 29,7%

Ogni 119 metri di coste italiane si verifica un reato ambientale, cioè 8,4 per chilometro. Si va dal ciclo illegale del cemento (10.257 reati, +11,2% nel 2023 rispetto al 2022), a quello dei rifiuti legato all’inquinamento del mare (6.372, +59,3%), fino alla pesca illegale (4.268 illeciti penali, +11,3%). Preoccupa anche la violazione delle normative che regolano la nautica da diporto: 2.059 illeciti penali accertati nel 2023, + 230% rispetto al 2022. Coste e mari italiani sono sempre più minacciati dalle illegalità e lo scorso anno è stato da “codice rosso”: 22.956 i reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, cioè il 29,7% in più rispetto al 2022. Oltre 25mila le persone denunciate (+43% rispetto all’anno precedente). A scattare questa fotografia è il nuovo report ‘Mare Monstrum 2024’ che Legambiente ha presentato alla vigilia del 14esimo anniversario dell’uccisione a Pollica (SA) del sindaco pescatore Angelo Vassallo, per tenere viva la memoria del suo impegno contro speculazioni e illegalità. Cresce, però, l’efficacia dell’azione repressiva, come dimostra il numero di persone arrestate (204, +98,1% rispetto al 2022) e quello dei sequestri, pari a 4.026, in crescita del 22,8% sul 2022.

Il rapporto mostra una grande disparità a livello geografico. Un reato su due (50,3%) si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania (3.095 illeciti penali), Sicilia (3.061), Puglia (3.016) e Calabria (2.371), che guidano nell’ordine, come numeri assoluti, la classifica regionale, seguite dal Lazio (1.529 reati) e dalla Toscana (1.516). Nelle prime dieci regioni figurano Sardegna, Veneto, Liguria e Marche. Proprio questa regione è, invece, la prima come numero di illeciti complessivi (reati e violazioni amministrative) per km di costa (38,9), seguita da Friuli-Venezia Giulia (31,9 illeciti per km) e Basilicata (30,9).

Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, chiede di “rafforzare il ruolo e le attività di competenza di tutte le istituzioni coinvolte” e invita a “potenziare l’attività di demolizione degli immobili abusivi, e non prevedendo nuovi condoni, ammodernare e completare il sistema di fognature e depuratori, potenziare l’economia circolare e prevedere sanzioni più severe per la pesca illegale”.

Entrando nel dettaglio, il ciclo illegale del cemento (dall’abusivismo edilizio alle occupazioni illecite del demanio marittimo fino alle cave fuorilegge), con 10.257 reati (+11,1% sul 2022) rappresenta da solo il 44,7% di tutte le infrazioni accertate nel 2023 contro i mari e le coste. Al cemento lungo le coste si sommano l’abbandono e gli smaltimenti illegali di rifiuti, gli scarichi in mare e la mala depurazione. Primo posto in classifica per illeciti di questo tipo, spetta alla Campania anche se in leggera flessione (-2,3%) rispetto al 2022, seguita dalla Puglia e dalla Calabria. Sul fronte della pesca illegale, analizzando tutti gli illeciti, sia penali sia amministrativi, in termini assoluti la Sicilia guida la classifica con 1.872 infrazioni, seguita da Puglia (1.264), Lazio (824) e Liguria (809).

Dall’Arca di Noè al deposito sulla Luna: ecco come salvare la biodiversità

Una volta c’era l’Arca di Noè, oggi il biorepository lunare. Con numerose specie a rischio di estinzione, un team internazionale di ricercatori ha proposto una soluzione innovativa per proteggere la biodiversità del pianeta: una sorta di ‘deposito’ di campioni crioconservati custodito sulla luna.

Guidato dalla dottoressa Mary Hagedorn del National Zoo and Conservation Biology Institute dello Smithsonian, il team prevede di sfruttare le temperature naturalmente fredde della Luna, in particolare nelle regioni permanentemente in ombra vicino ai poli, dove si resta costantemente al di sotto dei -196 gradi Celsius. Queste condizioni sono ideali per la conservazione a lungo termine di campioni biologici senza la necessità di intervento umano o di alimentazione, due fattori che potrebbero minacciare la resilienza dei depositi sulla Terra. Altri vantaggi chiave di una struttura lunare sono la protezione dai disastri naturali terrestri, dai cambiamenti climatici e dai conflitti geopolitici.

Un primo obiettivo nello sviluppo di un biorepository lunare sarebbe la crioconservazione di campioni di pelle animale con cellule di fibroblasti. Il team di autori ha già iniziato a sviluppare protocolli utilizzando l’Asterropteryx semipunctata, un tipo di pesce, cui seguiranno altre specie. Gli autori prevedono inoltre di “sfruttare il campionamento su scala continentale attualmente in corso presso la National 190 Ecological Observatory Network (NEON) della U.S. National Science Foundation” come fonte per il futuro sviluppo di cellule di fibroblasti.

Le sfide da affrontare includono lo sviluppo di un imballaggio robusto per il trasporto nello spazio, l’attenuazione degli effetti delle radiazioni e la creazione di un complesso quadro di governance internazionale per il deposito. Per questo gli autori richiedono un’ampia collaborazione tra nazioni, agenzie e parti interessate internazionali per realizzare questo programma decennale. I prossimi passi comprendono l’ampliamento delle partnership, in particolare con le agenzie di ricerca spaziale, e la conduzione di ulteriori test sulla Terra e a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.

Nonostante le sfide da superare, gli autori sottolineano che la necessità di agire è forte: “A causa di una moltitudine di fattori antropici, un’alta percentuale di specie ed ecosistemi si trova ad affrontare minacce di destabilizzazione ed estinzione che stanno accelerando più velocemente della nostra capacità di salvare queste specie nel loro ambiente naturale”.

foreste

Il cambiamento climatico ‘stressa’ le foreste e le espone a incendi e parassiti

l cambiamento climatico sta aumentando la suscettibilità delle foreste mondiali a fattori di stress come incendi e parassiti, secondo una nuova pubblicazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) che sottolinea il ruolo dell’innovazione nel raggiungimento di un futuro sostenibile per il settore forestale. Il rapporto, intitolato ‘The State of the World’s Forests 2024: Forest-sector innovations towards a more sustainable future’ è stato presentato oggi in occasione della 27esima sessione del Comitato per le Foreste (Cofo), in corso presso la sede della Fao a Roma fino a venerdì. Il Cofo è l’organo di governo forestale più importante della Fao e ha il compito di individuare le questioni politiche e tecniche emergenti, cercare soluzioni e consigliare l’organizzazione sulle azioni da intraprendere. Il tema dell’incontro di quest’anno è ‘Accelerare le soluzioni forestali attraverso l’innovazione’.

Secondo il documento “ci sono prove” che indicano che il cambiamento climatico sta rendendo le foreste più vulnerabili a fattori di stress come incendi e parassiti. Di fronte a queste sfide, il rapporto sostiene che l‘innovazione nel settore forestale “è un fattore cruciale” per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

“La FAO riconosce che la scienza e l’innovazione sono ingredienti cruciali per raggiungere soluzioni basate sulle foreste”, scrive il direttore della Fao QU Dongyu nell’introduzione del rapporto.

AUMENTANO GLI INCENDI BOSCHIVI. L’intensità e la frequenza degli incendi selvaggi stanno aumentando, anche in aree precedentemente non colpite, e si stima che nel 2023 gli incendi abbiano rilasciato 6.687 megatonnellate di anidride carbonica a livello globale. In passato gli incendi boreali erano responsabili di circa il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica. Nel 2021, tali incendi hanno raggiunto un nuovo picco, principalmente a causa della prolungata siccità che ha provocato un aumento della gravità degli incendi e del consumo di combustibile, e hanno rappresentato quasi un quarto delle emissioni totali di incendi boschivi.

LE SPECIE INVASIVE. Il cambiamento climatico rende anche le foreste più vulnerabili alle specie invasive, con insetti, parassiti e malattie patogene che minacciano la crescita e la sopravvivenza degli alberi. Il nematode del pino ha già causato danni significativi alle pinete autoctone di alcuni Paesi asiatici e si prevede che entro il 2027 alcune aree del Nord America subiranno danni devastanti a causa di insetti e malattie.

LA PRODUZIONE DI LEGNO. La produzione globale di legno, invece, rimane a livelli record. Dopo un breve calo durante la pandemia, la produzione è tornata a circa 4 miliardi di metri cubi all’anno. Quasi 6 miliardi di persone utilizzano prodotti forestali non legnosi e il 70% dei poveri del mondo si affida a specie selvatiche per cibo, medicine, energia, reddito e altri scopi. Le proiezioni indicano che la domanda globale di legno tondo potrebbe aumentare fino al 49% tra il 2020 e il 2050.

SOLUZIONI INNOVATIVE. Il rapporto identifica cinque tipi di innovazione che aumentano il potenziale delle foreste nell’affrontare le sfide globali: tecnologica, sociale, politica, istituzionale e finanziaria. Tra gli esempi, il potenziale dell’intelligenza artificiale per facilitare l’analisi automatizzata di un vasto volume di dati ottici, radar e lidar, esistenti e futuri, raccolti quotidianamente da droni, satelliti e stazioni spaziali; l’adozione del legno massiccio e di altre innovazioni basate sul legno che possono sostituire i prodotti a base fossile nel settore edilizio; le politiche volte a coinvolgere le donne, i giovani e le popolazioni indigene nello sviluppo di soluzioni guidate a livello locale; le innovazioni nel settore finanziario pubblico e privato per aumentare il valore delle foreste in piedi.

Dal momento che l’innovazione può creare vincitori e vinti, il rapporto sostiene la necessità di approcci inclusivi e rispondenti alle esigenze di genere per garantire un’equa distribuzione dei benefici tra uomini, donne e giovani di tutti i gruppi socioeconomici ed etnici. La promozione dell’innovazione deve considerare e integrare le circostanze, le prospettive, le conoscenze, i bisogni e i diritti di tutte le parti interessate.

Il rapporto elenca cinque azioni che contribuiranno a far crescere l’innovazione nel settore forestale: sensibilizzare l’opinione pubblica, potenziare le competenze, le capacità e le conoscenze in materia di innovazione, incoraggiare i partenariati di trasformazione, garantire finanziamenti maggiori e universalmente accessibili per l’innovazione e fornire un ambiente politico e normativo incentivante.

 

 

Nel 2023 impennata delle ecomafie: +15,6% i reati ambientali, 4 ogni ora. Mercato vale 8,8 miliardi

In Italia le ecomafie premono sempre di più sull’acceleratore e fanno affari d’oro. A dimostrarlo è l’aumento dei reati ambientali che nel 2023 salgono a 35.487, registrando +15,6% rispetto al 2022, con una media di 97,2 reati al giorno, 4 ogni ora. Illeciti che si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% deli illeciti penali, +3,8% rispetto al 2022. Tutto il mercato illegale nella Penisola è valso agli ecomafiosi nel 2023 ben 8,8 miliardi.

CICLO ILLEGALE DEL CEMENTO E DEI RIFIUTI. A tracciare un quadro di sintesi è il nuovo report di Legambiente ‘Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia’ (edito da Edizioni Ambiente), nel 30esimo anno dalla sua prima pubblicazione, e i cui dati sono stati presentati oggi a Roma. Dati nel complesso “preoccupanti”: nel 2023 in Italia aumenta anche il numero delle persone denunciate (34.481, +30,6%), così come quello degli arresti (319, +43% rispetto al 2022) e quello dei sequestri (7.152, +19%). Tra gli illeciti, nella Penisola continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento (13.008 reati, +6,5%), che si conferma sempre al primo posto tra i reati ambientali; ma a preoccupare è soprattutto l’impennata degli illeciti penali nel ciclo dei rifiuti, 9.309, + 66,1% che salgono al secondo posto. Al terzo posto con 6.581 reati la filiera degli illeciti contro gli animali (dal bracconaggio alla pesca illegale, dai traffici di specie protette a quelli di animali da affezione fino agli allevamenti); seguita dagli incendi dolosi, colposi e generici con 3.691 illeciti. Crescono anche i numeri dell’aggressione al patrimonio culturale (642 i furti alle opere d’arte, +58,9% rispetto al 2022) e degli illeciti nelle filiere agroalimentari (45.067 illeciti amministrativi, + 9,1% rispetto al 2022), a cominciare dal caporalato. Sono inoltre 378 i clan mafiosi censiti.

CAMPANIA E NAPOLI IN TESTA ALLA CLASSIFICA PER NUMERO DI REATI. La Campania è la regione italiana al primo posto della classifica con più illeciti ambientali nel 2023. Si tratta di 4.952 reati, pari al 14% del totale nazionale, seguita da Sicilia (che sale di una posizione rispetto al 2022, con 3.922 reati, +35% rispetto al 2022), Puglia (scesa al terzo posto, con 3.643 illeciti penali, +19,2%) e Calabria (2.912 reati, +31,4%). La Toscana sale dal settimo al quinto posto, seguita dal Lazio. Balza dal quindicesimo al settimo posto la Sardegna. Tra le regioni del Nord, la Lombardia è sempre prima.

A livello provinciale, Napoli torna al primo posto, a quota con 1.494 reati, seguita da Avellino (in forte crescita con 1.203 reati, pari al +72,9%) e Bari. Roma scende al quarto posto, con 867 illeciti penali, seguita da Salerno, Palermo, Foggia e Cosenza. La prima provincia del Nord è quella di Venezia, con 662 reati, che si colloca al nono posto ed entra nella classifica delle prime venti province per illegalità ambientale.

CIAFANI: “DAL GOVERNO ASPETTIAMO UN SEGNALE”. “In questi tre decenni – spiega il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – il Rapporto Ecomafia è diventato sempre più un’operaomnia per analizzare i fenomeni criminali legati al business ambientale, grazie anche a contributi istituzionali di rilievo, come dimostra l’edizione 2024. Dalla nostra analisi, emerge però che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove continuano a mancare norme importanti, come quelle che dovrebbero semplificare gli abbattimenti degli ecomostri – assegnando ad esempio ai Prefetti l’esecuzione delle ordinanze di demolizione mai eseguite nei decenni passati –, l’inserimento nel Codice penale dei delitti commessi dalle agromafie oppure l’approvazione dei decreti attuativi della legge istitutiva del SNPA per rendere più efficaci i controlli pubblici delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente”. “Dal Governo Meloni – aggiunge – ci aspettiamo un segnale di discontinuità. Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi”.

acqua

Ambiente, quanti litri di acqua servono per fare una T-shirt

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA sono riportati i numeri comunicati dalla Direzione generale ambiente della Commissione europea. “Per produrre una maglietta (T-shirt) – viene spiegato -, sono necessari 2.700 litri di acqua dolce. Pari a quanto beve una persona in 2 anni e mezzo”. Ad esempio, oltre alla T-shirt, la Dg Ambiente riporta che per 1 Kg di cioccolata sono necessari 17.196 litri di acqua; per 1 Kg di carne ne servono 15 mila, per una lampadina 1.301 litri.