Meloni chiude accordi nel Golfo con spettro dazi Usa: “Scontro non conviene a nessuno”

Giorgia Meloni chiude la visita nel Golfo portando a casa accordi su energia, difesa, archeologia per 10 miliardi. Ma continua a guardare Oltre-Atlantico, dove parte la minaccia dei dazi sui prodotti europei. La premier, recentemente oggetto di lusinghe da parte di Donald Trump, ricorda in Arabia Saudita che la questione del surplus commerciale degli Stati Uniti “non nasce con Trump“: “Nel 2023 tra Europa e Stati Uniti nel commercio di beni c’era un surplus a favore dell’Europa di oltre 150 miliardi, è un dato importante“, osserva, ammettendo di comprendere le ragioni degli Stati Uniti, “la stessa questione che noi poniamo nei confronti della Cina“. Ma si tratta di economie complementari, interconnesse e lo scontro, avverte, “non conviene a nessuno“. La soluzione, secondo la premier italiana, passa dal “dialogo” e da un punto di caduta “equilibrato“.

In due giorni Meloni visita l’Arabia Saudita e il Barhein, nell’ambito degli sforzi del governo di Roma per rafforzare la collaborazione con i Paesi del Golfo su temi di interesse comune.

Ad Al-Ula Meloni incontra il principe ereditario e primo ministro dell’Arabia Saudita, Mohamed bin Salman Al Saud, con cui firma una dichiarazione congiunta che “eleva i rapporti bilaterali a un partenariato strategico, avviando una cooperazione strutturata“, viene spiegato. Tra le iniziative concordate, l’organizzazione nei prossimi mesi di un business forum settoriale e l’avvio di un processo per definire un piano d’azione con priorità condivise. I due leader si confrontano su diverse questioni globali e regionali di rilievo, anche nel contesto delle relazioni tra Unione europea e Consiglio di Cooperazione del Golfo. Al centro Ucraina, Gaza, Libano. Ma anche l’approccio alla transizione energetica che entrambi concordano debba essere basato sulla neutralità tecnologica e sulle interconnessioni tra reti e lo sviluppo di data center e iniziative comuni per il progresso sostenibile in Africa. Gli accordi sono stati siglati nel corso di una tavola rotonda con rappresentanti pubblici e privati di entrambi i Paesi. Tra questi, intese dal settore privato per collaborazioni in Africa, in linea con il Piano Mattei.

Nel Barhein, prima visita di un presidente del Consiglio italiano nel Regno, Meloni incontra il Re Hamad bin Isa Al Khalifa e il Principe Ereditario e primo ministro Salman bin Hamad Al Khalifa, che al momento guidano la presidenza di turno della Lega Araba. Dialogo interreligioso, migrazioni e sviluppo al centro di colloqui nei quali vengono approfondite le relazioni bilaterali e in particolare la promozione degli investimenti reciproci per, spiega Palazzo Chigi, “creare nuovi strumenti che possano aumentare il flusso economico finanziario“.

Entrambe le visite non sono “di cortesia“, precisa la premier. “C’è un focus del Governo italiano che va avanti ormai da oltre due anni, particolarmente incentrato sul Mediterraneo allargato“, mette in chiaro facendo un bilancio del viaggio. Parla di occasioni per lavorare su “risultati concreti per l’Italia”. Nel dettaglio, la scelta in Arabia Saudita è stata quella di elevare il livello della collaborazione a partenariato strategico. Ovvero, la creazione di un Consiglio che si riunisce periodicamente e monitora lo stato degli avanzamenti del lavoro comune sulle materie che vengono individuate: nello specifico energia, difesa, investimenti, archeologia. Sulle critiche sollevate dall’opposizione a proposito di un passato in cui Meloni si era detta molto critica nei confronti del regime saudita, la presidente del Consiglio minimizza: “L’opposizione mi rinfaccia qualsiasi cosa, ma non c’è contraddizione tra quello che io dicevo ieri e quello che faccio oggi“, chiosa, spiegando che i due Paesi hanno interesse a stringere accordi strategici in materie come quelle individuate. Diverso, si difende, è il tema posto in passato: “La questione, eventualmente, di chi dovesse favorire attività di proselitismo in Europa. Su questo io non ho cambiato idea, ma non mi pare che ci sia nulla di tutto questo nel lavoro che abbiamo fatto in questi giorni“.

Tra Italia e Arabia Saudita accordi per 10 miliardi di euro: focus su energia e difesa

Photo credit: Palazzo Chigi

Accordi per circa dieci miliardi di euro fra Italia e Arabia Saudita nell’ambito della visita della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha anche elevato il livello di collaborazione fra i due paesi a partenariato strategico. I patti siglati riguardano ambiti come la cooperazione in materia energetica e di difesa, l’impulso agli investimenti reciproci fino ai temi legati all’archeologia.

Fra gli accordi più importanti quelli siglati da Sace che valgono ben 6,6 miliardi di dollari. Si tratta di 5 operazioni e accordi con primarie controparti saudite attive sul mercato, con l’obiettivo di sostenere le esportazioni italiane in Arabia Saudita nonché i rapporti commerciali e di investimento tra i due Paesi. Le iniziative comprendono una operazione con Neom, nella quale Sace ha garantito un finanziamento multi-currency del valore complessivo di 3 miliardi di dollari reso disponibile da un pool di nove banche internazionali per aprire nuove opportunità di export per PMI e filiere italiane in diversi settori e comparti funzionali ai progetti di Neom come infrastrutture, sviluppo urbano, edilizia e trasporti ferroviari, stradali e marittimi. C’è poi un Memorandum d’intesa con Saudi Electricity Company (SEC), la principale fonte di elettricità nel Regno dell’Arabia Saudita. Nell’ambito dell’accordo, Sace si impegna a esplorare potenziali opportunità per fornire garanzie creditizie a SEC per lo sviluppo di nuovi progetti sostenibili legati allo sviluppo del sistema elettrico saudita, facilitando attività di business e di investimento tra cui EPC (ingegneria, approvvigionamento e costruzione) e O&M (operazioni e manutenzione) servizi di aziende italiane. Accordi poi con ACWA Power Company, primario gruppo saudita che opera in qualità di sviluppatore, investitore, comproprietario e operatore di un portafoglio di impianti di generazione di energia, energia rinnovabile e produzione di acqua desalinizzata: due documenti strategici per collaborare su nuove opportunità di business, con un focus su progetti di energia rinnovabile e un interesse condiviso a collaborare su iniziative in Africa e Asia centrale, tra cui: i) una linea di credito per sostenere i progetti green di ACWA Power in Asia centrale e facilitare l’esportazione di aziende italiane secondo il mandato di SACE. Infine, un accordo di cooperazione con la Banca Araba per lo Sviluppo Economico in Africa (BADEA) nell’ambito del Piano Mattei per l’Africa, in particolare nei paesi target come Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal, Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Repubblica del Congo, Mozambico, Kenya, Etiopia.

ACWA Power, società quotata in borsa in Arabia Saudita riconosciuta come la più grande società privata di desalinizzazione dell’acqua al mondo, pioniera nella transizione energetica e first mover nel settore dell’idrogeno verde, ha firmato un memorandum d’intesa con Snam per esplorare la collaborazione e gli investimenti congiunti finalizzati alla creazione di una catena di fornitura di idrogeno verde in Europa. Questa partnership prevede l’esplorazione di potenziali collaborazioni e investimenti congiunti finalizzati alla creazione di una catena di approvvigionamento internazionale per una fornitura affidabile ed economica di idrogeno verde dall’Arabia Saudita all’Europa e la valutazione dello sviluppo di un terminale di importazione dell’ammoniaca in Italia per facilitare la consegna dell’idrogeno verde attraverso il SoutH2 Corridor, il corridoio lungo 3.300 km che raggiunge l’Europa centrale attraverso Italia, Austria e Germania. E ancora, di rilevanza per il Piano Mattei, due accordi di Cdp, uno con il Fondo saudita per la cooperazione allo sviluppo e uno con Acwa Power, per la collaborazione nella promozione di progetti in Africa.

Per quanto riguarda la mobilità, Gewiss ha annunciato un investimento iniziale di 20 milioni di euro in Arabia Saudita “per rafforzare la propria presenza nella regione e promuovere soluzioni innovative per la mobilità elettrica e la gestione intelligente dell’energia in ambito domestico, industriale e dell’illuminazione in genere”.

Diversi sono i MoU firmati da Fincantieri, che sottolineano l’interesse dell’azienda per questa regione in seguito all’istituzione della controllata Fincantieri Arabia for Naval Services nel 2024. Gli accordi raggiunti testimoniano l’impegno strategico di Fincantieri nel promuovere l’innovazione, la sostenibilità e lo sviluppo industriale attraverso una serie di collaborazioni con realtà saudite e partner internazionali. Per quanto riguarda ELT Group, due sono i Memorandum siglati: uno con Sami-Aec e uno con Shamal, entrambi nel settore aerospaziale e della difesa. Sempre nello stesso ambito, Leonardo ha firmato un MoU con l’obiettivo di discutere, sviluppare e valutare una serie di investimenti e opportunità per espandere ulteriormente la collaborazione nei settori dell’aerospazio e della difesa.

Infine, in ambito culturale, firmati due importanti accordi di collaborazione tra la Direzione generale Musei e il Parco Archeologico di Pompei, per il Ministero della Cultura italiano, e la Royal Commission for AlUla (RCU), per l’Arabia Saudita. Il programma esecutivo firmato dalla Direzione generale Musei e dalla RCU ha l’obiettivo di rafforzare la cooperazione nei settori dell’archeologia e della valorizzazione del patrimonio culturale, con particolare attenzione alle politiche di conservazione, manutenzione, gestione, promozione dell’accessibilità e sviluppo di competenze nei musei e nei luoghi della cultura. Tra le attività previste figurano seminari e incontri di studio e ricerca, la produzione di pubblicazioni scientifiche multilingue, l’organizzazione di programmi formativi, mostre ed eventi condivisi, nonché lo scambio di esperti e competenze, con particolare attenzione all’applicazione di tecnologie innovative. La cooperazione con il Parco Archeologico di Pompei è invece focalizzata sullo sviluppo sostenibile dei siti archeologici, con particolare attenzione al contributo che questi possono offrire nella salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni agricole locali come patrimoni immateriali. Sono previsti progetti mirati a perseguire questi obiettivi strategici e a rafforzare il ruolo del Museum of Incense Road, parte integrante del Journey Through Time di AlUla, che posiziona il museo in una prospettiva globale. Inoltre, Pompei sarà un partner chiave per alcune mostre della RCU in Italia.

desertificazione

Arabia Saudita ospiterà conferenza mondiale su desertificazione a dicembre

L’Arabia Saudita ospiterà la prossima settimana una conferenza mondiale sulla desertificazione, dimostrando il suo impegno nell’affrontare le sfide ambientali, nonostante le critiche sul ruolo del gigante petrolifero nella lotta al riscaldamento globale. La 16esima riunione delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), in programma dal 2 al 13 dicembre a Riyad, è stata descritta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres come un “momento decisivo” nella lotta contro la siccità e l’avanzata dei deserti. L’ultima conferenza, tenutasi in Costa d’Avorio nel 2022, ha portato all’impegno di “accelerare il ripristino di un miliardo di ettari di terreni degradati”, ossia di terreni la cui qualità è stata alterata da attività umane come l’inquinamento o la deforestazione, entro il 2030.

L’UNCCD, che riunisce 196 Paesi e l’Unione Europea, stima ora che 1,5 miliardi di ettari di terreni degradati devono essere ripristinati entro la fine del decennio. L’Arabia Saudita, che ospita uno dei più grandi deserti del mondo, si è posta l’obiettivo di ripristinare 40 milioni di ettari, ha dichiarato all’AFP il suo vice ministro dell’Ambiente, Osama Faqeeha, senza fornire un calendario.

Il regno del Golfo ha finora ripristinato 240.000 ettari, in particolare combattendo l’abbattimento illegale di alberi e aumentando il numero di parchi nazionali, che secondo Faqeeha sono passati da 19 nel 2016 a oltre 500. “Siamo esposti alla forma più grave di degrado del territorio, la desertificazione”, ha sottolineato il funzionario saudita.

I colloqui a Riyad si aprono dieci giorni dopo la fine della COP29 a Baku, in Azerbaigian, dove l’Arabia Saudita – il più grande esportatore di petrolio al mondo – è stata accusata di aver lavorato per evitare che i combustibili fossili fossero menzionati nell’accordo finale.

Questa conferenza sul cambiamento climatico ha portato alla promessa da parte dei Paesi ricchi di sbloccare 300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima, ma il testo è stato ritenuto largamente insufficiente dai Paesi più poveri e più esposti al riscaldamento globale.
Alla COP16 sulla desertificazione, che si terrà a dicembre, la sfida è quella di raggiungere un consenso sulla necessità di accelerare il ripristino dei terreni degradati e di sviluppare un approccio ‘proattivo’ alla siccità, ha dichiarato all’AFP il Segretario esecutivo dell’UNCCD Ibrahim Thiaw. “Abbiamo già perso il 40% della nostra terra e del nostro suolo”, ha detto, evidenziando le conseguenze in termini di insicurezza alimentare e di migrazione. “La sicurezza globale è davvero in pericolo e lo vediamo in tutto il mondo. Non solo in Africa, non solo in Medio Oriente”, ha insistito Thiaw. “Se continuiamo a lasciare che la terra si degradi, subiremo perdite enormi”, ha avvertito anche il funzionario saudita Osama Faqeeha. “Il degrado della terra è ora un fenomeno importante che passa inosservato”, ha lamentato.

Mentre il regno del Golfo viene criticato per le emissioni generate dalla sua enorme produzione di petrolio, il fatto che sia esposto alla desertificazione potrebbe dargli maggiore credibilità nei negoziati di Ryad. A differenza del riscaldamento globale, a cui contribuisce chiaramente, “l’Arabia Saudita non contribuisce necessariamente in modo diretto al problema” della desertificazione, ha sottolineato Patrick Galey di Global Witness. Può, “con una certa legittimità, affermare di difendere le vittime”. Si prevede che migliaia di delegati parteciperanno alla COP16, tra cui quasi un centinaio di ministri, secondo il signor Thiaw.

Il Presidente francese Emmanuel Macron dovrebbe partecipare al One Water Summit, che si terrà in concomitanza con la conferenza il 3 dicembre. Le discussioni sulla desertificazione in genere attirano meno interesse di quelle sul cambiamento climatico o sulla biodiversità, ma i funzionari sauditi dicono di sperare in una forte partecipazione della società civile. “Abbiamo pianificato molti panel, eventi e padiglioni, in modo che tutte le parti interessate possano partecipare alla discussione in modo costruttivo”, ha detto Osama Faqeeha. Sebbene il sovrano de facto dell’Arabia Saudita, il Principe ereditario Mohammed bin Salmane, abbia avviato riforme volte ad attrarre turisti e investitori, è stato accusato dalle organizzazioni per i diritti umani di reprimere le voci critiche.

L’Arabia Saudita fa marcia indietro sui piani di aumento di capacità produttiva di petrolio

L’Arabia Saudita ha chiesto alla compagnia petrolifera nazionale Aramco di mantenere la sua capacità di produzione di petrolio a 12 milioni di barili al giorno, abbandonando i piani per aumentarla annunciati nel 2021. Aramco è il fiore all’occhiello economico del più grande esportatore di greggio al mondo, che si basa sulle sue entrate per finanziare il vasto programma di riforme del principe ereditario Mohammed bin Salmane, volto a preparare il regno del Golfo all’era post-petrolifera. “Aramco ha dichiarato in un comunicato di aver ricevuto una direttiva dal ministero dell’Energia per mantenere la sua capacità massima sostenibile a 12 milioni di barili al giorno (mbpd)”, invece dei 13 mbpd previsti, spiega una nota. Le previsioni di spesa in conto capitale saranno aggiornate quando i risultati annuali del 2023 saranno annunciati a marzo.

La monarchia petrolifera aveva annunciato l’intenzione di aumentare la propria capacità produttiva giornaliera di un milione di barili nell’ottobre 2021, nello stesso mese in cui si era impegnata a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2060, suscitando lo scetticismo degli ambientalisti. La decisione di abbandonare questo obiettivo “suggerisce che Riyad non è molto fiduciosa che il mondo avrà bisogno di tale capacità aggiuntiva e che gli investimenti necessari per raggiungere e mantenere i 13 mbpd sarebbero meglio spesi altrove“, afferma Jamie Ingram della pubblicazione specializzata Middle East Economic Survey.

All’inizio di questo mese, Aramco ha iniettato quattro miliardi di dollari nella sua società di venture capital, Aramco Ventures, aumentando il suo capitale da 3 a 7 miliardi di dollari. L’azienda punta alla neutralità delle sue operazioni entro il 2050, senza contare le emissioni prodotte dal petrolio esportato e bruciato dai suoi clienti. L’Arabia Saudita ha sempre sostenuto che un aumento degli investimenti nell’industria dei combustibili fossili è necessario per garantire la sicurezza energetica globale, in particolare in Africa. Durante la Cop28, la conferenza globale sul clima tenutasi a dicembre a Dubai, il regno è stato uno dei principali oppositori del riferimento nel testo finale alla “riduzione” o “eliminazione” dei combustibili fossili, causa del riscaldamento globale. L’accordo adottato al termine dei negoziati ha tuttavia aperto la strada al loro graduale abbandono, chiedendo una “transizione dai combustibili fossili“.

All’epoca, il ministro dell’Energia saudita Abdelaziz ben Salmane ha minimizzato l’importanza dell’accordo, affermando che non avrebbe avuto “alcun impatto” sulle esportazioni del suo Paese. L’accordo “non impone nulla” ai Paesi produttori e consente loro di ridurre le emissioni “in base ai loro mezzi e ai loro interessi“, ha dichiarato in un’intervista al canale saudita Al Arabiya Business. L’annuncio di martedì non dovrebbe avere alcun effetto immediato sulla produzione del Regno, che attualmente è ben al di sotto della sua capacità di 12 milioni di barili al giorno, con circa nove milioni di bpd. Dall’ottobre 2022, l’Arabia ha tagliato la produzione di circa due milioni di barili al giorno per sostenere i prezzi del petrolio. Questi tagli volontari e il calo dei prezzi hanno fatto sì che i profitti di Aramco scendessero del 23% nel terzo trimestre del 2023, a 32,58 miliardi di dollari, rispetto ai 42,43 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2022, la ripresa economica post-pandemia e l’impennata dei prezzi sulla scia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia avevano spinto i profitti a un livello “record” di 161,1 miliardi di dollari.

Petrolio, l’utile netto del gigante saudita Aramco cala del 38% nel secondo trimestre

Il gigante petrolifero saudita Aramco ha annunciato lunedì un utile netto di 30,08 miliardi di dollari per il secondo trimestre, in forte calo rispetto allo stesso periodo del 2022, a causa del crollo dei prezzi del petrolio negli ultimi mesi. Questo calo del 38% su base annua segue quello del 19,25% nel primo trimestre. “Il calo riflette principalmente l’impatto dei prezzi più bassi del greggio e l’indebolimento dei margini della raffinazione e dei prodotti chimici“, ha aggiunto Aramco, che è al 90% di proprietà dello Stato saudita, in un comunicato. “I nostri solidi risultati riflettono la nostra resilienza e la nostra capacità di adattarci ai cicli di mercato“, ha dichiarato il ceo Amin Nasser. “Continuiamo a dimostrare la nostra capacità di soddisfare le esigenze dei nostri clienti in tutto il mondo con alti livelli di affidabilità. Per i nostri azionisti, intendiamo iniziare a distribuire il nostro primo dividendo legato alla performance nel terzo trimestre“, ha aggiunto.

Aramco, come altri colossi del settore, ha registrato profitti record lo scorso anno, grazie all’impennata dei prezzi del petrolio sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 e della ripresa economica post-Covida. Negli ultimi mesi, i prezzi del petrolio sono stati appesantiti dal rischio di una recessione mondiale, che sta pesando sulle prospettive della domanda. Tuttavia, i prezzi del greggio sono leggermente aumentati negli ultimi giorni, grazie al rallentamento dell’inflazione negli Stati Uniti e alla strategia di riduzione della produzione attuata dai Paesi esportatori, guidati dall’Arabia Saudita.

L’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio greggio al mondo, ha annunciato ad aprile che avrebbe tagliato la produzione di 500.000 barili al giorno (bpd), come parte di uno sforzo coordinato con altre potenze petrolifere per rilanciare i prezzi. Gli analisti stimano che il Regno abbia bisogno di un prezzo del petrolio di circa 80 dollari al barile per bilanciare il suo bilancio. Solo nel mese di luglio le medie hanno superato questa soglia, segno che le recenti riduzioni dell’offerta stanno iniziando ad avere l’effetto desiderato. Questi tagli “dimostrano fino a che punto il Regno si spingerà per difendere i prezzi del petrolio, dato che il crollo del mercato della sua commodity sta minando i suoi ambiziosi sforzi di diversificazione economica”, ha dichiarato Herman Wang, analista di S&P Global Commodity Insights.

Aramco sta effettuando investimenti per aumentare la sua capacità produttiva a 13 milioni di bpd entro il 2027. Gioiello dell’economia saudita, Aramco ha registrato profitti record di 161,1 miliardi di dollari nel 2022, aiutando il regno a registrare il primo avanzo di bilancio annuale in quasi un decennio. Nel dicembre 2019, l’azienda ha quotato l’1,7% delle sue azioni alla Borsa valori saudita, raccogliendo 29,4 miliardi di dollari. A metà aprile, l’Arabia Saudita ha annunciato il trasferimento del 4% delle azioni di Aramco, per un valore di circa 80 miliardi di dollari, a Sanabil Investments, una società controllata dal Fondo Pubblico di Investimento (PIF) del Regno, uno dei più grandi fondi sovrani del mondo con oltre 620 miliardi di dollari di attività.

Ue non ha fatto i conti col petrolio: l’Opec+ sale sopra il tetto al prezzo

L’Europa in piena emergenza gas non aveva fatto i conti col petrolio. L’Opec+, ovvero l’organizzazione dei Paesi esportatori di greggio allargata alla Russia, ha deciso che a ottobre ridurrà di 100mila barili al giorno la sua produzione, primo taglio da oltre un anno. Di fatto si torna ai livelli di agosto, dopo il leggero incremento produttivo deciso lo scorso mese per settembre. Una mossa, quella dei signori del petrolio, più politica che di sostanza. Infatti il messaggio diffuso dal comunicato è che una riunione d’urgenza dell’Opec potrebbe essere indetta in qualsiasi momento. Come dire: per ora ci accontentiamo di tenere i prezzi tra i 90 e i 100 dollari al barile, tuttavia se la recessione dovesse avanzare bruscamente e la domanda calare precipitosamente, siamo disposti a rivedere tutto. In che direzione però non si sa.

La decisione dell’Opec+ ha così fatto tornare sopra i 90 dollari al barile il prezzo del future del Wti texano e ben oltre i 95 quello del Brent europeo. Da notare che la Russia non voleva una riduzione della produzione, perché non intendeva far sapere soprattutto ai partner asiatici che di petrolio ce n’è più di quanto serva.

L’Arabia Saudita, vero azionista di maggioranza dell’organizzazione, non ha ancora assecondato i desiderata di Joe Biden, recatosi a Jedda a metà luglio per chiedere un incremento della produzione allo scopo di raffreddare i prezzi. C’è il tema dell’Iran, che tratta un ammorbidimento delle sanzioni, che potrebbe preoccupare la casa regnante saudita. C’è poi il tema dell’embargo deciso dall’Occidente al petrolio russo, che comincerà a dicembre. C’è il tema gas: se effettivamente la Ue precipitasse in una profonda recessione, come suggeriscono i dati sui costi alla produzione, il consumo di petrolio e carburanti rischierebbe di precipitare e con esso il prezzo del greggio. C’è, in questo senso, soprattutto il tema posto dal G7 di un tetto al prezzo del petrolio.

Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita ha detto a Bloomberg che l’aver deciso un mini-taglio alla produzione “è un’espressione della volontà di utilizzare tutti gli strumenti del nostro kit. La semplice modifica mostra che saremo attenti, preventivi e proattivi in termini di supporto alla stabilità e al funzionamento efficiente del mercato“. Con l’Europa in crisi, la Cina affamata di energia e l’America impegnata su più fronti, il mondo arabo intende ora aumentare il proprio peso internazionale.

(Photo credits: Mazen Mahdi / AFP)

In Arabia Saudita prima megalopoli green nel deserto: Neom

La futuristica megalopoli Neom in Arabia Saudita si estenderà per 170 chilometri e ospiterà due enormi grattacieli ricoperti di specchi. I nuovi piani li svela il principe ereditario Mohammed bin Salmane, anche se non fugano i dubbi sulla fattibilità economica e ambientale del progetto.

Chiamati ‘The Line’, i due enormi grattacieli paralleli alti 500 metri saranno il centro della città sul Mar Rosso, un progetto di punta da centinaia di miliardi di dollari di bin Salmane, sovrano de facto del regno, che sta cercando di diversificare l’economia del Paese ricco di petrolio.

Con i suoi taxi volanti e i robot domestici, Neom ha fatto molto scalpore già dall’annuncio del progetto, nel 2017, anche se architetti ed economisti restano scettici sulla fattibilità. Inizialmente è stata presentata come una “Silicon Valley” regionale, un polo biotecnologico e digitale di 26.500 chilometri quadrati. Ma, alla presentazione di ‘The Line’, il principe ha delineato una visione ancora più ambiziosa, descrivendo una città utopica senza automobili, la più vivibile “dell’intero pianeta“.

L’idea è di ripensare la vita urbana in un’area di soli 34 chilometri quadrati per affrontare “i problemi di vivibilità e dell’ambiente“, ha aggiunto. “Il progetto si è evoluto così tanto da quando è stato concepito che a volte è difficile determinarne la direzione“, commenta Robert Mogielnicki dell’Arab Gulf States Institute di Washington.

In passato, le autorità avevano previsto un milione di abitanti a Neom. Il principe ha ora fissato l’asticella a 1,2 milioni entro il 2030 e a nove milioni entro il 2045, puntando su un boom demografico che ritiene necessario per rendere l’Arabia Saudita una potenza economica in grado di competere in tutti i settori.
A livello nazionale, l’obiettivo è di raggiungere 100 milioni di persone entro il 2040, “quasi 30 milioni di sauditi e 70 milioni o più di stranieri“, rispetto ai circa 34 milioni di oggi, ha dichiarato Mohammed bin Salmane. “Questo è l’obiettivo principale della costruzione del Neom: aumentare la popolosità dell’Arabia Saudita. E dato che lo stiamo facendo da zero, perché copiare le città normali?“.

Larga solo 200 metri, ‘The Line intende rispondere all’espansione urbana incontrollata e dannosa per l’ambiente, impilando case, scuole e parchi l’uno sull’altro, secondo il modello dell'”urbanistica a gravità zero“. I residenti avranno accesso a “tutte le loro necessità quotidiane” nel raggio di cinque minuti a piedi, oltre ad altri servizi come piste da sci all’aperto e “un treno ad alta velocità che consente di raggiungere la città in 20 minuti“, spiega il comunicato di presentazione.

Anche Neom dovrebbe essere regolata da una propria legge, in fase di elaborazione, ma i funzionari sauditi hanno già detto che non hanno intenzione di abolire il divieto di bere alcolici imposto dal regno conservatore.

Altra sfida è quella di rispettare le promesse di tutela ambientale del Paese, che si è impegnato – senza convincere gli ambientalisti – a diventare carbon neutral entro il 2060. Secondo un video promozionale pubblicato lunedì, la città sarà alimentata interamente da energie rinnovabili e sarà caratterizzata da “un microclima temperato tutto l’anno con ventilazione naturale“.
Neom è ben posizionata per beneficiare dell’energia solare ed eolica e si prevede che ospiterà il più grande impianto di idrogeno verde del mondo. “Ma la fattibilità nel suo complesso non è chiara, date le dimensioni e i costi senza precedenti del progetto“, osserva Torbjorn Soltvedt della società di consulenza Verisk Maplecroft.

Il costo della “prima fase“, che durerà fino al 2030, è stimato in 1.200 miliardi di riyal sauditi (circa 319 miliardi di dollari), secondo il principe Mohammed.
Oltre alle sovvenzioni statali, si prevede che i fondi arriveranno dal settore privato e dall’Ipo di Neom prevista per il 2024.

Il finanziamento rimane una sfida potenziale, anche se l’attuale impennata dei prezzi del petrolio è più favorevole per il regno rispetto al primo periodo della pandemia da Covid-19. Inoltre, “il finanziamento è solo una parte dell’equazione“, sottolinea Robert Mogielnicki. “La domanda è più difficile da acquistare, soprattutto quando si chiede alle persone di partecipare a un esperimento su come vivere e lavorare nel futuro“.

(Photo credit: FRANCK FIFE/AFP)