#Salute24, Toti: “Autonomia darà la scossa”. Ma Lorenzin: “Legge inutile e dannosa”

L’autonomia differenziata, croce o delizia per il welfare italiano? Il tema resta ‘incandescente‘ e da mesi divide il dibattito politico. Scenario che si è ripetuto anche al convegno ‘#SALUTE24-Sanità pubblica: l’autonomia differenziata delle Regioni nell’Unione della salute’, organizzato da Withub insieme a Eunews, GEA, Fondazione art.49, in collaborazione con il Parlamento europeo, con il patrocinio della Commissione europea e della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e con il supporto di Incyte.

Nel panel dedicato ai ‘Percorsi differenti per livelli di prestazioni omogenei: la missione (impossibile?) dell’autonomia differenziata‘, si sono confrontati governatori, assessori regionali e parlamentari sulla norma in discussione alla Camera, per avere una visione più completa possibile dell’argomento. Dal punto di vista degli enti locali è il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, a dare come si suol il dire ‘il titolo‘ alla discussione. “La scossa dell’autonomia penso non possa che fare bene all’Italia”, dice il governatore. Mettendo in cima ai possibili benefici che la riforma potrà portare, quello della “assunzione di responsabilità di una parte della classe dirigente del Paese che, come la notte hegeliana, troppo spesso tende a distribuire le cose che non vanno su vari strati di governo, non consentendo al cittadino di comprendere dove il meccanismo si inceppa”.

Non la pensa allo stesso modo la senatrice del Pd, Beatrice Lorenzin, che non usa giri di parole: “È una legge dannosa e inutile”. L’ex ministra della Salute, però, motiva dettagliatamente le sue opinioni: “Dannosa perché non risolve nessuna delle questioni aperte: diseguaglianze, sotto-finanziamento, personale, competitività e competenze, investimenti in ricerca, dati sanitari, che è un tema anche europeo”. Mentre è “inutile, perché non affronta le grandi questioni emerse con il Covid, come costruire reti della prevenzione con input veloci tra Stato e Regioni”. In sostanza, sintetizza Lorenzin, “invece di colmare i problemi, li accentua. Risponde a uno schema politico vecchio, giurassico e non ai reali bisogni dei cittadini, del sistema sanitario e delle stesse Regioni. Anzi, acuirà le fratture tra Nord e Sud e ne creerà di nuove anche all’interno dello stesso Nord”.

Indirettamente, nel videomessaggio inviato agli organizzatori, risponde il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, che si definisce “uno tra i maggiori sostenitori dell’autonomia differenziata, specie in un ambito come quello della salute, di così grande impatto sulla vita delle persone”. Secondo il governatore “troppo spesso la questione si pone in termini antitetici, come se l’acquisizione di maggiore responsabilità e autonomia di gestione fossero in alternativa all’omogeneità delle prestazioni. Al contrario – continua -, credo che il livello di risposta ai bisogni più vicini ai cittadini e territori consenta di scegliere la strada più idonea, veloce ed efficace. Una programmazione della sanità che superi la logica dei tetti di spesa, delle contribuzioni a silos non può che aiutare l’equilibrio economico e finanziario degli stessi sistemi”.

Positivo anche il giudizio del governatore veneto, Luca Zaia: “L’Autonomia consentirà di essere più competitivi ed efficienti, più vicini alla gente, meno sprechi, la possibilità di gestire le risorse, anche quelle sanitarie, che ci vengono affidate, nel miglior modo possibile”. Per questo la sua Regione “è pronta per la scrittura dell’intesa, in cui si potrà dare una veste alla nostra idea di autonomia. L’Autonomia è un processo di modernità, valorizzazione delle competenze e piena assunzione di responsabilità, che non mancherà di solidarietà e sussidiarietà”.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche il vice presidente e assessore alla Sanità della Regione Marche, Filippo Saltamartini: “La differenziazione dei poteri regionali è questione antica ma è prevista da una riforma costituzionale voluta nel 2001 dalla sinistra”. Portando l’esempio dell’istituzione che rappresenta, spiega: “Se il Fondo nazionale sanitario viene redistribuito sul principio pro capite, e la mia Regione ha il bilancio in pareggio, potrò essere esonerato dal tetto di spesa, che è nazionale, e assumere medici e personale”. Altrimenti, conclude, “si blocca tutto il sistema sanitario sulla base della performance più bassa”.

Attilio Fontana: “Chi ha progettato il Pnrr poteva destinare più fondi alla sanità”

Attilio Fontana è stato riconfermato alla guida della Regione Lombardia nelle ultime elezioni regionali di febbraio. Il presidente ha parlato con GEA di sanità, a pochi giorni dall’evento ‘Il nuovo approccio europeo alla salute e le ricadute per il sistema italiano‘, organizzato da Withub, con la direzione editoriale di GEA ed Eunews, che si svolgerà a Roma, presso l’Europa Experience David Sassoli, il prossimo 13 aprile.

Presidente, si fa un gran parlare di sanità pubblica a rischio, tra personale introvabile e bilanci risicati. Com’è la situazione per voi governatori?

“La situazione in Lombardia per quanto riguarda il personale è come quella delle altre regioni. Purtroppo siamo tutti vittime di programmazioni sbagliate fatte negli ultimi 10 anni dai Governi nazionali. Non è stato tenuto conto del fabbisogno sanitario della popolazione, tantomeno nelle specialità più richieste. Così abbiamo carenze di medici di medicina generale – ormai in maggior parte in età pensionabile – anestesisti, ortopedici e altre figure indispensabili per far funzionare al meglio il sistema. Senza contare poi la questione degli stipendi, troppo bassi e poco appetibili, che spingono molti professionisti ad andare all’estero. So che il ministro Schillaci ha già contezza di questi problemi e che intende prendere i primi provvedimenti per la loro soluzione”.

Dopo il Covid su cosa avete investito per superare le criticità che avevate sperimentato?

“Come già avevamo iniziato a fare prima della pandemia, siamo tornati a lavorare sulla gestione dei pazienti cronici – che sono quelli che assorbono il 70 per cento delle prestazioni sanitarie – e sul recupero delle liste d’attesa. Il Covid ha dimostrato che poco c’entrava la medicina territoriale. Purtroppo nella prima ondata, anche se avessimo avuto tanti medici sul territorio, i pazienti con fame d’aria avrebbero potuto essere curati solo in ospedale”.

Nel futuro assisteremo a una sanità d’eccellenza concentrata in pochi siti e tanti presidi di pronto soccorso nel territorio? Le case di comunità potranno funzionare?

“Il progetto è avere tanti presidi sul territorio – come Case e Ospedali di Comunità – che possano evitare il sovraffollamento dei pronto soccorso, non la loro moltiplicazione. Ma perché funzionino abbiamo bisogno della collaborazione dei medici di medicina generale. Soprattutto per i problemi che esponevo, legati alla carenza di personale. Si deve far gruppo e lavorare insieme – medici di base, specialisti ospedalieri e operatori sociali – per una vera presa in carico multidisciplinare del cittadino”.

Nel Pnrr la voce sanità è una delle meno ricche. Come mai, secondo lei, il Recovery nato dopo la crisi pandemica ha puntato meno su una voce che in Italia si è dimostrata più fragile del previsto, privilegiando altri settori?

“Dovrebbe chiederlo a chi lo ha progettato. Per me i soldi investiti in sanità sono sempre troppo pochi. E’ una spesa buona…”.

Durante la pandemia le Regioni hanno mostrato pregi e difetti della regionalizzazione della sanità. Sarebbe il momento di fare un tagliando a questo sistema che vige da decenni?

“Direi che il tagliando fatto durante la pandemia ha evidenziato proprio l’importanza del ruolo delle Regioni. E’ stato grazie a noi se sono state scritte le linee guida che hanno consentito pian piano la ripresa delle attività e sempre grazie alle Regioni se la campagna vaccinale è stata un successo“.

L’autonomia differenziata può aiutare a superare i problemi di bilancio e di reperimento personale?

“Assolutamente sì. Noi oggi riceviamo le risorse dal fondo sanitario nazionale che sono alloccate in cosiddetti ‘silos’ blindati che non ci consentono di destinarle negli ambiti che hanno più necessità. Così capita, per esempio, che abbiamo fondi sulla voce ‘infrastrutture’ in cui non abbiamo bisogno di investire, mentre ci mancano in quella relativa al ‘personale’. Ecco, con l’Autonomia, a parità di risorse ricevute, potremo essere liberi di investire dove abbiamo bisogno“.

Fontana ci riprova in Lombardia: “Più economia circolare, solare e sostenibilità alimentare”

Attilio Fontana ci riprova. Il presidente della Regione Lombardia, domenica e lunedì alle elezioni, punta al bis. L’avvocato ex sindaco di Varese ed ex presidente del Consiglio Regionale lombardo è sostenuto da 5 liste: Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Moderati-Sgarbi e la civica che porta il nome del governatore. In questi cinque anni ha superato emergenza pandemica e crisi energetica, ciò nonostante – in base a numerosi osservatori nazionali e internazionali – la Lombardia ha aumentato la sua leadership in Europa.

Presidente, i prossimi 5 anni saranno decisivi per la transizione energetica ed ecologica. Ha tre progetti se rimanesse alla guida della Regione?

“Scegliendone tre, direi che prima di tutto Regione Lombardia deve continuare a essere un’eccellenza nell’economia circolare, dove siamo già a un ottimo livello, grazie a un sistema di gestione dei rifiuti molto efficiente, con una raccolta differenziata al 73% e programmato che arrivi all’83% entro il 2030; con il 62% dei rifiuti urbani e il 85% dei rifiuti delle attività produttive che vengono avviati a recupero e la gran parte di questi effettivamente riciclati. La seconda linea di interventi è legata da un lato alla produzione di energia pulita, con il fotovoltaico, scelto come tecnologia più adatta – e per questo obiettivo dovrà raddoppiare la capacità di produzione -, dall’altro saranno le riduzioni di consumi, tramite una forte azione di efficientamento energetico. Inoltre, dobbiamo diventare competitivi anche con l’idrogeno verde. Terzo il contenimento del consumo di suolo da cui dipende anche la sostenibilità alimentare, lo sviluppo del settore agricolo e l’assorbimento di CO2″.

L’aumento delle auto elettriche implica anche una trasformazione urbana e non solo di città e centri abitati. La Regione come può aiutare i Comuni?

“La parola chiave deve essere sostenibilità, sia ambientale, sia economico-sociale. Crediamo infatti che la transizione debba essere prima di tutto un processo da governare più che da subire. Negli anni scorsi abbiamo fatto la nostra parte con incentivi per l’acquisto di questi veicoli o con bandi per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica. I fatti dimostrano quindi la nostra propensione allo sviluppo di questo settore, ma con i suoi tempi, legati anche al potenziamento delle fonti rinnovabili capaci di alimentare i nuovi fabbisogni energetici. Nel frattempo, in attesa del potenziamento di queste reti, non possiamo nemmeno vietare l’endotermico al quale la nostra economia è fortemente legata e che può, con la ricerca sui combustibili sintetici e sui biocombustibili, rappresentare un’altra via verso la sostenibilità. Quello che possiamo fare è continuare a investire sull’efficientamento energetico e sulla possibilità di produrre energia in modo sostenibile e capillare anche nei Comuni più piccoli. Lo sviluppo di questo settore, come di tutta la nostra economia, non è slegato ai costi dell’energia, anche e soprattutto elettrica”.

Bollette alle stelle e imprese in difficoltà. Per usare meno gas e abbassare i costi della luce servono più rinnovabili. La Regione, attraverso le commissioni Via-Vas, è determinante nelle autorizzazioni. Come si possono accelerare?

“In Regione Lombardia abbiamo rafforzato la Commissione VIA e tutte le strutture tecniche di supporto, ma soprattutto abbiamo introdotto il Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR), che consente con un unico provvedimento di ottenere tutte le autorizzazioni regionali, provinciali e comunali per la realizzazione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. E questo consente di accelerare i tempi medi, che per le vie statali sono fino a 18 mesi, mentre in Regione Lombardia sono al massimo di 7 mesi”.

Capitolo infrastrutture: nell’ultimo decennio sono nate grandi arterie autostradali, tuttavia l’alta velocità per, ad esempio, Venezia, va a rilento… Serviranno più trasporti su ferrovia piuttosto che su strada?

“Le infrastrutture della mobilità devono essere pensate per le necessità del futuro. Il nostro modo di muoversi sta già cambiando e lo farà sempre di più in futuro. Pensate anche solo a quali ricadute avranno tecnologie come la guida autonoma e i sistemi di condivisione dei veicoli. Per questo immaginiamo che la rete di trasporto ferroviaria sarà sempre più strategica nel collegare i territori, non solo per estendere le reti di trasporto urbano negli hinterland. Saranno quindi importanti interventi di potenziamento e ammodernamento della rete ferroviaria capaci di permetterci di raggiungere obiettivi di sostenibilità economica, sociale e ambientale”.

Il Po navigabile, i Navigli a Milano… secondo lei servono più investimenti per avviare progetti di trasporto fluviale?

“La rete di trasporti deve essere sempre più multimodale e, in Lombardia, le merci possono percorre anche le strade dell’acqua. Servono tuttavia poli logistici trimodali, in grado di smistare le produzioni lombarde su ferro acqua e gomma. Non sono nemmeno secondari accordi e intese con territori vicini per rendere navigabili alcune tratte tutto l’anno. È un sistema che riveste un’importanza strategica e non mancheremo di fare la nostra parte anche in questo settore pensando anche che la navigazione su fiumi e navigli, insieme a quella sui laghi, costituisce un elemento di attrattività turistica e fruizione sostenibile del nostro territorio”.

Pnrr. Che progetti ha in mente? Le Regioni non sono protagoniste nella cosiddetta messa a terra, ma non crede che dovrebbero diventare protagoniste nella regia dei progetti?

“Vero, le Regioni non giocano un ruolo di primo piano nella gestione dei fondi del Pnrr. C’è stato un confronto, ma nella gestione siamo comunque abbastanza esclusi. È una decisione che abbiamo cercato di contrastare anche in sede di Conferenza delle Regioni. Nella ripartizione delle competenze, è indubbio che l’ente più vicino al cittadino è quello che più è in grado di rispondere ai bisogni dei territori. Non per niente è costante il nostro confronto con i Comuni: modello che avremmo potuto replicare con successo anche con il Pnrr”.

Sostenibilità. La manifattura lombarda è la prima in Europa. E’ possibile aiutare le imprese verso minori risparmi energetici e, allo stesso tempo, mantenere una leadership mondiale o europea? Secondo lei non c’è rischio deindustrializzazione?

“Abbiamo visto negli ultimi anni come la competitività delle nostre imprese sia stata messa a rischio dai costi dell’energia. Ricordo che Regione Lombardia è stata la prima a lanciare l’allarme su questi costi e insieme a tutti gli stakeholder lombardi è stato predisposto un manifesto, con proposte concrete, inviato all’allora governo Draghi e all’Europa. È infatti un problema che richiede interventi su vasta scala. Noi possiamo tuttavia continuare a mettere a disposizione risorse per l’efficientamento energetico e continuare a favorire le nuove fonti di energia. Il nostro Paese sconta già la carenza di alcune materie prime, per non perdere posizioni dobbiamo essere capaci di spingere almeno sulla produzione di energia. Nel breve termine resta importante continuare a intervenire a livello centrale con risorse per calmierare i prezzi, così come ha fatto anche il governo Meloni”.

fiume Tevere

Emergenza siccità, Draghi: “Dispersioni straordinarie, ora grande piano acqua”

La grande sete corre verso Sud. L’epicentro della siccità si è spostato dal Nord (dove la situazione resta comunque da monitorare) al Centro Italia. “Il governo è al lavoro e da lunedì siamo pronti ad approvare i piani di emergenza regionali“, assicura il premier, Mario Draghi.

Il momento è drammatico. Per “il bacino Padano si tratta della crisi idrica più grande degli ultimi 70 anni“, ricorda il presidente del Consiglio. La crisi però non è dovuta soltanto a un deficit di pioggia degli ultimi tre anni, ma anche a una serie di cause strutturali, ammette: “La cattiva manutenzione dei bacini, la cattiva manutenzione della rete“. Le dispersioni di acqua, afferma, sono “a un livello straordinario, circa il 30%. Tanto per rendere l’idea, in Israele è del 3%, in altri Paesi europei il 5, 6, 8%“. Il piano di emergenza occorrerà, ma servirà anche, e con urgenza, un piano per ovviare alle carenze infrastrutturali. Draghi parla di un ‘grande piano dell’acqua’: “C’è già nel Pnrr: sono stati stanziati 4 miliardi per questo” ma gli stanziamenti saranno aumentati e si arriverà a un “coordinamento massiccio” dei tanti enti preposti all’amministrazione dell’acqua. “Il governo non può far piovere, ma sta facendo tutto quello che può“, gli fa eco il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli.

A soffrire maggiormente, al momento, sono le Marche, dove ormai si rischia il razionamento degli approvvigionamenti, avverte l’osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi. Nelle zone di Ascoli Piceno e Fermo la condizione di siccità è estrema: i volumi d’acqua, trattenuti negli invasi, calano di 1 milione di metri cubi a settimana per riuscire a dissetare le campagne e tutti i fiumi hanno portate inferiori alle annate scorse.

Non va meglio in Toscana, dove il 90% del territorio è in una condizione di siccità estrema, la riduzione delle portate dei fiumi non si ferma: il Bisenzio è quasi azzerato (0,30 metri cubi al secondo contro una media di mc/sec 2,42) e l’Ombrone è trasformato in un “rigagnolo” da 500 litri al secondo, denuncia l’Anbi.

Per l’associazione, anche nel Lazio la situazione è “drammatica”. A Roma, dall’inizio dell’anno, è piovuto il 63% in meno e nella provincia si sono registrati, in pochi giorni, 496 interventi dei vigili del fuoco per spegnere gli incendi. L’Aniene è praticamente dimezzato rispetto alla portata media, il Tevere registra livelli più bassi anche del 2017, Liri e Sacco il dato più basso in anni recenti, il lago di Nemi è di oltre 1 metro più basso del 2021 e Bracciano è a -32 centimetri dal livello dello scorso anno.

Più a Sud, dalla Basilicata in una settimana sono stati prelevati oltre 11 milioni di metri cubi d’acqua dagli invasi, le cui disponibilità idriche stanno segnando un deficit di circa 37 milioni di metri cubi sull’anno scorso. Resta, invece, ancora positivo il bilancio dei principali bacini pugliesi, nonostante un prelievo settimanale superiore ai 14 milioni di metri cubi. In Campania, tutti i fiumi sono in deficit rispetto allo scorso anno, mentre in Abruzzo è la zona di Chieti a soffrire maggiormente per la mancanza d’acqua.

Al Nord invece è tornata la pioggia, che ha permesso in Valle d’Aosta di arricchire la portata della Dora Baltea e di dare sollievo alla portata del Po, che a Pontelagoscuro è risalita a 200 metri cubi al secondo, quando comunque l’allarme cuneo salino scatta già a 450 metri cubi al secondo (l’ingressione marina è ormai segnalata a 30 chilometri dalla foce). L’incremento di portata non risolve comunque il problema del gravissimo deficit idrico nel Grande Fiume, “ma scongiura, per ora, lo stop ai prelievi, che comporterebbe enormi danni all’agricoltura“.

Tornano, anche sul Piemonte, le piogge a macchia di leopardo: più abbondanti sul bacino del fiume Sesia, meno intense su quello del Tanaro.

L’Osservatorio crisi idriche dall’Autorità Distrettuale del fiume Po-Ministero della Transizione Ecologica ha stabilito una riduzione del 20% dei prelievi irrigui a livello distrettuale rispetto ai valori medi dell’ultima settimana e un aumento dei rilasci dai grandi laghi alpini (Maggiore, Como, Iseo, Idro e Garda) pari al 20% rispetto al valore di oggi. Le misure serviranno a contrastare la risalita del cuneo salino nelle acque superficiali e sotterranee riducendo, allo stesso tempo, i rischi di potenziali impatti negativi sullo stato ambientale dei corpi idrici.

Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, garantisce che con le operazioni che messe in campo, per l’agricoltura ci sarà acqua sufficiente fino all’8-9 luglio. “Poi se non dovesse piovere fino a quella data è chiaro che si porrà un altro problema“, afferma. Per quanto riguarda l’acqua per uso civile, per ora scongiura problemi immediati: “Dobbiamo monitorare la situazione e muoverci a seconda delle condizioni climatiche. C’è bisogno che piova“.

In Piemonte il governatore Alberto Cirio ha istituito un tavolo permanente per combattere la situazione. L’iniziativa va ad aggiungersi, con funzioni di coordinamento, alle altre misure messe in campo dalla Regione: richiesta dello stato di emergenza per l’intero territorio e dello stato di calamità per l’agricoltura, rilascio di acque dai bacini utilizzati per produrre energia idroelettrica a supporto dell’irrigazione delle colture e deroga al minimo deflusso vitale dei fiumi.

Po

L’Italia ha sete. Le Regioni chiedono lo stato di emergenza, Cirio: “Situazione drammatica”

Una situazione drammatica, mai così grave negli ultimi anni. È il quadro che, in piena emergenza siccità, restituiscono i presidenti delle Regioni del Nord Italia. Lo fa il governatore del Piemonte Alberto Cirio, che chiede “risorse economiche per i nostri agricoltori” e che “il Governo prenda in mano la questione sotto forma di emergenza nazionale. Per evitare che questa situazione torni a replicarsi in futuro, il Pnrr deve essere declinato in modo che gli agricoltori possano costruire piccoli invasi consortili“. E lo fa il collega della Lombardia, Attilio Fontana, che al termine della riunione tra la Conferenza delle Regioni e il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, parla di “una situazione eccezionale, di una gravità che non si era mai verificata in questi anni“. Intanto la Protezione Civile sta lavorando sui parametri tecnici per andare incontro alle richieste di stato di emergenza.

Da una parte c’è l’esigenza di non dover razionare l’acqua per uso domestico, dall’altra quella di sostenere e risarcire gli agricoltori danneggiati dalla siccità. Senza dimenticare il funzionamento delle centrali idroelettriche, messe a grave rischio dalla mancanza di flussi. Per quanto riguarda l’agricoltura, già in mattinata il ministro Patuanelli aveva parlato della necessità di “fare un percorso di avvicinamento all’obbligo assicurativo” per il settore. E annunciato una riunione con il Mite e la Protezione civile per fare il punto sulla situazione. In ogni caso, secondo il ministro, “lo stato di emergenza e lo stato di calamità dovranno lavorare insieme” per “portare l’acqua dove serve con la Protezione civile” e per avviarne la razionalizzazionecioè per modificare le modalità degli usi domestici, agricoli e nelle centrali idroelettriche“. Lo stato di calamità, invece, “consente di superare i limiti della norma 102 per intervenire sui danni“.

Intanto, l’Autorità Distrettuale del fiume Po continua a lanciare l’allarme sul cuneo salino nel Delta del Po, che ha raggiunto i 21 km. “Il livello del fiume è così basso – spiega il segretario generale Meuccio Berselliche consente all’Adriatico in alta marea di penetrare e cambiare le caratteristiche della falda che da acqua dolce diventa salmastra“. L’acqua salmastra, afferma, “diventa inutilizzabile per le colture. C’è quindi un danno ambientale e un danno economico“. Una situazione drammatica, appunto, dove lo stato di emergenza e calamità sembrano avvicinarsi ogni giorno di più.

Fontana: “Giochi 2026, fra sostenibilità ambientale ed economica”

Il conto alla rovescia per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina è ormai partito. Mancano quattro anni alla fatidica data e la Lombardia si prepara a ospitare atleti, appassionati e turisti in quelli che saranno i giochi più ‘green’ di sempre. Già, perché proprio la sostenibilità, ambientale e non solo, è stata uno dei motivi per il quali il Comitato Olimpico ha scelto proprio i territori italiani come venue per il grande evento sportivo. O, almeno, ne è convinto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. “Credo che il CIO, dopo le esperienze vissute nelle precedenti Olimpiadi durante le quali si realizzarono opere enormi che però rimasero poi come cattedrali nel deserto e in alcuni casi crearono anche dei problemi ai paesi che avevano ospitato i Giochi, ha deciso di valutare i vari dossier partendo dal presupposto che si privilegiavano quelli nei quali non si fossero realizzate opere eccessive. Questa è stata la nostra peculiarità: la scelta di distribuire l’organizzazione in due regioni, poi si è aggiunta la terza, il Trentino Alto Adige, e individuare siti nei quali già ci fossero le grandi opere necessarie per lo svolgimento delle gare”, spiega in un’intervista a GEA. E da questi presupposti la Lombardia è partita: “Abbiamo pensato di immaginare questi Giochi in modo che siano assolutamente sostenibili, che non vadano a realizzare opere inutili, che non vadano a sprecare ulteriore territorio, che rispettino il più possibile i valori della sostenibilità che ormai sono diventati parte di una cultura generale alla quale tutto lo sviluppo europeo fa riferimento”.

In effetti, in Lombardia saranno realizzate solo due opere totalmente nuove. “Si tratta – dettaglia Fontana – del Pala Santa Giulia (he ospiterà le gare di hockey a Milano, ndr), la cui costruzione da parte di privati era già prevista in un accordo di sviluppo urbano, e poi del Villaggio Olimpico, che però ha già una destinazione d’uso post Olimpiadi: servirà come studentato per gli universitari appena finiti i Giochi”. Per il resto, spiega il governatore della Lombardia, “si tratta di tutti impianti esistenti, funzionanti e che abbisogneranno forse soltanto di un po’ di maquillage per renderli più moderni e attrattivi, ma non ci saranno assolutamente opere che rischino poi di rimanere inutilizzate e di decadere, di non avere un utilizzo”.

Ma in un’edizione delle Olimpiadi che coinvolge territori e regioni diverse, è impossibile non pensare ai collegamenti fra gli impianti di gara e a quel che si dovrà fare per migliorarli e implementarli. Tutte opere, però, che secondo Fontana “servono al territorio per il miglioramento della viabilità, delle linee ferroviarie. A prescindere dalle Olimpiadi sarebbero state comunque realizzate. I Giochi hanno portato a una accelerazione di opere che erano già previste nei progetti di sviluppo dei nostri territori”. E, anche se progetti come la ‘tangenzialina’ di Bormio) e la variante di Sondrio fanno storcere il naso agli ambientalisti, il presidente della Regione precisa che sono progetti che erano già previsti da prima e che “non bisogna mai esasperare né un concetto né l’altro. Bisogna cercare di trovare un equilibrio che consenta di rispettare i valori della sostenibilità ambientale ma anche quelli della sostenibilità economica. I territori hanno bisogno di migliorare per poter essere più attrattivi e dare servizi ai cittadini. Un equilibrio lo si deve sempre trovare. Credo che nel nostro dossier questo equilibrio si sia raggiunto”.

Nel trovare questo equilibrio, qualche ritardo si è accumulato. Fontana lo addebita alla decisione del Governo di costituire una società ad hoc per la realizzazione delle opere che è partita solo a novembre dello scorso anno. Ma è “confidente nel fatto che l’amministratore delegato che riveste anche la carica di commissario saprà recuperare questi piccoli ritardi”. I ritardi che invece ‘piacciono’ al governatore sono quelli sul nuovo stadio di Milano, considerando che a San Siro si svolgerà la cerimonia di apertura dei Giochi e che, se fosse abbandonato da Milan e Inter prima delle Olimpiadi, bisognerebbe tenere viva la location fino al 2026. “Ma se c’è qualche ritardo nella realizzazione di alcune opere infrastrutturali, credo che realizzare il nuovo San Siro abbia qualche ritardo in più. Per cui non penso che lo stadio da qua a quell’epoca sia già stato abbandonato. Da quello che posso leggere si stanno prendendo delle decisioni adesso ,ma per realizzare una grande struttura credo che ci voglia almeno lo stesso numero di anni. Quindi nel 2026 credo che San Siro sarà sicuramente in piedi, efficiente, funzionante e lì si potrà svolgere la cerimonia inaugurale. Ma anche se il nuovo stadio venisse realizzato, i tempi sarebbero lunghi quindi non lo vedo come un problema”.

Quando si parla di grandi eventi come i giochi olimpici, impossibile non riflettere sull’eredità che lasciano a un territorio. “Le Olimpiadi non sono i 20 giorni in cui si svolgono le gare, ma sono tutti i lavori di preparazione, che servono per promuovere il territorio. Poi quei 20 giorni sono la vetrina migliore per farlo conoscere. Sono convinto che i turisti continueranno a venire e altri se ne aggiungeranno. È chiaro che da questo punto di vista questa sarà la principale eredità. Poi penso alla creazione di posti di lavoro che nasceranno ora e rimarranno negli anni. Infine, le opere: quelle resteranno, e saranno utili per la comunità”.

(Photo credits: Philippe LOPEZ / AFP)

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Emergenza Oro blu. Fiume Po? Uno ‘scenario desolante’

L’oro blu è sempre più prezioso e ora l’allerta è rossa. Tanto da portare i ministeri coinvolti (Politiche agricole, Transizione ecologica, Economia, Affari Regionali) a riunirsi in un vertice straordinario con Palazzo Chigi e la protezione civile e, dopo la richiesta di stato d’emergenza già inoltrata da Piemonte e Emilia Romagna, a far decidere anche al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti di proclamare lo stato di calamità. La situazione più grave riguarda il fiume Po che in questi giorni, a detta dell’Autorità distrettuale di bacino (AdbPo), restituisce “uno scenario desolante”: le storiche portate al ribasso dei giorni scorsi e quella registrata oggi di 180 metri cubi al secondo a Pontelagoscuro (Ferrara) “sono il sintomo chiaro di un generale ed esteso stato di estrema gravità idrica nell’intera area del Po”. Il leit-motiv è non perdere nemmeno un minuto di tempo. A questo servono gli appelli ai decision makers che si sono moltiplicati negli ultimi giorni: occorre accelerare gli interventi amministrativi di emergenza dato che la carenza diffusa di acqua disponibile “condiziona pesantemente le difficoltà di agricoltura e habitat naturale”. Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha già chiesto al governo di attivare lo stato d’emergenza con il pieno coinvolgimento della Protezione civile per coordinare tutti i soggetti coinvolti: Regioni interessate, Autorità di bacino e Consorzi di bonifica, “e cooperare per una gestione unitaria del bilancio idrico“. E spiega che “è necessario uno stretto contatto con le istituzioni e per questo abbiamo già attivato tavolo con i ministri Patuanelli e Cingolani che nelle prossime ore si riunirà nuovamente“. Lo stesso responsabile del Mipaaf ha fatto sapere che “la situazione è delicata“, per questo “ci aggiorneremo a livello politico“, per studiare le contromosse.

STATO D’EMERGENZA

Oggi è tornato a riunirsi, per l’ottava volta da inizio anno, l’Osservatorio permanente sugli utilizzi della risorsa nel bacino del fiume Po che raggruppa Regioni, Consorzi di bonifica, associazioni di categoria e concessionari di energia elettrica. “I singoli scenari proiettati da tutti gli enti e portatori di interesse – spiega l’AdbPo – ci consegnano una realtà drammatica, aggravata dalla prospettiva di una assenza ulteriore di precipitazioni per un minimo di almeno 10-12 giorni e comunque solo temporalesche e con temperature roventi”. E se il tempo stringe, precisa l’Autorità di bacino “sono oltremodo stringenti anche le tempistiche dei numerosi summit regionali e nazionali destinati a razionalizzare e centellinare l’utilizzo per tutti gli usi dell’acqua disponibile”. Piemonte ed Emilia-Romagna hanno infatti già inoltrato richiesta di stato d’emergenza al Governo, anche alla luce del protocollo sugli impieghi che per legge prevede dapprima quelli civili per le forniture del comparto idropotabile, poi quello agricolo e via via tutti gli altri. E se il Piemonte ha chiesto aiuto alla vicina Valle d’Aosta, il presidente Lavevaz ha risposto che anche nella sua regione si stanno “riscontrando gravi criticità dovute alla carenza idrica“, per questo è difficile che possa “rispondere a un’emergenza ampia come quella che si sta configurando“. A breve si potrebbe aggiungere la richiesta di stato di emergenza anche del Veneto, mentre la Regione Lazio annuncerà lo stato di calamità. Il governatore Nicola Zingaretti ha spiegato che “servirà ad adottare immediatamente le prime misure e invitare i sindaci alle prime misure di contenimento perché dobbiamo prepararci a una situazione molto critica“. Parla di situazione “abbastanza grave” anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana. “Noi stiamo attenzionando questo problema da un mese e mezzo e abbiamo già raggiunto nei mesi scorsi degli accordi con gli agricoltori per realizzare interventi che utilizzino nel modo migliore la poca acqua di cui disponiamo”, spiega Fontana, intervistato da GEA. Per fare un esempio, “abbiamo concordato con loro di rinviare alcune semine per darci la possibilità di raccogliere maggiore acqua nei laghi che poi abbiamo rilasciato al momento opportuno”. Ma anche con i gestori dei bacini idroelettrici sarebbe già stato raggiunto un accordo sul “rilascio graduale di una quantità importante di acqua che deve servire proprio in questi giorni per mantenere le irrigazioni”. Il problema, secondo Fontana, è che “si possono realizzare tutte le alchimie di questo mondo, ma se manca la materia prima che è l’acqua prima o poi anche le alchimie rischiano di saltare”.

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SCENARIO ROSSO

Il più grande fiume italiano è praticamente irriconoscibile con una grande distesa di sabbia che occupa la gran parte del letto del fiume”, ha annunciato la Coldiretti rimarcando l’importanza del Po sull’ecosistema della pianura padana “dove per la mancanza di acqua è minacciata oltre il 30% della produzione agricola nazionale e la metà dell’allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo”. Secondo il monitoraggio Coldiretti, il livello del Po a Ponte della Becca (Pavia) è a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico più basso registrato nel Ferragosto 2021. “La siccità colpisce i raccolti, dal riso al girasole, dal mais alla soia, ma anche le coltivazioni di grano e di altri cereali e foraggi per l’alimentazione degli animali, in un momento in cui è necessario garantire la piena produzione con la guerra in Ucraina”, ha spiegato l’associazione delle imprese agricole. Lo scenario nel distretto padano si fa dunque obbligatoriamente ‘rosso’ e prevede lo stop totale e immediato dei prelievi.

SOLUZIONI TAMPONE E PERICOLO INCENDI

Una soluzione tampone potrebbe essere quella individuata dal segretario generale dell’AdbPo, Meuccio Berselli: un provvedimento transitorio per equilibrare in modalità sussidiaria l’uso della risorsa rimasta, con il -20% dei prelievi per continuare comunque l’irrigazione e garantire la risorsa idrica al Delta che vede una risalita di acque dal mare Adriatico arrivata oggi a oltre 21 km. “Per quel che resta in termini di quantità disponibile – ha spiegato Berselli – assicuriamo la continuità dell’irrigazione all’agricoltura, pur in maniera ridotta, mantenendo come primo obiettivo l’idropotabile. Proseguendo così il prelievo dai laghi si garantisce la continuità irrigua. Giunti a questi livelli ogni decisione porta con sé margini di criticità ma il traguardo, in ottica di area vasta, è minimizzare il danno quanto più possibile in attesa di potenziali integrazioni amministrative dei territori e organi di governo”. All’emergenza siccità oltretutto si aggiunge quella legata agli incendi. Le alte temperature e l’assenza di precipitazioni hanno infatti inaridito i terreni nelle aree più esposte al divampare delle fiamme. Sempre secondo Coldiretti, i roghi si sono triplicati nell’ultimo anno rispetto alla media storica, con un più di un rogo ogni due giorni dall’inizio del 2022.

IDROELETTRICO IN PANNE

A correre ai ripari, lanciando l’ennesimo allarme, è persino l’associazione ‘Elettricità Futura‘ che raggruppa le imprese del mondo elettrico. Risulta ad esempio “scarsissima” la produzione idroelettrica attuale e “aumenta il pericolo per il raffreddamento delle centrali termoelettriche”. Nonostante questo, spiega Elettricità Futura, “il settore si rende disponibile a collaborare con le Regioni e con Terna per sostenere il comparto dell’agricoltura“. Dal canto suo Terna ha confermato una “produzione idroelettrica estremamente ridotta, con riserva al minimo degli ultimi anni“. Dall’Osservatorio sul fiume Po è giunta anche la raccomandazione della Protezione civilea una gestione coordinata e solidale nei rilasci nell’intero distretto del fiume Po“. L’attenzione “è altissima”, spiegano gli esperti “dopo la ricognizione sui potabilizzatori del Delta fatta insieme alla Regione Emilia-Romagna, in particolare gli impianti dei gestori Acque Venete e Romagna Acque, che servono quasi 700-800mila persone grazie a 7 centrali di potabilizzazione“. Alta attenzione “anche sugli impianti di raffreddamento delle stazioni termoelettriche“.

NEI TERRITORI

La situazione nei diversi territori varia tra situazioni definite “preoccupanti” a altre “gravissime. L’AdbPo denuncia infatti che la crisi idrica è “molto accentuata” nell’area occidentale dell’Emilia, specie nelle province di Parma e Piacenza, fino all’Enza e poi in parte del Modenese e in tutta la zona Ferrarese e Bolognese. “Anche l’acqua nei terreni è quasi del tutto assente” è stato spiegato nell’Osservatorio, senza contare che sono confermate “temperature fino a 36 gradi e piogge solo sporadiche e temporalesche di scarsa intensità“. In Lombardia la riduzione dell’apporto di quasi tutte le portate degli affluenti verso il fiume Po “è drastica, spiega l’AdbPo mentre solo il lago di Garda resta al 60% della sua capacità di riempimento. Anche il lago Maggiore, principale magazzino di risorsa essenziale per il Po, è solo al 24% della sua capacità di invaso. Non si può nemmeno sperare in un aiuto dal cielo: secondo Arpa Lombardia, “per quanto concerne la temperatura si sono registrati picchi fino a +5 gradi sopra la media“. Per quanto riguarda il Veneto e il Delta del Po, l’AdbPo segnala che a Porto Tolle (Rovigo) “si interrompono le derivazioni irrigue fino a oltre 20 km dalla costa per l’intrusione del cuneo salino, quindi con parziale utilizzo delle derivazioni irrigue, perlopiù la notte e con la bassa marea. Oggi dal Po si derivano solo 8 metri cubi al secondo, pari ad oltre 60% in meno di portata“. L’Osservatorio tornerà a riunirsi a Parma il 29 giugno.

irrigazione siccità

Allarme siccità, Anbi-Coldiretti: Acqua insufficiente e made in Italy a rischio

Da 4 mesi che non c’è una goccia d’acqua, il Po è un rigagnolo, i fiumi sono diventati torrenti, le montagne hanno perso 3 metri di neve che erano la nostra riserva, il rubinetto“. Quello di Alessandro Folli presidente di Anbi Lombardia, non è più un campanello d’allarme ma quasi una ‘chiamata alle armi’ per istituzioni, consorzi di bonifica, associazioni di categoria e stakeholder. La grande sete assedia infatti città e campagne, il Po sta vivendo un periodo di siccità come mai negli ultimi 70 anni. Sono spariti 3 metri di neve dalle montagne, i laghi si svuotano e nei campi, ormai disidratati, la siccità ha già provocato danni che Coldiretti quantifica in 2 miliardi di euro.

Proprio la principale associazione dell’agricoltura italiana ha ribadito quali sono le priorità durante il convegno ‘Sicurezza alimentare e qualità delle risorse idriche: opportunità della normativa europea sul riuso delle acque depurate in agricoltura’ organizzato a Milano da Anbi e Anbi Lombardia. Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha esordito con una stoccata alla politica e ai decision-makers: “La situazione della siccità è altamente critica – ha spiegato – e negli anni la politica si è seduta e ha lavorato solo sulle emergenze, ma noi da tempo chiediamo investimenti significativi per bacini di accumulo. Si era ritenuto che fosse un’esigenza secondaria“. Ma non bisogna solo dare risposte sull’emergenza ha spiegato il presidente di Coldiretti, nel suo videocollegamento a Palazzo delle Stelline: “Dobbiamo essere lungimiranti perché senza soluzioni, la crisi che stiamo affrontando porterà a un’esplosione dei costi dei prodotti trasformati e commercializzati. Costi già in aumento per i prezzi dell’energia e per indisponibilità, ad esempio, di fertilizzanti“.

Se in ordine di priorità le necessità umane sono al primo posto, immediatamente dopo c’è l’agricoltura: “Non dobbiamo perdere il vantaggio competitivo dell’export agroalimentare Made in Italy, dobbiamo creare occasioni per produrre di più, specialmente in periodi come questi”. Secondo Prandini, “destinare acqua all’agricoltura non è fare una cortesia a noi di Coldiretti perché lo chiediamo da anni, ma significa avere visione e lungimiranza. Questo chiediamo alle istituzioni: uscire da questa logica dell’emergenza. Necessario è pianificare a medio-lungo periodo affinché si possa trattenere il massimo dell’acqua piovana e delle acque reflue“. Per Coldiretti “raccogliamo solo l’11% dell’acqua piovana e potremmo arrivare al 50% evitando così situazioni di crisi come quella che stiamo soffrendo”.

Uno sforzo di collaborazione e confronto è quello chiesto dalla stessa Anbi. “Sono anni che a livello nazionale si parla di riutilizzo acqua – ha chiarito Folli – ma le utility hanno i depuratori che poi scaricano l’acqua: il confronto dev’essere serio tra coloro che danno acqua all’agricoltura e coloro che depurano le acqua come enti locali e le stesse utility“. Oltre all’utilizzo massimo delle acque reflue, la soluzione proposta anche da Coldiretti è un piano di investimento lungimirante su reti di invasi e bacini di accumulo. “È necessario creare le condizioni per recuperare le acque depurate e al contempo avere la consapevolezza che tutte le difficoltà che stiamo vivendo ricadranno sul nostro mondo“, ha denunciato Prandini, secondo cui “le parole fanno la differenza. Chiedere lo stato di calamità è un errore perché ci fermiamo a evidenziare solo i danni economici alle imprese. E servono 2-3 anni per i ristori che sono comunque cifre esigue. Dobbiamo invece chiedere lo stato di emergenza collegato all’intervento della Protezione civile per ridurre i passaggi burocratici e coinvolgere tutti i soggetti, dalle Regioni ai Comuni fino ai Consorzi di bonifica“. Questo è peraltro ciò che ha chiesto lo stesso Prandini al premier Mario Draghi in una lettera.

Parla di situazione “abbastanza grave” anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana. “Noi stiamo attenzionando questo problema da un mese e mezzo e abbiamo già raggiunto nei mesi scorsi degli accordi con gli agricoltori per realizzare interventi che utilizzino nel modo migliore la poca acqua di cui disponiamo” spiega Fontana, intervistato da GEA. Per fare un esempio, “abbiamo concordato con loro di rinviare alcune semine per darci la possibilità di raccogliere maggiore acqua nei laghi che poi abbiamo rilasciato al momento opportuno”. Ma anche con i gestori dei bacini idroelettrici sarebbe già stato raggiunto un accordo sul “rilascio graduale di una quantità importante di acqua che deve servire proprio in questi giorni per mantenere le irrigazioni”. Il problema, secondo Fontana, è che “si possono realizzare tutte le alchimie di questo mondo, ma se manca la materia prima che è l’acqua, prima o poi anche le alchimie rischiano di saltare”. Le prospettive effettivamente non sono rosee data l’assenza ulteriore di precipitazioni per un minimo di almeno 10-12 giorni. Perciò ogni minuto per arginare l’emergenza diventa prezioso e a breve si riunirà nuovamente il tavolo con i ministri dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.