London Electric Cars

L’officina di Londra che trasforma le auto da benzina a elettriche

Nascoste in un’officina a volta sotto una linea della metropolitana di Londra, le auto attendono la loro muta: abbandonare cilindri, candele e pistoni per un motore elettrico, sinonimo di una nuova vita più verde. “Non creiamo le emissioni di CO2 che si producono con un’auto nuova, in media 17 tonnellate” – “e non mandiamo una vecchia auto valida al macero, quindi è una situazione vantaggiosa per tutti“, afferma Matthew Quitter, fondatore di London Electric Cars, una delle poche aziende britanniche specializzate in questa conversione. Grazie anche al processo di omologazione più flessibile rispetto ad altri Paesi e all’affetto speciale degli inglesi per le automobili, questo settore nascente sta crescendo nel Regno Unito.

Nell’officina ci sono auto di tutti i tipi: dalle Mini alle Bentley, vecchie e meno vecchie, come una Volvo Estate di vent’anni fa o una Fiat Multipla con la sua strana faccia da ornitorinco. Il costo della conversione parte da 30.000 sterline (35.000 euro), l’equivalente di una nuova auto elettrica entry-level, con un’autonomia da 80 a 300 chilometri, a seconda delle batterie. È più che sufficiente quando “il 90-95% degli spostamenti all’interno di Londra” non supera i 10 chilometri, afferma.

Per quanto riguarda la scelta del motore elettrico, principalmente Nissan Leaf o Tesla, l’idea è quella di cercare di rimanere il più vicino possibile alle prestazioni originali dell’auto, per evitare di dover adattare freni o trasmissione. Dall’inizio della sua attività nel 2017, l’officina ha convertito sette auto e spera di convertirne 10 entro il 2022. “La gente si sta rendendo conto che i motori a combustione interna sono un disastro, puzzano, emettono molto fumo, fanno molto rumore e sono in parte responsabili del cambiamento climatico“, spiega.

Matthew Quitter prevede un “cambiamento di percezione” nei confronti delle auto a combustione, affermando che le auto d’epoca con motori convenzionali saranno viste come un “anacronismo“, come fumare una sigaretta davanti a una scuola, e in futuro potrebbero semplicemente essere bandite dalla città.

Alla fine del 2019, la Federazione Internazionale dei Veicoli d’Epoca ha dichiarato che tali conversioni privano le auto del loro carattere “storico” e ha chiesto modifiche reversibili. Per i puristi, il rumore, le vibrazioni e l’odore della benzina fanno parte del piacere dell’auto d’epoca. I clienti di Matthew Quitter “non sono affatto interessati a questo“: “Vogliono l’affidabilità” delle auto elettriche.

Garry Wilson, responsabile dell’HCVA (Historic & Classic Vehicles Alliance), che si occupa della difesa dei veicoli classici, è scettico sul reale vantaggio ecologico di tali conversioni che non viaggiano molto (1.920 km all’anno in media, rispetto agli 11.500 km di un’auto contemporanea, secondo l’HCVA). Soprattutto se le batterie e i motori provengono dall’altra parte del mondo. “Ci sono molti veicoli che dovrebbero essere classificati come parte del nostro patrimonio nazionale“, afferma. “Saremmo inorriditi se mettessimo finestre in PVC a Blenheim Palace“, un palazzo del XVIII secolo, dice. E il Parlamento potrebbe essere raso al suolo e ricostruito per ottenere spazio ed efficienza termica, “ma c’è il Big Ben, uno dei nostri tesori nazionali“.

rottamazione auto

Ue spinge su auto elettriche. Ma che fine fanno quelle rottamate?

L’Europa sta spingendo per il rinnovo del parco auto circolante su tutto il suo territorio, mettendo al bando dal 2035 i veicoli alimentati a carburante diesel. L’obiettivo è puntare sull’alimentazione ‘verde’ come l’elettrico. In Italia, dal 25 maggio si aprono le domande per gli incentivi (fino a 5.000 euro con rottamazione) per l’acquisto di auto totalmente elettriche. Ma quelle rottamate che fine fanno?

OBIETTIVO RECUPERO AL 95%

Introdotta nel 2007, la direttiva europea sui veicoli fuori uso (n. 2000/53/CE) richiede alle case costruttrici di farsi carico di gran parte dei costi del processo di rottamazione dei veicoli che hanno prodotto e che ormai non hanno più un valore di mercato. Le case costruttrici, insieme ai loro centri di raccolta, devono raggiungere l’obiettivo di reimpiegare e recuperare il 95% del peso medio per veicolo per anno, con una percentuale di reimpiego e riciclaggio dell’85%, destinandone quindi allo smaltimento solo il 5%. Dell’auto, infatti, si possono recuperare metalli dalla carrozzeria, pneumatici, plastica e anche l’olio, che se trattato, può tornare ad essere utilizzato per altri veicoli. Tutto quello che resta dalla frantumazione del veicolo si chiama car fluff. Si tratta della parte ‘volatile’ dei rifiuti non ferrosi frantumati. Il car fluff, secondo le linee guida europee, dovrebbe diventare combustibile per l’industria o comunque avviato a un percorso virtuoso di messa in sicurezza, in quanto altamente inquinante e contaminate per il terreno e le falde acquifere.

MANCANZA DI IMPIANTI DI RECUPERO

Esattamente un anno fa, il ministero della Transizione ecologica ha definito lo stato di avanzamento dell’Italia nel perseguimento degli obiettivi della direttiva 2000/53/CE. Questa disposizione, come detto, prevede il raggiungimento di una percentuale di reimpiego e riciclaggio pari almeno all’85% del peso medio del veicolo, nonché di una percentuale di reimpiego e recupero pari almeno al 95%. Ebbene, con riferimento all’anno 2019, non si sono raggiunte queste percentuali. Il reimpiego e riciclaggio si è assestato all’84,2%, mentre le percentuali del reimpiego e recupero sono ferme all’82,6%. Tra le ragioni di questo ritardo c’è lo stato della rete impiantistica, che non raggiunge adeguati livelli qualitativi di trattamento del recupero e del riciclaggio.
Stando ai dati di Ispra, nel 2019 in Italia ammontava a circa un milione 300mila tonnellate il peso dei veicoli dismessi avviati a trattamento in 1.462 impianti di demolizione e in poco più di 30 siti di frantumazione, che hanno generato complessivamente 132mila tonnellate di componenti da avviare a riuso in forma di pezzi di ricambio e ben 956mila tonnellate di nuove materie prime per l’industria, soprattutto ferro. Il problema però resta il car fluff a causa, appunto, di mancanza di impianti.

I RICICLATORI SCRIVONO AL MINISTERO

Il 23 febbraio scorso l’Aira, associazione industriali riciclatori auto, ha inviato una nota al ministero della Transizione ecologica chiedendo un intervento del Governo per condividere una soluzione al problema rappresentato dal gap italiano nei confronti dell’obiettivo europeo di recupero totale dei veicoli fuori uso. Il mancato raggiungimento di questo obiettivo-target, secondo l’Aira è da ricercarsi in un “problema strutturale presente nell’attuale modello di governance di questa categoria di rifiuti” così come nel rischio rappresentato dall’eventuale introduzione di più ambiziosi obiettivi ambientali in fase di revisione della Direttiva da parte della Commissione europea.
Il Mite – ha dichiarato al notiziario degli autodemolitori il presidente Aira, Stefano Leoni – sta elaborando un programma nazionale di gestione dei rifiuti, nel quale si dichiara che tra le sue finalità c’è anche quella di risolvere o prevenire procedure di infrazione nei confronti dell’Italia”. “Sarebbe un grave errore non cogliere simili opportunità, che consentirebbero di procedere in tempi brevi a risolvere tali problemi. Pertanto, abbiamo chiesto al Mite di aprire un tavolo di lavoro con tutte associazioni della filiera per definire proposte e soluzioni da introdurre nella riformulazione della disciplina europea”.

IL RAPPORTO ISPRA 2021

Nel suo rapporto “‘L’Italia del riciclo’ presentato a dicembre 2021 Ispra ha accennato alla questione dei veicoli a fine vita e alla difficoltà dell’Italia di raggiungere gli obiettivi europei. “Una delle cause del mancato raggiungimento dei target normativi – spiega l’Ispra – è data dalla difficoltà di intervenire da parte del centro di raccolta e dell’impianto di frantumazione nella fase di trattamento per la promozione del riciclaggio su alcuni componenti dei veicoli (ad esempio, cruscotti, imbottiture e rivestimenti dei sedili, ecc.), che per il momento continuano a essere assemblati in fase di progettazione/costruzione in maniera tale da rendere inefficaci le operazioni di recupero/riciclo. Altresì è opportuno richiamare l’attenzione su ulteriori due aspetti: il primo è che fino al 2020 la maggior parte dei centri di raccolta (autodemolitori) in Italia è rimasta sprovvista di un sistema di pesatura, questione che ha comportato l’inserimento in formulari e registri di quantità stimate e non reali, con evidenti ripercussioni sui dati inseriti nel Mud (modello unico dichiarazione ambientale). Dal 2021, invece ci sarà l’obbligo per gli stessi centri di dotarsi di un adeguato sistema di pesatura e di comunicare nel Mud il dato reale riferito al peso dei veicoli in ingresso. L’altro aspetto – conclude l’Ispra – è che si riscontra, nel campo della frantumazione di veicoli fuori uso e rottami metallici, la presenza di una moltitudine di micro-impianti che non sono dotati delle Bat (Best Available Techniques) e non hanno tecnologie che consentano un recupero spinto dei rifiuti derivanti dalla frantumazione stessa“.

Auto

Auto elettrica

Le auto elettriche inquinano meno? Il dibattito si accende

Le auto elettriche aiutano davvero a salvare il pianeta? I critici sostengono che i benefici per l’ambiente vengano esagerati rispetto alla realtà, ma gli studi dimostrano che emettono meno gas serra delle auto con motore a combustione. È importante distinguere l’impatto sul clima da altri aspetti, come l’inquinamento minerario.

COMBUSTIONE

Un’argomentazione comune è che le auto elettriche emetterebbero la stessa quantità di gas serra delle auto termiche, perché l’elettricità che utilizzano è prodotta da centrali elettriche che sfruttano combustibili fossili come il carbone. Ma secondo la U.S. Environmental Protection Agency, un’auto elettrica caricata a St. Louis, Missouri – uno degli Stati più dipendenti dal carbone al mondo – produce in media 247 grammi di anidride carbonica per miglio (circa 154 grammi per chilometro), rispetto ai 381 grammi di un veicolo a combustione.

CICLO DI VITA

L’impronta di carbonio di un’auto elettrica dipende dalla regione o dal Paese in cui viene ricaricata: è maggiore in Paesi come la Polonia o i Paesi asiatici, che producono gran parte dell’elettricità dal carbone, rispetto alla Francia, che si affida in larga misura all’energia nucleare. Se si considera l’intero ciclo di vita, compresa la produzione delle materie prime per le batterie e il riciclaggio a fine utilizzo, le auto termiche emettono ancora molto più C02 delle auto elettriche, ha concluso l’organizzazione di esperti International Council on Clean Transportation in uno studio molto dettagliato.

BATTERIE

La produzione di batterie è un processo ad alta intensità energetica, perché alcuni componenti vengono estratti e perché le materie prime devono essere trasportate in tutto il mondo per essere assemblate e vendute. Riciclarli è costoso. Secondo un’analisi del gruppo di ricerca Manhattan Institute ci vorrebbero 227 tonnellate di terra per estrarre i metalli necessari per una singola batteria per auto elettriche. Ma secondo diversi esperti queste cifre sono fuorvianti. “È un’esagerazione”, ha dichiarato Peter Newman, professore di sviluppo sostenibile presso la Curtin University in Australia. Tutto dipende dalla regione di esplorazione e dal tipo di batteria.

COBALTO

Oltre al clima, l’attività estrattiva ha altri impatti negativi: il 70% del cobalto, uno dei componenti delle batterie, proviene ad esempio dalla Repubblica Democratica del Congo, dove i bambini vengono sfruttati nelle miniere. Anche l’accesso ai componenti pone problemi strategici di approvvigionamento, molti dei quali – secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia – provengono dalla Cina. Tuttavia, le trivellazioni petrolifere, con il loro elevato impatto ambientale, non rappresentano una soluzione migliore, secondo Georg Bieker, ricercatore dell’ICCT.

NEVE

Dopo una tempesta di neve in Virginia, negli Stati Uniti, a gennaio, le persone hanno condiviso su Facebook dei post in cui si affermava che le auto elettriche avrebbero potuto rompersi negli ingorghi, lasciando i passeggeri senza riscaldamento all’interno e allungando ulteriormente le file di auto. Diverse organizzazioni di fact-checking hanno cercato di verificare questa affermazione e non hanno trovato alcuna prova. La questione se le auto elettriche consumino più carburante in condizioni di freddo è oggetto di dibattito tra gli esperti: alcuni sostengono che le auto a combustione interna finiscono per consumare più carburante perché devono tenere il motore acceso per mantenere il riscaldamento. La rivista britannica Which? ha testato la batteria di un SUV elettrico in un ingorgo estivo simulato, con aria condizionata, radio e luci accese e un tablet collegato. In queste condizioni estive (e non certo invernali), i tester hanno utilizzato solo il 2% della batteria in un’ora e un quarto, pari a 13 km di autonomia.

auto elettrica

Al via l’ecobonus per veicoli a basse emissioni. Sconti fino a 5mila euro

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale prende il via ufficialmente l’ecobonus per l’acquisto di veicoli, auto e moto elettrici, ibridi e a basse emissioni, che prevede fino 5mila euro di sconto per i mezzi privati. Le prenotazioni per la richiesta del bonus si apriranno il 25 maggio, ma ai fini dell’incentivo saranno validi i contratti di acquisto a partire da oggi. Complessivamente, il Governo ha stanziato 650 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2024. Gli incentivi variano a seconda delle emissioni emesse dal veicolo acquistato e sono concessi soltanto alle persone fisiche. Una piccola percentuale dei fondi è riservata alle società di car sharing per l’acquisto dei veicoli elettrici, ibridi, plug-in.

Veicoli non inquinanti

VEICOLI ELETTRICI

Per l’acquisto di veicoli elettrici con emissioni 0-20 g/km, con un prezzo fino a 35 mila euro + Iva, è possibile richiedere un contributo di 3 mila euro, a cui potranno aggiungersi ulteriori 2 mila euro se è contestualmente rottamata un’auto omologata in una classe inferiore ad Euro 5. Questa categoria di ecobonus è finanziata con 220 milioni nel 2022, 230 milioni nel 2023 e 245 milioni nel 2024.

VEICOLI IBRIDI PLUG-IN

Per l’acquisto di nuovi veicoli nella fascia di emissione 21-60 g/km (ibride plug – in), con un prezzo fino a 45 mila euro + Iva, è possibile richiedere un contributo di 2 mila euro a cui potranno aggiungersi ulteriori 2 mila euro se è contestualmente rottamata un’auto omologata in una classe inferiore ad Euro 5. Questa categoria di ecobonus è finanziata con 225 milioni nel 2022, 235 milioni nel 2023 e 245 milioni nel 2024.

VEICOLI ENDOTERMICI A BASSE EMISSIONI

Per l’acquisto di nuovi veicoli nella fascia di emissioni 61-135 g/km, con un prezzo fino a 35 mila euro + Iva, è possibile richiedere un contributo di 2 mila euro se è contestualmente rottamata un’auto omologata in una classe inferiore ad Euro 5. Questa categoria di ecobonus è finanziata con 170 milioni nel 2022, 150 milioni nel 2023 e 120 milioni nel 2024.

CICLOMOTORI

Sono stati previsti incentivi anche per l’acquisto di ciclomotori e motocicli elettrici e ibridi (categorie L1e, L2e, L3e, L4e, L5e, L6e, L7): un contributo del 30% del prezzo di acquisto fino al massimo 3 mila euro e del 40% fino a 4000 mila euro se viene rottamata una moto in una classe da Euro 0 a 3. Questo ecobonus è finanziato con 15 milioni di euro per gli anni 2022, 2023 e 2024. Per i ciclomotori e motocicli termici, nuovi di fabbrica (categorie L1e, L2e, L3e, L4e, L5e, L6e, L7) è invece previsto, a fronte di uno sconto del venditore del 5%, un contributo del 40% del prezzo d’acquisto e fino a 2500 euro con rottamazione Questa categoria di ecobonus è finanziata con 10 milioni nel 2022, 5 milioni nel 2023 e 5 milioni nel 2024.

Accelera la rete di ricarica per auto green: il 12% però è inutilizzabile

Accelera in Italia la rete infrastrutturale per la ricarica delle auto elettriche. Al 31 marzo risultano installati 27.857 punti di ricarica in 14.311 infrastrutture di ricarica (o stazioni, o colonnine) e 11.333 location accessibili al pubblico, delle quali, il 77,3% è collocato su suolo pubblico mentre il restante 22,7% su suolo privato a uso pubblico. Sono i dati che emergono dal report di Motus-E. Rispetto alla precedente elaborazione di dicembre 2021, che riportava 26.024 punti in 13.223 infrastrutture si osserva una leggera accelerazione del tasso di crescita rispetto ai trimestri precedenti, in particolare se si considera che le installazioni stanno aumentando nella potenza del singolo punto di ricarica. Si registra, infatti, un incremento di 1.833 punti (+7%) contro un +1.230 punti (+5%) del trimestre precedente. Rispetto a dicembre 2021 si rilevano +1.088 nuove infrastrutture e +830 nuove location. Rispetto a marzo 2021 la crescita è di +7.100 punti di ricarica (+34%), invece rispetto alla prima rilevazione di Motus-E di settembre 2019 (10.647 punti in 5.246 infrastrutture), si registra una crescita del +162% e una crescita media annua del +47%.

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INFRASTRUTTURE ATTIVE

Ci sono, però, anche delle cattive notizie. Purtroppo, infatti, circa il 12% delle infrastrutture installate risulta attualmente non utilizzabile dagli utenti finali, in quanto non è stato finora possibile finalizzare il collegamento alla rete elettrica da parte del distributore di energia o per altre motivazioni autorizzative, ma il valore si attesta su questa cifra da circa 9 mesi, dopo un importante trend di miglioramento. A marzo 2021 si attestava al 22%, era sceso al 15% a giugno 2021, fino al 12% di settembre e al 13% di dicembre.

LA POTENZA DEI PUNTI DI RICARICA

In termini di potenza, il 93% dei punti di ricarica è in corrente alternata (AC), mentre il 7% in corrente continua (DC). Inoltre, il 16% dei punti sono a ricarica lenta (con potenza installata pari o inferiore a 7 kW), il 77% a ricarica accelerata o veloce in AC (tra più di 7 kW e 43 kW), solo un 3,5% fast DC (fino a 50 kW) e le restanti 3,5% ad alta potenza (di cui il 2% fino a 150kW e l’1,5% oltre i 150 kW). Si assiste ad installazioni a potenze sempre più elevate, ad esempio guardando solo i punti di ricarica installati nell’ultimo trimestre, il 16% circa è in DC (con potenze superiori ai 43 kW).

LA DISTRIBUZIONE SUL TERRITORIO

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, è confermato anche questo trimestre che il 57% circa dei punti di ricarica sono distribuiti nel Nord Italia, il 23% circa nel Centro mentre solo il 20% nel Sud e nelle Isole. Del totale dei punti di ricarica. Inoltre, il 32% è disponibile nei capoluoghi di provincia ed il restante negli altri comuni del territorio. La Lombardia con 4.592 punti è la regione più virtuosa, e da sola possiede il 16% di tutti i punti. Seguono nell’ordine Piemonte e Lazio con il 10% a testa, Emilia-Romagna e Veneto al 9% e la Toscana all’8%. Le sei regioni complessivamente coprono il 64% del totale dei punti in Italia. In termini di crescita assoluta, le regioni che sono cresciute maggiormente nell’ultimo trimestre sono (nell’ordine da quella che ha registrato l’aumento maggiore): il Piemonte, l’Emilia-Romagna, il Lazio, la Toscana ed il Veneto. Mentre, in termini di crescita relativa, le regioni che hanno incrementato di più i loro punti rispetto a dicembre sono state la Basilicata con un +19% seguita dalla Campania con + 16%, dalla Puglia +15% e da Calabria e Sardegna, entrambe con +12%.

LE AUTOSTRADE

Ancora fortemente limitata la presenza di infrastrutture di ricarica in ambito autostradale. Dalla nostra rilevazione i punti di ricarica oggi presenti sono circa 150, di cui circa 115 con ricarica veloce o ultraveloce. Considerando la rete italiana autostradale complessiva di circa 7.318 km, come riportato dall’ART, risultano 1,6 punti di ricarica veloce ed ultraveloce ogni 100 km.