Gas e inflazione in caduta libera, ma Lagarde vuole limitare la domanda e inasprire il credito

Gas e inflazione in caduta libera in Europa. Il metano ad Amsterdam ha perso oltre il 13,5% durante la seduta, arrivando a toccare 23,2 euro per megawattora, un livello che non si vedeva da due anni. Il crollo continua da mesi: -8,6% settimanale, -38% mensile e -72,3% rispetto a un anno fa. Il record di 349 euro per megawattora sembra un incubo passato e sepolto. Le scorte sono piene al 68,6% nell’intera Ue, il doppio rispetto a un anno fa, e in Italia e Germania – i Paesi più gasivori – la percentuale di riempimento degli stoccaggi supera il 74% al 30 maggio.

Gas in picchiata, prezzi al consumo pure. Il tasso di inflazione nell’eurozona è scesa al 6,1% a maggio, in calo rispetto al 7% del mese precedente e al di sotto delle aspettative del mercato del 6,3%. Il tasso ha raggiunto il livello più basso dal febbraio 2022, ultimo mese considerabile pre-guerra in Ucraina. Il calo è stato guidato appunto dalla frenata (-1,7%) dei prezzi dell’energia, dopo un +2,4% ad aprile. Inoltre, c’è stato un rallentamento delle pressioni sui costi per cibo, alcol e tabacco (12,5% contro 13,5%), beni industriali non energetici (5,8% rispetto a 6,2%) e servizi (5% da 5,2%). Persino il tasso di inflazione core, che esclude energia, cibo, alcol e tabacco, è diminuito più del previsto, raggiungendo il 5,3%. Mese su mese, la variazione dell’inflazione è nulla, mentre in Germania, Francia e Spagna si è assistito a un -0,1% congiunturale. L’Italia ha alzato la media col suo +0,3% mensile.

Vedendo questi numeri c’è da chiedersi però se Christine Lagarde li abbia visti, prima di parlare al ‘Deutscher Sparkassentag 2023’ di Hannover. “Oggi l’inflazione è troppo alta ed è destinata a rimanere tale per troppo tempo. Siamo determinati a riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo. Questo è il motivo per cui abbiamo aumentato i tassi al nostro ritmo più veloce di sempre e abbiamo chiarito che abbiamo ancora terreno da percorrere per portare i tassi di interesse a livelli sufficientemente restrittivi”, sostiene la presidente della Bce. In realtà, “questo rapido aggiustamento politico ci ha messo oggi in una posizione diversa. Pensa a un aeroplano che sale all’altitudine di crociera. All’inizio, l’aereo deve salire ripidamente e accelerare rapidamente. Ma man mano che si avvicina alla sua quota target, può ridurre l’accelerazione e mantenere la sua velocità attuale. L’aereo deve salire abbastanza in alto per raggiungere la sua destinazione, ma non così in alto da superarla“, ha aggiunto. Quindi è possibile aspettarsi una discesa? Non proprio…

Non vi sono prove evidenti che l’inflazione sottostante abbia raggiunto il picco”, ha sottolineato l’ex numero uno del Fmi. “Per essere sicuri di aver impostato la giusta politica monetaria, vogliamo vedere l’inflazione tornare al 2% nelle nostre proiezioni in modo tempestivo”, che secondo le previsioni degli economisti dell’Eurotower dovrebbe accadere nella “seconda metà del 2025”. Per cui avanti con la stretta. “E’ nostra responsabilità limitare la domanda abbastanza da prevenire una spirale” aumento prezzi-aumento stipendi. “Ciò dovrebbe, a sua volta, portare a una crescita dei margini più lenta e a minori richieste salariali, riducendo al contempo la pressione sul mercato del lavoro“. Inoltre, ha scandito Lagarde, “vogliamo che le condizioni di finanziamento si inaspriscano”, nonostante “nell’ultima indagine sui prestiti bancari della Bce, il ritmo dell’inasprimento netto degli standard creditizi” abbia raggiunto “il livello più alto dalla crisi del debito sovrano nel 2011”. Ma questo “è l’effetto desiderato della nostra politica”. In realtà – ha concluso la presidente della Banca centrale europea – “condizioni di finanziamento più rigide potrebbero già limitare la spesa totale delle famiglie, costringendole a sostituirsi tra i settori. E la spesa per beni durevoli sarà probabilmente più influenzata dai costi di finanziamento più elevati, poiché alcuni di questi vengono generalmente acquistati a credito. Al contrario, almeno per questa estate, i nostri sondaggi sui consumatori mostrano che una politica monetaria più restrittiva non influirà sui programmi di vacanza delle persone“.

Parole sconcertanti”, commenta Stefano Patuanelli, senatore del Movimento 5 Stelle ed ex ministro nei governi Conte e Draghi.

Usa, l’inflazione cala e Fed si ferma sui tassi. La Bce no…

L’inflazione cala, poco, negli Usa, lasciando presagire una pausa della Federal Reserve nell’aumento dei tassi a giugno. In Europa invece, col costo del denaro al 3,75% contro il 5,25% statunitense, la stretta è destinata a continuare, emerge leggendo l’intervista di Christine Lagarde al giapponese Nikkei. La forbice tra i due continenti sulla politica monetaria potrebbe prendere due strade distinte, se i dati sui prezzi alla produzione industriale Usa, in uscita domani, confermeranno il raffreddamento delle fiammate inflattive.

Ad aprile l’inflazione a stelle e strisce è salita dello 0,4% mensile e del 4,9% annuale. Le stime erano per un +0,4% mensile, confermate, e per un 5% annuale, quindi sotto le attese. I prezzi al consumo sono leggermente scesi, a livello tendenziale, rispetto al dato di marzo (5%), mentre sono saliti a livello congiunturale (+0,1% nel mese precedente). L’indice shelter, legato a tutto quello che ruota attorno alla casa, è stato quello che ha fornito il contributo maggiore all’aumento mensile di tutti gli articoli, seguito dagli incrementi dell’indice di auto e autocarri usati, e a quello della benzina. L’aumento di quest’ultimo ha compensato il calo degli altri indici dei componenti energetici, così l’indice energetico è salito dello 0,6% ad aprile. L’indice di tutti gli articoli è appunto aumentato del 4,9% annuale, l’incremento più piccolo da maggio 2021. L’indice core, che esclude cibo ed energia, è invece cresciuto mensilmente dello 0,4% ad aprile come a marzo. Anno su anno è salito del 5,5%, stabile nei confronti del dato precedente. A livello tendenziale l’indice energetico è diminuito del 5,1% mentre quello alimentare è aumentato del 7,7%. In ogni caso cibo ed energia sono le voci che hanno fatto diminuire l’indice complessivo.

“Le nostre valutazioni sono che i dati sulle pressioni inflazionistiche mostrano un lieve miglioramento ma soprattutto non registrano sorprese negative che avrebbero potuto portare argomentazioni ai membri più falchi all’interno della commissione operativa della Federal Reserve per effettuare ancora un rialzo del costo del denaro nella prossima riunione di giugno”, sottolinea Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, che aggiunge: “Riteniamo, infatti, che la Fed possa decidere di fare una pausa nel processo di rialzo dei tassi di interesse, esaminando così ancora più attentamente gli effetti delle politiche monetarie portate avanti negli ultimi mesi sull’economia reale in particolare su inflazione, occupazione, crescita delle attività economiche e salari dei lavoratori. Solamente dati fuori dalla norma nel prossimo report sul mondo del lavoro sulla crescita dei salari dei lavoratori potrebbe convincere i banchieri centrali ad applicare un nuovo rialzo”.

Tutt’altra musica nell’eurozona. “Siamo determinati a domare l’inflazione e riportarla al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo”, ha detto a Nikkei la presidente della Bce, Christine Lagarde. “Abbiamo già intrapreso un’azione politica considerevole per farlo, ma c’è ancora molto terreno da percorrere”. “Ci sono fattori che possono indurre significativi rischi al rialzo per le prospettive di inflazione. E siamo ancora in una situazione in cui l’incertezza sul percorso dell’inflazione è elevata, quindi dobbiamo essere estremamente attenti a quei potenziali rischi, il cui elenco esatto troverete nella nostra ultima dichiarazione di politica monetaria, in particolare in relazione all’aumento dei salari in vari Paesi europei”, ha continuato la numero uno dell’Eurotower. La Bce poteva alzare i tassi prima? “Possibile. Avrebbe fatto una differenza enorme? Probabilmente no”, ha aggiunto Lagarde. “Quello che so è che siamo determinati a domare l’inflazione, per riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2 per cento in modo tempestivo e abbiamo già effettuato un aggiustamento considerevole. Ma abbiamo ancora più terreno da percorrere”.

Gazprom

Bce: “Gas e petrolio a Cina e India, la Russia sfugge alle sanzioni Ue”

Le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia funzionano, ma meno di quanto la stessa Unione potesse auspicare. Perché “il volume delle esportazioni russe di petrolio, il suo principale prodotto di esportazione, è effettivamente aumentato nonostante le sanzioni dell’Ue e del G7”. La Banca centrale europea fa il punto della situazione e il risultato di questa valutazione condotta dagli esperti di Francoforte mostra una Federazione russa molto attiva e con le casse ancora piene. Certo, il Cremlino ha dovuto modificare i listini vendendo il greggio scontato, a 48 dollari al barile (prezzi aggiornati a febbraio 2023) rispetto agli 83 dollari al barile per il Brent, ma vendendo di più a meno si riducono le perdite, che non sono poche.

Sulla scia dell’aggressione all’Ucraina e delle conseguenti sanzioni Ue “la Russia ha gradualmente ridotto i flussi di gas naturale verso l’Europa”. Il risultato è che a febbraio 2023 “le importazioni di gas dalla Russia verso l’Europa sono risultate inferiori del 90% rispetto alla loro media storica”. Un ‘vuoto’ commerciale colmato cambiando acquirenti. Mosca “ha reindirizzato i flussi dall’Europa verso la Cina e la Turchia, nonché verso nuovi partner commerciali in India, Africa e Medio Oriente”. Così facendo si continua a vendere quel greggio che gli europei hanno deciso di non chiedere più.

Diverso il capitolo relativo al gas naturale. Qui le esportazioni tramite gasdotto “si sono dimostrate più difficili da reindirizzare, poiché richiedono ampie infrastrutture per esportare verso destinazioni più lontane”. Per cui, a vendo chiuso i suoi gasdotti verso l’Europa, la Russia è stata “solo parzialmente” in grado di compensare le esportazioni di gas aumentando i flussi di gasdotto verso la Cina e vendendo più gas naturale liquefatto (Gnl) al mercato mondiale. “Complessivamente, le esportazioni di gas russo nel 2022 sono state inferiori di circa il 25% rispetto al 2021”. Emerge comunque un dato: le risorse naturali energetiche russe alimentano l’economia cinese, con ciò che ne deriva per la concorrenza internazionale e mondiale, oltre che per i finanziamenti della macchina da guerra di Putin.

Gli esperti della Banca centrale europea continuano a ritenere che ad ogni modo le prospettiva di crescita di lungo periodo siano, per la Russia, “ridotte”. Ma fin qui il Paese ha saputo rispondere alla sanzioni dell’Ue grazie in particolare alla Cina e, in maniera minore, l’India.

Fallimento della Silicon Valley Bank: un nuovo cigno nero?

Vorrei riflettere sul crack di Silicon Valley Bank (d’ora in avanti SVB) e provare a spiegare Crack cosa è successo e quali possono essere le conseguenze di questo ennesimo fallimento di una banca americana.

Chi è (o forse chi era) Silicon Valley Bank? Si tratta della sedicesima banca americana ed una delle più importanti della California, impegnata tanto a finanziare start-up quanto in un’attività di raccolta fondi a breve termine dalle stesse start-up tecnologiche, per poi impiegarli in titoli a lungo termine a bassissimo o nullo rischio come i bond del Tesoro americano (Treasury Bond).

Perché la banca è andata in crisi? Perché con il rialzo dei tassi, imposto dalla Federal Reserve (la Banca Centrale Usa) per combattere l’inflazione, le start-up depositanti presso la SVB, spesso indebitate con questa e con altre banche per sostenere i loro investimenti e piani di sviluppo, hanno incominciato a bruciare cassa e hanno avuto bisogno del denaro che avevano depositato a breve termine.

Per far fronte a queste richieste, SVB ha dovuto incominciare a vendere i Treasury Bond che aveva acquistato e messo in portafoglio; ma questi titoli, essendoci stato nel frattempo un significativo rialzo dei tassi di interesse, valevano a questo punto molto meno di quello a cui erano stati acquistati, perché il loro tasso di rendimento, che rispecchiava il livello dei tassi di interesse del momento in cui erano stati acquistati, era molto più basso dei tassi di interessi correnti.

Vendendo questi titoli, SVB ha incominciato a imbarcare perdite pari alla differenza tra il valore di acquisto dei titoli del tesoro americano in portafoglio e quanto realizzato sul mercato con la loro vendita. Per coprire queste perdite SVB ha lanciato un aumento di capitale. Questa mossa, di per sé comprensibile, ha ingenerato panico negli azionisti e nei depositanti in SVB, le richieste di ritirare i depositi sono aumentate a dismisura ed è stato crack.

Come al solito le attività creditizie si basano sulla fiducia: se questa viene meno sono dolori.

Questa crisi si presta ad una serie di riflessioni.

La prima è che la crisi della SVB è una crisi di liquidità, non una crisi da insolvenze. La distinzione è importante quando si parla di crack bancari. La crisi di liquidità è infatti più facilmente fronteggiabile rispetto a quella derivante dal fatto che i debitori non sono più in grado di rimborsare i loro debiti verso le banche. Pare che SVB avesse in portafoglio un po’ meno di 100 miliardi di usd di bond del tesoro americano, con scadenze anche molto lunghe (dieci e venti anni). Se non avesse avuto bisogno di vendere una parte di questi bond per fronteggiare il ritiro dei depositi, ed avesse potuto portarli a scadenza naturale non avrebbe avuto alcuna perdita di cassa ma solo nozionale, derivante cioè dai criteri contabili che impongono di valutare gli asset ai prezzi di mercato. Sarebbe bastato quindi finanziare la SVB per le sue esigenze di cassa e prendere a garanzia i suoi bond, ma solo la Federal Reserve poteva farlo. Il tumultuoso susseguirsi degli avvenimenti ha probabilmente impedito un intervento rapido.

La seconda riflessione riguarda i perversi effetti provocati sul sistema macroeconomico da un repentino aumento dei tassi di interesse. Quando da molte parti si predica prudenza nei comportamenti delle Banche Centrali, e le si esorta a gestire con molta gradualità le politiche antinflazionistiche, lo si fa perché c’è il serio rischio che queste misure mettano in crisi interi comparti dell’economia provocando recessione e gravi problemi occupazionali.

Il bilanciamento tra le esigenze di contenere l’inflazione e il sostegno alle economie europee e americane al centro di forti turbolenze, anche generate dalla guerra conseguente dall’aggressione russa in Ucraina, sono un esercizio molto difficile che va affrontato dalle banche centrali con razionalità e pragmatismo evitando estremismi, così come si affannano a ricordare il Governatore di Bankitalia Visco e il nostro rappresentate alla BCE Panetta.

Terzo, si dice giustamente che un crack del genere difficilmente potrebbe verificarsi in Europa perché le regole di controllo della Banca Centrale Europea sulle singole banche sono molto più stringenti di quelle sulle banche americane, specie dopo le sciagurate decisioni della presidenza Trump di diminuire i controlli sugli istituti bancari più piccoli, con asset inferiori ai 200 miliardi di usd, come appunto era la SVB.

La BCE sottopone sistematicamente le banche europee a stress test e cioè controlla continuamente la fisionomia dei loro crediti, le tipologie di impieghi, la diversificazione del rischio. Probabilmente la BCE non avrebbe consentito una così forte concentrazione in una sola tipologia di investimenti, i buoni del tesoro appunto, il cui unico profilo di rischio è proprio la crescita dei tassi di interesse per le ragioni spiegate sopra. O meglio non avrebbe consentito l’incrocio di questo rischio con l’altro derivante dalla specifica attività della SVB di finanziare le start-up.

L’attività delle start-up è per sua natura molto rischiosa, come ben sanno tutti quelli che se ne occupano. La mortalità di queste aziende è molto alta (una su cento ce la fa) e anche quelle destinate al successo attraversano lunghi periodi in cui bruciano cassa per sostenere investimenti e piani di sviluppo. Se hai depositi di start-up a breve termine devi mettere nel conto che le start-up stesse potrebbero richiederteli indietro da un momento all’altro per le loro esigenze di cassa, e quindi non puoi investire in depositi a lungo termine. Qui è probabilmente l’errore compiuto dal management di una banca che pure passava per essere una delle meglio gestite degli Usa.

Un’ultima considerazione. La vicenda della SVB, sia pure circoscritta e gestita, anche se con un po’ di ritardo, dalla Fed, rischia di creare problemi di contagio, almeno psicologico, soprattutto nei confronti di banche già deboli e in difficoltà come dimostrano le vicende degli ultimi giorni di Crédit Suisse.

Bisogna evitare che questa storia diventi un cigno nero su un’economia mondiale che già attraversa un momento non facile per l’inflazione e per la guerra. Per scongiurare questo rischio le Banche Centrali devono agire con rapidità, ridando fiducia ai mercati con azioni concrete che difendano gli interessi dei depositanti. La dimensione delle crisi del SVB e di qualche altra banca regionale americana lo consentono.

Per quanto ci riguarda più da vicino, speriamo che la Banca Centrale Svizzera intervenga a sostegno del Crédit Suisse.

Imprese scaricano costi energetici su consumatori: rincari record da 25 anni

C’è la ripresa, ci sono i rincari. Gennaio è partito alla grande per l’economia italiana, come testimoniano le indagini S&P Global Pmi, preziose per capire il trend visto che si basano su interviste – quasi in tempo reale – a 400 direttori acquisti. L’indice manifatturiero ha registrato 50.4, in salita da 48.5 di dicembre ponendo fine a sei mesi consecutivi di risultati inferiori a 50.0, dato spartiacque tra espansione e contrazione, quello relativo ai servizi – che rappresentano quasi il 70% delle attività economiche – si è posizionato a 51.2, in rialzo da 49.9 di dicembre. La migliore lettura da giugno scorso.
Nel caso dell’industria il calo della domanda ha permesso alle aziende di svuotare i magazzini, mentre nel terziario si è assistito anche a un aumento degli ordini. In entrambi i casi, gennaio ha segnato la fine della tregua tra produttori e consumatori: per molti mesi i primi avevano sopportato, non alzando i prezzi, i vertiginosi aumenti delle bollette, ora invece si sta assistendo ad una accelerazione dei prezzi di vendita finale. Lo spiegava pochi giorni fa Carlo Alberto Buttarelli, direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione: “Lo scorso anno le imprese della distribuzione moderna hanno contrastato in maniera rilevante la crescita dell’inflazione, investendo ingenti risorse economiche e riducendo i propri margini per assorbire parte dell’aumento dei listini industriali, con l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto degli italiani. Oggi”, proseguiva Buttarelli, “le aziende della distribuzione non hanno più margini di intervento economico”.

Sul fronte manifatturiero l’indagine S&P Global Pmi di gennaio ha sottolineato “come l’inflazione dei costi si sia ridotta al livello più basso da agosto 2020. L’inflazione riportata però è stata notevolmente maggiore di quella dei prezzi di acquisto, le aziende infatti, dopo un lungo periodo di aumento dei costi, hanno cercato di recuperare i loro margini”. Paul Smith, Economics Director di S&P Market Intelligence , definisce “forti” gli aumenti dei “prezzi di vendita”, i quali sommati alle “condizioni del mercato del lavoro che rimangono difficili”, potrebbero aumentare la “pressione sull’inflazione di fondo” rischiando di “diventare la preoccupazione principale per i mesi futuri”.

Per quanto riguarda il terziario, “l’inflazione dei costi gestionali ha continuato decisamente a diminuire, scendendo ai minimi in 15 mesi. I prezzi, tuttavia, seguitano ad aumentare a ritmi storicamente elevati. Le aziende hanno segnalato il continuo aumento dei prezzi imposti dai fornitori, con le spese salariali che contribuiscono al rialzo dei costi operativi. A tale rialzo dei costi – evidenzia S&P Global PMI – il campione intervistato ha reagito con l’aumento delle tariffe applicate ai clienti, approfittando anche del miglioramento della domanda di inizio anno. I prezzi di vendita sono generalmente aumentati per il sedicesimo mese consecutivo“, segnando il più alto rialzo da 25 anni. Visto “un rafforzamento del potere delle aziende sui prezzi e una persistente pressione salariale al rialzo – ricorda Smith – “c’è il timore che le spinte inflazionistiche resteranno elevate ancora per qualche tempo”.

A soffiare sui rincari c’è infatti anche la Bce, col suo rialzo dei tassi. Una stretta – commenta Confesercenti – che rischia di pesare come un macigno sui conti delle imprese italiane, già provate da pandemia, inflazione e caro energia. Secondo le stime dell’organizzazione, il solo aumento dei tassi rappresenta un aggravio del costo dei finanziamenti di almeno 9 miliardi nel corso del prossimo triennio. Queste cifre, continua Confesercenti, vanno ad aggravare ulteriormente il quadro attuale che vede una decisa frenata della ripresa dei consumi, con gravi conseguenze sulle prospettive di crescita del Paese. Tra caro-energia ed inflazione, infatti, nel 2022 le famiglie italiane sono state costrette a bruciare 41,5 miliardi dei propri risparmi per mantenere il proprio tenore di vita. E alla fine del 2023 il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti risulterà inferiore di 2.800 euro rispetto al 2021, mentre per i lavoratori autonomi la capacità di spesa si ridurrebbe di 2.200 euro.

CHRISTINE LAGARDE BCE

La Bce alza i tassi dello 0,5% e annuncia nuovo aumento a marzo

Dopo il rialzo dei tassi della Fed, ora tocca alla Bce. La Banca Centrale Europea ha deciso di alzare i tassi di interesse per la quinta volta di fila dello 0,5% arrivando al 3%. “Continueremo ad alzare i tassi d’interesse in misura significativa e a un ritmo costante e a mantenerli su livelli restrittivi per assicurare il ritorno dell’inflazione al 2%“, assicura in conferenza stampa la presidente Christine Lagarde, spiegando che “alzeremo i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di marzo, poi valuteremo la successiva evoluzione“.

Mantenere i tassi di interesse su livelli restrittivi farà diminuire nel corso del tempo l’inflazione frenando la domanda e metterà inoltre al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative di inflazione. In ogni caso – precisa la Bce – anche in futuro le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di riferimento saranno guidate dai dati e rifletteranno un approccio in base al quale tali decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione“.

Fra le componenti chiave dell’inflazione alle quali Lagarde spiega di essere particolarmente attenta c’è, ovviamente, l’energia e il suo costo. E anche se oggi “i colli di bottiglia si sono ridotti, la fornitura di gas è più sicura e la fiducia sta migliorando”, “le pressioni sui prezzi rimangono forti, in parte perché gli alti costi dell’energia si stanno diffondendo in tutta l’economia. L’inflazione al 14% è legata all’energia, ma al netto dell’energia e dei generi alimentari è rimasta al 5,2% a gennaio, con l’inflazione dei beni industriali non energetici salita al 6,9% e quella dei servizi scesa al 4,2%“. E’ importante, però, che “man mano che la crisi energetica diventa mento acuta”, vengano tolte “le misure fiscali di sostegno in linea con il calo dei prezzi”, perché “le misure che non dovessero aiutare potrebbero spingere a un rialzo dell’inflazione, che richiederebbe una risposta di politica monetaria più potente“.

A margine dell’annuncio, la Bce spiega inoltre che “nell’ambito degli acquisti di obbligazioni societarie da parte dell’Eurosistema, i restanti reinvestimenti saranno orientati maggiormente verso emittenti con risultati migliori dal punto di vista climatico“. “Fatto salvo l’obiettivo della Bce della stabilità dei prezzi, tale approccio sosterrà la graduale decarbonizzazione delle consistenze di obbligazioni societarie dell’Eurosistema, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi“, conclude.

Fed vola basso: partito processo di disinflazione. Oggi Bce, dubbi su ritmo stretta

La Federal Reserve vola basso. Jerome Powell, governatore della banca centrale più importante del mondo, non è diventato colomba ma è meno falco rispetto al 2022. Il costo del denaro è stato alzato di un altro 0,25% a 4,75% – record dal 2007 -, un forte segnale di rallentamento della politica monetaria dopo una serie ininterrotta di rialzi a botte di 0,75% (4 consecutive più l’ultima da 0,5%) iniziata quasi un anno fa. “More work to do”, c’è ancora tanto lavoro da fare, ha spiegato durante la conferenza stampa Powell, ci saranno “ulteriori” rialzi nei prossimi mesi per arrivare fino al 5,25% finale, tuttavia il tono più accomodante del numero uno della Fed ha dato l’impressione che qualcosa sia cambiato, alla luce della forte riduzione dell’inflazione verso fine 2022, al punto che ora il carovita in America è al 6,5%. L’obiettivo della Federal Reserve ovviamente resta il 2%, però – ha sottolineato Powell – il “processo di disinflazione è iniziato in un quarto dell’economia, come si vede dai beni”.

L’energia, tra carburanti e costi legati al riscaldamento, non sembra più un problema, così come i prezzi dei prodotti agro-alimentari sono in fase di rallentamento da parecchie settimane. “Speriamo di veder iniziare questo processo di disinflazione sui servizi core, soprattutto quelli extra-immobiliare… Il mercato del lavoro è ancora forte, li non vediamo ancora disinflazione”. “Dobbiamo finire il lavoro che abbiamo cominciato anche se non siamo molto lontani dal vedere un’inversione di tendenza. Abbiamo comunque già moderato l’aumento dei tassi di soli 0.25 e durante il meeting del Fomc c’è stata discussione sul percorso che dovremo seguire”, ha precisato mister Fed. “E’ vero – ha poi risposto ad alcune domande dei giornalisti – l’inflazione scende più rapidamente delle nostre aspettative, ma in sette settori che rappresentano il 56% dell’economia i prezzi non sono calati, penso ad esempio al settore finanziario, ma anche ai ristoranti”. Per capire se la stretta è agli sgoccioli toccherà dunque aspettare marzo, quando “rivedremo le stime e decideremo se alzare l’obiettivo di tassi già al 5,25% o rivedere la nostra politica. Non è comunque il momento di fare una pausa sui rialzo dei tassi”, come ha fatto la banca centrale canadese, e “non sarebbe opportuno tagliare i tassi entro fine anno” se l’economia regge.

Wall Street ha preso bene la svolta di Powell, tant’è che il Dow Jones ha chiuso in leggerissimo guadagno dopo una giornata vissuta in negativo, mentre il Nasdaq ha addirittura messo a segno un +2%. Il dollaro è ormai tornato a 1,1 euro. Dopo la Fed, oggi pomeriggio tocca alla Bce. Le aspettative sono di aumento del costo del denaro di uno 0,5%, cui seguirà un altro rialzo di 0,5% al meeting successivo di marzo come annunciato dalla presidente Christine Lagarde a dicembre. Rispetto a un mese e mezzo fa però lo scenario è completamente cambiato. Il prezzo del gas, che ha infiammato i costi aziendali e l’inflazione per gran parte del 2022, è crollato. L’energia elettrica pure. E il petrolio fa meno paura, nonostante l’embargo verso il greggio russo scattato a inizio dicembre e il prossimo embargo nei confronti del diesel di Mosca che inizierà domenica. Anche i prezzi degli alimentari iniziano a raffreddarsi, come emerso dal dato sul carrello della spesa nell’Eurozona sceso all’8,5% a gennaio. Ciò nonostante i tassi saliranno di un altro punto entro un paio di mesi arrivando così al 3,5% a inizio primavera.

Quello che andrà capito oggi durante la conferenza stampa è se l’atteggiamento della Lagarde rimarrà aggressivo, come emerso durante l’incontro con i giornalisti pre-natalizio, un atteggiamento che aveva impaurito governi (in particolare Palazzo Chigi), imprenditori e investitori. All’interno del mondo Bce, la linea ‘falco’ non piace apertamente a Fabio Panetta, membro del Board, e a Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. Gli italiani comunque non sono i soli a chiedere di “ponderare bene la stretta” per evitare danni collaterali, visto che l’inflazione sta già scendendo. La mini-svolta di Powell potrebbe rendere meno spavalda anche la Lagarde.

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Pil della Germania negativo, adesso occhi puntati sulla Bce

La Germania non vuole nuovi piani per la ripresa per contrastare inflazione e aumento dei prezzi dell’energia. “NextGenerationEU è già la nostra risposta all’Inflation reduction act degli Stati Uniti”, scandisce il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, nel corso della conferenza stampa con il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. D’altronde Berlino ha già varato un piano da 200 miliardi per sostenere famiglie e aziende tedesche vittime del caro-energia e dallo stop al flusso di gas russo. Solo a dicembre lo Stato ha pagato la bolletta a tutte le famiglie proprietarie. Inoltre da ottobre è stato aumentato il salario minimo. Ciò nonostante il Pil tedesco, nel quarto trimestre, ha perso lo 0,2%.
Prima contrazione della locomotiva d’Europa dopo il periodo Covid. “Dopo che l’economia tedesca ha resistito bene nei primi tre trimestri nonostante le condizioni difficili – scrive Destatis, l’istituto federale di statistica – la produzione economica è leggermente diminuita nel quarto trimestre del 2022. In particolare, i consumi privati, che avevano sostenuto il Pil nel corso dell’anno fino ad oggi, sono stati inferiori rispetto al trimestre precedente”. Col risultato degli ultimi tre mesi dell’anno, il 2022 si è chiuso per la Germania con un +1,8%, più o meno la metà di quello che domani mattina dovrebbe registrare l’Istat per l’Italia, diffondendo i numeri sullo stato dell’economia tricolore nell’ultimo trimestre dello scorso anno.
Il dato della Germania è stato peggiore delle attese che prevedevano una crescita piatta per il periodo ottobre, novembre e dicembre, aiutato dal crollo delle quotazioni del gas dopo il picco di fine agosto a oltre 400 euro/Mwh. Un dato che tuttavia non dovrebbe far cambiare idea alla Bce, chiamata giovedì a fornire nuove indicazioni sulla sua politica monetaria. Analisti, banche e gestori sono convinti che, scontato il rialzo del costo del denaro di 0,5%, i banchieri centrali rimarranno ‘falchi’, rimanendo aggressivi nella stretta. Anche perché la presidente Christine Lagarde, a dicembre, aveva già avvisato che per fermare la corsa dei prezzi è disposta a ridurre la domanda e quindi a sopportare una “contrazione” non forte dell’economia dell’eurozona.
Quello che però forse non ha considerato la Bce – come ha fatto capire anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – è l’effetto comunicativo della sua aggressività. Come si leggeva nell’ultimo report dell’indice S&P Pmi a gennaio “l’inflazione dei costi del terziario è scivolata ai minimi in 13 mesi”. Nonostante ciò “i prezzi medi di vendita di beni e servizi sono aumentati ad un ritmo lievemente maggiore rispetto a dicembre, con tassi di inflazione in lieve salita sia per il manifatturiero che per il terziario. Se per entrambi i settori i tassi di incremento restano fuori dai picchi recenti, la forte pressione al rialzo dei prezzi di vendita rispecchia in parte il tentativo di recuperare i margini, soprattutto a fronte di costi storicamente alti di energia e altre materie prime, ma anche dei crescenti costi salariali”.
Proprio gli aumenti delle buste paga sono i nemici della Bce, poiché alimenterebbero ulteriori rialzi dei prezzi, tuttavia il trend sembra già partito. “La dinamica retributiva si è lievemente accentuata da ottobre, anche per effetto dell’incremento del salario minimo in alcuni paesi, tra cui la Germania, i Paesi Bassi e, per l’indicizzazione automatica ai prezzi, in Francia, nonché per l’operare di meccanismi di indicizzazione su tutti i salari in altri Paesi, in particolare in Belgio. E in diversi Paesi – aveva evidenziato pochi giorni fa Ignazio Visco all”Ambrosetti club, phygital meeting’ -, sembrano esservi, nell’ambito delle negoziazioni relative ai rinnovi contrattuali, richieste di aumenti particolarmente elevati, anche per recuperare le perdite di potere d’acquisto per gli aumenti dei prezzi connessi con lo shock energetico“.
E dopo il dato sul Pil tedesco prendono ancora più forza altre parole dello stesso governatore della Banca d’Italia. “Non condivido talune dichiarazioni nelle quali si sostiene che nell’area dell’euro solo una recessione, più o meno profonda, consentirà di riportare l’inflazione in linea con il nostro obiettivo di prezzi stabili. Ritengo invece del tutto possibile che, come sta avvenendo in altri Paesi e come è peraltro in linea con le nostre previsioni, la crescita dei prezzi, che già mostra segnali di discesa, possa tornare al 2 per cento senza che le nostre misure arrechino all’attività produttiva e all’occupazione danni particolarmente gravi”.

Rigassificatore

Gas, i consumi Ue tra agosto e novembre scendono del 20,1%. Italia stop a -15%

Da gennaio a oggi le esportazioni di gas di Gazprom verso i Paesi extra Csi (l’ex Unione Sovietica) sono state pari a 97,8 miliardi di metri cubi, in calo del 45,1% (di 80,2 miliardi di metri cubi) rispetto allo stesso periodo del 2021. In particolare, quelle verso l’Europa sono crollate di oltre l’80%: a novembre la Ue ha importato 1,86 miliardi di metri cubi rispetto ai 10,09 miliardi del novembre 2021. E con meno gas sono precipitati i consumi di metano nell’Unione: -20,1% nel periodo agosto-novembre, rispetto al consumo medio negli stessi mesi tra il 2017 e il 2021, come ha certificato Eurostat.

L’utilizzo di gas è diminuito nella maggior parte degli Stati membri. In 18 Paesi è sceso oltre l’obiettivo del 15% – fissato dal regolamento Ue 2022/1369 del Consiglio sul coordinamento le misure di riduzione della domanda di gas, parte del piano REPowerEU per porre fine alla dipendenza dell’Ue dai combustibili fossili russi – e in alcuni con un margine superiore al 40%. I consumi sono diminuiti maggiormente in Finlandia (-52,7%), Lettonia (-43,2%) e Lituania (-41,6%). Sei Stati membri invece, pur riducendo la propria domanda di gas, non hanno ancora raggiunto l’obiettivo del 15%. Al contrario, i consumi sono aumentati a Malta (+7,1%) e in Slovacchia (+2,6%). L’Italia si colloca attorno a un -15%, in linea con gli obiettivi del regolamento Ue, compiendo uno sforzo superiore ad altri Stati visto che il metano è necessario per produrre quasi metà dell’energia elettrica nella penisola.

L’uso di gas è stato inferiore alla media degli ultimi anni già da inizio anno. Osservando i dati mensili da gennaio a novembre, rivela Eurostat, i consumi sono stati costantemente al di sotto della media 2017-2021 dei rispettivi mesi di quegli anni. Tra gennaio e luglio 2022, il consumo di gas naturale nella Ue è variato tra 1 938 petajoule (PJ) a gennaio, un mese stagionalmente più freddo con un consumo più elevato, e 785 PJ a luglio, indicando una diminuzione mensile complessiva, anche prima dell’obiettivo europeo del 15%. Questo calo è stato maggiore a maggio (-12,9% rispetto alla media di maggio del periodo 2017-2021 di 956 PJ) quando sono stati consumati 833 PJ, per poi diminuire del 7,1% a giugno (775 PJ vs 833 PJ). La riduzione è balzata al 13,9% in agosto, 14,2% in settembre, 24,2% in ottobre e 23,6% in novembre.

Il riempimento degli stoccaggi per oltre il 95% e la riduzione appunto del 23-24 per cento dei consumi a ottobre e novembre hanno permesso al prezzo del gas di scendere ad Amsterdam fin sotto i 100 euro per megawattora, una soglia psicologica che il Ttf ha testato anche in queste ore, considerando che un clima più mite e ventoso in gran parte d’Europa ha permesso di utilizzare più rinnovabili (oltre che il carbone) per produrre energia elettrica. Il prezzo del metano che ovviamente influisce sulle bollette di aziende e famiglie rimane tuttavia ancora fuori media a confronto con gli ultimi decenni. Per questo, altro risvolto della medaglia dei minori consumi di gas, la produzione industriale europea è in contrazione da vari mesi e i consumi sono in calo. Per questo la Bce ha avvisato di un Pil negativo in questo trimestre e nei primi mesi del 2023. Meno gas, più recessione.

La Bce avverte: “Aiuti per le bollette solo ai vulnerabili”. Ma serve ridurre i consumi

Per limitare il rischio di alimentare l’inflazione, “le misure di bilancio volte a proteggere l’economia dall’impatto degli elevati prezzi energetici dovrebbero essere temporanee e indirizzate alle categorie più vulnerabili”. Lo scrive la Bce nel bollettino economico. I responsabili delle politiche economiche, inoltre “dovrebbero incentivare la riduzione dei consumi energetici e rafforzare l’offerta di energia” e, allo stesso tempo, “i governi dovrebbero perseguire politiche di bilancio che riflettono il loro impegno ad abbassare gradualmente gli elevati rapporti fra debito pubblico e Pil”.

Per la Banca centrale europea, le politiche strutturali dovrebbero essere concepite “per incrementare il potenziale di crescita e la capacità produttiva dell’area dell’euro e per rafforzarne la tenuta, contribuendo alla riduzione delle pressioni sui prezzi a medio termine”. Ecco allora che “la tempestiva attuazione dei piani di investimento e di riforma strutturale nell’ambito del programma Next Generation EU fornirà un contributo importante al conseguimento di questi obiettivi”.

L’inflazione dei beni energetici e alimentari sta avendo pesanti effetti soprattutto sulle famiglie a basso reddito, più vulnerabili alle variazioni dei prezzi “in quanto destinano una quota più elevata della propria spesa totale per consumi a beni essenziali quali i prodotti alimentari, l’elettricità, il gas e il riscaldamento, tendono a risparmiare meno e sono più soggette a vincoli di liquidità”. I governi dell’area dell’euro hanno adottato misure per attutire l’impatto della recente inflazione sulle famiglie, “ma finora tutte le fasce di reddito percepiscono tali misure come insufficienti, soprattutto le famiglie meno benestanti”. Ciò suggerisce, avverte la Bce, “che vi siano margini di miglioramento nel modo in cui le misure di sostegno si rivolgono alle famiglie con redditi contenuti”.

Complessivamente, nel secondo trimestre del 2022 l’attività economica mondiale “ha subito una contrazione e i dati ricavati dalle indagini indicano che la dinamica moderata della crescita si protrarrà nel breve periodo. Sebbene si riscontrino alcune circostanze positive per l’economia mondiale, legate all’ulteriore allentamento delle pressioni sulle catene di approvvigionamento derivante dai miglioramenti osservati nell’offerta e dalla flessione della domanda, persistono i rischi al ribasso”. Rischi che, spiega la Bce, “sono associati al contesto di perdurante incertezza geopolitica, in particolare alle potenziali turbative connesse all’ingiustificata guerra mossa dalla Russia all’Ucraina e a un possibile peggioramento degli andamenti del coronavirus (COVID-19) nel corso dell’autunno e dell’inverno. Nonostante l’attenuazione delle pressioni sulla filiera produttiva, la dinamica dell’interscambio mondiale resta moderata in un contesto caratterizzato da un peggioramento delle prospettive economiche internazionali”.

 

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