Nell’eurozona inflazione in calo al 2,4% a marzo: dato utile per tassi Bce

Buone notizie per l’eurozona: a marzo l’inflazione dovrebbe attestarsi al 2,4 per cento, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto ai valori di febbraio. Lo rileva Eurostat, nei dati preliminari diffusi per il mese appena giunto al termine. Un indice, quello di marzo, che conferma un andamento generale degli ultimi mesi e che riavvicina il dato di Eurolandia all’obiettivo di riferimento della Banca centrale europea del 2 per cento. Dando un’occhiata alle principali componenti del paniere di riferimento, si registra una frenata nei prezzi al consumo per generi alimentari, alcol e tabacco (2,7 per cento a marzo, rispetto al 3,9 marzo di febbraio), e un ribasso anche per i beni industriali non energetici (1,1 per cento contro 1,6 per cento a febbraio). Stabile invece il costo per i servizi (4 per cento).

A livello Paese si registra una riduzione dell’inflazione in Germania (da 2,7 per cento a 2,3 per cento tra febbraio e marzo), Francia (da 3,2 per cento a 2,4 per cento). Andamento inverso per l’Italia, dove l’indice inflattivo è previsto in aumento dallo 0,8 per cento all’1,3 per cento, comunque al di sotto dell’obiettivo di riferimento. Si allontanano invece Spagna (3,2 per cento, +0,3 punti percentuali), Paesi bassi (3,1 per cento, +0,4 punti percentuali), Belgio (3,8 per cento, +0,2 punti percentuali).

Il calo è stato più forte di quanto previsto dagli analisti intervistati da Factset e Bloomberg. In media, si aspettavano rispettivamente il 2,6% e il 2,5%. L’inflazione è ancora vicina all’obiettivo del 2% fissato dalla Banca Centrale Europea (Bce). Questa tendenza, se confermata, potrebbe convincere l’istituzione monetaria a ridurre i tassi di interesse nei prossimi mesi. L’aumento dei prezzi al consumo nei 20 Paesi che condividono la moneta unica si è più che dimezzato rispetto al record del 10,6% raggiunto nell’ottobre 2022, quando i prezzi dell’energia si sono impennati a causa della guerra in Ucraina. Anche il dato più osservato dai mercati finanziari e dalla Bce, l’inflazione di fondo – ovvero l’inflazione depurata dalla volatilità dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari – sta lanciando un segnale incoraggiante. Anche questo indicatore, considerato più rappresentativo, è sceso più del previsto a marzo al 2,9% su base annua, rispetto al 3,1% di febbraio. Gli analisti di Factset e Bloomberg si aspettavano una media del 3%.

A questi dati guarderà con attenzione la presidente della Bce, Christine Lagarde, in vista della riunione del consiglio direttivo dell’11 aprile. Tagli dei tassi di interesse non sono annunciati, Lagarde ha lasciato intendere che un’eventuale decisione potrà essere presa a giugno, quando a Francoforte si avranno a disposizioni informazioni più ampie e comprensive, ma la stessa numero uno dell’Eurotower ha indicato nei dati di aprile un momento comunque significativo per le scelte che dovranno essere compiute per riportare l’inflazione ai livelli desiderati. Pesa, certamente, un andamento asimmetrico.

I dati consolidati di Eurostat saranno disponibili il 17 aprile,  momento in cui si saprà se le stime preliminari saranno confermate. Usciranno, quindi, dopo la riunione per le decisioni di politica monetaria della Bce. Che conta comunque su un andamento rinnovato.

Italia quasi in deflazione, ma prezzi su nell’eurozona: il taglio dei tassi della Bce non è vicino

L’Italia è quasi in deflazione, ma l’eurozona no. Per questo il taglio dei tassi da parte della Bce potrebbe non essere così imminente, soprattutto se l’economia non entrerà in una profonda recessione. A frenare sull’allentamento monetario sono anche i dati americani sul lavoro. A dicembre negli Usa il salario orario medio è aumentato dello 0,4% mensile, leggermente sopra le attese che stimavano un +0,3%, e la retribuzione oraria è cresciuta del 4,1% annuale, una percentuale superiore alle previsioni di mercato (3,9%) e al dato di novembre (4%). Lo scorso mese l’economia americana ha poi creato 216mila nuovi posti di lavoro, battendo le stime di +170mila e superando il dato di novembre di 173mila. Il tasso di disoccupazione è sceso a dicembre al 3,7%, stabile rispetto a novembre, e di uno 0,1% sotto le previsioni degli analisti. Numeri che potrebbero spingere la Federal Reserve a mantenere il costo del denaro al 5,5% per un periodo prolungato, visto che l’economia resta robusta.

In Europa invece, oltre a rallentare l’economia come è emerso dagli ultimi indici Pmi relativi alla manifattura e al settore terziario, frena anche il calo dei prezzi. In Francia e Germania il carovita a dicembre ha segnato un +3,7% annuale, percentuale nettamente superiore al +2,9% dell’eurozona, che pure risulta in aumento dal 2,4% di novembre, secondo una stima flash di Eurostat: il tasso annuo più elevato a dicembre è quello dei prodotti alimentari, alcolici e tabacco (6,1%, rispetto al 6,9% di novembre), seguito dai servizi (4,0%, stabile rispetto a novembre), dai beni industriali non energetici (2,5%, rispetto al 2,9% di novembre) e dall’energia (-6,7%, rispetto al -11,5% di novembre). L’inflazione core – che non include i prezzi di energia, cibo, alcol e tabacco – è comunque scesa al 3,4% dal 3,6% di novembre. I dati riferiti a gennaio saranno dunque cruciali per stabilire se la discesa dei prezzi continua o se invece ci sarà un rimbalzo del carovita. E da quelli si intuirà se la Bce taglierà i tassi nel breve periodo o in estate.

Se fosse per l’Italia, la banca centrale dovrebbe già iniziare a ridurre il costo del denaro. A dicembre l’inflazione è “scesa a 0,6% dall’11,6% del dicembre 2022. Nella media 2023 i prezzi al consumo risultano accresciuti del 5,7% rispetto all’anno precedente, in netto rallentamento dall’8,1% del 2022. Tale andamento risente principalmente del venir meno delle tensioni sui prezzi dei Beni energetici (+1,2%, dal +50,9% del 2022)”, sottolinea l’Istat. “I prezzi nel comparto alimentare evidenziano invece un’accelerazione della crescita media annua (+9,8%, da +8,8% del 2022), nonostante l’attenuazione della loro dinamica tendenziale, evidenziata nella seconda metà dell’anno. Nel 2023, la crescita dei prezzi al netto delle componenti volatili (inflazione di fondo) è pari a 5,1% (da +3,8% del 2022). Sulla base delle stime preliminari, il trascinamento dell’inflazione al 2024 è pari a +0,1%”, conclude l’istituto di statistica.

A livello globale, intanto, l’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso a 118,5 lo scorso mese, il più basso da febbraio 2021, da un 120,3 rivisto al ribasso di novembre. Il costo degli oli vegetali è sceso dell’1,4% per il calo dei prezzi degli oli di palma, soia, colza e girasole. Lo zucchero è crollato del 16,6% al livello più basso in nove mesi, spinto dalla forte produzione in Brasile. Inoltre, i prezzi della carne sono scesi dell’1% al livello più basso da maggio 2021, poiché quelli della carne suina sono diminuiti causa la persistente debolezza della domanda di importazioni dall’Asia. D’altro canto, il costo dei cereali è aumentato dell’1,5% poiché i prezzi all’esportazione del grano sono aumentati per la prima volta in cinque mesi, sostenuti da interruzioni logistiche legate alle condizioni meteorologiche e dalle tensioni nel Mar Nero. Inoltre, i prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono saliti dell’1,6% a causa delle quotazioni più elevate del burro, del latte intero in polvere e del formaggio. Considerando l’intero 2023, l’indice dei prezzi alimentari è sceso del 13,7%.

caldo record

Dall’anno più caldo al boom della domanda di carbone: i 5 record del 2023

Dal record di domanda di carbone alle temperature globali senza precedenti, ecco una carrellata di cinque record che hanno segnato il 2023.

TEMPERATURA GLOBALE AI MASSIMI STORICI. La temperatura media della superficie globale ha raggiunto livelli record nei primi 11 mesi dell’anno, secondo l’osservatorio europeo Copernicus: da gennaio a novembre, la colonnina di mercurio è stata in media più alta di 1,46°C rispetto al periodo 1850-1900. Di conseguenza, il 2023 sarà l’anno più caldo mai registrato in termini di temperature medie annuali.

RECORD DI CARBONE. La domanda di carbone non è mai stata così alta su scala globale, superando gli 8,5 miliardi di tonnellate, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), alimentata dal consumo delle centrali elettriche in India e Cina. Dopo questo picco, l’Aie prevede che il consumo globale di carbone diminuirà, grazie all’aumento delle energie rinnovabili e alla minore propensione della Cina. Il carbone è responsabile di circa il 40% delle emissioni globali di CO2 del settore energetico e industriale.

L’INDIA E’ IL PAESE PIU’ POPOLOSO. Secondo le Nazioni Unite, l’India ha superato la Cina come Paese più popoloso, con oltre 1,425 miliardi di abitanti. La popolazione cinese ha raggiunto il picco di 1,426 miliardi nel 2022 e da allora ha iniziato a diminuire, mentre quella indiana continua a crescere, secondo il Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite.

TASSI EUROPEI AI MASSIMI. Per frenare l’inflazione, la Banca Centrale Europea (Bce) ha alzato i tassi di riferimento per dieci volte di seguito, portando il tasso di riferimento al massimo storico del 4% a settembre, danneggiando i consumi, gli investimenti, il mercato immobiliare e, in ultima analisi, la crescita dell’eurozona.

L’ORO IL BENE RIFUGIO PER ECCELLENZA. All’inizio di dicembre, il prezzo dell’oro ha raggiunto il massimo storico di oltre 2.100 dollari l’oncia, svolgendo appieno il suo ruolo di bene rifugio di fronte alla prospettiva di un calo dei tassi di interesse statunitensi e all’instabilità geopolitica causata dalla guerra tra Israele e Hamas.

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Le imprese pronte a investire nella transizione green. La Bce avverte: “Fare presto o costo sociale sarà altissimo”

La transizione green non è più procrastinabile, perché altrimenti “rischia di aumentare il conto che finiremo per dover pagare”. A lanciare l’allarme è Christine Lagarde, presidente della Bce, durante il suo intervento di apertura alla conferenza internazionale congiunta Aie-Bce-Bei sul tema ‘Garantire una transizione energetica ordinata: competitività e stabilità finanziaria dell’Europa in un periodo di trasformazione energetica globale’. In uno scenario di transizione tardiva, spiega, “le banche più vulnerabili si troverebbero ad affrontare perdite del portafoglio prestiti due volte superiori alla mediana. E respingere gli obiettivi non ci farà guadagnare più tempo per gli investimenti richiesti”. Ma non solo. “In altre parole – precisa Lagarde – procrastinare significherà correre il rischio di finire in una casa di accoglienza in cui stiamo gradualmente eliminando le fonti energetiche inquinanti prima di poterle sostituire con altre pulite”. Con la conseguenza di aumentare la volatilità dei prezzi.

La numero uno della Bce punta sul concetto di ‘ordine’ e sulla necessità di “non sbagliare” la transizione green, perché altrimenti “ci saranno costi sociali elevati”. E se è vero che “il percorso verso il successo” è “complesso”, bisogna “portare a termine la transizione comprendendo le sfide che comporta e garantendo che i costi siano condivisi equamente”.

I timori sulle conseguenze del cambiamento climatico nei prossimi cinque anni sono alquanto diffusi tra le imprese dell’area dell’euro. Secondo un’indagine svolta dalla Bce tra il 25 maggio e il 26 giugno 2023 sull’accesso delle imprese al finanziamento (Survey on the Access to Finance of Enterprises, SAFE)- che per la prima volta ha incluso domande specifiche sull’impatto del cambiamento climatico – 6 aziende su 10 temono i rischi di collegati a normative e standard più rigorosi in materia di clima. Inoltre, il 39% è fortemente preoccupato dalle calamità naturali e il 48% dal degrado ambientale.

Le imprese intervistate hanno indicato “diversi ostacoli che rendono difficoltoso l’accesso al finanziamento necessario per gli investimenti volti a mitigare i rischi derivanti da calamità naturali o a rispettare standard più rigorosi in materia di clima”. Oltre la metà delle imprese ha segnalato “tassi di interesse o costi di finanziamento troppo elevati e sovvenzioni pubbliche insufficienti come ostacoli molto importanti all’attuazione di investimenti collegati al rischio climatico”. Dall’indagine emerge che per le Pmi, tutti gli ostacoli al finanziamento degli investimenti rappresentano una preoccupazione più forte rispetto alle imprese di grandi dimensioni. Insomma, dice Lagarde, “le imprese sono pronte a spendere”, ma “bisogna promuovere il mercato della finanza verde in Europa, il che ridurrebbe il premio per il rischio e abbasserebbe i costi di finanziamento”. Chiaramente, questo “richiede uno sforzo politico combinato che coinvolga più istituzioni pubbliche. Come istituzioni pubbliche, dobbiamo quindi chiederci come possiamo contribuire nell’ambito dei nostri mandati. Anche questa è una parte fondamentale per comprendere la sfida. Per la Bce, il contributo più importante che possiamo dare è mantenere la stabilità dei prezzi”.

I prestiti agevolati da fonti pubbliche sono considerati dalle imprese uno strumento importante per ridurre il costo degli investimenti verdi e più di un terzo delle aziende ha affermato che li utilizzerebbe in futuro. Tuttavia, circa la metà delle aziende intervistate ritiene che le garanzie pubbliche siano insufficienti.

Lagarde

Lagarde preferisce stabilità dell’euro a crescita: decimo rialzo tassi, ora al 4,5%

Decimo rialzo dei tassi di fila. La Bce non fa pausa e Christine Lagarde afferma in conferenza stampa che “non è detto che l’aumento dei tassi di interesse di oggi sia il picco”. Dipende dai dati, solito ritornello. Nuove sono invece le stime della banca centrale. Sull’inflazione e sul Pil. Entrambe peggiorative.

Gli esperti della Bce indicano “un tasso di inflazione pari in media al 5,6% nel 2023, al 3,2% nel 2024 e al 2,1% nel 2025, per effetto di una revisione al rialzo per il 2023 e il 2024 e al ribasso per il 2025. La correzione al rialzo riflette principalmente l’evoluzione più sostenuta dei prezzi dell’energia. Le pressioni di fondo sui prezzi restano elevate, sebbene la maggior parte degli indicatori abbia iniziato a ridursi”. Gli stessi esperti di Francoforte hanno però “lievemente rivisto al ribasso le proiezioni dell’inflazione al netto della componente energetica e alimentare, che si collocherebbe in media al 5,1% nel 2023, al 2,9% nel 2024 e al 2,2% nel 2025”.

L’economia invece è vista in forte rallentamento. “Le condizioni di finanziamento si sono inasprite ulteriormente e frenano in misura crescente la domanda, che rappresenta un fattore importante per riportare l’inflazione all’obiettivo. Alla luce del maggiore impatto di tale inasprimento sulla domanda interna e dell’indebolimento del contesto del commercio internazionale – si legge nel comunicato della Banca centrale – gli esperti hanno rivisto significativamente al ribasso le proiezioni per la crescita economica, che si porterebbe nell’area dell’euro allo 0,7% nel 2023, all’1,0% nel 2024 e all’1,5% nel 2025″. A giugno gli esperti stimavano un +0,9% per quest’anno e un +1,5% il prossimo. In pratica in tre mesi gli effetti della stretta sui tassi si mangerà lo 0,7% del Pil da qua a fine 2024. Ciò nonostante il consiglio direttivo della Bce ha alzato di un altro 0,25% i tassi portandoli al 4,5%.

In realtà la decisione sui tassi non è stata unanime. “Alcuni membri del board avrebbero preferito fare una pausa sull’aumento dei tassi, ma posso dirvi c’è stata una maggioranza solida con la decisione di incrementare dello 0,25%” il costo del denaro, ha sottolineato Lagarde davanti ai giornalisti, aggiungendo: “Abbiamo due fattori chiave: il livello dei tassi e il tempo che manterremo i tassi a questi livelli. Non sappiamo fino a quando resteranno a tali livelli, dipende dati dati, ma l’obiettivo è arrivare al 2% d’inflazione nel più breve tempo possibile”. Per cui “non dico che oggi siamo al picco dei tassi, non escludo altri rialzi tuttavia il nostro focus sarà più sulla durata del livello restrittivo della politica monetaria”. E’ vero, “la previsione sul Pil è stata rivista per quest’anno dallo 0,9% allo 0,7% e dall’1,5% all’1% per il prossimo anno. Vediamo comunque una ripresa nel 2024, quella che precedentemente avevano stimato per la seconda parte di quest’anno”, ha sottolineato la numero uno dell’Eurotower.

In teoria il rialzo dei tassi avrebbe dovuto rafforzare l’euro, invece è sceso a 1,065 nei confronti del dollaro. Segno che se la Bce non avesse aumentato il costo del denaro, il divario col biglietto verde sarebbe aumentato maggiormente.

Questo perché i dati Usa, nonostante un balzo oltre le attese dei prezzi alla produzione, dimostrano una forza inaspettata dell’economia. I consumi sono cresciuti ad agosto dello 0,6% battendo le attese di un +0,1-0,2 per cento nonostante un forte rincaro della benzina e tassi al 5,5%. Madame Lagarde dunque ha preferito tutelare la moneta unica e provare a importare meno inflazione energetica – dato che gran parte della materie prime sono scambiate in dollari – piuttosto che mettere al riparo l’economia da una recessione. Nelle previsioni non compare il segno meno davanti alla percentuale del Pil, però gli stessi esperti della Bce vedono nel 2024 un petrolio a oltre 80 dollari, un gas a 54 euro per megawattora (attualmente a 35 euro), una forte contrazione degli investimenti aziendali e nell’edilizia, nonché un peggioramento dell’occupazione e un sostanziale stop all’aumento dei salari. Il rischio stagflazione c’è tutto.

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La Bce sceglie anche la natura per le prossime banconote. Ma a decidere saranno i cittadini

Uccelli e fiumi sulle prossime banconote dell’euro. La Bce sceglie anche la natura per le possibili nuove immagini da apporre ai diversi tagli di prossima stampa. Sette i modelli proposti a tutti i cittadini dell’eurozona, che avranno tempo da oggi, 10 luglio, e fino al 31 agosto, per esprimersi e decidere che tipo di euro vorranno. “I fiumi europei attraversano i confini. Ci collegano gli uni agli altri e alla natura”, recita la spiegazione che accompagna la scelta del tema, che è anche un richiamo alla tutela del patrimonio verde d’Europa che si inquadra nella più ampia politica di Francoforte per la sostenibilità.

La Banca centrale europea ha iniziato un percorso di valutazione dei rischi per il settore bancario legato ai cambiamenti climatici e alle sue conseguenze. Tutto questo è sempre più avvertito come elemento reale di minaccia per la stabilita di prezzi e tenuta dell’eurozona. E’ stata la presidente in carica in persona, Christine Lagarde, ad assumersi la responsabilità di fare del clima un elemento centrale delle politiche monetarie dell’istituzione Ue, già a maggio 2021. Sulla scia del Green Deal europeo la Bce ha iniziato a investire in maniere crescente in green bond, esortando i governi degli Stati membri ad attuare in modo tempestivo ed efficiente i piani nazionali per la ripresa, in cui la parte delle riforme verdi gioca un ruolo predominante.

L’iniziativa della Bce dunque intende rispondere ad un’Europa che cambia anche nella sua agenda politica. Nell’invitare uomini e donne a partecipare al sondaggio sulla nuova veste grafica della banconote, Lagarde ricorda che “esiste un forte legame tra la nostra moneta unica e la nostra comune identità europea, e la nostra nuova serie di banconote dovrebbe sottolinearlo”. L’identità comune passa anche per la natura e la sua tutela. Lo dimostra una terza opzione proposta per le banconote di prossimo conio: ‘Valori europei rispecchiati nella natura’. Il tema, viene spiegato, “evidenzia il ruolo dei valori europei (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e diritti umani) quali elementi costitutivi dell’Europa e collega questi valori al nostro rispetto per la natura e alla salvaguardia dell’ambiente”.

E’ presto per dire se tutto questo finirà nei portafogli degli europei. La Bce sceglierà i temi per la cartamoneta, sulla base delle risposte ottenute, entro la fine del 2024. Quindi seguirà un concorso tra le opzioni più votate. L’emissione è prevista per il 2026.

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Gas e inflazione in caduta libera, ma Lagarde vuole limitare la domanda e inasprire il credito

Gas e inflazione in caduta libera in Europa. Il metano ad Amsterdam ha perso oltre il 13,5% durante la seduta, arrivando a toccare 23,2 euro per megawattora, un livello che non si vedeva da due anni. Il crollo continua da mesi: -8,6% settimanale, -38% mensile e -72,3% rispetto a un anno fa. Il record di 349 euro per megawattora sembra un incubo passato e sepolto. Le scorte sono piene al 68,6% nell’intera Ue, il doppio rispetto a un anno fa, e in Italia e Germania – i Paesi più gasivori – la percentuale di riempimento degli stoccaggi supera il 74% al 30 maggio.

Gas in picchiata, prezzi al consumo pure. Il tasso di inflazione nell’eurozona è scesa al 6,1% a maggio, in calo rispetto al 7% del mese precedente e al di sotto delle aspettative del mercato del 6,3%. Il tasso ha raggiunto il livello più basso dal febbraio 2022, ultimo mese considerabile pre-guerra in Ucraina. Il calo è stato guidato appunto dalla frenata (-1,7%) dei prezzi dell’energia, dopo un +2,4% ad aprile. Inoltre, c’è stato un rallentamento delle pressioni sui costi per cibo, alcol e tabacco (12,5% contro 13,5%), beni industriali non energetici (5,8% rispetto a 6,2%) e servizi (5% da 5,2%). Persino il tasso di inflazione core, che esclude energia, cibo, alcol e tabacco, è diminuito più del previsto, raggiungendo il 5,3%. Mese su mese, la variazione dell’inflazione è nulla, mentre in Germania, Francia e Spagna si è assistito a un -0,1% congiunturale. L’Italia ha alzato la media col suo +0,3% mensile.

Vedendo questi numeri c’è da chiedersi però se Christine Lagarde li abbia visti, prima di parlare al ‘Deutscher Sparkassentag 2023’ di Hannover. “Oggi l’inflazione è troppo alta ed è destinata a rimanere tale per troppo tempo. Siamo determinati a riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo. Questo è il motivo per cui abbiamo aumentato i tassi al nostro ritmo più veloce di sempre e abbiamo chiarito che abbiamo ancora terreno da percorrere per portare i tassi di interesse a livelli sufficientemente restrittivi”, sostiene la presidente della Bce. In realtà, “questo rapido aggiustamento politico ci ha messo oggi in una posizione diversa. Pensa a un aeroplano che sale all’altitudine di crociera. All’inizio, l’aereo deve salire ripidamente e accelerare rapidamente. Ma man mano che si avvicina alla sua quota target, può ridurre l’accelerazione e mantenere la sua velocità attuale. L’aereo deve salire abbastanza in alto per raggiungere la sua destinazione, ma non così in alto da superarla“, ha aggiunto. Quindi è possibile aspettarsi una discesa? Non proprio…

Non vi sono prove evidenti che l’inflazione sottostante abbia raggiunto il picco”, ha sottolineato l’ex numero uno del Fmi. “Per essere sicuri di aver impostato la giusta politica monetaria, vogliamo vedere l’inflazione tornare al 2% nelle nostre proiezioni in modo tempestivo”, che secondo le previsioni degli economisti dell’Eurotower dovrebbe accadere nella “seconda metà del 2025”. Per cui avanti con la stretta. “E’ nostra responsabilità limitare la domanda abbastanza da prevenire una spirale” aumento prezzi-aumento stipendi. “Ciò dovrebbe, a sua volta, portare a una crescita dei margini più lenta e a minori richieste salariali, riducendo al contempo la pressione sul mercato del lavoro“. Inoltre, ha scandito Lagarde, “vogliamo che le condizioni di finanziamento si inaspriscano”, nonostante “nell’ultima indagine sui prestiti bancari della Bce, il ritmo dell’inasprimento netto degli standard creditizi” abbia raggiunto “il livello più alto dalla crisi del debito sovrano nel 2011”. Ma questo “è l’effetto desiderato della nostra politica”. In realtà – ha concluso la presidente della Banca centrale europea – “condizioni di finanziamento più rigide potrebbero già limitare la spesa totale delle famiglie, costringendole a sostituirsi tra i settori. E la spesa per beni durevoli sarà probabilmente più influenzata dai costi di finanziamento più elevati, poiché alcuni di questi vengono generalmente acquistati a credito. Al contrario, almeno per questa estate, i nostri sondaggi sui consumatori mostrano che una politica monetaria più restrittiva non influirà sui programmi di vacanza delle persone“.

Parole sconcertanti”, commenta Stefano Patuanelli, senatore del Movimento 5 Stelle ed ex ministro nei governi Conte e Draghi.

Usa, l’inflazione cala e Fed si ferma sui tassi. La Bce no…

L’inflazione cala, poco, negli Usa, lasciando presagire una pausa della Federal Reserve nell’aumento dei tassi a giugno. In Europa invece, col costo del denaro al 3,75% contro il 5,25% statunitense, la stretta è destinata a continuare, emerge leggendo l’intervista di Christine Lagarde al giapponese Nikkei. La forbice tra i due continenti sulla politica monetaria potrebbe prendere due strade distinte, se i dati sui prezzi alla produzione industriale Usa, in uscita domani, confermeranno il raffreddamento delle fiammate inflattive.

Ad aprile l’inflazione a stelle e strisce è salita dello 0,4% mensile e del 4,9% annuale. Le stime erano per un +0,4% mensile, confermate, e per un 5% annuale, quindi sotto le attese. I prezzi al consumo sono leggermente scesi, a livello tendenziale, rispetto al dato di marzo (5%), mentre sono saliti a livello congiunturale (+0,1% nel mese precedente). L’indice shelter, legato a tutto quello che ruota attorno alla casa, è stato quello che ha fornito il contributo maggiore all’aumento mensile di tutti gli articoli, seguito dagli incrementi dell’indice di auto e autocarri usati, e a quello della benzina. L’aumento di quest’ultimo ha compensato il calo degli altri indici dei componenti energetici, così l’indice energetico è salito dello 0,6% ad aprile. L’indice di tutti gli articoli è appunto aumentato del 4,9% annuale, l’incremento più piccolo da maggio 2021. L’indice core, che esclude cibo ed energia, è invece cresciuto mensilmente dello 0,4% ad aprile come a marzo. Anno su anno è salito del 5,5%, stabile nei confronti del dato precedente. A livello tendenziale l’indice energetico è diminuito del 5,1% mentre quello alimentare è aumentato del 7,7%. In ogni caso cibo ed energia sono le voci che hanno fatto diminuire l’indice complessivo.

“Le nostre valutazioni sono che i dati sulle pressioni inflazionistiche mostrano un lieve miglioramento ma soprattutto non registrano sorprese negative che avrebbero potuto portare argomentazioni ai membri più falchi all’interno della commissione operativa della Federal Reserve per effettuare ancora un rialzo del costo del denaro nella prossima riunione di giugno”, sottolinea Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, che aggiunge: “Riteniamo, infatti, che la Fed possa decidere di fare una pausa nel processo di rialzo dei tassi di interesse, esaminando così ancora più attentamente gli effetti delle politiche monetarie portate avanti negli ultimi mesi sull’economia reale in particolare su inflazione, occupazione, crescita delle attività economiche e salari dei lavoratori. Solamente dati fuori dalla norma nel prossimo report sul mondo del lavoro sulla crescita dei salari dei lavoratori potrebbe convincere i banchieri centrali ad applicare un nuovo rialzo”.

Tutt’altra musica nell’eurozona. “Siamo determinati a domare l’inflazione e riportarla al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo”, ha detto a Nikkei la presidente della Bce, Christine Lagarde. “Abbiamo già intrapreso un’azione politica considerevole per farlo, ma c’è ancora molto terreno da percorrere”. “Ci sono fattori che possono indurre significativi rischi al rialzo per le prospettive di inflazione. E siamo ancora in una situazione in cui l’incertezza sul percorso dell’inflazione è elevata, quindi dobbiamo essere estremamente attenti a quei potenziali rischi, il cui elenco esatto troverete nella nostra ultima dichiarazione di politica monetaria, in particolare in relazione all’aumento dei salari in vari Paesi europei”, ha continuato la numero uno dell’Eurotower. La Bce poteva alzare i tassi prima? “Possibile. Avrebbe fatto una differenza enorme? Probabilmente no”, ha aggiunto Lagarde. “Quello che so è che siamo determinati a domare l’inflazione, per riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2 per cento in modo tempestivo e abbiamo già effettuato un aggiustamento considerevole. Ma abbiamo ancora più terreno da percorrere”.

Gazprom

Bce: “Gas e petrolio a Cina e India, la Russia sfugge alle sanzioni Ue”

Le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia funzionano, ma meno di quanto la stessa Unione potesse auspicare. Perché “il volume delle esportazioni russe di petrolio, il suo principale prodotto di esportazione, è effettivamente aumentato nonostante le sanzioni dell’Ue e del G7”. La Banca centrale europea fa il punto della situazione e il risultato di questa valutazione condotta dagli esperti di Francoforte mostra una Federazione russa molto attiva e con le casse ancora piene. Certo, il Cremlino ha dovuto modificare i listini vendendo il greggio scontato, a 48 dollari al barile (prezzi aggiornati a febbraio 2023) rispetto agli 83 dollari al barile per il Brent, ma vendendo di più a meno si riducono le perdite, che non sono poche.

Sulla scia dell’aggressione all’Ucraina e delle conseguenti sanzioni Ue “la Russia ha gradualmente ridotto i flussi di gas naturale verso l’Europa”. Il risultato è che a febbraio 2023 “le importazioni di gas dalla Russia verso l’Europa sono risultate inferiori del 90% rispetto alla loro media storica”. Un ‘vuoto’ commerciale colmato cambiando acquirenti. Mosca “ha reindirizzato i flussi dall’Europa verso la Cina e la Turchia, nonché verso nuovi partner commerciali in India, Africa e Medio Oriente”. Così facendo si continua a vendere quel greggio che gli europei hanno deciso di non chiedere più.

Diverso il capitolo relativo al gas naturale. Qui le esportazioni tramite gasdotto “si sono dimostrate più difficili da reindirizzare, poiché richiedono ampie infrastrutture per esportare verso destinazioni più lontane”. Per cui, a vendo chiuso i suoi gasdotti verso l’Europa, la Russia è stata “solo parzialmente” in grado di compensare le esportazioni di gas aumentando i flussi di gasdotto verso la Cina e vendendo più gas naturale liquefatto (Gnl) al mercato mondiale. “Complessivamente, le esportazioni di gas russo nel 2022 sono state inferiori di circa il 25% rispetto al 2021”. Emerge comunque un dato: le risorse naturali energetiche russe alimentano l’economia cinese, con ciò che ne deriva per la concorrenza internazionale e mondiale, oltre che per i finanziamenti della macchina da guerra di Putin.

Gli esperti della Banca centrale europea continuano a ritenere che ad ogni modo le prospettiva di crescita di lungo periodo siano, per la Russia, “ridotte”. Ma fin qui il Paese ha saputo rispondere alla sanzioni dell’Ue grazie in particolare alla Cina e, in maniera minore, l’India.

Fallimento della Silicon Valley Bank: un nuovo cigno nero?

Vorrei riflettere sul crack di Silicon Valley Bank (d’ora in avanti SVB) e provare a spiegare Crack cosa è successo e quali possono essere le conseguenze di questo ennesimo fallimento di una banca americana.

Chi è (o forse chi era) Silicon Valley Bank? Si tratta della sedicesima banca americana ed una delle più importanti della California, impegnata tanto a finanziare start-up quanto in un’attività di raccolta fondi a breve termine dalle stesse start-up tecnologiche, per poi impiegarli in titoli a lungo termine a bassissimo o nullo rischio come i bond del Tesoro americano (Treasury Bond).

Perché la banca è andata in crisi? Perché con il rialzo dei tassi, imposto dalla Federal Reserve (la Banca Centrale Usa) per combattere l’inflazione, le start-up depositanti presso la SVB, spesso indebitate con questa e con altre banche per sostenere i loro investimenti e piani di sviluppo, hanno incominciato a bruciare cassa e hanno avuto bisogno del denaro che avevano depositato a breve termine.

Per far fronte a queste richieste, SVB ha dovuto incominciare a vendere i Treasury Bond che aveva acquistato e messo in portafoglio; ma questi titoli, essendoci stato nel frattempo un significativo rialzo dei tassi di interesse, valevano a questo punto molto meno di quello a cui erano stati acquistati, perché il loro tasso di rendimento, che rispecchiava il livello dei tassi di interesse del momento in cui erano stati acquistati, era molto più basso dei tassi di interessi correnti.

Vendendo questi titoli, SVB ha incominciato a imbarcare perdite pari alla differenza tra il valore di acquisto dei titoli del tesoro americano in portafoglio e quanto realizzato sul mercato con la loro vendita. Per coprire queste perdite SVB ha lanciato un aumento di capitale. Questa mossa, di per sé comprensibile, ha ingenerato panico negli azionisti e nei depositanti in SVB, le richieste di ritirare i depositi sono aumentate a dismisura ed è stato crack.

Come al solito le attività creditizie si basano sulla fiducia: se questa viene meno sono dolori.

Questa crisi si presta ad una serie di riflessioni.

La prima è che la crisi della SVB è una crisi di liquidità, non una crisi da insolvenze. La distinzione è importante quando si parla di crack bancari. La crisi di liquidità è infatti più facilmente fronteggiabile rispetto a quella derivante dal fatto che i debitori non sono più in grado di rimborsare i loro debiti verso le banche. Pare che SVB avesse in portafoglio un po’ meno di 100 miliardi di usd di bond del tesoro americano, con scadenze anche molto lunghe (dieci e venti anni). Se non avesse avuto bisogno di vendere una parte di questi bond per fronteggiare il ritiro dei depositi, ed avesse potuto portarli a scadenza naturale non avrebbe avuto alcuna perdita di cassa ma solo nozionale, derivante cioè dai criteri contabili che impongono di valutare gli asset ai prezzi di mercato. Sarebbe bastato quindi finanziare la SVB per le sue esigenze di cassa e prendere a garanzia i suoi bond, ma solo la Federal Reserve poteva farlo. Il tumultuoso susseguirsi degli avvenimenti ha probabilmente impedito un intervento rapido.

La seconda riflessione riguarda i perversi effetti provocati sul sistema macroeconomico da un repentino aumento dei tassi di interesse. Quando da molte parti si predica prudenza nei comportamenti delle Banche Centrali, e le si esorta a gestire con molta gradualità le politiche antinflazionistiche, lo si fa perché c’è il serio rischio che queste misure mettano in crisi interi comparti dell’economia provocando recessione e gravi problemi occupazionali.

Il bilanciamento tra le esigenze di contenere l’inflazione e il sostegno alle economie europee e americane al centro di forti turbolenze, anche generate dalla guerra conseguente dall’aggressione russa in Ucraina, sono un esercizio molto difficile che va affrontato dalle banche centrali con razionalità e pragmatismo evitando estremismi, così come si affannano a ricordare il Governatore di Bankitalia Visco e il nostro rappresentate alla BCE Panetta.

Terzo, si dice giustamente che un crack del genere difficilmente potrebbe verificarsi in Europa perché le regole di controllo della Banca Centrale Europea sulle singole banche sono molto più stringenti di quelle sulle banche americane, specie dopo le sciagurate decisioni della presidenza Trump di diminuire i controlli sugli istituti bancari più piccoli, con asset inferiori ai 200 miliardi di usd, come appunto era la SVB.

La BCE sottopone sistematicamente le banche europee a stress test e cioè controlla continuamente la fisionomia dei loro crediti, le tipologie di impieghi, la diversificazione del rischio. Probabilmente la BCE non avrebbe consentito una così forte concentrazione in una sola tipologia di investimenti, i buoni del tesoro appunto, il cui unico profilo di rischio è proprio la crescita dei tassi di interesse per le ragioni spiegate sopra. O meglio non avrebbe consentito l’incrocio di questo rischio con l’altro derivante dalla specifica attività della SVB di finanziare le start-up.

L’attività delle start-up è per sua natura molto rischiosa, come ben sanno tutti quelli che se ne occupano. La mortalità di queste aziende è molto alta (una su cento ce la fa) e anche quelle destinate al successo attraversano lunghi periodi in cui bruciano cassa per sostenere investimenti e piani di sviluppo. Se hai depositi di start-up a breve termine devi mettere nel conto che le start-up stesse potrebbero richiederteli indietro da un momento all’altro per le loro esigenze di cassa, e quindi non puoi investire in depositi a lungo termine. Qui è probabilmente l’errore compiuto dal management di una banca che pure passava per essere una delle meglio gestite degli Usa.

Un’ultima considerazione. La vicenda della SVB, sia pure circoscritta e gestita, anche se con un po’ di ritardo, dalla Fed, rischia di creare problemi di contagio, almeno psicologico, soprattutto nei confronti di banche già deboli e in difficoltà come dimostrano le vicende degli ultimi giorni di Crédit Suisse.

Bisogna evitare che questa storia diventi un cigno nero su un’economia mondiale che già attraversa un momento non facile per l’inflazione e per la guerra. Per scongiurare questo rischio le Banche Centrali devono agire con rapidità, ridando fiducia ai mercati con azioni concrete che difendano gli interessi dei depositanti. La dimensione delle crisi del SVB e di qualche altra banca regionale americana lo consentono.

Per quanto ci riguarda più da vicino, speriamo che la Banca Centrale Svizzera intervenga a sostegno del Crédit Suisse.