Iran, Meloni: “Rischi enormi. Basta ambiguità, Teheran riprenda negoziati con Usa”

I timori del momento sono in tre precise parole pronunciate da Giorgia Meloni alla Camera: “Potenziali enormi rischi” dalla crisi tra Iran e Israele. Le comunicazioni della premier in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno prossimo, tengono insieme i dossier più caldi dell’attualità continentale e internazionale. Si parte da un assunto: serve il cessate il fuoco.

E’ giunto il tempo di abbandonare ambiguità e distinguo: l’Iran deve evitare ritorsioni contro gli Stati Uniti e cogliere l’opportunità, oggi, di un accordo con Washington sul proprio programma nucleare, consapevole che è possibile portare avanti un programma civile che garantisca la totale assenza di fini militari”, dice Meloni. Offrendo il nostro Paese per riprendere i negoziati, come già accaduto con gli ultimi due round negoziali, terminati però con un nulla di fatto. Uno dei pericoli più gravi, a livello economico, è la chiusura dello Stretto di Hormuz da parte di Teheran: “Strategico per le economie globali, capace di condizionare il prezzo del petrolio e dell’energia a livello mondiale”, avverte Meloni.

Ricordando che anche il ministro degli Esteri, da Bruxelles, si è fatto portatore della richiesta di non interrompere i flussi commerciali nella zona nella lunga telefonata con l’omologo iraniano, Seyed Abbas Araghchi. Nell’incertezza, comunque, “ci siamo già occupati di assicurare all’Italia gli approvvigionamenti energetici necessari”, sottolinea la presidente del Consiglio, che chiede ai partner Ue (ma anche ai player della politica interna) di “concentrarsi sulle questioni nelle quali possiamo davvero fare la differenza insieme, sul piano globale”.

Nel frattempo le bombe continuano a cadere. Anche quelle statunitensi, che non hanno sorpreso l’Italia, perché “abbiamo iniziato a lanciare messaggi ai nostri contingenti già nei giorni precedenti”, mette in luce il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ma senza usare la flotta statunitense di stanza nelle basi collocate in Italia. “La nostra nazione non ha in alcun modo preso parte all’operazione militare”, ci tiene a ribadire Meloni. Spiegando che sin dal primo giorno di conflitto il governo si è attivato per la salvaguardia della sicurezza dei nostri connazionali in Iran, compresi i militari. Al punto che è al vaglio la possibilità di spostare temporaneamente l’Ambasciata di Teheran in Oman.

Per ora, gli Stati Uniti non hanno chiesto l’uso delle basi Nato in Italia. Ma la premier garantisce che, se dovesse accadere, “una decisione del genere farà un passaggio parlamentare, differentemente da quello che è accaduto in altre situazioni, quando al Governo non c’eravamo noi“. L’instabilità dell’area mediorientale consiglia prudenza, ma anche la necessità che la diplomazia prenda il posto delle armi.

In Iran come a Gaza, dove “la legittima reazione di Israele a un terribile, insensato attacco terroristico sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili, che chiediamo a Israele di fermare immediatamente”, afferma Meloni, dicendo chiaramente che “il futuro della Striscia può iniziare solo con la liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas”, che “non potrà invece avere alcun ruolo” nella fase di stabilizzazione. In questo scenario, poi, in Europa e in ambito Nato c’è da discutere di difesa e spese per il riarmo. Tajani a Bruxelles esulta perché la flessibilità sull’obiettivo di arrivare al 5% del Pil è davvero a un passo, rendendo l’obiettivo raggiungibile entro il 2035, stima il vicepremier. Senza “distogliere risorse da ciò che consideriamo importante per il benessere degli italiani”, assicura Meloni alla Camera. A Bruxelles la premier parlerà anche di Ucraina, confermando il sostegno a Kiev e confermando l’impegno a fare pressioni sulla Russia perché dimostri di voler negoziare per arrivare alla pace. Poi c’è l’Africa nell’elenco dei temi da trattare con gli alleati europei. Il Nordafrica e il Sahel in particolare, ma anche la Libia, che “i violenti scontri a Tripoli nelle scorse settimane dimostrano non possiamo permetterci di trascurare”. Di carne a cuocere, insomma, ce n’è davvero tanta. Ma sarà fondamentale non sbagliare le mosse in questa fase, perché ogni errore rischia di allargarsi pericolosamente.

Stellantis, Tavares: “Pronti per transizione, ma servono più incentivi”. Ira della politica

Il gruppo Stellantis è “pronto” per la transizione ecologica e il passaggio all’elettrico totale, ma servono “importanti iniezioni di incentivi” per consentire ai cittadini di acquistare auto necessariamente più costose delle altre. E’ la posizione che Carlos Tavares porta davanti alle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato, chiedendo alla politica un aiuto “non per il gruppo, ma per i vostri cittadini“.

Parole che non piacciono, trasversalmente, ai partiti. La maggioranza è tiepida, ma chiede comunque garanzie e chiarezza. L’opposizione sale sulle barricate. La segretaria del Pd Elly Schlein interpreta esplicitamente il crollo della produzione in Italia come un “disimpegno“. Il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, chiede che sia il presidente John Elkann in persona a “rispondere allo Stato italiano“: “Gli incentivi fiscali li avete già presi, negli anni recenti oltre un miliardo e mezzo. Avete portato a casa 6,3 miliardi, ma se va a rileggere le clausole c’erano impegni sui livelli occupazionali che non avete mantenuto“, tuona. “Indignati” si dicono i deputati di Avs con Marco Grimaldi: “Siamo davanti all’eutanasia di un gruppo industriale. In vent’anni da capitale dell’automotive Torino è diventata capitale della cassa integrazione“, dice in audizione.

Il più duro, ancora una volta, è il leader di Azione, Carlo Calenda, che parla di “falsità inaccettabili“: “è venuto qui a fare un sacco di chiacchiere, da cui emerge come unica certezza che il milione di auto, sbandierato come obiettivo, non esiste più”, afferma.
Io non parlerò mai di un milione di veicoli, ma di un milione di clienti“, replica Tavares. “Se avessimo un milione di clienti, vi posso garantire che il sistema manifatturiero in Italia potrebbe produrre un milione di veicoli. Non chiediamo soldi per noi, noi chiediamo a voi di aiutarci per consentire ai cittadini di accedere alle auto elettriche, non sono soldi che vanno a Stellantis. Un milione sono i clienti che devono essere messi in condizione di acquistare“. “Così sono buono pure io“, controbatte Calenda, gridando al “ricatto inaccettabile, che avviene ogni volta“.

Tavares arriva a Montecitorio nel giorno in cui Detroit ricorda che il suo stesso futuro è incerto, perché è iniziato il processo formale per identificarne il successore, quando lascerà l’incarico al termine del mandato di Ceo, all’inizio del 2026.

Il momento è complesso, osserva l’ad, ammettendo che “le regole europee non sono tra le migliori“, ma ribadisce: “non le abbiamo scritte noi e ora dobbiamo dare il nostro contributo“. A chi accusa il gruppo di aver messo in atto una volontà precisa di produrre di più in Francia che in Italia, il Ceo replica senza mezzi termini: “Abbiamo la fortuna di avere un’ottima governance, una governance forte, eccellente, equilibrata. Non c’è nessun rappresentante dello Stato francese all’interno del board. Smettiamola di pensare che ci sia un’influenza esterna che voglia mettere l’Italia all’angolo. Se voleste fare le vittime di un’influenza politica esterna non sarei qui a parlarvi“.

Neanche la promessa che il gruppo non abbandonerà l’Italia (“lotteremo come i dannati per mantenere la nostra leadership“, dice l’ad) basta a raffreddare gli animi dei sindacati, anzi, l’audizione “conferma e rafforza le ragioni dello sciopero unitario del 18 ottobre con manifestazione nazionale a Roma“, fa sapere Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità. Non c’è stata “nessuna rassicurazione concreta sul futuro degli stabilimenti italiani e sulla salvaguardia occupazionale di tutti i lavoratori“, fa eco Rocco Palombella, segretario generale di Uilm. “Tavares dice di non voler andare via dall’Italia ma in tre anni – ricorda – abbiamo perso oltre 12 mila posti di lavoro“.

Ue, Meloni: “Sulle nomine rispettare il voto dei cittadini. No a logiche dei caminetti”

Rimettere mano al Green Deal per “proteggere la natura con l’uomo dentro“, alla direttiva sulle case green che ha ancora “obiettivi troppo ravvicinati e onerosi“. Tutelare gli agricoltoricolpiti da provvedimenti furiosamente ideologici“, difendere le imprese dalla concorrenza sleale. Semplificare, soprattutto. Tanto da avanzare la proposta di un commissario alla Sburocratizzazioneper mostrare un cambio di passo“. Sono le priorità del governo Meloni in Europa.

Emergeranno nel primo Consiglio della nuova legislatura comunitaria (27-28 giugno), che prenderà il via ufficialmente il 16 luglio. La definizione ufficiale dei posti di vertice è sempre più vicina e Roma, esclusa dalle negoziazioni, non intende restare in disparte, perché i cittadini “si sono espressi“, ricorda la premier nell’informativa alla Camera. L’obiettivo è lavorare per un commissario di pesoche ci spetta“, rivendica. La denuncia è chiara: non saranno accettate le “logiche dei caminetti” nelle quale “alcuni pretendono di decidere per tutti“, scavalcando il consenso. No a qualunque “conventio ad excludendum in salsa europea”, avverte la leader dei Conservatori.

Meloni evidenzia il dato dell’astensionismo, che rappresenta plasticamente una disaffezione in crescita. In Italia, per la prima volta, la partecipazione è scivolata sotto il 50%, al 48,3% degli aventi diritto. Segno, a suo dire, che i cittadini percepiscono Bruxelles come “troppo invasiva“, come un’Unione che “pretende di imporre cosa mangiare, quale auto guidare, in che modo ristrutturare la propria casa, quanta terra coltivare, quale tecnologia sviluppare“, osserva la premier.

Dunque, i cittadini “hanno detto chiaramente qual è il modello che preferiscono tra quello portato avanti fin qui e quello che proponiamo“, rivendica. Un dato emerso da questa tornata Meloni considera “indiscutibile“: “La bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze di governo e molte delle grandi nazioni europee che sono anche molto spesso le forze che hanno impresso le politiche dell’Unione in questi anni“.

La risposta al “declino” per la presidente del Consiglio sta nella necessità di “privilegiare al gigante burocratico un gigante politico“, ribadisce Meloni. Parla di aumentare l’autonomia strategica, costruendo catene di approvvigionamento sicure e affidabili e diminuire le proprie dipendenze, rendere l’Europa un luogo “dove sia conveniente investire“, ma allo stesso tempo proteggerla dalla concorrenza sleale dei Paesi extra Ue, perché “il mercato è libero se equo“. E ancora: costruire nuove partnership con l’Africa, sul modello del Piano Mattei, con cui “l’Italia ha fatto scuola” e valorizzare la posizione geografica del nostro Paese, piattaforma naturale nel Mediterraneo, per renderlo “hub di approvvigionamento” e “ponte tra Mediterraneo orientale, Africa ed Europa“.

Auto, Urso: “Stellantis non basta, interlocuzioni con Tesla e cinesi”

L’obiettivo del ministero delle Imprese era dichiarato: arrivare a produrre in Italia 1,3 milioni di veicoli per far sopravvivere la componentistica del Paese. Nello specifico, un milione di automobili e 300mila veicoli commerciali leggeri. Dopo mesi di confronti, frecciate al vetriolo e riavvicinamenti con Stellantis, Adolfo Urso non ha dubbi: una casa non basta, servono altri competitor che garantiscano il lavoro e non internazionalizzino. Per questo, da tempo sono in corso interlocuzioni con Tesla, la casa statunitense di Elon Musk (ricevuto due volte a Palazzo Chigi e ospite al Festival Atreju 2023) e tre case cinesi produttrici di auto elettriche.

Il titolare del dicastero di via Veneto viene sentito in commissione Attività produttive della Camera, per fare il punto sul settore auto. La componentistica in Italia è composta da 2.200 imprese, che danno occupazione a oltre 167mila addetti. Se si guarda alla filiera allargata, oltre 5.500 aziende occupano 273mila addetti diretti nelle attività produttive e 1,2 milioni inclusi gli indiretti. “Il tutto genera circa 90 miliardi di euro di fatturato, pari al 9,9% di tutto il settore manufatturiero, con una incidenza sul Pil del 5,2%“, ricorda il ministro. In sintesi, è il settore produttivo a più elevato moltiplicatore di valore aggiunto.

I fattori di rischio da monitorare sono sostanzialmente tre: l’andamento produttivo che è “fortemente influenzato dalla produzione di veicoli sia a livello nazionale che europeo”, le sfide imposte dalla decarbonizzazione e le strategie del principale produttore italiano.

Le immatricolazioni sono cresciute nel 2023, segnando un +19% sul 2022, ma non raggiungono i livelli pre-Covid e sono lontane dal picco di 2,2 milioni raggiunto nel 2017. “Secondo le previsioni di mercato, nei prossimi anni il mercato dell’auto si stabilizzerà su 1,5-1,7 milioni di veicoli immatricolati“, informa Urso.

Al momento, in Italia si fabbricano veicoli a combustione interna, e seguire la strada della totale elettrificazione, mette in guardia il ministro, è rischioso: “Comporterebbe un significativo restringimento del campo di attività economica, perché con l’elettrico si riduce il numero delle componenti necessarie all’assemblaggio dei mezzi e, allo stesso tempo, il principale componente è la batteria, la cui catena del valore è per l’80% di dominio asiatico“. Alla nuova Commissione europea chiederà, assicura, di “abbandonare l’approccio ideologico che ha sacrificato le esigenze delle imprese“.

Intanto, le interlocuzioni con le altre case proseguono, anche perché l’Italia è un caso unico in Europa: “Solo qui – lamenta Urso – c’è un solo produttore di auto. In Germania ce ne sono sei, ai quali se ne aggiunge uno ulteriore per i veicoli commerciali leggeri. In Francia i produttori sono quattro, in Spagna sono sette. Persino nella Repubblica Ceca sono tre e in Ungheria quattro“.
Stellantis potrebbe decidere di internazionalizzare ancora, ma Urso si smarca da qualsiasi responsabilità: “E’ nata nel 2019-2020. Fu presentato al governo il progetto, secondo la golden power. In quel momento, si ritenne di non esercitare quella facoltà. A me risulta che si prospettava una ipotesi di fusione, invece poi fu incorporazione; che dovesse esserci governance paritetica che non fu paritetica; che i soci non avrebbero dovuto aumentare le quote, invece avvenne. In quel momento il governo doveva intervenire, ma se ne lavò le mani“, tuona.

Ora, la sua, è una corsa ai ripari. A metà dello scorso anno, una delegazione del governo ha visitato le principali case cinesi produttrici di veicoli elettrici. Dopo quella missione, tre aziende leader cinesi sono venute in Italia per vagliare le possibilità offerte dal Paese e visitare luoghi di possibili stabilimenti. “Questi gruppi, tutti e tre, hanno esplicitamente detto che i preconcetti con cui sono arrivate in Italia, dal costo del lavoro alla burocrazia, sono stati fugati dagli incontri – garantisce il ministro -. Hanno trovato un paese con un ecosistema molto favorevole agli investimenti“.

Meloni: “Difenderemo produzione nazionale”. Stellantis replica: “Fortemente impegnati in Italia”

Non si ferma lo ‘scontro’ a distanza fra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e Stellantis. Dopo le parole di pochi giorni fa a ‘Quarta Repubblica’, dove, riferendosi al quotidiano ‘Repubblica’, aveva detto di non accettare “lezioni sull’italianità da chi ha venduto la Fiat ai francesi”, la premier torna sull’argomento durante il question time alla Camera. L’occasione è l’interrogazione di Matteo Richetti, capogruppo di Azione a Montecitorio, che chiede conto delle “iniziative volte a garantire la continuità produttiva e occupazionale presso gli stabilimenti italiani di Stellantis e di Magneti Marelli, nell’ambito di un piano di rilancio del comparto automobilistico”.

Meloni non se lo fa dire due volte e parte all’attacco. Intanto, difendendo il suo diritto di critica, dopo che ieri il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha definito le critiche della premier ingiuste nei confronti dei dipendenti italiani e ha accusato il Governo di aver perso nove mesi sugli incentivi. “Il gruppo automobilistico Fiat e i marchi italiani collegati – inizia la presidente – rappresentano una parte importante della storia industriale nazionale, sia in termini occupazionali che di ricchezza prodotta. E’ un patrimonio economico che merita la massima attenzione. E credo che questo significhi anche avere il coraggio di criticare alcune scelte fatte dalla proprietà e dal management del gruppo quando sono state distanti dagli interessi italiani”. Il riferimento è presto detto, e neanche tanto fra le righe: “Penso allo spostamento della sede fiscale e legale fuori dai confini nazionali, all’operazione di presunta fusione fra Fca e Psa che celava un’acquisizione francese dello storico gruppo italiano, tanto che oggi nel cda di Stellantis siede un rappresentante del governo francese e non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengono in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane“.

La linea tracciata per il futuro dal Governo è dritta e segnata. “Noi vogliamo come sempre difendere l’interesse nazionale, instaurare un rapporto equilibrato con Stellantis per difendere la produzione in Italia, i livelli occupazionali e tutto l’indotto dell’automotive”. Per questo “abbiamo modificato le norme, da una parte incentivando chi torna a produrre in Italia e dall’altra scoraggiando chi delocalizza, che dovrà restituire ogni beneficio o agevolazione pubblica ricevuta negli ultimi dieci anni. Vogliamo tornare a produrre in Italia almeno un milione di veicoli l’anno con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana”. Con un avvertimento preciso: “Se si vuole vendere un’auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come gioiello italiano, allora quell’auto deve essere prodotta in Italia. Queste sono le regole con l’attuale Governo e valgono per tutti“.

Non si fa attendere la replica a distanza di Stellantis che, tramite un portavoce, sottolinea come l’azienda sia “fortemente impegnata in Italia” e abbia “investito diversi miliardi di euro nelle attività italiane per nuovi prodotti e siti produttivi“. “Oltre il 63% dei veicoli prodotti lo scorso anno negli stabilimenti italiani di Stellantis sono stati esportati all’estero, contribuendo così alla bilancia commerciale italiana“, sottolinea, precisando che lo scorso anno sono stati prodotti oltre 752 mila veicoli (auto + veicoli commerciali), in crescita del 9,6% rispetto al 2022, di cui oltre 474 mila sono stati commercializzati all’estero. In particolare, con oltre 85.00 unità prodotte, Mirafiori ha un avuto un export pari al 93%, Cassino, con circa 48.800, del 75%, Pomigliano, con circa 215.000, del 41%, Modena, con circa 1240, del 92%, Atessa, con circa 230.000, dell’85%, e Melfi, con oltre 170.120, del 53%.

Camera dà fiducia sul Dl Ponte. Salvini: “50 anni di chiacchiere, si passa ai fatti”

L’aula della Camera concede il disco verde sul voto finale sul decreto Ponte sullo Stretto di Messina, con 182 sì, 93 no e 1 astenuto. Dopo il via libera alla questione di fiducia avvenuta in mattina, nel pomeriggio i gruppi hanno trovato l’accordo per anticipare anche lo scrutinio sul testo, che ora passa al vaglio del Senato.

Dopo cinquant’anni di chiacchiere, si passa finalmente ai fatti per unire e modernizzare il Paese“, festeggia sui social il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. “E’ un’opera che rappresenta un tassello prioritario e non più procrastinabile nella più complessiva strategia di ammodernamento della rete ferroviaria e stradale del Meridione d’Italia”, rivendica in Aula Aldo Mattia, deputato e membro della commissione Ambiente in quota Fratelli d’Italia. Per il partito della premier e per l’intera maggioranza, spiega, “è anche un’opera che potrà rappresentare un vanto per la Nazione, al quale guardare con ammirazione e stupore, una grande opera dell’ingegneria e della tecnologia italiana”. Per il sottosegretario al Mit, Tullio Ferrante, che rappresentava l’esecutivo a Montecitorio, quella di oggi è “una giornata storica“. Perché “il governo, di cui Forza Italia è parte leale ed essenziale, sta portando a compimento una obiettivo strategico e storico del presidente Silvio Berlusconi e di FI“, scrive in una nota. “Siamo convinti da sempre che questa opera farà onore all’Italia e rilancerà l’economia delle regioni meridionali“, rivendica il collega di partito, Giovanni Arruzzolo, intervenendo nell’emiciclo della Camera in fase di dichiarazione di voto. “Lo facciamo – spiega – anche per dare un segnale, ovvero, superare il pregiudizio ideologico e le logiche anti-sviluppo e pseudoambientaliste che hanno già prodotto danni enormi al Paese e al Sud”.

Per il Pd, l’unica motivazione di questo decreto, che “resuscita di fatto solo la vecchia Società costituita dall’ultimo governo Berlusconi per realizzare il Ponte, sono i possibili contenziosi che rischiano di arrivare ad un miliardo di euro”, sostiene Marco Simiani, capogruppo dem in commissione Ambiente. Dell’opera, ricorda, “non c è traccia: il governo ha già infatti ammesso che non c’è un progetto, non è stata quantificata la spesa e soprattutto non ci sono i finanziamenti. Quando la destra abbandonerà gli spot elettorali per affrontare con serietà il problema del gap infrastrutturale del Sud del paese saremo pronti a confrontarci”. Alza gli scudi anche il Movimento 5 Stelle: “Questo decreto verrà ricordato come il decreto degli sperperi, ma voi state superando il limite del buongusto“, tuona il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri, in Aula. “Destinate 7 milioni per organizzare delle passeggiate ai cantieri. Ma vi rendete conto di quanto sia offensivo spendere 7 milioni in questo modo quando con 22 si potrebbe completare la strada Sila-Mare in cui proprio la settimana scorsa è crollato un Ponte? State dicendo ai cittadini: la nostra pubblicità e la nostra propaganda, la pagate voi“, lamenta l’esponente pentastellato, secondo cui “questo governo applica logiche di austerity quando si tratta di aiutare il ceto medio e le persone in difficoltà e logiche di sperpero quando si tratta di favorire I processi speculativi”.

Def, tensioni e bagarre dopo lo scivolone. Ma governo porta a casa lo scostamento

La crepa è chiusa. Dopo il “brutto scivolone” di ieri sulla risoluzione per lo scostamento di bilancio collegato al Def (con le risorse per il dl Lavoro che sarà varato il 1 maggio), la maggioranza corre ai ripari e approva, a ranghi quasi completi, il nuovo testo varato dal Consiglio dei ministri in fretta e furia, sia alla Camera che al Senato. Per dirla con la battuta del vice coordinatore nazionale e responsabile organizzazione territoriale di Forza Italia Alessandro Cattaneo,oggi quanto a presenze siamo in overbooking“. Per la cronaca, a Palazzo Madama il testo passa con 112 voti favorevoli e 57 contrari; a Montecitorio con 221 sì, raggiungendo dunque il quorum necessario, e 201 no. Ma proprio alla Camera, luogo del ‘misfatto’ nelle 24 ore precedenti, non sono mancati forti momenti di tensione e qualche sospensione dei lavori fuori programma: la prima per il malore che ha colpito il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, soccorso in infermeria e poi dimesso dal Gemelli dopo alcuni accertamenti che hanno escluso problemi più seri, il secondo per sedare il principio di rissa durante l’intervento in aula del capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

Del resto, gli animi erano già surriscaldati ed è bastato veramente poco per far esplodere la situazione. Foti punta il dito contro le opposizioni, che reagiscono prima con urla e poi, nel caso del Pd, abbandonando l’aula. Ed è proprio in quegli istanti che, passando per i banchi della maggioranza, passano accanto ai colleghi di Fratelli d’Italia: l’intervento dei commessi evita, però, che tutto trascenda. Ritornata la calma, la seduta riprende e il governo incassa il voto favorevole. Poi bissato, poche ore dopo, anche in Senato. La polemica, però, continua. “Giorgia Meloni torni in Italia a spiegare ai suoi Deputati come ci si comporta in aula in una democrazia parlamentare“, twitta il dem, Nicola Zingaretti. “Rivotiamo lo scostamento dopo la brutta figura della maggioranza di ieri, dovuta ad uno scivolone che in realtà nasconde divisioni interne alla maggioranza“, punge il capogruppo di Avs in Senato, Peppe De Cristofaro, secondo il quale il Def è “senza visione” e “aumenta le diseguaglianze“. Dai Cinquestelle è la deputata Daniela Torto ad attaccare: “Ormai tutti sentono il sapore amaro del governo delle promesse tradite“.

Le risposte della maggioranza sono altrettanto puntute. Per il deputato di FdI e questore della Camera, Paolo Trancassini, “Foti ha iniziato il suo intervento scusandosi con gli italiani e con il governo per quello che è accaduto ieri. Una prova di responsabilità e senso delle istituzioni che dovrebbe essere presa come esempio dall’opposizione che, come al solito invece, ha tentato di strumentalizzare l’accaduto“, per questo “gli insulti che gli sono stati rivolti sono vergognosi e ingiustificabili”. Tecnica e politica la replica del presidente della commissione Bilancio del Senato, Nicola Calandrini:Quello di ieri è stato un passo falso da non ripetere ma che può accadere. Solo chi non fa non sbaglia“. Mentre il senatore leghista Massimo Garavaglia, pur chiedendo scusa “a Meloni, a Giorgetti, al governo, ma anche ai cittadini“, non cambia il giudizio positivo sul Def. L’impressione, comunque, al di là del singolo episodio, è che la partita politica sia entrata in una fase molto calda.

Def, maggioranza va sotto alla Camera su scostamento. Cdm lampo, oggi si torna in Aula

Sono passate da poco le 16.30 di giovedì quando, nell’aula della Camera, succede qualcosa che non ha precedenti. La risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio (3,4 miliardi nel 2023 e 4,5 miliardi nel 2024) non raggiunge la richiesta e necessaria maggioranza assoluta dei componenti della Camera e viene così respinta, creando un cortocircuito. Lo scostamento viene respinto per soli sei voti: 195 i favorevoli, 105 gli astenuti e 19 i contrari. Per l’approvazione sarebbero serviti 201 voti. A questo punto, la mancata approvazione non consente di votare le risoluzioni sul Def.

Tutto si blocca, forse nel momento peggiore. Proprio mentre la premier Giorgia Meloni si trova fuori Italia, a Londra, ed è più difficile serrare i ranghi. Unica soluzione: convocare un Consiglio dei ministri d’urgenza per varare una nuova relazione con uno scostamento diverso, anche di pochissimo. Questo perchè è vietato votare per due volte lo stesso atto parlamentare. E’ l’unica soluzione percorribile, in corsa, non potendo ripetere il voto. E questo accade. Un Cdm lampo, che dura meno di dieci minuti, modifica la Relazione sullo scostamento di bilancio, senza toccare di una virgola il Def. Confermati i saldi di finanza pubblica, mentre la nuova Relazione, si legge in una nota, “la nuova Relazione sottolinea le finalità di sostegno al lavoro e alle famiglie oggetto degli interventi programmati per il Consiglio dei ministri già fissato per il 1° maggio”.

Intanto le opposizioni, che al momento del voto ci hanno messo qualche istante a capire quanto accaduto, vanno all’attacco. “Delle due l’una: o siamo di fronte a un episodio di imperdonabile sciatteria o alla prova conclamata delle divisioni della maggioranza. In entrambi i casi si dimostra la totale inadeguatezza di questo Governo e di questa maggioranza, che dovranno risponderne davanti al Paese“, scrive in una nota la segretaria del Pd Elly Schlein, parlando di “dilettantismo”. Mentre i Cinque Stelle chiedono che Meloni salga al Colle per “farsi consigliare da Mattarella” dopo un “fallimento epocale”.

La situazione resta critica. La Relazione sullo scostamento dovrà essere nuovamente votata oggi prima alla Camera, alle 11.30, dove se nulla osta si voterà anche il Def, e subito dopo in Senato, alle 14. L’obiettivo è ottenere il via libera dal Parlamento rapidamente, in modo da poter confermare l’appuntamento di domenica con i sindacati e poi il Consiglio dei ministri del Primo maggio. E il Governo, che fra le mani ha già la delicata situazione del Pnrr, non può permettersi scivoloni economici.

Vino, ok a risoluzione contro la norma su etichettatura dell’Irlanda

Oltre i colori politici, la parola d’ordine è unanimità. Contro la norma irlandese, avallata dalla Commissione Ue, che vorrebbe etichette sulle bottiglie di vino come per i pacchetti delle sigarette, la commissione Agricoltura della Camera mostra un volto dell’Italia che mancava da mesi. Perché sulla risoluzione presentata dalla vice presidente Maria Cristina Caretta (FdI) convergono i voti di tutte le forze politiche sull’impegno al governoad adoperarsi in tutti i tavoli europei di competenza per scongiurare l’introduzione della normativa, valutando, se del caso, la sussistenza dei presupposti per promuovere un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea, anche in coordinamento con altri Paesi europei che condividono il medesimo posizionamento italiano“.

Non solo, perché i deputati chiedono che l’esecutivo si attivi “in tutti i tavoli internazionali di competenza, con riferimento all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) per scongiurare l’introduzione della normativa” e adotti “iniziative, anche in coordinamento con altri Paesi europei produttori ed esportatori di vino, presso le competenti sedi europee, con la finalità di scongiurare che la normativa irlandese diventi un precedente a danno delle produzioni vinicole nazionali, andando, tra le altre, oltre il perimetro tracciato dal Parlamento europeo nel voto espresso sulla risoluzione in premessa“.

Nessuna obiezione da parte delle opposizioni, che per una volta si fondono con la maggioranza per dire ‘no‘ a messaggi del tipo ‘nuoce gravemente alla salute‘ sulle bottiglie di uno dei prodotti d’eccellenza del Made in Italy nel mondo. “La commissione ha fatto una cosa importante, perché tutti i partiti, all’unanimità, hanno votato una decisione forte: quella di dare mandato al governo di utilizzare tutti gli strumenti per contrastare questa introduzione in etichetta dell’indicazione del rischio per la salute“, dice a GEA il presidente della commissione Agricoltura, Mirco Carloni. Sottolineando che “non è certamente il prodotto a significare il problema quanto l’abuso“, perché “l’Italia, che è il maggior produttore di vino, ha il minor numero di alcolizzati, mentre l’Irlanda, che ne è il minor produttore, ha invece il più alto numero di alcolizzati“. Per l’esponente della Lega ci sono eccome “le condizioni per adire alla Corte di giustizia” e “a livello internazionale – continua – la questione è esperibile anche dinanzi gli organi di soluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio“.

Carloni parte da un presupposto: “Credo che un’azione come quella di iscrivere in etichetta che il vino fa male alla salute è un atto ostile verso l’Italia, che dobbiamo bloccare in tutti i modi“. Da qui parte il ragionamento per la risoluzione votata all’unanimità dalla sua commissione. Che riceve il plauso delle associazioni di categoria, come Assobirra: “Esprimo il mio sincero plauso alla risoluzione approvata all’unanimità che supporta l’azione governativa per ripristinare una corretta applicazione del diritto dell’Ue in materia di etichettatura delle bevande alcoliche“, dichiara infatti il presidente, Alfredo Pratolongo. Che ricorda come la priorità sia quella di tutelare il comparto vinicolo e birrario. Due prodotti che sono, per dirla con le parole di Carloni, “elemento di identità culturale dell’Italia“.

Ischia, parla Musumeci: “Non esiste prevenzione senza strumenti di previsione”

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Nell’Aula della Camera si è svolta la seduta dedicata all’informativa urgente del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, sui tragici eventi accaduti a Ischia nei giorni scorsi (il bollettino emesso dalla Regione Campania prevedeva allerta arancione per il 25, così come per il 26 per rischio idrogeologico), quando in 24 ore sono caduti 20 mm di pioggia, dei quali oltre cento in due ore.

Musumeci  ha raccontato gli eventi attraverso i numeri: “Otto persone morte, quattro dispersi e cinque feriti, di cui uno in modo grave e attualmente ricoverato presso l’ospedale Cardarelli di Napoli“, innanzitutto. Nel frattempo, i soccorritori hanno recuperato i corpi senza vita di altre tre persone: sale dunque a undici il numero delle vittime.
Poi, le strutture: “Al momento, sono stati effettuati 272 controlli sulle 900 unità abitative danneggiate: risultano 45 strutture danneggiate e inagibili, 56 agibili ma esposte a rischi,162 strutture agibili e 191 presentano criticità gravi; 290 sfollati hanno trovato sistemazione in alberghi o simili“. Nei prossimi giorni verranno ultimati tutti controlli sui 900 edifici interessati dagli eventi “e si potrà disporre di una migliore definizione dei confini della zona rossa“, ha aggiunto il ministro Nello Musumeci. Il quale ha ricordato che, all’indomani della tragedia di Ischia, la premier Giorgia Meloni “mi ha dato il mandato di costituire un gruppo di lavoro interministeriale allargato alla conferenza delle Regioni, all’unione delle Province e all’Anci. Il gruppo dovrà elaborare delle proposte per semplificare le disordinate e disarmanti procedure per la mitigazione del rischio non solo idrogeologico.  Si tratta di un obiettivo ambizioso e non semplice e ci va coraggio per raggiungerlo“.

Il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico “è stato avviato nel 2016 presso il ministero dell’Ambiente, ma da allora – nonostante sia stato presentato informalmente nel 2018 – la Commissione per l’autorizzazione ambientale non ha dato il proprio parere definitivo. Il paradosso è che quando il Piano sarà varato sarà già superato perché è una materia che si evolve con velocità impressionante“, ha poi spiegato il ministro nel corso della sua audizione. Con una riflessione a margine: “Quanto accaduto a Ischia ci obbliga ad approfondire con urgenza il tema delle cause e delle molte questioni” legate a “un sistema normativo e amministrativo integrato ed efficiente sulla prevenzione deli rischi. Quali sono i possibili rimedi? Innanzitutto una strategia che consenta di agire dove ci sono le urgenze e che ha come presupposto essenziale un quadro completo della prevenzione del rischio. Non si può immaginare la prevenzione senza uno strumento di previsione. Questo strumento – ha aggiunto – ci dice quali sono i territori vulnerabili e quale rischi e si chiama Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico”.
Il ministro sottolinea infine che, “per i suoi profili di natura etica, giuridica, ambientale ed economica, il fenomeno dell’abusivismo edilizio non può essere più eluso”; rispetto invece alla situazione delle scuole, risultano chiusi fino al 4 dicembre gli istituti scolastici di Casamicciola e Lacco Ameno; si sta valutando la didattica a distanza e la necessità, espressa dai sindaci, di trovare una linea comune sull’apertura degli istituti scolastici.

Rispetto alla macchina dei soccorsi, Musumeci ha riferito che questi ultimi sono stati “immediati.  Sono intervenuti: il corpo nazionale dei vigili del fuoco (unità già presenti sull’isola e cento unità accorse, 40 mezzi operativi, 1 unità di comando locale, 2 moduli Sapr, 1 carro faro e 1 carro carburante; l’aeronautica militare, con un elicottero HH139 con capacità notturne Sar; l’esercito italiano, con un elicottero CH47 con capacità SAR; la capitaneria di porto, con la nave Gregoretti posizionata nelle acque antistanti l’isola di Ischia; le forze dell’ordine: circa 200 unità; la sanità pubblica con 44 unità; l’ENEL con 10 unità di personale; la Colonna Mobile del Volontariato di Protezione Civile della Regione Campania con 104 unità, 3 unità cinofile, 3 escavatori grandi, 3 bob-cat, 9 idrovore, mezzi per trasporto personale, 12 pick-up, 4 torri faro“. Nei giorni successivi, “si sono resi disponibili ulteriori uomini e mezzi del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco per un totale di 200 uomini e 100 mezzi, con droni, autocarri e mezzi di movimento terra operativi sull’isola; della Croce Rossa Italiana per il proseguimento delle attività, richieste dalle autorità locali, con 15 operatori e 5 mezzi, con la disponibilità di ulteriori mezzi di movimento terra; della Capitaneria di porto per un totale di 93 uomini e 5 mezzi a supporto nelle acque antistanti l’isola di Ischia con battelli attualmente in ricognizione“. Per gestire la situazione di emergenza e coordinare le operazioni, sono stati attivati il Centro coordinamento soccorsi presso la Prefettura di Napoli e i Centri operativi comunali presso i Comuni di Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno.

Il ministro Musumeci non ha lasciato spazio a interpretazioni quando ha affermato che: “Non c’è prevenzione senza danno di previsione. Per affrontare il tema è necessario definire un quadro regolatorio che preveda anche poteri sostitutivi e sanzionatori in caso di inerzia da parte dei soggetti attuatori. Servono inoltre un quadro aggiornato delle risorse disponibili e delle responsabilità“, nonché “la semplificazione del quadro procedurale e regolatorio” e “il rafforzamento della capacità amministrativa delle strutture tecniche responsabili degli interventi”. Inoltre, il ministro ha sottolineato la necessità di avere “una sede centrale di conoscenza degli interventi” per il loro “coordinamento”, sulla base del “modello della struttura di missione di Italia Sicura”.