In Italia in 17 anni 378 morti per eventi climatici: 321 per frane e valanghe

In Italia, dal 2003 al 2020 gli eventi climatici estremi hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni. Le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono risultate Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni), con un alto numero di comuni a rischio riscontrato anche in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Val d’Aosta con 8 decessi, un numero elevato se si tiene conto degli abitanti complessivi. E’ quanto emerge da uno studio ENEA, pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment, che ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi.

La mortalità è l’unico indicatore sanitario immediatamente disponibile per tutti i comuni italiani e la Banca Dati Epidemiologica dell’ENEA consente di effettuare studi sull’intero territorio nazionale utilizzando la mortalità per causa come indicatore di impatto”, spiega Raffaella Uccelli, ricercatrice del Laboratorio ENEA Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Claudia Dalmastri.

Dallo studio emerge inoltre che circa il 50% dei 247 comuni italiani con almeno un decesso è costituito da centri montani o poco abitati, dove il rischio di mortalità associata a eventi meteo-idrogeologici estremi potrebbe essere connesso alla loro fragilità intrinseca e alle difficoltà degli interventi di soccorso.

A livello demografico le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto”, sottolinea Claudia Dalmastri.

Nel nostro paese, oltre il 90% dei comuni e oltre 8 milioni di abitanti sono a rischio a causa di eventi climatici estremi, in particolare frane (1,3 milioni di abitanti) e inondazioni (6,9 milioni di abitanti). Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%) e le regioni più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste aree, eccetto il Lazio, sono state identificate come a rischio anche nello studio ENEA.

Gli eventi meteo estremi stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni. Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa quindi fondamentale per definire le azioni prioritarie di intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e di mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti”, conclude Raffella Uccelli.

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Conto salato per assicuratori: catastrofi naturali costeranno 108 mld dollari nel 2023

Le catastrofi naturali hanno causato danni per 280 miliardi di dollari in tutto il mondo nel 2023, di cui 108 miliardi coperti dalle compagnie assicurative. Lo rivela il riassicuratore Swiss Re, che avverte che il conto potrebbe raddoppiare nei prossimi 10 anni. L’ammontare dei danni e la percentuale coperta dagli assicuratori sono diminuiti rispetto all’anno precedente, mentre il conto si è gonfiato a causa dell’uragano Ian nel 2022. Tuttavia, il conto per gli assicuratori supererà ancora la soglia dei 100 miliardi di dollari per il quarto anno consecutivo, secondo quanto riportato dal riassicuratore svizzero nel suo studio annuale Sigma, che traccia il costo delle catastrofi naturali e dei disastri.

Nel 2022, i danni causati dalle catastrofi naturali sono stati pari a 286 miliardi di dollari, mentre il conto per gli assicuratori ha raggiunto i 133 miliardi di dollari. “Anche in assenza di una tempesta storica come l’uragano Ian, che ha colpito la Florida l’anno precedente, le perdite generate dalle catastrofi naturali nel 2023 sono state gravi“, ha dichiarato Jérôme Jean Haegeli, capo economista di Swiss Re.

I terremoti in Turchia e Siria sono stati i disastri naturali più costosi del 2023. Le perdite assicurate sono state pari a 6,2 miliardi di dollari e questo terremoto ha illustrato in modo “drammatico” le lacune di copertura nel mondo, sottolinea il rapporto. Le perdite economiche sono state pari a 58 miliardi di dollari, ma il terremoto ha colpito aree con scarsa copertura assicurativa, con circa il 90% delle perdite non coperte, quantifica il rapporto. I forti temporali, dal canto loro, hanno causato 64 miliardi di dollari di perdite assicurate, un nuovo record, afferma lo studio, sottolineando che questa è ora la seconda fonte di perdite per gli assicuratori dopo i cicloni tropicali. Le grandinate che accompagnano queste tempeste sono la causa principale dei danni. Gli Stati Uniti sono responsabili dell’85% delle perdite assicurate per tempeste, ma il conto è in aumento in Europa, superando i 5 miliardi di dollari all’anno negli ultimi tre anni. Il rischio di grandine, in particolare, è in aumento in Germania, Italia e Francia.

Con le temperature in aumento e gli eventi meteorologici estremi che diventano “più frequenti e intensi“, il conto delle catastrofi naturali per gli assicuratori potrebbe “raddoppiare nei prossimi dieci anni“, avverte Swiss Re.

Clima, l’aumento di CO2 e di metano minaccia il Mediterraneo

L’area del Mediterraneo è sempre più a rischio a causa del continuo aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di metano (CH4). È quanto emerge dal Report dell’Osservatorio Climatico ENEA ‘Madonie – Piano Battaglia’ che dal 2005 effettua misure settimanali della concentrazione dei due gas e di altri parametri climatici. I dati, che dimostrano la minaccia per il Mediterraneo, sono sovrapponibili a quelli rilevati dall’Osservatorio ENEA di Lampedusa e, su scala globale, da differenti istituzioni internazionali e sono stati presentati alla vigilia della Giornata Meteorologica Mondiale che ricorre domani, 23 marzo 2024, quest’anno dedicata al tema ‘In prima linea nell’azione per il clima’.

“La concentrazione atmosferica di CO2 a Madonie-Piano Battaglia è aumentata dal 2005 con un tasso di crescita di 2.16 ppm/anno a causa delle emissioni antropiche”, evidenzia Francesco Monteleone del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima. “Inoltre – aggiunge – si osserva una forte crescita anche per la concentrazione atmosferica di metano, e lo stesso trend si sta registrando, con una crescita accelerata negli ultimi 15 anni, anche su scala globale”.

L’alta quota, la posizione geografica, l’assenza di contaminazioni locali e l’accuratezza delle misure fanno dell’Osservatorio Climatico ENEA un sito di eccellenza per il monitoraggio e lo studio dei meccanismi legati al cambiamento climatico su scala regionale e globale. Per queste caratteristiche l’Osservatorio ha ottenuto il riconoscimento di stazione regionale, rappresentativo per tutta l’area del Mediterraneo centrale, nell’ambito del Global Atmosphere Watch (GAW), che è la rete mondiale per lo studio del clima globale dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO).

L’Osservatorio Climatico di Piano Battaglia dispone di vari strumenti di misura tra cui una stazione meteorologica e un sistema di campionamento dell’aria per determinare la concentrazione di CO2, metano e monossido di carbonio, i cui campioni vengono spediti e analizzati all’Osservatorio Climatico ENEA di Lampedusa. I dati messi a disposizione della rete mondiale del WMO sono utili alle amministrazioni locali per pianificare le azioni volte a una gestione sostenibile del territorio e a sensibilizzare la popolazione.

L’inflazione dei beni alimentari a rischio impennata con il riscaldamento globale

Il riscaldamento globale potrebbe portare a un aumento dell’inflazione dei beni alimentari fino a 3,2 punti percentuali all’anno e di quella complessiva fino a 1,2 punti percentuali annui, in base agli aumenti di temperatura previsti per il 2035. A rivelarlo è un articolo pubblicato su Communications Earth & Environment, secondo il quale sebbene sia i Paesi ad alto sia a basso reddito sperimenteranno un’inflazione determinata dal clima, quelli del sud del mondo saranno maggiormente colpiti.

L’economia globale è sensibile ai cambiamenti climatici e alle condizioni meteorologiche estreme a causa dell’impatto sulla produzione alimentare, sul lavoro, sulla domanda di energia e sulla salute umana. E’ necessario, quindi, come suggeriscono gli autori, capire come il clima possa influire sull’inflazione anche per comprendere il ruolo dei futuri cambiamenti sull’economia globale.

Maximilian Kotz del Potsdam Institute for Climate Impact Research e colleghi hanno analizzato gli indici dei prezzi al consumo nazionali mensili e i dati meteorologici di 121 Paesi tra il 1991 e il 2020, combinando i risultati con le proiezioni di un modello climatico per stimare l’impatto sull’inflazione in caso di riscaldamento futuro tra il 2030 e il 2060. Le loro ricerche suggeriscono che, in base agli aumenti di temperatura previsti per il 2035, il riscaldamento globale porterà a un aumento dell’inflazione alimentare compreso tra 0,9 e 3,2 punti percentuali all’anno, con un aumento dell’inflazione generale compreso tra 0,3 e 1,2 punti. Gli autori prevedono che questo fenomeno interesserà sia i Paesi ad alto che a basso reddito, ma in generale avrà un impatto maggiore sul Sud del mondo, in particolare Africa e e in Sud America.
Le proiezioni indicano che l’aumento delle temperature spinge l’inflazione durante tutto l’anno nelle regioni a bassa latitudine, mentre questo effetto si verifica solo in estate alle latitudini più elevate. Inoltre, gli autori stimano che gli estremi di calore estivi del 2022 hanno aumentato l’inflazione alimentare in Europa di 0,67 punti percentuali, e questo aumento potrebbe essere amplificato tra il 30 e il 50% negli scenari di riscaldamento del 2035.

Gli autori suggeriscono che il cambiamento climatico probabilmente aumenterà il prezzo dei prodotti alimentari in futuro, ma la mitigazione delle emissioni di gas serra e gli adattamenti basati sulla tecnologia potrebbero limitare sostanzialmente questo rischio per l’economia globale.

Il cambiamento climatico aumenterà la diffusione di malattie infettive

Che il cambiamento climatico sia legato all’aumento della diffusione delle malattie infettive è cosa nota, ma l’incremento esponenziale di contagi di patologie trasmesse da vettori come zanzare, pulci e zecche, sta allarmando la comunità scientifica. In un articolo pubblicato su JAMA, un gruppo di infettivologi ha lanciato l’allarme sull’emergere e la diffusione di agenti patogeni dannosi e ha invitato il mondo medico ad avere “una maggiore consapevolezza e preparazione” per affrontare “l’impatto del cambiamento climatico sulla diffusione delle malattie”.

Le patologie infettive possono essere causate da virus, batteri, funghi o parassiti e molte si trasmettono da animale a uomo o da uomo a uomo. Quelle trasmesse da vettori, come la dengue, la malaria e la Zika, sono causate da agenti patogeni trasportati da zanzare, pulci e zecche. Il cambiamento del clima e delle precipitazioni sta ampliando il raggio d’azione dei vettori e i loro periodi di attività. Ad esempio, le malattie causate dalle zecche (come la babesiosi e la malattia di Lyme) si manifestano ora anche in inverno e, inoltre, vengono riscontrate in regioni più a ovest e a nord rispetto al passato.

Un’altra grande preoccupazione è la malaria. Le zanzare che trasmettono la malattia si stanno espandendo verso nord, a causa del clima, che ha portato all’aumento del numero di questi insetti e a un più alto tasso di trasmissione della malattia. “Come medico di malattie infettive, una delle cose più spaventose della scorsa estate sono stati i casi di malaria acquisiti localmente. Abbiamo visto casi in Texas e in Florida e poi fino a nord nel Maryland, il che è stato davvero sorprendente. Si sono verificati in persone che non avevano viaggiato fuori dagli Stati Uniti”, spiega il primo autore dello studio Matthew Phillips.

Anche le malattie zoonotiche, come la peste e l’hantavirus (trasportato dai roditori), mostrano cambiamenti nell’incidenza e nella localizzazione. A causa della perdita di habitat, gli animali selvatici si stanno avvicinando all’uomo e questo comporta un rischio maggiore di trasmissione delle malattie di sviluppo di nuovi agenti patogeni.
Lo studio ha anche evidenziato la comparsa di nuove infezioni fungine, come la Candida auris (C. auris), e cambiamenti nella localizzazione di alcuni patogeni fungini. Ad esempio, l’infezione Coccidioides (nota anche come febbre della valle) era endemica delle aree calde e secche della California e dell’Arizona, ma è stata recentemente diagnosticata a nord, nello Stato di Washington.

Anche i cambiamenti nei modelli di pioggia e nella temperatura delle acque costiere possono influenzare la diffusione di malattie trasmesse dall’acqua, come l’E. coli e il Vibrio.

Meteo, la Primavera inizia col sole ma è in arrivo il colpo di coda dell’inverno

Il 21 marzo segna l’Equinozio di Primavera: il Sole sorge a Est e tramonta a Ovest, rendendo la durata del giorno uguale a quella della notte. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma dunque che da domani il giorno durerà più della notte e questo contribuirà a far gradualmente aumentare le temperature, al netto dei fenomeni meteo. Più luce, dunque, alle giornate. La Primavera segna la rinascita dopo il freddo inverno, anche se quest’anno è stato eccezionalmente caldo. Sono stati registrati valori miti record in particolare a febbraio, poi abbiamo avuto nevicate tardive a marzo con tonnellate di neve su Alpi e Appennini: queste nevicate sono state comunque registrate a quote medio-alte confermando una fase non particolarmente rigida.

Adesso con l’inizio della Primavera c’è la rimonta dell’Anticiclone Africano sull’Italia: per almeno 2-3 giorni ci sarà sole, con climi molto miti e massime fino a 25 gradi. Il tempo sarà bello fino al 22 marzo al Centro-Nord, mentre al Sud pioverà venerdì pomeriggio per aria più instabile in ingresso dai Balcani. La sensazione di Primavera, però, sarà breve: nel weekend delle Palme è previsto l’arrivo in Italia di una massa d’aria che arriverà direttamente dal Circolo Polare norvegese. Sabato, quindi, sono previsti nubifragi al Nord e nevicate sulle Alpi (specie centro-orientali) fino a 800-1.000 metri di quota; al Centro-Sud le schiarite saranno ancora prevalenti.

Per la domenica delle Palme si prevede una tempesta di vento, con raffiche fino a 50-60 chilometri orari da Nord a Sud con rinforzi superiori in Sicilia, Sardegna, Alpi e Appennini. Oltre al vento si vivrà in Italia una domenica dal sapore nuovamente invernale al Centro (specie tra Lazio e Abruzzo) con neve oltre i 1.100-1.300 metri e piogge abbondanti a quote inferiori. Maltempo anche al Nord-Est, specie tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, e il sussulto primaverile diventerà subito un ricordo. In tendenza, comunque, questa perturbazione norvegese lascerà velocemente il nostro Paese scivolando verso i Balcani e la Settimana Santa potrebbe essere in balìa di un altro ciclone, questa volta di provenienza atlantica: i modelli prevedono, infatti, l’approfondimento di un’area di bassa pressione verso la Spagna da inizio nuova settimana.

Come avviene spesso, con situazioni meteo legate ad una perturbazione sulla Spagna, potremo vivere uno di questi due potenziali scenari da martedì 26 marzo in poi: la perturbazione si sposterà verso Est e porterà maltempo sull’Italia per gran parte del periodo pasquale, oppure resterà stazionaria sulla Spagna favorendo la risalita di correnti calde dal nord africa con una Pasqua calda e soleggiata specie al Centro-Sud. Sono due scenari diametralmente opposti quindi, prima di fare una previsione attendibile per la Santa Pasqua, toccherà aspettare ancora qualche giorno.

Entrando nel dettaglio, oggi al nord bel tempo, salvo nubi basse mattutine in Val Padana. Al centro cielo sereno o poco nuvoloso. Al sud poco nuvoloso. Domani, 21 marzo, al nord soleggiato ma con più nubi sul Triveneto, al centro cielo sereno o poco nuvoloso e al sud ampio soleggiamento. Venerdì 22 marzo, invece, al nord bel tempo salvo locali nebbie in Val Padana, al centro poco o parzialmente nuvoloso e al Sud rovesci sparsi. La tendenza è quella di un weekend con alcuni temporali, specie al Nord-Est.

L’Onu avverte: “Dopo un decennio di caldo record la Terra è sull’orlo dell’abisso”

Temperature oceaniche da record, innalzamento del livello del mare, ritiro dei ghiacciai. Il 2023 ha concluso il decennio più caldo mai registrato, spingendo il pianeta “sull’orlo dell’abisso“, ha avvertito martedì l’Onu. Un nuovo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), agenzia delle Nazioni Unite, mostra che sono stati superati, e in alcuni casi “frantumati“, i record in termini di livelli di gas serra, temperature superficiali, contenuto di calore e acidificazione degli oceani, innalzamento del livello del mare, estensione della banchisa antartica e ritiro dei ghiacciai. Il pianeta è “sull’orlo del collasso” mentre “l’inquinamento da combustibili fossili sta causando un caos climatico senza precedenti“, ha avvertito il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. “C’è ancora tempo per lanciare un’ancora di salvezza alle persone e al pianeta“, ha dichiarato, ma bisogna agire “ora“.

Il rapporto conferma che il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, con una temperatura media della superficie globale di 1,45°C al di sopra del periodo preindustriale. “Ogni frazione di grado di riscaldamento globale ha un impatto sul futuro della vita sulla Terra“, ha avvertito il capo delle Nazioni Unite. “La crisi climatica è la sfida principale che l’umanità deve affrontare ed è inestricabilmente legata alla crisi delle disuguaglianze, come dimostrano la crescente insicurezza alimentare, lo spostamento della popolazione e la perdita di biodiversità“, ha aggiunto la segretaria generale dell’Omm Celeste Saulo.

Ondate di calore, inondazioni, siccità, incendi e la rapida intensificazione dei cicloni tropicali stanno seminando “miseria e caos“, sconvolgendo la vita quotidiana di milioni di persone e infliggendo perdite economiche per diversi miliardi di dollari, avverte l’Omm. Questo è anche il decennio più caldo (2014-2023) mai registrato, superando di 1,20°C la media del 1850-1900. L’aumento a lungo termine della temperatura globale è dovuto all’incremento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, che ha raggiunto livelli record nel 2022.

Secondo l’Omm, anche l’arrivo del fenomeno El Niño a metà del 2023 ha contribuito al rapido aumento delle temperature. Per Saulo, “non siamo mai stati così vicini – anche se per il momento temporaneamente – al limite inferiore di 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici“. “La comunità meteorologica mondiale sta avvertendo il mondo e lanciando l’allerta: siamo in allarme rosso“, ha dichiarato. “Quello a cui abbiamo assistito nel 2023, in particolare il riscaldamento senza precedenti degli oceani, il ritiro dei ghiacciai e la perdita di ghiaccio marino antartico, è motivo di grande preoccupazione“, ha osservato Saulo.

L’anno scorso, quasi un terzo degli oceani del mondo era in preda a un’ondata di calore marino. Secondo l’Omm, entro la fine del 2023, oltre il 90% degli oceani del mondo sarà stato colpito da ondate di calore in qualche momento dell’anno. L’aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore marine sta avendo un profondo impatto negativo sugli ecosistemi marini e sulle barriere coralline. Inoltre, il livello medio globale del mare ha raggiunto un livello record nel 2023, a causa del continuo riscaldamento degli oceani (espansione termica) e dello scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali. Preoccupante è il fatto che il tasso di aumento del livello medio nell’ultimo decennio (2014-2023) è più del doppio di quello del primo decennio dell’era satellitare (1993-2002).

Secondo i dati preliminari, i ghiacciai di riferimento in tutto il pianeta hanno subito il più grande ritiro mai registrato dal 1950, a seguito dell’estremo scioglimento nel Nord America occidentale e in Europa. Secondo l’Omm, tuttavia, c’è “un barlume di speranza“: la capacità di produzione di energia rinnovabile nel 2023 è aumentata di quasi il 50% su base annua, il tasso più alto registrato negli ultimi due decenni.

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Dal cambiamento climatico perdite economiche per 24,7 trilioni di dollari entro il 2060

La perdita di Pil globale dovuta ai cambiamenti climatici aumenterà esponenzialmente quanto più il pianeta si riscalderà, se si tiene conto del suo impatto a cascata sulle catene di approvvigionamento globali. E’ quanto emerge da una nuova ricerca guidata da ricercatori dell’University College London (UCL).

Lo studio, pubblicato su Nature, è il primo a tracciare le “perdite economiche indirette” del cambiamento climatico sulle catene di approvvigionamento globali che interesseranno regioni potenzialmente meno colpite dal previsto aumento delle temperature.

Queste interruzioni delle catene di approvvigionamento aggraveranno ulteriormente le perdite economiche previste a causa dei cambiamenti climatici, portando a una perdita economica netta prevista tra i 3,75 trilioni e i 24,7 trilioni di dollari entro il 2060, a seconda della quantità di anidride carbonica emessa.

L’autore principale, il professor Dabo Guan (UCL Bartlett School of Sustainable Construction) spiega che “questi impatti economici previsti sono sconcertanti. Le perdite peggiorano con l’aumentare del riscaldamento del pianeta e, se si considerano gli effetti sulle catene di approvvigionamento globali, si capisce come ogni luogo sia a rischio economico”.

Poiché l’economia globale è diventata sempre più interconnessa, le perturbazioni in una parte del mondo hanno effetti a catena nel resto del globo, a volte in modo inaspettato. I fallimenti dei raccolti, i rallentamenti del lavoro e altre perturbazioni economiche in una regione possono influire sulle forniture di materie prime che affluiscono in altre parti del mondo che ne dipendono, interrompendo la produzione e il commercio in Paesi anche lontani.

Più la Terra si riscalda, più peggiora la sua situazione economica, con un aggravamento dei danni e delle perdite economiche che aumenta esponenzialmente con il passare del tempo e con l’aumento del calore. I cambiamenti climatici danneggiano l’economia globale soprattutto a causa dei costi sanitari dovuti all’esposizione al calore, all’interruzione del lavoro quando fa troppo caldo e agli stop che si propagano a cascata attraverso le catene di approvvigionamento.

I ricercatori hanno confrontato le perdite economiche previste in tre scenari di riscaldamento globale. Quello migliore prevede un aumento delle temperature globali di soli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali entro il 2060, quello intermedio, che secondo la maggior parte degli esperti si trova attualmente sulla Terra, prevede un aumento delle temperature globali di circa 3 gradi centigradi, mentre lo scenario peggiore prevede un aumento delle temperature globali di 7 gradi centigradi.

Entro il 2060, le perdite economiche previste saranno quasi cinque volte maggiori con il percorso di emissioni più alto rispetto a quello più basso, con perdite economiche che peggioreranno progressivamente con l’aumento del riscaldamento. Entro il 2060, le perdite totali del Pil ammonteranno allo 0,8% con un riscaldamento di 1,5 gradi, al 2,0% con un riscaldamento di 3 gradi e al 3,9% con un riscaldamento di 7 gradi.

Anche il costo umano diretto è significativo. Anche nel caso del percorso più basso, nel 2060 si registrerà il 24% in più di giorni di ondate di calore estremo e 590.000 morti in più all’anno, mentre nel caso del percorso più alto il numero di ondate di calore sarà più che raddoppiato e si prevedono 1,12 milioni di morti in più all’anno. Questi impatti non saranno distribuiti uniformemente in tutto il mondo, ma saranno i Paesi vicini all’equatore a sopportare il peso maggiore del cambiamento climatico, in particolare quelli in via di sviluppo.

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Ansia climatica della Generazione Z è reale: preoccupati 8 giovani su 10

La cosiddetta ansia climatica – cioè la preoccupazione, la paura o l’ansia cronica legata al destino ambientale del pianeta per via di gravi eventi climatici – è reale e lo è ancora di più. Nelle persone più giovani e in quelle più sensibili ai temi di riscaldamento globale, cambiamenti climatici, aumento dell’incidenza di disastri naturali, deforestazione, innalzamento del livello del mare, ed eventi meteorologici estremi, l’ansia climatica può manifestarsi con sintomi specifici di stress.

Una nuova ricerca della Curtin University ha dimostrato che i giovani australiani sono molto preoccupati per il cambiamento climatico, che sta avendo un impatto significativo sulle loro vite e potrebbe avere conseguenze più ampie nei decenni a venire. Pubblicato su Sustainable Earth Reviews, lo studio ha intervistato gli studenti universitari australiani appartenenti alla Generazione Z (persone nate tra il 1995 e il 2010) e ha rilevato che il cambiamento climatico è la loro preoccupazione ambientale numero uno.

Oltre l’80% ha dichiarato di essere “preoccupato” o “molto preoccupato” per il cambiamento climatico e molti hanno rivelato di sentirsi in ansia per questo problema. L’ansia da clima vede la preoccupazione per il cambiamento climatico manifestarsi come pensieri inquietanti, angoscia opprimente per i futuri disastri climatici e per il continuo destino dell’umanità e del mondo. Può anche tradursi in sentimenti di paura, insicurezza, rabbia, esaurimento, impotenza e tristezza.

Per Dora Marinova, professoressa di sostenibilità alla Curtin, l’ansia da clima è un fattore che contribuisce al senso di disagio generale della Gen Z nei confronti del futuro, che potrebbe avere importanti ripercussioni anche tra molti anni. “Questi giovani sono molto preoccupati e, in un certo senso, intimoriti dalla mancanza di azioni concrete per combattere il cambiamento climatico“, ha spiega l’esperta. “La generazione Z ha serie preoccupazioni che non solo avranno un impatto sulla loro salute mentale – cosa che la società e il sistema sanitario pubblico dovranno affrontare – ma anche sulle scelte che i giovani fanno: come spendono i loro soldi, se hanno una famiglia, la scelta della loro carriera e altro ancora“.

Lo studio ha anche rivelato che, nonostante le loro preoccupazioni, solo il 35% della generazione Z si impegna regolarmente nell’attivismo per il clima, come la raccolta di fondi, la donazione di denaro per cause meritevoli, il sostegno a campagne politiche o la partecipazione a eventi come marce o proteste.

Diana Bogueva, ricercatrice del Curtin, conferma, però, che gli intervistati utilizzano regolarmente i social media per esprimere le proprie preoccupazioni e reperire informazioni. Secondo la ricercatrice, anche se le loro attività online sono importanti, la generazione Z potrebbe aver bisogno di impegnarsi in altri modi per alleviare l’ansia climatica e promuovere il cambiamento.
Per la ricercatrice non è solo responsabilità della generazione Z risolvere il cambiamento climatico – un problema che non hanno creato loro – ma intraprendere un’azione significativa può aiutare ad alleviare i sentimenti di ansia e impotenza di un individuo. “Questo può includere scoprire come possono essere parte della soluzione nella loro vita personale, sia che si tratti di scegliere una carriera che abbia un impatto, sia che si tratti di modificare i prodotti o gli alimenti che consumano“, dice. “Anche se le sfide del cambiamento climatico possono spaventare, non è troppo tardi per la generazione Z per fare la differenza lottando per un futuro sostenibile“.

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Clima, le anomalie globali di temperatura dal 1880 al 2023

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, su dati forniti da Copernicus, sono illustrate le anomalie termiche registrate a livello globale dal 1880 al 2023 rispetto alla media 1951-1980. Secondo l’Accordo di Parigi del 2015 l’incremento della temperatura deve essere contenuto entro 1,5 °C rispetto al periodo pre industriale; a settembre 2023 il dato era già a +1,21 °C.