Dai rifiuti spaziali all’agricoltura satellitare: a Houston l’Italia che innova

Flotte di sonde aerostatiche coordinate dall’intelligenza artificiale, nanosatelliti che “danno la caccia” ai detriti spaziali, e propulsori made in Italy tra i più avanzati sul mercato. Sono alcune delle soluzioni innovative proposte dalle sei aziende italiane che stanno partecipando a Houston, in Texas, nel luogo simbolo della storia dell’esplorazione spaziale, alla prima edizione di ‘Space it Up‘, il programma di accelerazione d’impresa creato da Ice, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, e dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), in collaborazione con la Space Foundation, la principale associazione americana che riunisce i vari stakeholder del settore aerospaziale promuovendo attività di formazione, ricerca e innovazione tecnologica.

Space it Up, al via ufficialmente il 28 agosto, segue un percorso di sei settimane. La prima con attività preparatorie da remoto, e le restanti cinque a Houston, a partire dall’evento di kick-off di che si è tenuto l’1settembre. Tutte le attività di mentorship, i workshop e i momenti di networking con l’ecosistema aerospaziale texano si tengono al The Ion Houston, il principale centro di innovazione della città. Una full immersion che culminerà con il Demo Day del 27 settembre, in cui le aziende potranno mettere a frutto il lavoro delle settimane precedenti presentando le loro soluzioni innovative ai principali stakeholder del territorio. Un’opportunità importante per stringere relazioni e accordi commerciali oltreoceano, trovare clienti o capitali.

Il programma Space it Up non si esaurisce però nell’arco di queste settimane e punta a diventare in breve tempo una piattaforma di dialogo permanente tra gli attori italiani e statunitensi del settore space-tech: questo anche grazie a uno Spazio collaborativo “phygital” che faciliterà l’incontro, lo scambio e le occasioni di business tra imprenditori, innovatori e ricercatori. La piattaforma, attiva da settembre per 365 giorni l’anno, è stata realizzata in partnership tra l’ufficio ICE della città texana e Village Insights, leader per la costruzione di community di settore.

 

Con un fatturato 2022 di 13 miliardi di euro e un export di 6,5 miliardi in crescita del 17,7% rispetto al 2021, il comparto aerospaziale italiano rappresenta oggi un settore in rapida crescita, fiore all’occhiello del Made in Italy e sempre più presente nella realizzazione di missioni internazionali. La new space economy è un driver di crescita strategica per il Paese che può vantare l’esser presenti con, principalmente, cinque poli produttivi regionali, su tutta la filiera: dalla costruzione e operazione di razzi vettori, alla costruzione di satelliti, acquisizione di dati dallo Spazio e gestione di immagini e big data. Non da meno la capacità di sviluppo del know how trasversale delle nostre aziende che potenzialmente permette loro di rispondere efficacemente a tutte le esigenze del comparto aerospaziale” spiega il Presidente dell’Agenzia Ice Matteo Zoppas.

Le aziende del comparto si rivolgono con sempre maggiore attenzione, nel processo di internazionalizzazione delle loro attività, sia verso i grandi committenti esteri, sia verso i produttori di sistemi e sottosistemi”, sostiene il Direttore Generale dell’Agenzia ICE Lorenzo Galanti. “Partecipano ai grandi saloni e air show con il supporto dell’ICE, dove hanno l’opportunità di effettuare incontri per collaborazioni produttive. Il nostro ruolo è di portare i distretti produttivi nazionali sul mercato mondiale e al contempo di invitare in Italia buyers dall’estero, per favorire il sempre maggiore inserimento del sistema aerospaziale italiano nei processi di sviluppo tecnologico del settore a livello internazionale”.

A valorizzare l’iniziativa anche la stretta collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la partnership con Space Foundation. Tra le più importanti agenzie spaziali a livello mondiale, ASI contribuirà al programma mettendo a disposizione risorse ed expertise importanti per permettere alle aziende di competere sul mercato internazionale, mentre l’autorevolezza della Space Foundation nel panorama statunitense garantirà un punto di accesso privilegiato all’ecosistema. “Il mercato USA rappresenta un riferimento strategico per le industrie spaziali italiane e Houston uno degli epicentri. In questo contesto si delineano i più avanzati trend innovativi dello Spazio a livello globale. È anche grazie alla partnership con gli USA che la nostra industria nel passato ha avuto l’opportunità di costruire le solide competenze che abbiamo oggi. Per questo nell’ambito delle nostre iniziative per l’internazionalizzazione industriale, sosteniamo la collaborazione con ICE e abbiamo proposto il lancio di una iniziativa verticale di accelerazione per il settore Spazio che vada a beneficio di giovani imprese italiane con ottime prospettive di innovazione e crescita“, ricorda Teodoro Valente presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana. “Dalla culla del Rinascimento alle frontiere del cosmo, la tradizione di innovazioni spaziali dell’Italia non conosce limiti – fa eco Kelli Kedis Ogborn, vicepresidente per il commercio e l’imprenditoria spaziale di Space Foundation -. Con il suo patrimonio di progressi scientifici, l’Italia torna a scrivere un nuovo capitolo della storia, questa volta con un’attenzione più ampia alla collaborazione internazionale e a una crescita significativa di un ecosistema spaziale globale in evoluzione“.

importazioni petrolio

Le azioni salva-clima delle compagnie petrolifere sono in stallo. Si salva solo l’Eni

Le principali compagnie petrolifere e del gas del mondo sono ben lontane dal compiere gli sforzi necessari per limitare il riscaldamento globale e in alcuni casi hanno fatto marcia indietro rispetto ai loro impegni. E’ quanto emerge da un rapporto di Carbon Tracker che, però, assegna ai gruppi europei un punteggio più alto. “I progressi delle compagnie petrolifere e del gas nel rafforzare i loro impegni in materia di emissioni sono in fase di stallo, e la maggior parte di esse è rimasta nella stessa fascia dell’anno scorso”, spiega il think tank Carbon Tracker.

Il rapporto annuale di 36 pagine, Absolute Impact 2023, rivolto in particolare agli investitori, fa il punto sulle ambizioni climatiche delle 25 maggiori compagnie petrolifere e del gas, comprese quelle di proprietà statale. Si tratta di un settore che sarà oggetto di un intenso esame alla COP28 che si terrà a Dubai alla fine dell’anno. La Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, dove si prevede una dura battaglia sulla fine dei combustibili fossili, dovrebbe rimettere il mondo in carreggiata con l’Accordo di Parigi: limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, e se possibile a 1,5°C, rispetto all’era preindustriale.

Tuttavia, il rapporto rileva che molti piani climatici aziendali si basano su metodi che non sono stati dimostrati su larga scala, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e la compensazione delle emissioni. Il rapporto rileva inoltre che “alcune aziende stanno facendo marcia indietro rispetto ai loro impegni”, come la BP, che ha abbassato l’obiettivo di riduzione della produzione di idrocarburi per il 2030 dal 40% al 25%. E la Shell, che ha annunciato che la sua produzione di petrolio rimarrà stabile fino al 2030.

“La nostra analisi mostra che le maggiori compagnie petrolifere e del gas del mondo continuano a mettere a rischio gli investitori non pianificando tagli alla produzione (di idrocarburi) in linea con l’obiettivo di Parigi di 1,5 gradi”, commenta Mike Coffin, coautore del rapporto.

Delle 25 società, “solo” l’italiana Eni ha obiettivi “potenzialmente” in linea con l’obiettivo di Parigi, secondo il think tank. TotalEnergies è al secondo posto. Ma mentre l’Eni è in cima alla classifica per il quarto anno consecutivo, la credibilità dei suoi obiettivi potrebbe essere messa in discussione “dato che dipendono dalla vendita di asset, oltre che da tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio e compensazioni di carbonio non dimostrate”, sottolinea Carbon Tracker.

“Le principali compagnie europee sono in cima alla classifica, con obiettivi sistematicamente più ambiziosi di quelli dei loro rivali nordamericani, mentre gli impegni più deboli sono stati presi da ExxonMobil e da cinque compagnie petrolifere prevalentemente statali: Aramco, la brasiliana Petrobras e le cinesi Sinopec, PetroChina e Cnooc”, riassume Carbon Tracker nella sua presentazione.

Dietro l’Eni si colloca TotalEnergies, che ha preso il posto di Repsol, ora al terzo posto, davanti a BP e Shell. Considerate “più progressiste” rispetto ai loro concorrenti, TotalEnergies, Repsol e BP hanno dichiarato obiettivi di “carbon neutrality” entro il 2050 e obiettivi intermedi entro il 2030 “ma questi scopi escludono le emissioni di alcune attività chiave”, osserva Carbon Tracker.

Circa 16 compagnie, tra cui ExxonMobil e Conoco, hanno obiettivi che coprono solo le loro emissioni operative, cioè non coprono le emissioni generate dalla combustione del petrolio e del gas che i loro clienti acquistano – circa il 90% della loro reale impronta di carbonio. Società come Shell ed Equinor hanno obiettivi molto distanti, per il 2050, “ma non obiettivi intermedi assoluti”, il che è comunque considerato un passo essenziale.

All’ultimo posto, la saudita Aramco “è l’unica azienda che limita i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni agli asset che possiede e gestisce interamente”, sottolinea Carbon Tracker, senza contare il fatto che fissa un obiettivo di riduzione solo in relazione a una traiettoria di crescita futura, riducendo di fatto i suoi sforzi.

Caldo record

Estate 2023 più calda di sempre. Guterres: Iniziato collasso climatico

L’estate (giugno-luglio-agosto) ha registrato le temperature medie globali più alte mai misurate, portando il 2023 a essere, molto probabilmente, l’anno più caldo della storia. Sono i dati del monitoraggio mensile dell’osservatorio europeo Copernicus secondo cui la temperatura media ha raggiunto 16,77°C, pari a 0,66°C sopra la media. “Il collasso climatico è iniziato”, ha affermato in una nota il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. “Il nostro clima sta implodendo più velocemente di quanto possiamo gestirlo, con eventi meteorologici estremi che colpiscono ogni angolo del pianeta”, ha aggiunto, ricordando come “gli scienziati hanno da tempo messo in guardia dalle conseguenze della nostra dipendenza dai combustibili fossili”.

Ondate di caldo, siccità, inondazioni o incendi hanno colpito l’Asia, l’Europa e il Nord America durante l’estate, in proporzioni drammatiche e spesso senza precedenti, con costi pesanti in vite umane e in danni alle economie e all’ambiente.

Anche l’emisfero meridionale, dove molti record di calore sono stati battuti nel bel mezzo dell’inverno australe, non è stato risparmiato. “La stagione giugno-luglio-agosto 2023”, che corrisponde all’estate nell’emisfero settentrionale, dove vive la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, “è stata di gran lunga la più calda mai registrata al mondo, con una temperatura media globale di 16,77°C. C”, ha riportato Copernicus. Si tratta di 0,66°C al di sopra delle medie del periodo 1991-2020, già caratterizzato dall’aumento delle temperature medie in tutto il mondo a causa del riscaldamento globale causato dalle attività umane. E ben al di sopra – circa 2 decimi – del precedente record del 2019.

Luglio è stato il mese più caldo mai misurato, agosto 2023 è ora al secondo posto, specifica Copernicus. E nei primi otto mesi dell’anno, la temperatura media del globo è “solo 0,01°C in meno rispetto al 2016, l’anno più caldo mai misurato”.

Ma questo primato è appeso ad un filo, viste le previsioni stagionali e il ritorno al potere nel Pacifico del fenomeno climatico El Niño, sinonimo di ulteriore riscaldamento. E “dato l’eccesso di calore sulla superficie degli oceani, è probabile che il 2023 sarà l’anno più caldo (…) che l’umanità abbia conosciuto”, ha dichiarato Samantha Burgess, vice capo del servizio sui cambiamenti climatici (C3S) di Copernico.

Il database Copernicus risale al 1940, ma può essere paragonato ai climi dei millenni passati, stabiliti utilizzando gli anelli degli alberi o le carote di ghiaccio e sintetizzati nell’ultimo rapporto del gruppo di esperti climatici delle Nazioni Unite (IPCC). Su questa base, “i tre mesi appena vissuti sono i più caldi da circa 120mila anni, cioè dall’inizio della storia umana“, spiega la Burgess.

Nonostante tre anni consecutivi di La Niña, il fenomeno opposto a El Niño che ha parzialmente mascherato il riscaldamento, gli anni 2015-2022 sono già stati i più caldi mai misurati.
Il surriscaldamento dei mari del mondo, che continuano ad assorbire il 90% del calore in eccesso causato dalle attività umane fin dall’era industriale, gioca un ruolo importante nel fenomeno. Da aprile, la loro temperatura superficiale media è cambiata raggiungendo livelli di calore senza precedenti. “Dal 31 luglio al 31 agosto”, ha addirittura “superato ogni giorno il precedente record di marzo 2016“, nota Copernico, raggiungendo la soglia simbolica senza precedenti di 21°C, molto chiaramente al di sopra di tutti gli archivi. “Il riscaldamento degli oceani porta al riscaldamento dell’atmosfera e ad un aumento dell’umidità, che provoca precipitazioni più intense e un aumento dell’energia a disposizione dei cicloni tropicali”, sottolinea Samantha Burgess.

Il surriscaldamento colpisce anche la biodiversità: “ci sono meno nutrienti nell’oceano (..) e meno ossigeno” il che mette a rischio la sopravvivenza della fauna e della flora, aggiunge lo scienziato, che cita anche lo sbiancamento dei coralli, la proliferazione algale dannosa o “il potenziale collasso dei cicli riproduttivi”. “Le temperature continueranno ad aumentare finché non chiuderemo il rubinetto delle emissioni”, derivanti principalmente dalla combustione di carbone, petrolio e gas, ricorda Burgess.

Guterres: “Africa determinante per le rinnovabili”. Da Emirati arabi investimenti per 4,5 miliardi

Africa “una superpotenza di energia rinnovabile“. E’ l’invito del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nel suo intervento all’ Africa Climate Summit, il vertice sul clima organizzato dal Kenya e dalla Commissione dell’Unione Africana (AUC), volto a promuovere il potenziale dell’Africa come potenza verde. In vista, ovviamente, della Cop28 che si aprirà a novembre a Dubai.Guterres ha esortato la comunità internazionale a contribuire a rendere l’Africa “una superpotenza delle energie rinnovabili“. “L’energia rinnovabile potrebbe essere il miracolo africano. – ha detto il segretario generale Onu – Ma dobbiamo fare in modo che accada”. Si tratta di un nuovo appello, in particolare ai leader del Gruppo delle 20 maggiori economie, che si riuniranno in India nel fine settimana, di “assumersi le proprie responsabilità” nella lotta al cambiamento climatico.

Nel corso del vertice, gli Emirati Arabi Uniti annunciano il primo impegno finanziario a favore dell’Africa: un investimento di 4,5 miliardi di dollari (4,1 miliardi di euro) in energia pulita nel continente. Aprendo il vertice ieri il presidente keniano William Ruto ha affermato che l’Africa avrà “un’opportunità senza precedenti” di svilupparsi partecipando alla lotta contro il riscaldamento globale, se riuscirà ad attrarre finanziamenti. E gli Emirati Arabi Uniti, che ospiteranno la prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima, hanno annunciato il primo impegno finanziario: il sultano Al Jaber, a capo della compagnia petrolifera nazionale Adnoc e della compagnia governativa di energia rinnovabile Masdar, ha spiegato che l’investimento “scatenerà la capacità dell’Africa di raggiungere una prosperità sostenibile”. Nel dettaglio, un consorzio che include Masdar aiuterà a sviluppare 15 gigawatt di energia pulita entro il 2030. Secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, nel 2022 la capacità di generazione di energia rinnovabile del continente sarebbe stata di 56 gigawatt.

Capi di Stato, leader di governo e leader economici del continente e di altri paesi sono riuniti nella capitale del Kenya per questo vertice storico. Nonostante la ricchezza di risorse naturali, solo il 3% degli investimenti energetici nel mondo vengono effettuati nel continente africano.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen aveva indicato la posizione della Ue: “L’Africa ha bisogno di investimenti massicci. E l’Europa vuole essere il vostro partner nel colmare questo divario di investimenti. Questo è il motivo per cui metà del nostro piano di investimenti da 300 miliardi di euro, chiamato Global Gateway, è rivolto al Continente africano. – ha detto von der Leyen – Global Gateway sostiene investimenti che vanno dalle centrali idroelettriche in Congo, Burundi, Ruanda e Tanzania, all’iniziativa da un miliardo di euro sull’adattamento climatico e la resilienza in Africa, che abbiamo annunciato alla Cop27“.

Global Gateway è unico nel panorama degli investimenti globali.- ha continuato – Non siamo interessati solo all’estrazione di risorse. Vogliamo collaborare con voi per creare catene del valore locali in Africa. Vogliamo condividere con voi la tecnologia europea. Vogliamo investire in competenze per i lavoratori locali. Perché più siete forti come fornitori, più l’Europa diversificherà le catene di approvvigionamento verso l’Africa e più ridurrà i rischi per le nostre economie. La Namibia, per esempio, sta ora costruendo una nuova industria dell’idrogeno, nonché una catena del valore delle materie prime, in collaborazione con l’Europa. E, più tardi questa mattina, il presidente Ruto e io concluderemo un nuovo partenariato per l’idrogeno tra il Kenya e l’Ue con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente l’economia verde dell’idrogeno e con il pieno sostegno del Team Europe. Questa è una buona notizia sia per l’Africa che per l’Europa”, ha aggiunto. La presidente dell’Ue ha poi annunciato una nuova proposta per attrarre investimenti privati. “Sulla transizione verde i finanziamenti pubblici non sono sufficienti. Questo vale per l’Europa, ma anche per i mercati emergenti. Sarà necessario mobilitare il capitale privato su larga scala – le parole di von der Leyen – È per questo che presentiamo una nuova proposta per attirare gli investimenti privati. Si chiama Iniziativa sui green bond globali. Insieme alla Banca europea per gli investimenti e ai nostri Stati membri, stiamo per stanziare 1 miliardo di euro per ridurre il rischio degli investimenti privati nei mercati emergenti”.

Clima, Papa: Nella nuova Laudato Si’ revisione Cop Parigi e nuove urgenze

Photo credit: Vatican News

 

Il seguito della Laudato Si’, la nuova esortazione apostolica sull’ambiente in uscita il 4 ottobre, sarà più breve della prima enciclica e sarà una “revisione di cosa è successo dalla COP di Parigi, che è forse è stata la più fruttuosa, fino a oggi“. Sul volo da Ulan Bator a Roma, rientrando dal viaggio in Mongolia, Papa Francesco concede una conferenza stampa e anticipa i contenuti del suo prossimo lavoro sulla cura del Creato: “C’è qualche notizia su alcune Cop e alcune cose che ancora non sono state risolte, ma c’è l’urgenza di risolvere“, spiega senza entrare nel dettagli.
Il lavoro sarà quindi un aggiornamento, un “portare avanti la Laudato si’ nelle cose nuove, e anche un’analisi della situazione“, ribadisce.

Quanto alle manifestazioni a volte un po’ eclatanti di alcuni giovani che lottano contro il riscaldamento globale, “non scendo su questi estremisti“, afferma, interrogato su Ultima Generazione. “Ma i giovani sono preoccupati“, precisa, citando uno “scienziato italiano bravo“, che ha affermato: ‘Io non vorrei che la mia nipotina, che è nata ieri, entro trent’anni viva in un mondo così brutto‘.

Due attivisti di Ultima Generazione, Guido ed Ester, a giugno sono stati condannati in primo grado in Vaticano per essersi incollati al basamento della statua di Laocoonte nei Musei, e una terza, Laura, per aver documentato l’azione con un video. I giudici vaticani del Tribunale di Prima Istanza hanno condannato i primi due a 9 mesi di carcere, con pena sospesa e una multa di 1.620 euro, oltre a un risarcimento del danno di oltre 28mila euro. La terza è stata multata con un’ammenda di 120 euro per il reato di trasgressione “a un ordine legalmente dato dall’autorità competente”. Il movimento ha presentato ricorso alla Corte di Appello.

I giovani pensano al futuro, e in questo senso mi piace che lottino bene“, commenta Bergoglio. Ma avverte: “Quando c’entra l‘ideologia o c’entra una pressione politica, non va più bene”.

L’Africa punta alle rinnovabili: a Nairobi al via il Vertice africano sul clima

(Photocredit: AFP)

“Offrire prosperità e benessere alle popolazioni africane in crescita senza far precipitare il mondo in un disastro climatico più profondo non è una proposta astratta o un pio desiderio. È una possibilità reale, dimostrata dalla scienza”. Lo ha detto il presidente del Kenya, William Ruto nel suo discorso di apertura dello storico vertice africano sul clima, che ha preso il via oggi a Nairobi. “La questione principale – ha aggiunto – è l’opportunità senza precedenti che l’azione per il clima rappresenta per l’Africa. Per molto tempo abbiamo solo guardato a questo problema, è ora di fare il grande passo”.

Per Ruto è necessario “considerare la crescita verde non solo come un imperativo climatico, ma anche come una fonte di opportunità economiche del valore di miliardi di dollari che l’Africa e il mondo sono pronti a capitalizzare”. Secondo il presidente, l’Africa ha il potenziale per essere completamente autosufficiente dal punto di vista energetico grazie alle risorse rinnovabili. Il Kenya, ha sottolineato, “punta al 100% di energia rinnovabile entro il 2030“.

L’Africa ha un “potenziale unico” nella lotta al cambiamento climatico grazie alle possibilità legate all’energia rinnovabile, alla giovane forza lavoro e alle risorse naturali della regione, tra cui il 40% delle riserve mondiali di cobalto, manganese e platino, essenziali per le batterie e l’idrogeno. E’ questo il cuore della bozza della ‘Dichiarazione di Nairobi’, il documento che sarà discusso questa settimana al vertice. Questo primo vertice africano dà il via ai quattro mesi più intensi dell’anno per i negoziati internazionali sul clima, che culmineranno nella battaglia per la fine dei combustibili fossili alla COP28 di Dubai a dicembre. Per tre giorni, una ventina di leader e funzionari africani e non, tra cui il capo delle Nazioni Unite António Guterres, saranno accolti nella capitale keniota dal presidente William Ruto, che spera che questo vertice permetta al continente di trovare un linguaggio comune su sviluppo e clima per “proporre soluzioni africane“ alla prossima conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima.

Ma le sfide sono enormi per un continente in cui circa 500 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità. E i leader africani sottolineano costantemente i notevoli ostacoli finanziari. L’Africa, che ospita il 60% del miglior potenziale mondiale di energia solare al mondo, ha una capacità installata simile a quella del Belgio, come hanno recentemente sottolineato il presidente Ruto e l’Agenzia internazionale dell’energia. La ragione principale è che solo il 3% degli investimenti globali nella transizione energetica raggiunge l’Africa.

Un risultato positivo a Nairobi su una visione condivisa per lo sviluppo verde dell’Africa darebbe impulso a diversi incontri internazionali chiave prima della COP28, a partire dal vertice del G20 in India e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre, seguiti dalla riunione annuale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) a Marrakech in ottobre. Secondo Joseph Nganga, nominato da William Ruto a presiedere il vertice, la conferenza dovrebbe dimostrare che “l’Africa non è solo una vittima, ma un continente dinamico con soluzioni per il mondo”.

La sicurezza è stata rafforzata a Nairobi e le strade intorno alla sede del vertice sono state chiuse. Secondo il governo, 30.000 persone si sono registrate per l’evento.

pioggia

Arriva il vortice balcanico a insediare Bacco: temporali al sud

Nel corso della settimana appena iniziata un ciclone in arrivo dai Balcani insidierà l’anticiclone africano Bacco, provocando anche lo sviluppo di numerosi temporali pronti a colpire alcune regioni del nostro Paese. Allo stesso tempo, sulle aree sferzate da piogge e temporali, la colonnina di mercurio scenderà anche di diversi gradi.
Antonio Sanò, fondatore del sito www.ilmeteo.it, spiega che dopo un weekend in prevalenza caldo e soleggiato, “ecco che già nella giornata odierna un piccolo ciclone si staccherà, isolandosi, da una bassa pressione presente sulla Scandinavia”. La “goccia fredda” viaggerà quindi dall’Europa orientale fino alle isole della Grecia per poi raggiungere il Mar Ionio. “Da questa posizione – dice l’esperto – riuscirà a provocare un rinforzo dei venti freschi dai quadranti orientali (venti di Grecale) non solo al Sud, ma anche sul resto del Paese”.

Tra martedì 5 e mercoledì 6 settembre, ecco che le correnti di Grecale si intensificheranno, dando origine ad una fase di tempo molto instabile al Sud. Per questa ragione si attende un’escalation temporalesca anche forte, accompagnata da qualche grandinata. I fenomeni più intensi si registreranno soprattutto sui settori ionici calabresi e siciliani, dove si potranno cumulare fino a 40 mm in 24 ore, equivalenti a 40 litri di pioggia per metro quadrato.

A seguire, tra giovedì 7 e sabato 9 settembre, mentre continuerà a fare caldo al Centro-Nord, la goccia fredda inizierà a perdere via via di energia, ma sarà ancora in grado di provocare qualche fenomeno temporalesco sulle regioni del Sud. Solo da domenica 10 settembre l’anticiclone africano tornerà a dominare la scena anche al Sud, con un tempo via via più stabile, soleggiato e anche caldo per il periodo.

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Le emissioni di Co2 minacciano la sopravvivenza degli orsi polari

Photo credit: AFP

Gli orsi polari sono da tempo un simbolo dei danni causati dal cambiamento climatico, che sta sciogliendo il pack ice da cui dipende la loro sopravvivenza. Ma non è mai stato possibile quantificare l’impatto di una singola centrale elettrica a carbone su questi emblematici mammiferi. Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Science, dimostra che è ora possibile calcolare il legame diretto tra una certa quantità di emissioni di gas serra e il numero di giorni senza ghiaccio nelle aree abitate dagli orsi, che a sua volta influisce sulla percentuale di orsi che raggiungono l’età adulta. Grazie a questo grado di precisione, gli autori dello studio sperano di poter porre rimedio a quella che viene percepita come una lacuna nella legge americana. Gli orsi polari sono stati classificati come specie minacciata dal 2008, sotto la protezione dell’Endangered Species Act statunitense. Ma un’argomentazione legale pubblicata lo stesso anno impedisce di utilizzare questa legge per valutare i permessi di nuovi progetti di combustibili fossili alla luce delle considerazioni sul clima e del loro impatto su queste specie.

Scritto da David Bernhardt, avvocato dell’amministrazione del presidente repubblicano George W. Bush, il documento sostiene che la scienza non è in grado di distinguere l’impatto di una specifica fonte di gas serra dall’impatto delle emissioni nel loro complesso. Steven Amstrup, uno degli autori dello studio, ha dichiarato: “Abbiamo presentato le informazioni necessarie per smontare questa argomentazione“.

Gli orsi polari hanno bisogno del ghiaccio per cacciare le foche, muoversi e riprodursi. Quando il ghiaccio si scioglie in estate, gli orsi si ritirano nell’entroterra o sul ghiaccio lontano dalla costa, dove possono rimanere a lungo senza mangiare. Questi periodi di digiuno si stanno allungando con l’intensificarsi del riscaldamento globale. Un importante studio pubblicato nel 2020 è stato il primo a calcolare il legame tra i cambiamenti osservati nel ghiaccio marino dovuti al cambiamento climatico e il numero di orsi polari.

Sulla base di questo lavoro, i due autori del nuovo studio hanno stabilito la relazione tra le emissioni di gas serra, il numero di giorni di digiuno e il tasso di sopravvivenza dei cuccioli. Hanno effettuato questo calcolo per 15 delle 19 sottopopolazioni di orsi polari, tra il 1979 e il 2020. E sono riusciti a trarre una serie di conclusioni. Ad esempio, attualmente il mondo emette ogni anno 50 miliardi di tonnellate di CO2 o gas equivalente nell’atmosfera, il che, secondo lo studio, riduce il tasso di sopravvivenza dei cuccioli nella popolazione di orsi polari del Mare di Beaufort del 3% all’anno. Nelle popolazioni sane, il tasso di sopravvivenza dei cuccioli nei primi anni di vita è di circa il 65%. “Non è necessaria una grande variazione verso il basso per non avere abbastanza cuccioli per la generazione successiva“, sottolinea Amstrup.

Lo studio fornisce inoltre alle autorità americane gli strumenti per quantificare l’impatto di nuovi progetti di energia fossile, come nuove centrali elettriche, sugli orsi polari. La tecnica può anche essere applicata retroattivamente per comprendere l’impatto passato di un progetto specifico. Per Joel Berger, ricercatore specializzato nella conservazione della fauna selvatica presso la Colorado State University, questo nuovo studio stabilisce “un legame quantitativo indiscutibile tra le emissioni (di gas serra), il declino del ghiaccio marino, la durata del digiuno e la demografia degli orsi polari“.

La coautrice Cecilia Bitz ritiene che questo lavoro potrebbe avere implicazioni che vanno ben oltre gli orsi polari, e potrebbe essere adattato ad altre specie come i coralli o i cervi delle Keys. “Spero davvero che questo porti a molte ricerche scientifiche“, ha dichiarato all’AFP, aggiungendo di essere sempre alla ricerca di nuove collaborazioni.

ambiente

Una seconda Laudato si’ il 4/10. Papa: “Fermiamo insensata guerra al Creato”

L’enciclica sull’ambiente, la ‘Laudato Si” avrà un seguito e, come la prima, sarà pubblicata nella festa di San Francesco d’Assisi, il 4 ottobre.

L’1 settembre si celebra la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, sul tema ‘Che scorrano la giustizia e la pace‘: così si inaugura il Tempo del Creato che durerà appunto fino al 4 ottobre. E’ in quella data, spiega il Papa in udienza generale, che uscirà un’esortazione apostolica sul clima.

La notizia era stata anticipata dal Pontefice lo scorso 21 agosto, quando aveva ricevuto in udienza una delegazione di avvocati di Paesi membri del Consiglio d’Europa.

Per Bergoglio, in partenza per la Mongolia per la sua 43esima visita apostolica all’estero, è “necessario schierarsi al fianco delle vittime delle ingiustizie ambientali e climatiche sforzandosi di porre fine all’insensata guerra alla nostra casa comune, che è una guerra mondiale terribile“. L’esortazione è a “lavorare e pregare affinché essa abbondi nuovamente di vita“, scandisce. Anche la Mongolia subisce gli effetti devastanti della crisi climatica, inondazioni e inverni estremi stanno danneggiando pesantemente i raccolti, mentre le città non sono risparmiate dal sovraffollamento e da un inquinamento incontrollato.

Nel Messaggio per la Giornata della cura del Creato, diffuso il 25 maggio scorso, il Papa lancia un nuovo appello al mondo, parlando dei “peccati ecologici”: “Pentiamoci – supplica -, danneggiano il mondo naturale e anche i nostri fratelli e le nostre sorelle”. La richiesta è ad adottare stili di vita meno consumistici, “con meno sprechi e meno consumi inutili, soprattutto laddove i processi di produzione sono tossici e insostenibili”. Cercare di essere il più possibile attenti alle abitudini e alle scelte economiche, in modo che “tutti possano stare meglio”: “I nostri simili, ovunque si trovino, e anche i figli dei nostri figli. Collaboriamo alla continua creazione di Dio attraverso scelte positive – afferma -: facendo un uso il più moderato possibile delle risorse, praticando una gioiosa sobrietà, smaltendo e riciclando i rifiuti e ricorrendo ai prodotti e ai servizi sempre più disponibili che sono ecologicamente e socialmente responsabili“.

L’1 settembre, il Movimento Laudato si’ terrà una preghiera ecumenica e durante tutto il Tempo del Creato, non mancheranno eventi globali e regionali, tra cui una veglia ecumenica in piazza San Pietro organizzata dalla Comunità di Taizé, il 30 settembre che, oltre ad aprire l’Assemblea generale del Sinodo in Vaticano, sarà a sostegno e promozione del Trattato di Non Proliferazione dei Combustibili Fossili (TNPCF) per mitigare la crisi del cambiamento climatico in America Latina, Oceania e Africa.

Dal bilancio Ue 547 miliardi per gestire crisi e mitigazione climatica entro il 2027

Lotta ai cambiamenti climatici, mitigazione dei rischi e contrasto ai fenomeni meteorologici estremi. I soldi ci sono, e non sono pochi. Oltre cinquecento miliardi di euro, quasi un terzo del totale della dote a dodici stelle da investire qui. Da Bruxelles giunge il promemoria per gli Stati, invitati a utilizzare le tante risorse a disposizione. Del resto, ricorda la commissaria per la Coesione, Elisa Ferreira, c’è l ’accordo inter-istituzionale che accompagna il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e che prevede “l’impegno a spendere almeno il 30% di tutte le risorse disponibili nell’ambito del bilancio settennale e di NextGenerationEU”, il programma di ripresa post-pandemico.

A prezzi costanti il solo bilancio settennale dell’Ue vale 1.074 miliardi, a cui si aggiungono i 750 miliardi di euro del programma di ripresa post-pandemico. Il 30% di tutto questo si traduce in 547,2 miliardi di euro “per affrontare gli obiettivi climatici, compreso l’adattamento. Sono diversi i capitoli da cui attingere. Il solo programma ‘Ambiente e azione per il clima’ vale 12,8 miliardi. Qui ricadono il Just Transition Fund (transizione sostenibile) e il programma Life (conservazione della natura), ma ci sono anche le risorse messe a disposizione dalle politiche di coesione (330 miliardi in totale, tra i diversi fondi). A questi si aggiungono i programmi Horizon (ricerca), per soluzioni innovative, InvestEU (investimenti strategici), politica agricola comune e fondo per il mare. Senza dimenticare il meccanismo di protezione civile (1,1 miliardi) per le emergenze, che potrebbe anche vedere l’arrivo di soldi extra. Nel processo di revisione intermedia di bilancio, la Commissione ha proposto un aumento di 2,5 miliardi di euro della riserva per la solidarietà e gli aiuti d’urgenza per rafforzare la capacità dell’Ue di affrontare crisi e situazioni di emergenza. Se approvata, salirebbe a 549,7 miliardi il totale per far fronte alla questione climatica.

Tutto questo ‘tesoretto’ per il clima riaccende una volta di più le luci dei riflettori sulla capacità dei governi di fare buon uso delle risorse, attraverso la buona politica. “Il regolamento recante disposizioni comuni che disciplina il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo Plus, il Fondo di coesione, il Fondo per una transizione giusta e il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, richiede che la prova climatica sia parte integrante della programmazione e dell’attuazione di questi fondi”, ricorda Ferreira, a riprova del fatto che la questione climatica è sempre più centrale nell’agenda europea, come pure quella nazionale.

La necessità di un’attenzione al clima, con le risorse dedicate, ripropone il tema della capacità di attuare le riforme, in particolare quelle concordate con Bruxelles per la messa in atto dei piani nazionali per la ripresa (Pnrr) che prevedono azioni e misure per clima, ambiente. Un nuovo invito a fare presto e bene, in nome di ambiente, tenuta economica e competitività.

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