In Brasile 100 giorni di presidenza Lula: ma per l’ambiente è ancora tutto da fare

Quando è tornato alla presidenza del Brasile, Lula ha promesso di affrontare la questione ambientale con urgenza. Ma dopo 100 giorni di mandato, che saranno trascorsi lunedì, non ha ancora agito e la comunità internazionale sta procedendo a rilento nel fornire fondi al Brasile.

Annunciando una rottura radicale con il suo predecessore Jair Bolsonaro, che si era autoproclamato ‘Capitan Motosega’ dopo aver incoraggiato una deforestazione record in Amazzonia, Luiz Inacio Lula da Silva ha promesso di frenare la lotta contro il riscaldamento globale e di azzerare la deforestazione. Il presidente di sinistra ha persino nominato Marina Silva, un’indiscussa ambientalista, come ministro dell’Ambiente ed è stato accolto come una rockstar al vertice delle Nazioni Unite sul clima in Egitto a novembre, ancor prima di entrare in carica il 1° gennaio seguente. Nel suo primo giorno di mandato ha firmato una serie di decreti, creando una task force interministeriale sulla deforestazione e riattivando il Fondo per l’Amazzonia, che era stato sospeso sotto Bolsonaro.

Ma gli ambientalisti sono ancora in attesa di azioni concrete contro la distruzione dell’Amazzonia da parte di agricoltori, allevatori e cercatori d’oro. “Il governo ha detto le cose giuste. Ora stiamo aspettando che passi dalla modalità di pianificazione a quella di azione“, afferma Cristiane Mazzetti di Greenpeace Brasile, “Abbiamo bisogno di vedere dei risultati”, aggiunge.
Ma Lula sta lottando per ottenere impegni finanziari dai Paesi ricchi per proteggere l’Amazzonia. Dalla sua visita alla Casa Bianca, a febbraio, è tornato solo con una vaga dichiarazione degli Stati Uniti sulla loro “intenzione” di contribuire al Fondo per l’Amazzonia, senza alcun importo o data. A gennaio, la Germania aveva offerto 200 milioni di euro per l’ambiente in Brasile, compresi 35 milioni di euro per il Fondo per l’Amazzonia, lanciato nel 2008 con 1 miliardo di dollari dalla Norvegia. Ma gli sforzi di Brasilia per attrarre finanziamenti dall’Unione Europea, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Spagna non hanno finora prodotto nulla di concreto.

Il governo Lula si trova in un vicolo cieco: ha bisogno di fondi per ridurre la deforestazione, ma deve prima ridurla per creare fiducia e attirare i finanziamenti. Dopo anni di impunità per chi distrugge le foreste, il problema è troppo radicato per essere risolto rapidamente, dicono gli esperti. I dati relativi al secondo mese di presidenza Lula, febbraio, non sono confortanti, con la deforestazione che ha raggiunto un nuovo record mensile in Amazzonia. Lula deve agire su diversi fronti: ristrutturare le operazioni di sorveglianza, smantellare le reti della criminalità organizzata che traggono profitto dalla distruzione delle foreste, investire nell’economia verde e mantenere le promesse di creare nuove riserve indigene. “Per il momento, il governo Lula si è dedicato soprattutto a risolvere i problemi lasciati dall’amministrazione Bolsonaro“, afferma Raul do Valle del WWF Brasile. Ma “non c’è tempo da perdere“, avverte Cristiane Mazzetti, ricordando l’importanza cruciale della conservazione dell’Amazzonia nella lotta al riscaldamento globale.

Clima, Ue verso nuovo obiettivo di riduzione emissioni al 2040

Dopo il 2030, prima del 2050. La Commissione europea si prepara a stabilire un nuovo obiettivo per la riduzione delle emissioni al 2040, come tappa intermedia per la neutralità climatica (con zero nuove emissioni nette) entro la metà del secolo.

L’esecutivo europeo ha aperto una consultazione pubblica fino al 23 giugno per raccogliere i commenti e presentare una comunicazione, orientativamente nel primo trimestre del 2024, per stabilire un obiettivo climatico per il 2040 a livello comunitario. Bruxelles precisa che la comunicazione in questione sarà supportata da “un’approfondita valutazione d’impatto”, che sarà alla base di un progetto di legge che fisserà l’obiettivo intermedio per il 2040.

Dopo aver presentato il Green Deal nel 2019, l’Unione europea ha poi adottato nel 2021 la Legge europea sul clima rendendo giuridicamente vincolante l’obiettivo di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050 e di tagliare le emissioni del 55% (rispetto ai livelli registrati nel 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per la neutralità climatica. L’accordo in Ue sulla prima Legge climatica impegna tra le altre cose Bruxelles a stabilire un nuovo obiettivo climatico intermedio per il 2040 (da fissare nei prossimi anni) e un bilancio indicativo previsto per i gas a effetto serra dell’Unione per il periodo 2030-2050, ovvero quante emissioni nette di gas serra possono essere emesse in quell’arco temporale senza mettere a rischio gli impegni dell’Unione.

Dopo il 2050, si parla di emissioni negative: ovvero non potranno più esserci nuove emissioni, ma rimarranno quelle già presenti. Senza un traguardo climatico per il 2040, “l’Ue rischierebbe di mancare il proprio obiettivo climatico europeo per il 2050 e potrebbe compromettere la propria capacità di stimolare le azioni per il clima a livello internazionale”, si legge nel documento che accompagna la consultazione pubblica lanciata da Bruxelles.

La tempistica delle discussioni per l’obiettivo climatico dell’Ue per il 2040 è strettamente legata al ciclo di ambizione quinquennale dell’accordo sul clima di Parigi del 2015, che ha fissato l’impegno a limitare aumenti di temperatura entro i 1,5°C. Si prevede che tutte le parti dell’accordo inizino quest’anno a riflettere sul prossimo obiettivo nel contesto del processo delle Nazioni Unite, per poi comunicarlo prima della COP29 (29° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che si terrà nel 2025. La Commissione europea spiega che i risultati della consultazione pubblica saranno analizzati e riassunti in una “dettagliata relazione di valutazione d’impatto”, che sarà verificata da un organismo indipendente, il comitato per il controllo normativo. La valutazione finale terrà conto anche del parere del comitato consultivo scientifico europeo e costituirà la base per una comunicazione sulla valutazione dell’obiettivo per il 2040 che dovrà essere approvata dal collegio dei commissari. Saranno poi gli Stati membri dell’Ue e il Parlamento europeo a decidere sul nuovo obiettivo climatico dell’Ue per il 2040.

Debutto storico: l’inazione climatica di due Stati davanti alla Corte dei diritti dell’uomo

Una prima “storica”. La Corte europea dei diritti dell’uomo esaminerà mercoledì la presunta inazione climatica degli Stati prendendo in considerazione due cause contro la Svizzera e la Francia. Berna è stata citata in giudizio da pensionati che lamentano gli effetti del riscaldamento globale sulla loro salute, mentre Parigi è stata citata in giudizio dall’ex sindaco di una città minacciata dalle inondazioni. È la prima volta che la CEDU, che ha sede a Strasburgo, accoglie le petizioni sul clima in un tribunale aperto, in un contesto in cui si moltiplicano in Europa i ricorsi per costringere gli Stati ad agire contro i cambiamenti climatici.

Nel 2019, la Corte Suprema olandese ha ordinato al governo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 25% entro il 2020, a seguito di una denuncia di un’associazione ambientalista. E alla fine del 202, lo Stato francese è stato condannato da un tribunale parigino su denuncia di un collettivo di quattro Ong sostenuto da una petizione di oltre 2,3 milioni di cittadini. Il caso svizzero si aprirà alle 9.15, seguito da quello francese alle 14.15. Si prevede che la Corte non emetterà le sue decisioni prima di alcuni mesi.

Questo è un evento storico“, ha dichiarato Anne Mahrer, 64 anni, una delle portavoce dell’associazione ‘Les Aînées pour la protection du climat suisse’. Sostenuta da Greenpeace Svizzera, questa associazione conta oltre 2.000 membri, con un’età media di 73 anni. Circa 50 di loro andranno a Strasburgo, ha dichiarato Mahrer all’AFP. Negli ultimi 20 anni, “i rapporti dimostrano che tutti sono colpiti” dal riscaldamento globale, in particolare gli anziani e ancor più “le donne anziane“, “particolarmente vulnerabili in termini di malattie cardiovascolari o respiratorie“, ha detto. Davanti alla Cedu, la sua associazione intende invocare diverse violazioni da parte della Confederazione svizzera degli articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani, in particolare quello che garantisce il diritto alla vita. L’azione degli anziani per costringere la Svizzera ad agire maggiormente per il clima è iniziata nel 2016, con una serie di ricorsi senza successo. Alla fine, il Tribunale federale, la più alta autorità giudiziaria svizzera, ha stabilito che “non siamo stati colpiti in modo particolare“, afferma Mahrer. Tuttavia, la Svizzera, “un Paese ricco (…) che dovrebbe essere esemplare e non lo è“, è “estremamente colpita dal cambiamento climatico (…) i nostri ghiacciai si stanno sciogliendo“, ha detto l’ex parlamentare ambientalista.

L’altro dossier sarà quello dell’ex sindaco di Grande-Synthe (Nord), Damien Carême, che nel frattempo è diventato deputato europeo per Europe Écologie-Les Verts (EELV). Nel 2019, a nome proprio e in qualità di sindaco, aveva presentato un ricorso al Consiglio di Stato per “inazione climatica“, considerando che il suo comune, situato sulla costa, rischiava di essere sommerso. Il massimo tribunale amministrativo ha dato ragione al comune nel luglio 2021, concedendo alla Francia nove mesi di tempo per “adottare tutte le misure utili” per frenare “la curva delle emissioni di gas serra” al fine di rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (-40% entro il 2030 rispetto al 1990). Il ricorso dell’onorevole Carême a proprio nome è stato respinto, così ha chiamato in causa la Cedu. L’eurodeputato sostiene che il “fallimento” della Francia nell’adottare le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi lo riguarda “direttamente” in quanto “aumenta il rischio che la sua casa sia colpita” dall’innalzamento del livello del mare, ha dichiarato il tribunale in un comunicato. La posta in gioco è “il riconoscimento della violazione” della Convenzione “a causa della particolare esposizione di Grande-Synthe ai rischi di inondazione legati al cambiamento climatico e, più in generale, il riconoscimento dell’inadeguatezza del regime giuridico (…) in Francia al fine di limitare il più possibile” i danni subiti, ha analizzato Théophile Bégel, avvocato di Carême con Corinne Lepage. “La posta in gioco è estremamente alta“, ha dichiarato Lepage all’AFP. “Se la Corte europea riconoscesse che il deficit climatico viola il diritto alla vita e a una normale vita familiare, questa giurisprudenza si applicherebbe a tutti gli Stati del Consiglio d’Europa e potenzialmente a tutti gli Stati del mondo“.

Clima, allarme Onu: “La temperatura è in aumento, i piani dei governi sono insufficienti”

La temperatura sale ancora, con una media di 1,2°C. E presto, tra il 2030 e il 2035, il riscaldamento globale raggiungerà +1,5°C, rispetto all’era preindustriale. Questo decennio che verrà sarà dunque ‘cruciale’ per garantire un futuro vivibile al pianeta.
La pubblicazione del rapporto di sintesi (Syntesis Report) del Sesto Rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu rappresenta una revisione completa, per la quale centinaia di scienziati hanno lavorato otto anni, di tutto ciò che l’uomo sa rispetto alla crisi climatica in atto. La fotografia è chiara: siamo al punto di non ritorno, ma le soluzioni sono ancora possibili, a patto di intervenire ora. “Il ritmo e la dimensione di ciò che è stato fatto negli ultimi cinque anni e i piani attuali sono insufficienti per affrontare il cambiamento climatico“, bollano gli esperti. Di fatto, se nel 2018 l’Ipcc aveva lanciato l’allarme su cosa sarebbe accaduto se non si fosse riuscito a contenere il riscaldamento globale entro 1,5° C tagliando le emissioni globali di circa il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010, cinque anni dopo la sfida è diventata ancora più grande a causa della continua crescita di emissioni di gas serra. “Ogni aumento della temperatura si trasforma rapidamente in una escalation di pericoli” aggiungono gli scienziati ricordando che “ondate di calore più intense, nubifragi e altri eccessi meteo aumentano i rischi per la salute umana e gli ecosistemi“. “L’insicurezza per cibo e acqua legata a fattori climatici è stimata in crescita con l’aumento di calore. E quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o guerre, diventano più difficili da gestire“, avverte l’Ipcc. “Questo Rapporto di sintesi sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti” ha dichiarato il presidente dell’Ipcc Hoesung Lee. “La bomba climatica scandisce i secondi, ma il rapporto Ipcc è una guida pratica per disinnescarla. Il limite di 1,5° C è realizzabile, ma ci vorrà un salto di qualità nell’azione per il Clima” ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

La sintesi per i decisori politici è stata elaborata ad Interlaken, in Svizzera, la settimana scorsa nella 58/a sessione dell’Ipcc. Dopo una settimana di trattative, che hanno sforato andando oltre due giorni interi rispetto alla conclusione programmata venerdì e hanno comportato deliberazioni 24 ore su 24, i delegati hanno approvato il testo di 37 pagine che offre ai responsabili politici una panoramica dello stato delle conoscenze sulla scienza del cambiamento climatico. Nel rapporto infatti non ci sono di fatto novità di rilievo dal punto di vista scientifico, ma riunisce appunto le evidenze scientifiche in una forma più breve ed è diretto ai decisori politici, per indicare una strada da percorrere per limitare il riscaldamento globale. Inoltre, il documento è la base di partenza per gli accordi che si discuteranno a fine novembre a Dubai durante il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul Clima, Cop28, quando verranno valutati i progressi compiuti dalle nazioni per ridurre le emissioni di gas serra in seguito all’accordo sul Clima di Parigi del 2015. “Esistono molte opzioni per ridurre i gas serra e frenare il cambiamento climatico provocato dall’uomo e sono già disponibili”, spiega l’Ipcc, secondo cui “le scelte dei prossimi anni saranno decisive per decidere il nostro futuro e quello delle future generazioni“. E anche l’attivista ambientalista Greta Thunberg avverte: “Il fatto che coloro che sono al potere vivano ancora nella negazione e vadano attivamente nella direzione sbagliata, alla fine sarà visto e ricordato come un tradimento senza precedenti”.

La questione delle “perdite e danni” causati dal riscaldamento globale e già subiti da alcuni Paesi, in particolare i più poveri, sarà uno dei temi di discussione della COP28. “La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito di meno al cambiamento climatico sono colpiti in modo sproporzionato”, ha affermato Aditi Mukherji, uno degli autori della sintesi. Per questo arriva l’appello di Guterres ai paesi ricchi, perché continuino nell’impegno di raggiungere la neutralità da carbonio entro il 2040, in modo che le economie emergenti possano arrivarci entro il 2050. “Ci sono sufficienti capitali per ridurre rapidamente i gas serra se vengono ridotte le barriere esistenti e la chiave per farlo sono i fondi pubblici dei governi e chiari segnali agli investitori. Finanza, tecnologia e cooperazione internazionale possono accelerare l’azione climatica. Investitori, banche centrali e regolatori finanziari possono fare la propria parte“. Cambiamenti nei settori alimentare, elettrico, dei trasporti, industriale, edile e nell’uso del suolo, aggiungono gli esperti di Clima dell’Onu, possono tagliare i gas serra e rendere più facile avere stili di vita a bassa impronta di carbonio che migliora salute e benessere. “Una migliore comprensione delle conseguenze del sovraconsumo può aiutare le persone a fare scelte più consapevoli”, aggiungono.

Il rapporto analizza anche diverse soluzioni: la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili, la gestione sostenibile delle foreste e dell’agricoltura, la protezione delle foreste. “Spesso assistiamo ai dibattiti che prendono in considerazione, come alternative, le possibilità di assorbimento delle emissioni (tramite rimboschimenti o tecnologie CCS – Carbon Capture and Storage) o la loro riduzione – commenta Lucia Perugini ricercatrice  di CMCC-Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climaticioppure che creano una competizione tra una fonte di energia rinnovabile e l’altra. Ma scienza è chiara: dobbiamo sfruttare tutte le opzioni a disposizione e dobbiamo farlo ora”. Come sottolinea Elena Verdolini, senior scientist del Cmcc e autrice del rapporto Ipcc sulla mitigazionenon siamo in linea con gli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi, ma le evidenze scientifiche dimostrano che già oggi abbiamo a disposizione tecnologie e soluzioni per raggiungere quanto concordato nell’accordo di Parigi”. Tecnologie e innovazioni, però, da sole non bastano: “Sono invece necessari anche cambiamenti comportamentali”, oltre al fatto che “le politiche climatiche sono veramente efficaci solo se coordinate con quelle industriali, sanitarie, finanziarie, fiscali”.

Maccio Capatonda e Wwf di nuovo insieme contro la crisi climatica

Maccio Capatonda è di nuovo al fianco del Wwf: questa volta al centro della collaborazione c’è la crisi climatica e ciò che può fare ognuno di noi per contrastarla. Con un nuovo video, dove il messaggio è caratterizzato dalla consueta e irresistibile ironia dell’artista, Maccio e Wwf si rivolgono al grande pubblico, con un invito ad agire. Il video è stato pubblicato oggi sui canali Instagram e Facebook del Wwf e dell’artista abruzzese, nella settimana che precede Earth Hour, l’evento globale in cui tutti saranno invitati a far sentire la propria voce per il clima spegnendo le luci per un’ora, sabato 25 marzo alle ore 20.30.

 

 

“La crisi climatica e la perdita di natura sono temi troppo seri per non trattarli con la necessaria ironia, capace di coinvolgere il grande pubblico più di un discorso alle Nazioni Unite. Dobbiamo provocare un grande cambiamento, e questo lo possiamo fare a partire dalle nostre azioni quotidiane: il pianeta non si salva da solo”, afferma Marcello Macchia, alias Maccio Capatonda. Attraverso il video “che ho realizzato insieme al Wwf, aggiunge, vorremmo far capire alle persone che la lotta al cambiamento climatico è cool e l’apporto di ognuno di noi conta, più di quanto si pensi. Le scelte individuali sono uno strumento forte per incidere sulle decisioni economiche e politiche”.

Scegli il trasporto pubblico’ ma anche, il car sharing, il monopattino, la bici, l’auto elettrica, ‘Chiedi insieme a noi una mobilità pubblica 100% elettrica’, sono alcuni dei messaggi che il Wwf ha scelto di lanciare con Maccio, per rappresentare una parte delle tante azioni che possono fare la differenza, come utilizzare meno e meglio l’acqua, ridurre il consumo di carne e proteine animali, scegliere prodotti di origine locale e stagionale, installare sistemi di produzione dell’elettricità da fonti rinnovabili, riusare, riciclare, recuperare. prendere decisioni che portino a salvare il clima e il futuro delle persone.

Come ricorda Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, “la crisi energetica ci ha dimostrato che cambiare strada aiuterà non solo il clima: le fonti rinnovabili e un uso più accorto dell’energia ci daranno anche indipendenza e sicurezza energetica, per esempio. Il tempo stringe, siamo in colpevole e grave ritardo”.

Mattarella: “Sul clima sforzi insufficienti, in alcuni Paesi manca il senso di urgenza”

L’aumento delle ondate di calore, le inondazioni, la siccità, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari. Sono le conseguenze “nefaste” del cambiamento climatico ricordate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso agli studenti dell’università di Nairobi, in Kenya. “Per troppo tempo abbiamo infatti affrontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico”, ha esordito. “Eppure non da oggi siamo consapevoli di come le attività umane abbiano un impatto sull’ambiente e sul clima: basti pensare alla deforestazione che ha caratterizzato lo sviluppo di tante aree in Europa”. Per il capo dello Stato, “si registra ormai da tempo una drammatica diminuzione della biodiversità, in gran parte legata all’abbattimento delle foreste pluviali equatoriali, con la scomparsa di decine di migliaia di specie viventi ogni anno, una irreparabile perdita di varietà genetica, ecosistemi e habitat”. Questo, con importanti conseguenze sulla dislocazione della specie umana su un pianeta che vede diminuire progressivamente le aree di insediamento. “Si tratti dell’innalzamento delle acque nei mari – che pone a gravissimo rischio la sopravvivenza di numerose isole e delle popolazioni che le abitano – si tratti dell’allargamento progressivo dei fenomeni di desertificazione, si tratti di abbandono di aree marginali – ricorda Mattarella – Il fenomeno dei profughi climatici, oltre che di quelli dei conflitti, è drammaticamente davanti a tutti noi”.

In questi anni nella lotta ai cambiamenti climatici “passi avanti sono stati compiuti” e “gran parte del merito di questa nuova sensibilità va attribuito alla società civile e, in particolare, ai tanti giovani come voi che in tutti i continenti – dall’Africa all’Europa, dall`Asia alle Americhe – mantengono alta la pressione sui Governi e sul settore privato, pretendendo azioni immediate e incisive“. “Con il crescere della minaccia è aumentata anche la consapevolezza dei gravissimi rischi che l’umanità sta correndo. In primo luogo grazie all’opera delle Nazioni Unite nel quadro dell’Agenda 2030 e, soprattutto, del Programma per l’Ambiente – ha detto Mattarella – “Dalla Conferenza di Montreal del 1987 sulla riduzione del “buco dell’ozono”, al Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992, fino al Protocollo di Kyoto e all’Accordo di Parigi del 2015, tanti momenti hanno consolidato la determinazione collettiva nel prevenire gli scenari più catastrofici legati all’innalzamento delle temperature globali. “Lo scorso anno – ha detto Mattarella – qui a Nairobi, nell’ambito dell`Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente è stata raggiunta una storica decisione, che porterà alla definizione di un trattato giuridicamente vincolante per contrastare l’inquinamento derivante dalla plastica. Infine, nei giorni scorsi, alle Nazioni Unite è stato approvato il Trattato che intende proteggere entro il 2030 il 30% delle aree marine”. Per il presidente della Repubblica si tratta di “risultati importanti, che dimostrano come la lotta al cambiamento climatico non sia più trascurata nelle priorità dell’agenda internazionale”.

Ma, ancora, “in segmenti della società e in alcuni Paesi non è presente il senso profondo dell’urgenza e della necessità di interventi incisivi” perché “non si può fuggire dalla realtà”: la riduzione delle emissioni nei tempi e nelle modalità indicate dalla comunità scientifica costituisce un obbligo ineludibile, che riguarda tutti. “Non ci si può cullare nell’illusione di perseguire prima obiettivi di sviluppo economico per poi affrontare in un secondo momento le problematiche ambientali”, è il monito di Mattarella. “Non avremo un ‘secondo tempo’: se vogliamo lasciare alle future generazioni, a voi che mi state ascoltando oggi, un pianeta dove l’umanità possa vivere e prosperare in pace, dovremo compiere, tutti assieme, progressi decisivi nella transizione verso un’economia decarbonizzata”.

Innanzitutto, per il capo dello Stato “è evidente come a tal fine la dimensione del singolo Stato sia assolutamente inadeguata. Solo un’azione collettiva può essere capace di coniugare efficacia e solidarietà per evitare gli scenari catastrofici in atto e quelli che si annunciano. È il momento dell’unità, della coesione, non di divisioni fra Nord e Sud, fra Est e Ovest del mondo”. In questo contesto, “la brutale aggressione della Federazione Russa all’Ucraina sta riportando i rapporti internazionali indietro di ottant’anni, quasi che non ci sia stato, in questo arco di tempo, un mirabile progresso sul terreno della indipendenza, della libertà e della democrazia, della crescita civile di tante nazioni. Siamo cresciuti nella interdipendenza tra i nostri destini e gravissime sono le conseguenze degli atti della Federazione Russa sulla sicurezza alimentare, su quella energetica di tanti Paesi, sulla pace, anche nel continente africano, e nel Medio Oriente”. 

 

Photocredit: Quirinale

Mattarella in Kenya: “Affrontare cambiamenti climatici, non c’è un secondo tempo”

Clima e siccità. Sono due dei temi al centro della visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in Kenya. E il capo dello Stato lo sottolinea nella conferenza stampa congiunta a Nairobi con l’omologo William Ruto. Secondo Mattarella “la siccità in questa regione è l’allarmante sintomo delle gravi conseguenze del cambiamento climatico che si avverte ovunque”, anche in Europa. Con ricadute pesantissime anche su altri fronti: “La siccità crea una crisi alimentare che spinge ulteriormente i fenomeni migratori. Vi sono zone in cui non è più possibile la sopravvivenza alimentare a causa della siccità. E questo spinge ulteriormente comprensibilmente i flussi migratori. E’ un tema centrale quello del mutamento climatico”.

Per questo il capo dello Stato esorta “la comunità internazionale a procedere con comportamenti che attenuino e contrastino con efficacia il cambiamento climatico, è la base per lo sviluppo e il benessere per le future generazioni“, con la speranza che la Cop28 a Dubaiabbia a vedere un impegno concreto e crescente per realizzare condizione di comune impegno contro il cambiamento climatico“.

E, se “l’Italia avverte da tempo l’esigenza di un impegno serio, concreto e efficace di contrasto all’inquinamento atmosferico” e ha preso una posizione chiara, visto che “nel Pnrr vi sono a questo riguardo strumenti che saranno utili, e questo è nel programma del governo di impegnarsi nella lotta al cambiamento climatico”, ha però anche di che dispiacersi. “Ci duole – chiosa Mattarella – che alcuni Paesi non si rendano conto che non si può rinviare questo tema a un secondo tempo che non c’è, bisogna affrontarlo adesso con molta determinazione“.

Minopoli (Ass. nucleare): “Bene attivismo industria, atomo serve per target clima”

Oggi Enel e la società di tecnologie nucleari pulite Newcleo hanno firmato un accordo di cooperazione per lavorare insieme sui progetti di tecnologia nucleare di quarta generazione, “che mirano a fornire una fonte di energia sicura e stabile, nonché ridurre significativamente gli esistenti volumi di scorie radioattive, attraverso il loro utilizzo come combustibile per reattori”. Giovedì scorso Eni e CFS (Commonwealth Fusion Systems), spin-out del Massachusetts Institute of Technology (Mit), avevano firmato un altro accordo di cooperazione, con l’obiettivo di accelerare l’industrializzazione dell’energia da fusione. Lunedì scorso invece Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare, Edf e Edison avevano sottoscritto una Lettera di Intenti (Loi), per collaborare “allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la diffusione, in prospettiva anche in Italia. Obiettivo dell’accordo è di valorizzare nell’immediato le competenze della filiera nucleare italiana, di cui Ansaldo Nucleare è capofila, a supporto dello sviluppo dei progetti di nuovo nucleare del Gruppo Edf, e al contempo di avviare una riflessione sul possibile ruolo del nuovo nucleare nella transizione energetica in Italia”. Umberto Minopoli, ex numero uno di Ansaldo Nucleare a presidente dell’Associazione italiana nucleare, un anno fa ha pubblicato un libro dal titolo quasi profetico: ‘Nucleare. Ritorno al futuro. L’energia a cui l’Italia non può rinunciare’.

Presidente, questi tre accordi firmati dai big dell’industria italiana, sono una coincidenza o sono un segnale che indica una precisa direzione in Europa?
“Al saltimbanchismo della politica, dove c’è un atteggiamento ipocrita tra chi lo sostiene a parole e tra chi si oppone a parole all’atomo, arriva un bel segnale dalla grande industria pubblica energetica che investe su terza e poi quarta generazione del nucleare. Giusto entrarci oggi. Per questo esprimo grande soddisfazione per le iniziative prese da Ansaldo, Eni ed Enel in questi giorni”.

Vedendo questa accelerazione, viene da pensare che in questi ultimi tre decenni abbiamo perso tempo…
“Usa, Cina, Giappone, Europa stessa… il nucleare non si è mai fermato. Noi abbiamo buttato competenze sistemiche e infrastrutture, quando avevamo una industria nucleare in piedi. Però manifattura, utilities e ricerca non sono uscite dal nucleare come ne è uscito il Paese. Enel ed Ansaldo, insieme ad Enea, hanno continuato a lavorare, oltre che all’estero, anche sul nucleare di quarta generazione. Se Ansaldo può siglare accordi internazionali su reattori veloci raffreddati a piombo, è perché è stata protagonista del lavoro e della ricerca in questi anni. Proprio in questa particolare tecnologia, tra le più promettenti per le prospettive di quarta generazione, abbiamo una leadership con Ansaldo ed Enea”.

Il nucleare in Europa… Quali prospettive ci sono?
“Il nucleare si è fermato in soli due Paesi: l’Italia, che 36 anni fa chiuse le centrali senza aspettare che giungessero alla fine del ciclo vita, mentre la Germania forse le chiuderà a fine 2023 lasciando comunque che impianti arrivino al termine del ciclo produttivo. Gli altri Paesi invece non hanno chiuso un bel niente, anzi hanno rilanciato i programmi nucleari, cambiando in alcuni casi l’impegno che si erano dati dopo Chernobyl, penso al Belgio o alla Svezia”.

La Francia è protagonista del nucleare europeo. Ha avuto però difficoltà lo scorso anno con la produzione elettrica, problemi che sembrano continuare. Centra con l’invecchiamento delle centrali?
“La Francia non ha mantenuto l’obiettivo di produzione elettrica perché alle manutenzione ordinarie, si è sommato un problema tecnico specifico su 8 centrali per l’usura di alcuni circuiti, che su impegno dell’autorità di sicurezza, sono stati sostituiti. Edf ha però annunciato che tutte le centrali in manutenzione torneranno attive entro fine marzo, e su quelle 8 centrali dove c’è corrosione di alcuni circuiti si sta procedendo alla sostituzione. La Francia, a differenza della Germania, ha deciso il rilancio di programmi costruttivi e di nuove centrali, una scelta programmata per rilanciare il ciclo vita delle centrali che giungono alla conclusione del proprio ciclo programmato. Il programma di rilancio non è comunque una cosa di qualche mese o di qualche anno, certo che è che con questi progetti si allunga di decenni il ciclo di vita degli impianti”.

La crisi del gas ci ha fatto capire che dovremmo essere meno dipendenti da materie prime extra-europee. Con le auto elettriche si rischia una dipendenza simile. Con l’uranio c’è lo stesso pericolo?
“Assolutamente no, l’uranio incide nel conto economico di una centrale per il 5%, non è come il gas o il carbone che incidono per il 70% e più. Poi l’uranio viene utilizzato in termini molto parchi, a differenza di carbone, petrolio, olio combustibile. Con un grammo di uranio si produce l’energia realizzata da 3500 tonnellate di carbone o combustibili fossili. L’importazione di uranio inoltre non dipende da Paesi cosiddetti a rischio, ma da Canada e Australia, precisando che comunque l’uranio non si importa come materia prima, ma come combustibile pre-confezionato, incamiciato nei cosiddetti elementi combustibili delle centrali. Ultimo, la disponibilità uranio è pressoché infinta, poiché la domanda è sempre molto bassa. Anche un certo numero di centrali aggiuntive non raggiungerà mai l’offerta esistente già oggi sul mercato della disponibilità dalle miniere da cui viene estratto. E c’è dell’altro…”

Dica pure.
“Con le nuove tecnologie di cui si sta parlando cambierà l’uso dell’uranio… La massa che si mette nella centrale viene sfruttata ora all’1%. Con i nuovi reattori la percentuale di sfruttamento diventa del 25-30% della massa che si utilizza e con la quarta generazione i reattori saranno in grado di sfruttare gli stessi rifiuti che produce il combustibile. Ora i rifiuti vengono accantonati per essere smaltiti e stoccati, nella quarta generazione i reattori useranno il rifiuto che adesso viene tolto”.

Presidente, è possibile raggiungere gli obiettivi climatici senza nucleare?
“Qualsiasi ente internazionale autorevole o centro studi dice che i target climatici al 2030 e al 2050 sono irraggiungibili con le sole rinnovabili. L’Europa ha deciso a febbraio 2022 l’allargamento delle fonti energia che andavano incentivate, la cosiddetta tassonomia, al nucleare e al gas con cattura Co2. Questa è la prova che, senza nucleare, l’Europa non sarà in grado di raggiungere i target climatici 2030-2050. Ecco perchè si è riaperta discussione su nucleare in Europa”.

 

(Photo credit: AFP)

Italia indietro sui Piani urbani di adattamento climatico

L’Italia è abbastanza indietro, su scala europea, sul fronte dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici, sia in termini di numero di Piani urbani sviluppati, sia in termini di qualità. E’ quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Nature Npj Urban Sustainability’, curato da un gruppo di ricerca multidisciplinare coordinato dall’Università di Twente (Olanda) a cui hanno partecipato studiosi di vari stati europei, tra cui l’Italia con l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imaa) di Tito Scalo (Potenza) e con il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento.

I Piani di adattamento climatico rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione di Paesi, regioni e comuni per definire misure e azioni a livello territoriale per affrontare la sfida ai cambiamenti climatici e mitigarne l’impatto. Ma come valutarne la qualità e il grado di “progresso”? Quali criteri possono definirne l’efficacia, tanto nel contesto locale quanto in quello nazionale e internazionale? A queste domande ha cercato di rispondere lo studio, in base al quale il giudizio sull’Italia non è proprio lusinghiero. Tra le 32 città italiane incluse nel campione, spiega la ricercatrice Monica Salvia del Cnr-Imaa, “risulta che solo due città – Bologna e Ancona – avevano nel 2020 un Piano di adattamento: una situazione che, probabilmente, risente dell’assenza di un quadro di riferimento nazionale per supportare la definizione di strategie e Piani locali e regionali: il Piano nazionale di adattamento è infatti ancora in fase di adozione”.

Dopo l’Accordo di Parigi del 2015, è cresciuto l’interesse di studiosi e governanti verso la valutazione dei progressi dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici alle diverse scale: in questo contesto, però,” manca una metodologia univoca per valutarne la qualità e verificarne i progressi nel tempo”, dice Salvia. I ricercatori, quindi, hanno per la prima volta definito un indice di qualità, l’ADAptation Plan Quality Assessment (ADAQA), “che ci ha permesso di identificare i punti di forza e di debolezza dei processi di pianificazione dell’adattamento urbano nelle città europee”.

Dallo studio, però, emerge che i Piani presentano carenze nel livello di partecipazione pubblica al loro processo di definizione(17%), e nella definizione delle fasi di monitoraggio e di valutazione (20%). “Tuttavia – spiega la ricercatrice – la situazione è in continua evoluzione e in rapido cambiamento: monitorare lo stato di avanzamento delle politiche di adattamento nei prossimi anni sarà utile per capire se, e a che ritmo, le città europee (e italiane) si stanno muovendo verso la definizione di Piani sempre più completi e capaci di rafforzare la resilienza dei loro territori”.

L’indice è stato, quindi, calcolato per i 167 Piani di adattamento adottati tra il 2005 e il 2020 in un campione rappresentativo di 327 città medie e grandi di 28 Paesi europei, per valutarne la qualità e l’evoluzione nel tempo. Esaminando le diverse componenti dei Piani, si nota che le città sono migliorate soprattutto nella definizione degli obiettivi di adattamento e nell’identificazione di misure e azioni nei diversi settori. La capitale bulgara Sofia e le città irlandesi di Galway e Dublino hanno ricevuto i punteggi più alti per i loro Piani.

Fridays for future tornano in piazza: oggi sciopero globale per il clima

Un nuovo governo, una nuova segretaria del Partito democratico, nuove decisioni europee e nuove scelte politiche globali. A sei mesi dallo sciopero di settembre, oggi il movimento globale Fridays for Future torna in piazza con un nuovo slogan ‘La nostra rabbia è energia rinnovabile‘.

I cortei sono previsti a livello internazionale mentre in Italia manifestazioni sono state organizzate in oltre 50 città. “Dopo un periodo complesso, torniamo con un messaggio chiaro, come recita lo slogan che abbiamo scelto, ‘La nostra rabbia è energia rinnovabile’ perché vogliamo essere ascoltati: è urgente sbloccare le rinnovabili”, spiega a GEA Agnese Casadei, una degli otto portavoce. Il movimento ha infatti eletto il nuovo coordinamento formato ora da Ester Barel, Agnese Casadei e Giacomo Zattini, Marta Maroglio, Marco Modugno, Marzio Chirico, Alessandro Marconi , Davide Dioguardi. “Uno degli strumenti che aiuta molti ragazzi a incanalare la rabbia e la paura nata negli ultimi due anni è l’idea di trasformare questi sentimenti in un impegno positivo come quello per il clima”, continuano i Fridays.

A Verona, un gruppo di cittadini e cittadine ha bloccato il traffico sotto l’orologio di Corso Porta Nuova esponendo uno striscione con la scritta “La finanza fossile è un crimine. Crisi umanitaria, economica, alimentare ed ecologica”. All’iniziativa, organizzata da Ultima Generazione nell’ambito della campagna ‘Non paghiamo il fossile’, hanno preso parte due persone aderenti a Ultima Generazione, tre di Extinction Rebellion Verona, una persona aderente a Scientist Rebellion e una di Fridays for Future in supporto.

Un tema, la crisi climatica, su cui si stanno concentrando le politiche di molti governi, “che cercano di correre ai ripari dopo anni di immobilismo e, in molti casi, di negazione del problema”, aggiunge Agnese. Un esempio su tutti la siccità: “Quello che è emerso ieri dal primo tavolo sull’acqua è solo normale amministrazione. Bene, certo, che vi sia una cabina di regia ma in Italia da sempre i governi si sono mostrati incapaci a gestire le emergenze climatiche, anche in termini programmatici e strutturali. Se si fosse ragionato per tempo, alle prime avvisaglie, forse ora non si avrebbe una situazione così drammatica”.

Per il movimento, nato sulla scia delle proteste dell’attivista svedese Greta Thunberg, è questo il decennio in cui attuare la transizione ecologica. Non c’è dunque solo la “rabbia per tutto quello che poteva essere fatto” dai governi o dalle aziende. “Questo sentimento si vuole incanalare in soluzioni concrete, suggerite dalla scienza”, continua la portavoce. Quindi, “da tempo chiediamo di produrre 10 gigawatt l’anno da fonti rinnovabili perché è fattibile ma invece, come risposta, si fanno passi indietro”, spiega Agnese. A partire dal piano energetico del governo Meloni che “continua a puntare sul gas, senza oltretutto parlare mai apertamente della necessità di tassare gli enormi profitti delle multinazionali dell’oil and gas e delle aziende fossili”. Sull’opposizione invece sospende ancora il giudizio: “Staremo a vedere cosa Elly Schlein riuscirà a fare”.

Per Fridays for Future la situazione attuale ha messo sotto i riflettori i veri responsabili del collasso climatico: “Il 3 marzo denunceremo coloro che stanno estraendo risorse e profitti estremi quando migliaia di famiglie sono in condizioni di povertà energetica”. Nel mirino degli ambientalisti ci sono aziende fossili e colossi del petrolio e del gas. “Non vogliamo – continua la portavoce – che a pagare le conseguenze della crisi climatica, ma anche di quella energetica, siano le persone più in difficoltà, sia a livello nazionale sia globale. Ora vogliamo risposte”.

Ogni gruppo porterà per le strade le rivendicazioni nazionali secondo l’Agenda climatica pensata per le elezioni di settembre 2022: energia rinnovabile e Comunità energetiche; mobilità sostenibile e cura del ferro; sussidi ambientalmente dannosi e bombe climatiche; transizione ecologica e sostenibilità economica; giustizia sociale ed eco-transfemminismo. La protesta, infatti, è organizzata insieme alla galassia femminista, che vedrà un altro appuntamento e un’altra manifestazione il prossimo 8 marzo. “In molte parti del mondo, le donne sono le uniche e sole a subire gli effetti della crisi climatica – spiega Agnese – noi chiediamo leggi sull’autodeterminazione dei corpi e civiltà più educate, nel senso di accesso all’istruzione anche per le donne”.

Tra le istanze dello sciopero ci saranno poi anche il diritto a città più vivibili e meno inquinate, con il contributo di una mobilità pubblica più efficiente. “le città diventano sempre più invivibili con temperature estreme e stili di vita non consoni a una vita basata sul benessere personale e collettivo”, conclude Agnese, ricordando che per il movimento non esiste una mobilità sostenibile senza passare da investimenti “seri e capillari” sul trasporto pubblico urbano.