Avvicinandoci ad uno dei “vanishing glaciers” della Nuova Zelanda, il ghiacciaio Brewster

I ghiacciai della Groenlandia più fragili del previsto: futuro sempre più spaventoso

I ghiacci della Groenlandia sono più fragili del previsto: meno di un milione di anni fa un aumento non estremo delle temperature ha infatti provocato lo scioglimento non solo dei bordi ma anche del cuore della calotta glaciale, nonostante i livelli atmosferici di CO2 fossero molto più bassi di oggi. Lo rivela uno studio condotto dall’Università del Vermont e pubblicato sulla rivista PNAS. “Ora sappiamo che l’intera calotta glaciale è vulnerabile allo scioglimento”, ha detto Paul Bierman, professore all’Università del Vermont e autore principale dello studio. Le implicazioni per l’umanità dello studio sono infatti grandi perché questo lavoro fa temere un rischio di innalzamento del livello del mare maggiore di quanto previsto in precedenza.

Il gruppo di ricerca ha scoperto resti di piante e insetti in un nucleo di ghiaccio profondo tre chilometri nel centro dell’isola. “Abbiamo letteralmente visto i fossili nella prima ora, addirittura nella prima mezz’ora di lavoro“, ha continuato Bierman.
Con loro grande stupore, i ricercatori hanno trovato, in uno strato di circa otto centimetri, legno di salice, funghi, un seme di papavero e persino l’occhio di un insetto. Lo studio, dunque, suggerisce che in questo luogo e in quel momento esisteva un intero ecosistema. Se il ghiaccio al centro dell’isola si fosse sciolto, allora è quasi certo che fosse assente sulla maggior parte di questo vasto territorio, secondo Bierman. Il che non fa ben sperare, considerato l’attuale riscaldamento globale. Se le attuali emissioni di gas serra non verranno ridotte in modo significativo, la calotta glaciale della Groenlandia potrebbe sciogliersi quasi completamente nei prossimi secoli o millenni, provocando un innalzamento del livello del mare di circa sette metri e la scomparsa delle città costiere di tutto il mondo. “Centinaia di milioni di persone in tutto il mondo perderanno la casa”, ha avvertito il ricercatore.

Nel 2016, gli scienziati hanno studiato lo stesso campione del 1993, utilizzando una tecnica di datazione per determinare che non poteva avere più di 1,1 milioni di anni. Secondo le loro stime, se il ghiaccio si fosse sciolto, il 90% della Groenlandia ne sarebbe libera. Queste conclusioni furono poi accolte con scetticismo perché, secondo la teoria fino ad allora ampiamente accettata, la Groenlandia era stata una fortezza di ghiaccio per diversi milioni di anni.

Nel 2019, Paul Bierman e un team internazionale hanno riesaminato un’altra carota di ghiaccio, questa volta estratta nel 1960 da una base militare statunitense abbandonata, Camp Century, vicino alla costa della Groenlandia. Sorpresa: questa conteneva foglie e muschio. Tecniche avanzate di datazione hanno aiutato a stimare che la scomparsa del ghiaccio risale a 416.000 anni fa. Questa scoperta spinse Paul Bierman a ritornare sul campione del 1993 per cercare tracce simili. Alla fine trovarono prove inconfutabili dello scioglimento del ghiaccio. “Ora sappiamo con certezza che il ghiaccio è scomparso non solo a Camp Century ma anche a GISP2, al centro della calotta glaciale”, ha sottolineato.

Halley Mastro, coautore dello studio, ha sottolineato l’importanza di continuare a raccogliere carote di ghiaccio in Groenlandia, alla ricerca di organismi ancora più antichi la cui scoperta potrebbe avere gravi implicazioni per il futuro.

Caldo record fino a Ferragosto ma nel week end ci sarà qualche temporale

Caldo sempre più estremo: dopo il 2022 che è stato l’anno più caldo della storia in Italia, il 2023 che si è piazzato al secondo posto, ecco che anche la Capitale frantuma un nuovo record assoluto. Antonio Sanò, fondatore del sito www.iLMeteo.it, conferma il mese appena concluso come il più caldo della storia di Roma: luglio 2024 ha fatto registrare temperature minime e temperature massime da record, battendo anche i dati ‘epici’ della torrida Estate 2003.

Sulla Capitale, la furia calda di Caronte ha portato minime medie di 22°C circa, in pratica abbiamo avuto 27 notti tropicali su 31 con minima sopra i 20°C e, alcuni giorni, abbiamo toccato persino l’esorbitante valore di 25-26°C di notte . Per quanto riguarda la massima di luglio 2024, a Roma il valore medio è stato incredibile: 34,8°C. Nel dettaglio, le massime si sono assestate intorno a questo numero, ad inizio luglio siamo scesi leggermente fino a circa 31-33°C ma durante il mese i picchi di 37-40°C sono stati prevalenti. Insomma, un clima impazzito anche a Roma, almeno 3°C più torrido del trentennio di riferimento 1991-2020, già molto caldo di per sé.

E il caldo non darà tregua nemmeno nei prossimi giorni o settimane: si teme una lunga ondata di calore almeno fino a Ferragosto. Una prova ne è il fatto che, nonostante alcuni temporali in arrivo nel weekend al Centro-Nord (dopo quelli di Giovedì sera al Nordest), le massime tra sabato e domenica saranno ancora africane, anche su questo settore (al Sud avremo ancora picchi di 44°C): a Terni si prevedono 37°C, a Firenze 36°C, a Ferrara e Roma 35°C, a Bologna 34°C. Una conferma che, con questo clima stravolto, anche una violenta passata temporalesca non riesce ad abbassare le temperature in modo significativo.

Le mappe meteorologiche sono dunque da incubo: almeno fino a Ferragosto non si vedono grandi cambiamenti. Il caldo proseguirà e il 2024 segnerà record su record, non solo sulla Capitale ma su tutto il pianeta; anche i mari sono ‘bollenti’ con l’acqua che sta assorbendo il 90% del Riscaldamento Globale causato dall’Effetto Serra. Quando gli oceani non saranno più in grado di accumulare questo calore in eccesso, allora le temperature delle nostre città non saranno più africane, ma tipiche del pianeta Mercurio! Intanto prestiamo attenzione al caldo ma anche ai temporali attesi nelle prossime ore al Nord-Est e nella giornata di sabato al Centro; in seguito, dagli ombrelli aperti – per poche ore – torneremo sotto gli ombrelloni, se saremo in grado di stare all’aria aperta nelle ore più calde della giornata.

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Il cambiamento climatico ‘stressa’ le foreste e le espone a incendi e parassiti

l cambiamento climatico sta aumentando la suscettibilità delle foreste mondiali a fattori di stress come incendi e parassiti, secondo una nuova pubblicazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) che sottolinea il ruolo dell’innovazione nel raggiungimento di un futuro sostenibile per il settore forestale. Il rapporto, intitolato ‘The State of the World’s Forests 2024: Forest-sector innovations towards a more sustainable future’ è stato presentato oggi in occasione della 27esima sessione del Comitato per le Foreste (Cofo), in corso presso la sede della Fao a Roma fino a venerdì. Il Cofo è l’organo di governo forestale più importante della Fao e ha il compito di individuare le questioni politiche e tecniche emergenti, cercare soluzioni e consigliare l’organizzazione sulle azioni da intraprendere. Il tema dell’incontro di quest’anno è ‘Accelerare le soluzioni forestali attraverso l’innovazione’.

Secondo il documento “ci sono prove” che indicano che il cambiamento climatico sta rendendo le foreste più vulnerabili a fattori di stress come incendi e parassiti. Di fronte a queste sfide, il rapporto sostiene che l‘innovazione nel settore forestale “è un fattore cruciale” per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

“La FAO riconosce che la scienza e l’innovazione sono ingredienti cruciali per raggiungere soluzioni basate sulle foreste”, scrive il direttore della Fao QU Dongyu nell’introduzione del rapporto.

AUMENTANO GLI INCENDI BOSCHIVI. L’intensità e la frequenza degli incendi selvaggi stanno aumentando, anche in aree precedentemente non colpite, e si stima che nel 2023 gli incendi abbiano rilasciato 6.687 megatonnellate di anidride carbonica a livello globale. In passato gli incendi boreali erano responsabili di circa il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica. Nel 2021, tali incendi hanno raggiunto un nuovo picco, principalmente a causa della prolungata siccità che ha provocato un aumento della gravità degli incendi e del consumo di combustibile, e hanno rappresentato quasi un quarto delle emissioni totali di incendi boschivi.

LE SPECIE INVASIVE. Il cambiamento climatico rende anche le foreste più vulnerabili alle specie invasive, con insetti, parassiti e malattie patogene che minacciano la crescita e la sopravvivenza degli alberi. Il nematode del pino ha già causato danni significativi alle pinete autoctone di alcuni Paesi asiatici e si prevede che entro il 2027 alcune aree del Nord America subiranno danni devastanti a causa di insetti e malattie.

LA PRODUZIONE DI LEGNO. La produzione globale di legno, invece, rimane a livelli record. Dopo un breve calo durante la pandemia, la produzione è tornata a circa 4 miliardi di metri cubi all’anno. Quasi 6 miliardi di persone utilizzano prodotti forestali non legnosi e il 70% dei poveri del mondo si affida a specie selvatiche per cibo, medicine, energia, reddito e altri scopi. Le proiezioni indicano che la domanda globale di legno tondo potrebbe aumentare fino al 49% tra il 2020 e il 2050.

SOLUZIONI INNOVATIVE. Il rapporto identifica cinque tipi di innovazione che aumentano il potenziale delle foreste nell’affrontare le sfide globali: tecnologica, sociale, politica, istituzionale e finanziaria. Tra gli esempi, il potenziale dell’intelligenza artificiale per facilitare l’analisi automatizzata di un vasto volume di dati ottici, radar e lidar, esistenti e futuri, raccolti quotidianamente da droni, satelliti e stazioni spaziali; l’adozione del legno massiccio e di altre innovazioni basate sul legno che possono sostituire i prodotti a base fossile nel settore edilizio; le politiche volte a coinvolgere le donne, i giovani e le popolazioni indigene nello sviluppo di soluzioni guidate a livello locale; le innovazioni nel settore finanziario pubblico e privato per aumentare il valore delle foreste in piedi.

Dal momento che l’innovazione può creare vincitori e vinti, il rapporto sostiene la necessità di approcci inclusivi e rispondenti alle esigenze di genere per garantire un’equa distribuzione dei benefici tra uomini, donne e giovani di tutti i gruppi socioeconomici ed etnici. La promozione dell’innovazione deve considerare e integrare le circostanze, le prospettive, le conoscenze, i bisogni e i diritti di tutte le parti interessate.

Il rapporto elenca cinque azioni che contribuiranno a far crescere l’innovazione nel settore forestale: sensibilizzare l’opinione pubblica, potenziare le competenze, le capacità e le conoscenze in materia di innovazione, incoraggiare i partenariati di trasformazione, garantire finanziamenti maggiori e universalmente accessibili per l’innovazione e fornire un ambiente politico e normativo incentivante.

 

 

I più poveri pagheranno il prezzo più alto del cambiamento climatico

Le persone più povere sono quelle che subiranno i più gravi impatti economici dei cambiamenti climatici: a livello globale, per un aumento dell’1% di reddito, i costi dei danni climatici diminuiscono dello 0,4%. Un nuovo studio, condotto interamente da ricercatori del Cmcc, fornisce una visione approfondita sui danni economici causati dai cambiamenti climatici e le disuguaglianze nella distribuzione degli impatti tra e all’interno dei paesi. I risultati evidenziano la necessità di considerare le differenze di adattamento e le conseguenze distributive nelle politiche climatiche.

È ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica che il cambiamento climatico impatta società ed economie in tutto il mondo e che questi effetti negativi andranno incrementando man mano che il mondo continuerà a riscaldarsi. In uno dei primi studi del suo genere, la nuova del Cmcc ricerca quantifica come gli impatti del cambiamento climatico variano tra diversi gruppi di reddito all’interno dei paesi su scala globale.

Lo studio introduce un nuovo metodo per stimare l’elasticità del reddito degli impatti climatici, fornendo input cruciali per l’analisi delle politiche climatiche. Questa analisi è stata possibile combinando più modelli di impatto climatico con dati dettagliati sulla distribuzione del reddito, che insieme offrono una visione più completa delle potenziali disuguaglianze future.

Condotto interamente da un team di quattro ricercatori del Cmcc, lo studio rivela che secondo le previsioni gli individui più poveri all’interno dei paesi subiscono gli impatti economici più gravi del cambiamento climatico. “La nostra ricerca rivela che il cambiamento climatico non è solo una questione globale, ma anche profondamente locale. Abbiamo scoperto che all’interno di ogni paese, sono spesso i più poveri a essere i più vulnerabili agli impatti climatici. Questo sottolinea l’urgente necessità di politiche climatiche che non solo riducano le emissioni, ma affrontano anche queste potenziali disuguaglianze”, spiega Johannes Emmerling, senior scientist al Cmcc.

In particolare, abbiamo scoperto che il grande impatto sul Pil, confermato anche in altri studi recenti, ammonta ad una media di quasi zero per il 10% delle persone più ricche all’interno dei paesi. Questo avviene perché le famiglie più ricche hanno un maggior numero di alternative a disposizione in termini di assicurazione e adattamento”, aggiunge Emmerling.

A livello globale, lo studio mostra come per ogni aumento dell’1% del reddito, i danni climatici diminuiscono di circa lo 0,4% (cioè, un’elasticità dello 0,6), indicando che i danni ricadono in modo sproporzionato sui poveri. Inoltre, la vulnerabilità alle temperature crescenti diminuisce tra i gruppi di reddito all’interno dei Paesi e, entro il 2100, il cambiamento climatico potrebbe aumentare l’indice di Gini (una misura della disuguaglianza) fino a 6 punti in alcuni paesi, in particolare nell’Africa subsahariana e nel Medio Oriente.

È cruciale considerare i gap di adattamento e gli effetti distributivi quando si progettano strategie di adattamento e mitigazione climatica”, conclude Francesco Granella, co-autore dello studio e ricercatore postdoc al Cmcc.

Alluvione

E’ la Giornata per le vittime della crisi climatica globale: in 40 anni fino a 145mila morti in Europa

Si celebra oggi la Giornata europea per le vittime della crisi climatica globale, iniziativa nata dalla dichiarazione congiunta firmata nel 2023. L’obiettivo è quello di ricordare le vittime dei disastri climatici, sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle azioni individuali e collettive per ridurre il rischio di impatti climatici e migliorare la preparazione e la risposta agli eventi estremi.

“La giornata serve come appello all’azione. L’Europa deve agire ora per ridurre al minimo gli impatti dei cambiamenti climatici”, ha scritto su X l’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea), secondo la quale negli ultimi decenni, l’Europa è stata colpita da rischi naturali frequenti e gravi legati alle condizioni meteorologiche e al clima, come siccità, incendi boschivi, ondate di caldo, tempeste e forti piogge. Per dare qualche cifra, negli ultimi quattro decenni, le condizioni meteorologiche estreme sono state responsabili di mezzo trilione di euro di perdite economiche e di vittime umane comprese tra le 85 mila e le 145 mila. In più, “le sole ondate di caldo hanno causato decine di migliaia di morti premature in Europa dal 2000” e “si prevede che la loro durata, frequenza e intensità aumenteranno, portando a un aumento sostanziale della mortalità, soprattutto tra le popolazioni vulnerabili, a meno che non vengano adottate misure di adattamento”.

ONDATE DI CALORE. Dal 1999 al 2019 – secondo una ricerca pubblicata a maggio su PLOS Medicine – oltre 150.000 persone sono morte per le ondate di calore. E la metà di queste è stata registrata in Asia. Lo studio – condotto dall Monash University in collaborazione con l’Università di Shandong in Cina, la London School of Hygiene & Tropical Medicine nel Regno Unito e università/istituti di ricerca di altri Paesi – ha rilevato che, nel periodo 1990-2019, le ondate di calore hanno portato a un aumento di 236 decessi per dieci milioni di residenti per ogni stagione calda di un anno. Le regioni con il maggior numero di decessi legati alle ondate di calore sono state l’Europa meridionale e orientale, le aree con climi polari e alpini e quelle in cui i residenti hanno un reddito elevato. Nelle località con clima tropicale o con basso reddito è stato osservato il maggior calo del carico di mortalità legato alle ondate di calore dal 1990 al 2019. Per il rapporto 2023 del Lancet Countdown on Health and Climate Change – pubblicato alla vigilia della Cop28 che si è svolta a Dubai – i decessi legati al caldo tra le persone di età superiore ai 65 anni sono aumentati dell’85% nel periodo 2013-2022 rispetto al periodo 1991-2000. Secondo l’Emergency Situations Database (EM-DAT), i pericoli meteorologici, idrologici e climatici in Europa nel 2022 hanno colpito direttamente 156mila persone e causato 16.365 morti, quasi esclusivamente a causa delle ondate di calore.

EVENTI ESTREMI. In Italia, secondo un recente studio ENEA, dal 2003 al 2020 gli eventi climatici estremi hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni. Le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono risultate Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni). Dallo studio emerge inoltre che circa il 50% dei 247 comuni italiani con almeno un decesso è costituito da centri montani o poco abitati, dove il rischio di mortalità associata a eventi meteo-idrogeologici estremi potrebbe essere connesso alla loro fragilità intrinseca e alle difficoltà degli interventi di soccorso. DANNI

ECONOMICI. Il cambiamento climatico sta avendo un forte impatto anche dal punto di vista economico. Nel 2023 le perdite globali, secondo un’analisi di Munich Re, sono stimabili intorno ai 250 miliardi di dollari, di cui solo 95 miliardi erano assicurati. In Europa a causare perdite record sono stati soprattutto i temporali nella regione alpina e nell’area mediterranea. Complessivamente i danni derivanti da questi eventi ammontano a 17 miliardi di dollari, di cui 2 miliardi assicurati. Nel nostro Paese – come si legge nel Pnacc – i fenomeni di dissesto geologico, idrologico e idraulico (inondazioni, frane, erosioni e sprofondamenti) costano più di due miliardi di euro all’anno.

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Sempre meno neve sulle Alpi. E in Austria è boom di mountain bike

Con l’inevitabile scioglimento dei ghiacciai, l’Austria sta cercando di reinventarsi come regina della mountain bike alpina e sta accelerando la sua transizione: nella terra dello sci, il turismo estivo è ora più importante degli sport invernali e di altri piaceri della stagione più fredda.

Dopo la pandemia di Covid-19, la stagione estiva, da maggio a ottobre, ha soppiantato la stagione invernale in termini economici, generando 15 miliardi di euro dei 29,5 di entrate annuali dello scorso anno. Dopo le escursioni, secondo un recente sondaggio governativo, più di un quarto dei turisti va in Austria in estate per andare in bicicletta. E all’interno del Paese le vendite stanno esplodendo: nel 2022 sono state acquistate più di 500.000 due ruote, quasi la metà delle quali mountain bike, con un aumento del 15% rispetto al 2019. Nella terra delle leggende Marcel Hirscher e Hermann Maier, dove si impara a camminare con un paio di sci, è una rivoluzione.

A Leogang-Saalbach, le stesse funivie e gli stessi impianti di risalita vengono utilizzati per issare la bicicletta in cima ai 90 km di piste. E in risposta alla popolarità della mountain bike, all’inizio dell’anno il governo ha lanciato un piano ad hoc. L’obiettivo? Aiutare le località turistiche ad aumentare il numero di circuiti dedicati esclusivamente alle due ruote, stipulando un maggior numero di contratti con i proprietari dei terreni, che attualmente limitano l’accesso. Esistono, infatti, ben oltre venti parchi adattati, ma l’offerta è poco sviluppata rispetto alla domanda.

Con il “cambiamento climatico” e le stagioni sciistiche sempre più brevi a causa della mancanza di neve, “i professionisti del turismo devono ripensare le loro attività e cogliere le nuove tendenze”, spiega Martin Schnitzer, economista dello sport presso l’Università di Innsbruck. Ed è “giunto il momento” che Vienna si occupi seriamente dell’argomento. La legge del 1975 sulle foreste consente di attraversarle a piedi, ma vieta le biciclette a meno che il proprietario non abbia dato un’autorizzazione scritta nero su bianco.

Rene Sendlhofer-Schag del Club Alpino Austriaco ritiene che “nessun altro Paese alpino esclude uno sport in modo così radicale”, deplorando la legislazione “obsoleta”. Fuori dal circuito, c’è persino il rischio di una multa salata – 730 euro – per “sconfinamento”, che a volte può arrivare a “diverse migliaia di euro”.

Gli escursionisti non sono abituati a condividere il territorio e ci sono molti potenziali conflitti. Il Parco di Leogang è stato un pioniere nel trovare soluzioni per diversificare le attività fin dalla sua creazione nel 2001, firmando accordi per disinnescare le controversie. Questo successo ha dato i suoi frutti: in dieci anni, il numero di nuovi visitatori estivi è aumentato del 70%, raggiungendo i 260.000 l’anno scorso, e il numero di pernottamenti è ora superiore a quello della stagione invernale, dice Kornel Grundne. Qui si svolgono regolarmente anche le gare della Coppa del Mondo di Mountain Bike.

Altrove, invece, la convivenza tra locali, escursionisti e mountain biker rimane “difficile”, dice Isabella Hummel, 33 anni, arrivata dalla Svizzera, dove in “certi cantoni” gli amanti della natura in cerca di tranquillità non vedono di buon occhio i mountain biker. Per non parlare dei cacciatori, che temono che questi nuovi ‘invasori’ con i loro abiti dai colori sgargianti possano spaventare la loro selvaggina. Questa deve essere la priorità del governo, insiste l’economista Oliver Fritz, dell’istituto di riferimento Wifo: “assicurare una coesistenza pacifica” tra le varie parti.

Clima, grido d’aiuto dei Paesi vulnerabili: Neanche un dollaro dal fondo della Cop28

Photo credit: AFP

 

Non un altro anno: i Paesi più poveri del mondo, in prima linea contro i cambiamenti climatici, avvertono che non possono più aspettare i primi aiuti dal fondo “perdite e danni“, creato alla COP28 di novembre ma ancora lontano dall’essere operativo.

L’appello giunge in concomitanza con la conclusione del secondo incontro per l’istituzione del fondo, adottato in pompa magna alla COP di Dubai dopo anni di difficili negoziati. In un momento in cui le devastazioni causate da inondazioni e uragani si moltiplicano in tutto il mondo a causa del riscaldamento provocato dai combustibili fossili, “non possiamo aspettare la fine del 2025 per sbloccare i primi fondi“, tuona Adao Soares Barbosa, rappresentante di Timor Est nel consiglio di amministrazione del fondo.

Le perdite e i danni non ci aspetteranno“, sottolinea il negoziatore per le nazioni più povere del mondo. Da quando il fondo è stato adottato alla COP28, sono ripresi negoziati complessi e tesi tra Nord e Sud per finalizzare la sua struttura. Il ritmo di questi negoziati è stato insufficiente per far fronte all’entità dei disastri legati al clima. “I bisogni urgenti dei Paesi e delle comunità vulnerabili non possono essere ignorati mentre aspettiamo che ogni dettaglio di questo fondo venga finalizzato”, insiste Barbosa. I costi dei disastri legati al clima ammontano a miliardi di dollari. Tuttavia, il fondo ha ricevuto solo 661 milioni di dollari di promesse dai Paesi ricchi (Germania, Francia, Emirati Arabi Uniti, Danimarca), che sono i principali responsabili del riscaldamento globale. “Non abbastanza per coprire i costi di un singolo disastro grave“, lamenta Camilla More dell’Istituto internazionale per l’ambiente e lo sviluppo.

La Corea del Sud, ospite dell’incontro, ha appena annunciato una nuova donazione di 7 milioni di dollari. “Non ci possono essere fondi senza soldi“, fa eco Brandon Wu di ActionAid. A riprova delle necessità, l’uragano Beryl, favorito da temperature record nell’Oceano Atlantico, ha stravolto le isole caraibiche. “In cinque isole delle Grenadine il 90% delle case è andato distrutto. Le case sono a pezzi, i tetti non ci sono più, gli alberi non ci sono più, non c’è cibo, non c’è acqua, non c’è elettricità“, ricorda Elizabeth Thompson, rappresentante delle Barbados, durante l’incontro. “Non possiamo continuare a parlare mentre le persone vivono e muoiono in una crisi di cui non sono responsabili“, aggiunge, chiedendo un fondo che rifletta “l’urgenza e la portata” della risposta richiesta. La distruzione “massiccia” delle ultime settimane “sta esercitando una pressione immensa su di noi per fare il nostro lavoro“, ammette Richard Sherman, il co-presidente sudafricano del consiglio di amministrazione. I suoi membri vogliono che i pagamenti siano approvati “il prima possibile, ma realisticamente entro la metà del 2025“, secondo un documento interno consultato dall’AFP.

I cambiamenti climatici mettono a rischio la raccolta di ‘miele pazzo’ in Nepal

Appesi a una corda e a una scala di bambù per scovare miele dalle proprietà allucinogene su una falesia dell’Himalaya, gli scalatori nepalesi perpetuano un’antica pratica ora minacciata dai cambiamenti climatici. Avvolgendosi nel fumo per proteggersi dagli attacchi di una nuvola di api giganti, Som Ram Gurung, 26 anni, oscilla a 100 metri dal suolo per tagliare i favi gocciolanti degli alveari selvatici. Il ‘miele pazzo’ dal sapore pungente ha, secondo gli intenditori, un leggero effetto allucinogeno derivato dal nettare di rododendro, di cui le api sono ghiotte. Questo miele d’alta quota non è mai stato facile da raccogliere nel distretto di Lamjung (al centro). Proviene dalla specie Apis laboriosa, l’ape più grande del mondo (lunga fino a 3 centimetri), che ama le rupi inaccessibili. Ma i cacciatori di miele devono ora affrontare ulteriori sfide, tra cui alcune legate agli effetti del riscaldamento globale su queste valli forestali isolate, 100 chilometri a nord-ovest di Kathmandu. Secondo Doodh Bahadur Gurung, 65 anni, che ha trasmesso la sua tecnica al figlio Som Ram, i cacciatori hanno assistito a un rapido declino del numero di arnie e delle quantità di miele raccolte. “Quando eravamo giovani, c’erano alveari su quasi ogni rupe, grazie all’abbondanza di fiori selvatici e di fonti d’acqua“, spiega. Ma ogni anno diventa sempre più difficile trovare alveari.

Le ragioni del declino del numero di api sono molteplici: “I corsi d’acqua si stanno prosciugando a causa dei progetti idroelettrici e delle piogge irregolari“, spiega, mentre le api selvatiche preferiscono nidificare vicino all’acqua. “Le api che volano verso le fattorie devono anche affrontare il problema dei pesticidi, che le uccidono“. Con le precipitazioni irregolari, gli inverni più secchi e il caldo opprimente, anche gli incendi di sterpaglie sono diventati più frequenti. Quest’anno il Nepal ha combattuto più di 4.500 incendi boschivi, quasi il doppio rispetto all’anno precedente, secondo i dati del governo.

Oggi gli incendi sono più frequenti“, spiega Doodh Bahadur. E “non ci sono abbastanza giovani per spegnerli in tempo“. Dieci anni fa, il suo villaggio di Taap poteva raccogliere 1.000 litri di miele a stagione. Oggi i cacciatori si considerano fortunati se raccolgono 250 litri. Gli scienziati confermano queste osservazioni, notando che il cambiamento climatico è un fattore determinante. “Le api sono molto sensibili ai cambiamenti di temperatura“, spiega Susma Giri, specialista di api presso l’Istituto di Scienze Applicate di Kathmandu. “Sono creature selvatiche che non possono adattarsi alle attività umane o al rumore“.

Il Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle montagne (ICIMOD), con sede in Nepal, che ha osservato lo scioglimento dei ghiacciai himalayani più rapido che mai, ha notato un “forte calo della popolazione di api“. Il mese scorso ha lanciato l’allarme, sottolineando che almeno il 75% delle colture nepalesi dipende da impollinatori come le api. “Il cambiamento climatico e la perdita di habitat sono tra i principali fattori del loro declino“, secondo il centro. “La conseguente riduzione dell’impollinazione ha già avuto conseguenze economiche allarmanti“.

Secondo uno studio del 2022 pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives, le perdite annuali dovute alla riduzione dell’impollinazione in Nepal ammontavano a 250 dollari pro capite, una somma enorme in un Paese in cui il reddito medio annuo è di 1.400 dollari. La diminuzione delle riserve ha fatto salire il prezzo di questo miele raro. Se vent’anni fa un litro valeva 3,5 dollari, ora viene venduto a 15 dollari. I commercianti stanno assistendo a un aumento della domanda negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, a causa dei presunti benefici per la salute di cui si parla sui social network.

I commercianti di miele di Kathmandu stimano che le esportazioni annuali ammontino a circa 10.000 litri. Un vasetto da 250 grammi di ‘miele pazzo’ può arrivare a costare fino a 70 dollari online. La domanda “aumenta ogni anno, ma la produzione di qualità è diminuita“, osserva Rashmi Kandel, esportatrice di miele di Kathmandu.

Sempre meno giovani vogliono partecipare alla tradizionale caccia al miele in montagna, che dura un mese. Come in altre parti del Nepal, i giovani abbandonano la vita rurale per lavori meglio retribuiti all’estero. Suk Bahadur Gurung, 56 anni, politico locale e membro della squadra di cacciatori di miele, teme per la sopravvivenza della sua difficile professione. “Servono abilità e forza“, spiega. Ma “non molti giovani vogliono fare questo lavoro“. Som Ram Gurung si stiracchia le braccia e le gambe gonfie mentre scende dalla scogliera. “Le iniezioni coprono il mio corpo“, dice. Dice di essere pronto ad andare a lavorare in una fabbrica a Dubai per un salario mensile di circa 320 dollari. Suo padre, Doodh Bahadur, si rammarica sia della scomparsa delle api che della partenza dei giovani. “Stiamo perdendo tutto“, dice. “Il futuro è incerto per tutti“.

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Allarme dell’Ue: “Con eventi meteo sempre più estremi, rischi per salute ed economia”

“Gli eventi meteorologici estremi rappresentano un rischio maggiore per la natura, gli edifici, le infrastrutture e la salute umana. Questi eventi, che si prevede aumenteranno in frequenza e intensità a causa del cambiamento climatico, stanno già causando danni e perdite sostanziali. Dobbiamo adattarci e prepararci alla vita in un clima che cambia”. A lanciare l’allarme – o appello – è l’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea) che ha ricordato come l’estate scorsa sia stata la più calda mai registrata a livello globale. “Oltre 460 mila ettari di foresta sono stati distrutti dagli incendi” e “gli ultimi dati per aprile e maggio 2024 mostrano che anche quest’anno potrebbe battere nuovi record”, ha scritto l’Agenzia in un approfondimento.

Secondo i dati dell’Aea, negli ultimi decenni, l’Europa è stata colpita da rischi naturali frequenti e gravi legati alle condizioni meteorologiche e al clima, come siccità, incendi boschivi, ondate di caldo, tempeste e forti piogge. E “i cambiamenti climatici renderanno questi eventi ancora più intensi e frequenti”. L’Agenzia precisa che le temperature estreme non hanno solo un impatto sulla salute dei gruppi vulnerabili, ma causano anche disturbi del sonno per tutti. Inoltre, “fiumi e laghi si stanno prosciugando, con conseguenze su tutta la vita che da essi dipende” e “anche i terreni stanno diventando più secchi, aumentando il rischio di incendi e riducendo la produttività agricola”. E mentre la siccità colpisce alcune parti d’Europa, altre sono interessate “da forti acquazzoni, che a volte allagano edifici e danneggiano proprietà e infrastrutture nel giro di pochi minuti” mentre “le zone costiere saranno a rischio di mareggiate più frequenti, con conseguenti allagamenti anche di edifici o terreni agricoli”. L’Aea attira l’attenzione anche sul fatto che la velocità del vento sta raggiungendo livelli mai visti prima in Europa, provocando incidenti e gravi danni e in altre parti si stanno verificando forti ondate di freddo.

Per dare qualche cifra, negli ultimi quattro decenni, le condizioni meteorologiche estreme sono state responsabili di mezzo trilione di euro di perdite economiche e di vittime umane comprese tra le 85 mila e le 145 mila. In più, “le sole ondate di caldo hanno causato decine di migliaia di morti premature in Europa dal 2000” e “si prevede che la loro durata, frequenza e intensità aumenteranno, portando a un aumento sostanziale della mortalità, soprattutto tra le popolazioni vulnerabili, a meno che non vengano adottate misure di adattamento”. Ad esempio, a giugno, le devastanti inondazioni che hanno colpito la Germania hanno causato diverse vittime e ingenti danni economici. Inoltre, anche se si prevede che la mortalità correlata al freddo diminuirà grazie alle migliori condizioni sociali, economiche e abitative in molti Paesi europei, va detto che “esistono prove inconcludenti sul fatto che il riscaldamento previsto porterà o meno a un’ulteriore sostanziale diminuzione della mortalità legata al freddo”.

Allo stesso tempo, però, le regioni in Europa sperimenteranno diversi cambiamenti nei modelli di condizioni meteorologiche estreme. Ad esempio, “nell’Europa settentrionale è probabile che le precipitazioni annuali e le forti precipitazioni aumentino, mentre i periodi di siccità diventeranno meno frequenti. È probabile che l’Europa centrale sperimenterà precipitazioni estive inferiori, ma anche condizioni meteorologiche estreme più severe – forti precipitazioni, inondazioni dei fiumi, siccità e pericolo di incendi – con cambiamenti contrastanti nelle precipitazioni annuali e nell’aridità. Nell’Europa meridionale, si prevede che le precipitazioni annuali e quelle estive diminuiranno, mentre è probabile che aumenteranno l’aridità, la siccità e il rischio di incendi”.

Secondo l’Agenzia, questi eventi sono un promemoria del clima mutevole e instabile a cui l’Europa deve adattarsi e prepararsi, adottando misure per ridurre drasticamente le emissioni di carbonio al fine di rallentare e limitare il cambiamento climatico. E proprio per quanto riguarda la preparazione, infine, l’Aea ricorda che la strategia di adattamento dell’Ue mira a garantire che l’Europa sia meglio preparata a gestire i rischi e ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. “Colmare il divario nella protezione del clima aumentando la copertura assicurativa può essere uno strumento cruciale per migliorare la ripresa, ridurre la vulnerabilità e promuovere la resilienza. Anche gli Stati membri dell’Ue stanno rispondendo con politiche nazionali di adattamento, comprese le valutazioni del rischio climatico a livello nazionale, regionale e settoriale”, illustra l’Agenzia. Sono poi in corso attività di preparazione anche a livello dell’Ue per aiutare gli Stati membri a prepararsi agli eventi meteorologici estremi e “i sistemi di allarme rapido sono parti essenziali di queste attività”. Mentre “il pool europeo di protezione civile contribuisce a far avanzare la cooperazione europea in materia di sistemi di allarme per una risposta più rapida, ben coordinata ed efficace”, precisa l’Aea.

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Nuovo record climatico: giugno 2024 è il più caldo di sempre

Quello che si è appena concluso è stato il giugno più caldo mai registrato nella storia, battendo il record già eccezionale stabilito nello stesse mese dello scorso anno. Lo ha annunciato l’osservatorio europeo Copernicus. Dopo oltre un anno di record mensili ininterrotti, “la temperatura media globale degli ultimi 12 mesi (luglio 2023 – giugno 2024) è la più alta mai registrata”, ovvero “1,64°C al di sopra della media preindustriale del 1850-1900”, quando le emissioni di gas serra causate dall’uomo non avevano ancora riscaldato il pianeta.

Giugno 2024 “segna il 13° mese consecutivo di temperature globali record e il 12° mese consecutivo di 1,5°C al di sopra della media preindustriale” (1850-1900), spiega Carlo Buontempo, direttore del Servizio Cambiamenti Climatici di Copernicus (C3S). “Non si tratta di un’incongruenza statistica, ma di un cambiamento significativo e in corso nel nostro clima”, dice lo scienziato, al termine di un mese costellato da gravi ondate di calore in Cina, India, Messico, Grecia e Arabia Saudita, dove più di 1.300 persone sono morte durante il pellegrinaggio alla Mecca.

Mentre nell’Europa occidentale il termometro è stato vicino o al di sotto della norma stagionale (1991-2020), gran parte del mondo ha registrato temperature superiori alla media, se non addirittura eccezionali.

A seguito delle ondate di calore di giugno, migliaia di persone hanno sono state evacuate in California a causa di devastanti incendi, mentre nei Balcani, in Pakistan e in Egitto si sono verificate interruzioni di corrente, con conseguente spegnimento di ventilatori, condizionatori e frigoriferi essenziali.

“Anche se questa specifica serie di misure estreme prima o poi termina”, con la fine del fenomeno ciclico El Niño che da un anno accentua gli effetti del riscaldamento globale, “si batteranno nuovi record perché il clima continua a riscaldarsi” a causa delle emissioni di gas serra dell’uomo, sottolinea il direttore del C3S.
Con l’arrivo del fenomeno La Niña previsto entro la fine dell’anno, sinonimo di temperature globali più fresche, “possiamo aspettarci un calo della temperatura globale nei prossimi mesi”, spiega Julien Nicolas, scienziato del C3S.

La temperatura globale alla fine del 2024 dipenderà in larga misura dai cambiamenti nel calore degli oceani, che coprono il 70% del pianeta e la cui temperatura delle acque superficiali è stata ben al di sopra di tutti i record per più di un anno.