ghiacciai

La ‘musica’ del clima: quartetto d’archi mette in scena i dati ambientali

Uno scienziato geoambientale giapponese ha composto un quartetto d’archi utilizzando dati climatici sonorizzati. La composizione, della durata di 6 minuti e intitolata ‘String Quartet No. 1 Polar Energy Budget’, si basa su oltre 30 anni di dati climatici raccolti dai satelliti nell’Artico e nell’Antartico e mira ad attirare l’attenzione su come il clima sia guidato dall’ingresso e dall’uscita di energia ai poli. La storia di come è stata realizzata la composizione è stata pubblicata sulla rivista iScience come parte della raccolta ‘Exploring the Art-Science Connection’.

 

 

“Spero vivamente che questa composizione segni una svolta significativa, passando da un’epoca in cui solo gli scienziati gestiscono i dati a un momento in cui gli artisti possono sfruttarl liberamente per creare le loro opere”, scrive l’autore Hiroto Nagai, scienziato geoambientale dell’Università di Rissho.

Lo scienziato-compositore sostiene che la musica, al contrario del suono, evoca una risposta emotiva e che la “musificazione” (al contrario della sonificazione) dei dati richiede un intervento da parte del compositore per creare tensione e aggiungere dinamica. Per questo motivo, Nagai ha aggiunto un “tocco umano” rispetto alle precedenti composizioni musicali basate sui dati, con l’obiettivo di fondere la sonificazione con la composizione musicale tradizionale.

Per farlo, ha innanzitutto utilizzato un programma per sonificare i dati ambientali, assegnando i suoni ai diversi valori. I dati disponibili al pubblico sono stati raccolti da quattro località polari tra il 1982 e il 2022: un sito di perforazione del ghiaccio nella calotta glaciale della Groenlandia, una stazione satellitare nell’arcipelago norvegese delle Svalbard e due stazioni di ricerca di proprietà giapponese nell’Antartico (Showa Station e Dome Fuji Station). Per ciascuno dei siti, Nagai ha utilizzato i dati relativi alle misurazioni mensili della radiazione a onde corte e lunghe, delle precipitazioni, della temperatura superficiale e dello spessore delle nuvole.

Nella fase successiva, ha trasformato questa raccolta di suoni in una composizione musicale per due violini, una viola e un violoncello. Nagai è intervenuto anche in modi più artistici, introducendo il ritmo, eliminando deliberatamente alcuni suoni e introducendo nella composizione parti scritte a mano (non derivate dai dati).

Nagai sostiene che, a differenza delle rappresentazioni grafiche dei dati, la musica suscita emozioni prima della curiosità intellettuale e suggerisce che l’uso congiunto di rappresentazioni grafiche e musicali dei dati potrebbe essere ancora più potente. “Cattura con forza l’attenzione del pubblico, mentre le rappresentazioni grafiche richiedono invece un riconoscimento attivo e consapevole”, scrive Nagai. “Questo rivela il potenziale di divulgazione delle scienze della Terra attraverso la musica”.

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G7, a Venaria summit su Energia e Clima. Pichetto: “Idee chiare e risultati veri”

Materie prime critiche, economia circolare, Africa e Piano Mattei, biodiversità della terra e dei mari. Sul tavolo del G7 Clima, Energia e Ambiente, il 28 e 29 aprile nella Reggia di Venaria a Torino, c’è tanto di cui discutere. Sui temi energetici, terrà banco il passaggio dai fossili alle energie pulite. Nelle intenzioni di Gilberto Pichetto, il summit sarà “un ponte tra la Cop28 e la Cop29, con uno sguardo al prossimo G20“.

Tra gli invitati, infatti, oltre ai paesi del G7 e alla Commissione europea, ci saranno anche la delegazione emiratina che ha guidato Cop28 e quella azera che guiderà Cop29, così come il Brasile, prossima presidenza del G20. E, data l’importanza che assume il continente africano in ottica del Piano Mattei, saranno presenti la Mauritania, presidenza di turno dell’Unione Africana, il Kenya in rappresentanza dell’Africa subsahariana, l’Algeria, in rappresentanza del Maghreb, e la Banca Africana di Sviluppo.

Vogliamo imprimere una forte spinta allo sviluppo delle rinnovabili e allargare gli orizzonti a tutte le fonti che, con il supporto scientifico, possano garantirci la sicurezza energetica, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi ambientali”, spiega Pichetto presentando l’iniziativa nella nuova sede della Stampa Estera, a Roma. A Venaria, garantisce, “l’Italia arriva con idee chiare e con la determinazione necessaria per rendere questo G7 portatore di risultati reali e ambiziosi”.

I gruppi di lavoro a cui hanno preso parte i negoziatori dei rispettivi Paesi hanno definito in questi mesi i temi al centro del Comunicato finale, che traccerà il percorso verso le prossime scadenze globali. Per la parte Ambiente, il focus sarà su consumo e produzione sostenibili, economia circolare ed efficienza delle risorse, con particolare riferimento al tema del riciclo delle materie prime critiche e della circolarità nell’industria tessile e nella moda. Verranno poi affrontati gli ambiti legati al contrasto dell’inquinamento per natura e persone, la biodiversità, gli ecosistemi, il mare e gli oceani. Centrale sarà il tema dell’uso sostenibile delle risorse idriche. Particolare rilievo avrà la collaborazione con Paesi terzi, in particolare con l’Africa su temi trasversali quali il contrasto al degrado del suolo e la lotta alla desertificazione, l’uso delle tecnologie avanzate per il monitoraggio e la prevenzione degli effetti dei cambiamenti climatici e la sostenibilità delle filiere produttive.

Nella sessione Clima ed Energia, si affronterà il tema della ‘Net-zero’ agenda, con obiettivi volti a potenziare i sistemi di accumulo e flessibilità, in modo da gestire il forte apporto delle rinnovabili. Al centro anche il potenziamento dell’efficienza energetica e il rafforzamento della sicurezza, in particolare per la catena di approvvigionamento dei minerali critici necessari per lo sviluppo delle rinnovabili. E ancora, puntare su nuove tecnologie energetiche tra cui ricerca e sviluppo del nucleare sostenibile, ridurre le emissioni di metano e promuovere la collaborazione con i Paesi terzi, specie con quelli più vulnerabili e con gli Stati africani, sul fronte dello sviluppo di risorse energetiche, infrastrutture locali e adattamento.

Che ne è stato degli obiettivi della Cop15? L’Italia li ha raggiunti tutti

Diciannove Paesi su 34 non sono riusciti a rispettare pienamente gli impegni climatici assunti 15 anni anni fa a Copenaghen con obiettivi al 2020. E’ quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori della University College London (Ucl), pubblicato su Nature Climate Change. Il team ha confrontato le emissioni nette di carbonio effettive di oltre 30 nazioni con gli obiettivi di riduzione delle emissioni promessi nel 2009 durante il vertice sul clima di Copenhagen. E da questa analisi l’Italia esce vincente.

Il lavoro guidato dai ricercatori dell’Ucl e dell’Università Tsinghua è il primo sforzo per valutare in modo esaustivo in che misura i Paesi sono stati in grado di rispettare gli impegni di riduzione del Contributo Nazionale Determinato assunti durante la COP15.

Delle 34 nazioni analizzate nello studio, 15 hanno raggiunto con successo i loro obiettivi (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti.), mentre 12 hanno fallito completamente (Australia, Austria, Canada, Cipro, Irlanda, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svizzera). I restanti sette Paesi (Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Lussemburgo, Malta e Polonia) rientrano in una categoria che gli autori dello studio hanno definito “gruppo a metà strada”: nazioni che hanno ridotto le emissioni di carbonio all’interno dei propri confini, ma lo hanno fatto in parte utilizzando il commercio per spostare le emissioni che avrebbero prodotto in altri Paesi. Conosciuta come “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio” o “trasferimento di carbonio”, questa esternalizzazione è una preoccupazione crescente tra i responsabili delle politiche ambientali.

Per ‘seguire’ questa ‘fuga’ di CO2, i ricercatori hanno utilizzato un metodo di tracciamento delle emissioni “basato sul consumo” che fornisce uno schema più completo per calcolare le emissioni totali di carbonio di un Paese. Non tiene conto solo delle emissioni derivanti dalle attività economiche all’interno dei confini territoriali della nazione, ma anche dell’impronta di carbonio dei beni importati e prodotti all’estero.

L’autore principale, il professor Jing Meng (UCL Bartlett School of Sustainable Construction), spiega che “la nostra preoccupazione è che i Paesi che hanno faticato a raggiungere gli impegni presi nel 2009 incontreranno probabilmente difficoltà ancora più consistenti nel ridurre ulteriormente le emissioni.”

Questi obiettivi di emissione sono stati fissati nel 2009 al vertice internazionale sul clima COP15 di Copenaghen. In quell’occasione, nonostante l’impossibilità di raggiungere un accordo globale, i singoli Paesi del mondo hanno stabilito i propri obiettivi individuali di riduzione delle emissioni. Ciò significa che gli obiettivi stabiliti variano notevolmente, dal modesto ma riuscito impegno della Croazia di ridurre le emissioni di carbonio del 5%, allo sforzo relativamente ambizioso ma infruttuoso della Svizzera di abbassarle 20-30% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990.

La ricerca evidenzia anche le disparità tra i diversi punti di partenza dei Paesi. Sebbene quattro Paesi dell’Europa orientale – Estonia, Lituania, Lettonia e Romania – siano riusciti a raggiungere i loro obiettivi, i ricercatori sottolineano che ciò è dovuto soprattutto al fatto che gran parte dell’industria della regione utilizzava tecnologie obsolete e altamente inefficienti, risalenti ai primi anni ’90, che sono state abbandonate di recente.

Inoltre, i ricercatori avvertono che i Paesi che hanno faticato di più a raggiungere gli obiettivi della COP15 probabilmente incontreranno sfide ancora più grandi in futuro, dato che dovranno far fronte a una domanda di energia ancora maggiore con l’ulteriore espansione e sviluppo delle loro economie.

I principali modi in cui i Paesi sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi di emissione sono stati l’aumento della quantità di energia pulita prodotta, in particolare la transizione dal carbone, e un uso più efficiente dell’energia prodotta. I Paesi che non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi sono stati in gran parte incapaci di farlo perché l’aumento del consumo associato all’aumento del Pil pro capite e alla crescita della popolazione ha superato i loro sforzi per aumentare l’efficienza.

Il più recente Accordo di Parigi, firmato nel 2015 alla COP21, ha stabilito un quadro globale più ambizioso e completo per ridurre le emissioni di carbonio che ha sostituito questi contributi determinati a livello nazionale.

Oceano

Gli oceani stanno ‘bollendo’, scatta l’allarme degli scienziati Unesco

L’aumento vertiginoso delle temperature degli oceani sta allarmando gli scienziati, che chiedono maggiori ricerche sui cambiamenti in atto e temono effetti devastanti sul clima nel suo complesso. “I cambiamenti stanno avvenendo così rapidamente che non siamo in grado di monitorarne l’impatto“, ammette Vidar Helgesen, segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco, per il quale “affrontare il riscaldamento degli oceani è urgente. È necessario uno sforzo maggiore di osservazione e ricerca in tempo reale”, ha dichiarato in occasione della conferenza sul Decennio degli Oceani, che si è conclusa a Barcellona con la partecipazione di 1.500 scienziati e rappresentanti di governi e organizzazioni.

La temperatura degli oceani, che coprono il 70% della Terra e svolgono un ruolo chiave nella regolazione del clima globale, ha raggiunto un nuovo massimo storico a marzo, con una media di 21,07°C misurata in superficie, escludendo le aree vicine ai poli, secondo l’osservatorio europeo Copernicus. Questo surriscaldamento, che si è aggravato mese dopo mese nell’ultimo anno, minaccia la vita marina e porta a una maggiore umidità nell’atmosfera, sinonimo di condizioni meteorologiche più instabili, come venti violenti e piogge torrenziali.

Secondo gli esperti, dall’inizio dell’era industriale, gli oceani hanno assorbito il 90% del calore in eccesso causato dall’attività umana. Gli ambienti marini, che producono quasi la metà dell’ossigeno che respiriamo, hanno così permesso alla superficie terrestre di rimanere abitabile. “L’oceano ha una capacità termica maggiore dell’atmosfera; assorbe molto più calore, ma non può assorbirlo all’infinito”, avverte Cristina González Haro, ricercatrice dell’Istituto di Scienze Marine di Barcellona.

Secondo un importante studio pubblicato a gennaio, entro il 2023 gli oceani avranno ancora assorbito una quantità colossale di energia, sufficiente a far bollire “miliardi di piscine olimpioniche”. Uno dei principali obiettivi del Decennio degli oceani (2021-2030) è cercare di ampliare le nostre conoscenze sul riscaldamento globale e decifrarne le numerose implicazioni, nel tentativo di limitarlo. “Sappiamo ancora molto poco sugli oceani. Abbiamo mappato solo il 25% circa dei fondali marini del pianeta e, allo stesso tempo, dobbiamo mappare e monitorare dal vivo i cambiamenti che si stanno verificando a causa del cambiamento climatico”, sottolinea Helgesen.

Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Wmo), un’agenzia delle Nazioni Unite, oltre il 90% degli oceani del mondo ha subito ondate di calore in qualche momento nel 2023, con un impatto diretto sul clima e sugli ecosistemi di tutto il pianeta, indipendentemente dalla distanza che li separa dal mare. “Siamo su una traiettoria che spinge gli scienziati a chiedersi se abbiamo sottovalutato il futuro riscaldamento globale”, avverte Jean-Pierre Gattuso a Barcellona, specialista del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs).

Le difficoltà nell’attuazione dei principali accordi internazionali sull’ambiente, come l’Accordo di Parigi concluso nel 2015 nel tentativo di limitare il riscaldamento globale, non sono tuttavia motivo di ottimismo, secondo gli scienziati. “Molti di noi sono un po’ frustrati dal fatto che, nonostante le dimostrazioni scientifiche del cambiamento climatico e delle sue conseguenze, l’attuazione dell’Accordo di Parigi sia così lenta, così difficile, così dolorosa. Non fa ben sperare per il futuro”, si rammarica Gattuso.
I ricercatori sottolineano tuttavia alcuni segnali positivi, come l’adozione nel 2023 da parte degli Stati membri dell’Onu – dopo quindici anni di discussioni – di uno storico trattato per la protezione dell’alto mare. “Se potessi inviare un messaggio ai responsabili delle decisioni, ai presidenti, ai primi ministri o ai dirigenti d’azienda, credo che sarebbe: ‘Prendete un momento dalla vostra agenda piena di impegni e guardate negli occhi i vostri figli e nipoti'”, ha esortato Helgesen.

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Temporali e neve, ma è solo un break: nel weekend sole e caldo

Una massa d’aria di origine polare marittima, in discesa dal Mar Celtico, porterà un calo delle temperature anche di 10°C verso il Centro-Sud, dopo aver raggiunto il settentrione con nevicate fino a 800 metri sulle Alpi di confine. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma la potenza di questo break ‘freddo’ nel cuore di aprile, ma indica che si tratta solo di un’illusione pseudo-invernale. Da giovedì torneranno il sole e il caldo nordafricano ovunque.

Nelle prossime ore avremo ancora temporali forti al Nord, localmente al Centro tra Sardegna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio; i fenomeni più intensi sono attesi sulla Pianura Padana, specie tra Lombardia ed Emilia, anche con possibili locali grandinate. Al Centro i fenomeni saranno più isolati, mentre al Sud potremo avere qualche locale rovescio tra Campania e Sicilia. Anche il vento sarà protagonista: soffierà forte sulla Liguria di Ponente, in Sardegna e verso il Basso Tirreno. ‘La neve aprilina che, come quella marzolina, dura dalla sera alla mattina’ (antico proverbio legato alla rapida fusione con le temperature miti primaverili) cadrà ancora sulle Alpi fino al pomeriggio sera con quota neve in risalita intorno ai 1700-1800 metri.

Da giovedì, invece, cambierà tutto di nuovo con un aumento delle temperature massime di circa 6-7°C sulla fascia tirrenica e di ben 12-14°C sulle Alpi: dal pseudo-inverno passeremo ad una quasi estate con punte di 30°C, previste ancora una volta nel prossimo weekend anche al Nord. In pratica, vivremo un’altalena meteorologica pazzesca: giù di 10°C e poi su di 10°C in 24-36 ore. Il crollo termico sarà annullato entro venerdì dal repentino e subitaneo aumento causato dalla rimonta dell’anticiclone nordafricano.

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Sentenza storica della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo: Svizzera condannata per inazione climatica

Sentenza storica da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Per la prima volta, infatti, ha condannato un Paese, per la precisione la Svizzera, per l’inazione sui cambiamenti climatici. Una decisione giuridicamente vincolante che dovrebbe costituire un precedente per i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa. “La sentenza di oggi è storica e siamo molto soddisfatti di essere arrivati fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo“, ha dichiarato Anne Mahrer, una delle attiviste ambientali svizzere che ha intentato la causa contro Berna. “Ora saremo estremamente vigili per garantire che la Svizzera applichi la decisione“. Greta Thunberg, presente a Strasburgo, si è rallegrata per “l’inizio” delle cause sul clima. “In tutto il mondo, sempre più persone portano i loro governi in tribunale per chiedere conto delle loro azioni. In nessun caso dobbiamo tirarci indietro, dobbiamo lottare ancora più duramente perché questo è solo l’inizio“, ha dichiarato il giovane attivista svedese per il clima.

Con il mese di marzo che ha segnato un nuovo record mondiale di caldo, la decisione della Corte era molto attesa: la Cedu non si era mai pronunciata prima sulla responsabilità degli Stati in relazione ai cambiamenti climatici. Ma il presidente della Corte, l’irlandese Siofra O’Leary, ha emesso tre conclusioni diverse sulla stessa questione. Mentre la Svizzera è stata condannata, altre due richieste sono state respinte: quella di un ex sindaco ecologista di un comune costiero nel nord della Francia e soprattutto la richiesta di alto profilo di giovani cittadini portoghesi contro 32 Stati.

La prima causa è stata intentata dalle Anziane per la protezione del clima (2.500 donne svizzere di 73 anni in media). Esse hanno denunciato “l’incapacità delle autorità svizzere di mitigare gli effetti del cambiamento climatico“, che stanno avendo un impatto negativo sulle loro condizioni di vita e di salute. La Svizzera “ha l’obbligo legale di attuare questa sentenza“, ha dichiarato all’Afp l’avvocato di Berna Alain Chablais. “Ci vorrà un po’ di tempo per determinare quali misure saranno adottate dal governo svizzero”, ha continuato, ma ha aggiunto che “questa sentenza costituirà un precedente“. La Cedu, che applica la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha stabilito che vi è stata una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’articolo 6 (accesso a un tribunale). La Corte ha quindi affermato che l’articolo 8 sancisce il diritto a una protezione effettiva da parte delle autorità di uno Stato contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita.

Un secondo dossier è stato avviato dall’eurodeputato francese (ex-EELV) Damien Carême. Questo ex sindaco di Grande-Synthe (Nord) ha attaccato le “carenze” dello Stato francese, sostenendo in particolare che esse mettono a rischio di inondazioni la città sulla costa del Mare del Nord. Ma la Corte non lo ha riconosciuto come vittima, in particolare perché non vive più in Francia. Infine, il terzo caso è stato sostenuto da un gruppo di sei portoghesi di età compresa tra i 12 e i 24 anni, che si sono radunati dopo i terribili incendi che hanno devastato il loro Paese nel 2017. Il loro ricorso era diretto non solo contro Lisbona, ma anche contro tutti gli Stati membri dell’Ue, oltre che contro Norvegia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Russia – 32 Paesi in tutto. Ma la Corte ha stabilito che non avevano esaurito i rimedi legali disponibili nei loro Paesi. Anche se la loro domanda è stata respinta, i portoghesi ritengono che questa battuta d’arresto sia stata più che compensata dalla decisione relativa alla Svizzera. “Speravo che avremmo vinto contro tutti questi Paesi, quindi sono ovviamente delusa“, ha dichiarato una delle ricorrenti, Sofia Oliveira, 19 anni. “Ma la cosa più importante è che, nel caso delle donne svizzere, la Corte ha ritenuto che i Paesi debbano ridurre ulteriormente le loro emissioni per difendere i diritti umani. Quindi la loro vittoria è una vittoria anche per noi, e una vittoria per tutti!”.

Secondo i termini dell’Accordo di Parigi del 2015, i governi si sono impegnati a limitare il riscaldamento globale a “ben al di sotto” dei 2 gradi Celsius rispetto all’epoca preindustriale (1850-1900), e a 1,5 gradi Celsius se possibile. Tuttavia, con un nuovo record di temperatura a marzo, gli ultimi 12 mesi sono stati i più caldi mai registrati a livello mondiale, 1,58 gradi in più rispetto al clima del pianeta nel XIX secolo, ha annunciato martedì l’osservatorio europeo Copernicus.

piogge al sud/imago

Ancora due giorni di temporali e poi arriva ‘l’estate’ di aprile. Torna la neve sulle Alpi

Dal caldo anomalo alla grandine (anche neve sulle Alpi), poi sarà di nuovo anticiclone africano con un mese di aprile travestito da giugno. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma un periodo turbolento come spesso accade in primavera, ma elevato all’ennesima potenza: tutti i fenomeni in arrivo nei prossimi giorni saranno esagerati, un po’ come il caldo del weekend appena trascorso, ma anche come quello fuori stagione atteso nel prossimo weekend, ancora con valori tipici di fine giugno.

Una fase turbolenta, anche dal punto di vista del maltempo, soprattutto al Nord dove tornerà la neve sulle Alpi: i fiocchi bianchi sono attesi nelle prossime ore a quote alte, ma dalla sera cadranno fino a circa 800-900 metri di quota sui rilievi di confine. Mediamente cadranno 15-20 cm di neve fresca su tutta la catena alpina oltre i 1500 metri, da ovest verso est, entro la serata di mercoledì. Questo break instabile sarà associato a un ciclone inglese in rapidissimo transito sull’Italia e diretto verso l’Algeria. Il periodo turbolento durerà 48 ore.

Nel dettaglio, oggi avremo maltempo specie al Nord-Ovest, con i primi fenomeni su Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, poi in spostamento dal pomeriggio verso Lombardia e localmente Emilia e Toscana. Durante l’ingresso dell’aria ‘inglese’, molto più fresca ed instabile, potranno aver luogo temporali anche intensi ed associati a grandine: questa finestra perturbata rimarrà aperta da martedì pomeriggio a mercoledì sera, poi cambierà tutto di nuovo.

Infatti, mercoledì sarà ancora molto perturbato su tutto il Nord e, al mattino, anche sul versante tirrenico fino a Napoli ed in Sardegna: insieme ai temporali avremo anche un diffuso calo termico su tutto lo Stivale di almeno 7-10°C nei valori massimi. Rientreremo per qualche ora nelle medie apriline.

Ma da giovedì, come detto, arriverà un nuovo ribaltone con il ritorno dell’anticiclone: il mercurio all’interno dei termometri impazzirà, prima su, poi giù e di nuovo su nel prossimo weekend, anche oltre i 30-32°C al Centro-Nord.

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Caldo record

Marzo 2024 dei record: è il più caldo della storia. Temperature globali a +1,58°C rispetto a 1850-1900

Con un nuovo record a marzo, gli ultimi 12 mesi hanno fatto registrare un incremento di temperatura globale di +1,58°C rispetto ai livelli preindustriali, rendendoli i più caldi di sempre. Continuando una serie ininterrotta di dieci record mensili, marzo 2024 rappresenta un nuovo segnale dopo un anno in cui il riscaldamento globale antropogenico, accentuato dal fenomeno El Niño, ha moltiplicato il numero di disastri naturali, mentre l’umanità non ha ancora ridotto le proprie emissioni di gas serra.

Se luglio 2023 è diventato il mese più caldo mai misurato nel mondo, ogni mese da giugno in poi ha superato il proprio record. Marzo 2024 continua la serie, con una temperatura media di 1,68°C superiore a quella di un normale marzo nel clima dell’era preindustriale (1850-1900). Lo ha annunciato il Climate Change Service (C3S) dell’osservatorio europeo Copernicus.

Negli ultimi dodici mesi, la temperatura globale è stata di 1,58°C superiore a quella dell’era preindustriale, superando il limite di 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi. Tuttavia, questa anomalia dovrebbe essere mediata su “almeno 20 anni” per considerare che il clima, e non il tempo annuale, abbia raggiunto questa soglia, sottolinea l’osservatorio. Ma “siamo straordinariamente vicini a questo limite e abbiamo già i giorni contati”, dice Samantha Burgess, vicedirettrice del C3S.

Da oltre un anno la temperatura degli oceani, i principali regolatori climatici che coprono il 70% della Terra, è più calda che mai. Il mese di marzo 2024 ha addirittura stabilito un nuovo record assoluto per tutti i mesi messi insieme, con una media di 21,07°C misurata alla loro superficie (escluse le aree vicine ai poli) da Copernicus. “È incredibilmente insolito”, sottolinea Burgess. Questo surriscaldamento minaccia la vita marina e porta a una maggiore umidità nell’atmosfera, sinonimo di condizioni meteorologiche più instabili, come venti violenti e piogge torrenziali. Inoltre, riduce l’assorbimento delle nostre emissioni di gas serra nei mari, che sono pozzi di carbonio che immagazzinano il 90% dell’energia in eccesso causata dall’attività umana. “Più calda diventa l’atmosfera globale, più numerosi, gravi e intensi saranno gli eventi estremi”, sottolinea la scienziata, citando la minaccia di “ondate di calore, siccità, inondazioni e incendi boschivi”.

Esempi recenti sono le gravi carenze idriche in Vietnam, Catalogna e Africa meridionale: dopo Malawi e Zambia, 2,7 milioni di persone rischiano la carestia in Zimbabwe, che ha dichiarato lo stato di calamità nazionale. Bogotà ha appena razionato l’acqua potabile e i timori di penuria incombono sulla campagna elettorale in Messico. Al contrario, Russia, Brasile e Francia hanno registrato notevoli inondazioni. Gli studi scientifici non hanno ancora stabilito l’influenza del cambiamento climatico su ciascun evento, ma è chiaro che il riscaldamento globale, accentuando l’evapotraspirazione e aumentando l’umidità potenziale dell’aria, sta incrementando l’intensità di alcuni episodi di precipitazione.

Da giugno, il clima mondiale è stato interessato dal fenomeno climatico naturale El Niño, sinonimo di temperature più elevate. Il fenomeno ha raggiunto il suo picco a dicembre, ma dovrebbe ancora portare a temperature continentali superiori alla norma fino a maggio, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale. Secondo il WMO, c’è la possibilità che il fenomeno opposto – La Niña – si sviluppi “nel corso dell’anno” dopo condizioni neutre (né l’uno né l’altro) tra aprile e giugno.

Verranno quindi battuti altri record nei prossimi mesi? “Se continuiamo a vedere così tanto calore sulla superficie dell’oceano è molto probabile”, avverte Burgess. Questi record stanno superando le previsioni? La questione è dibattuta dai climatologi dopo un anno straordinario, il 2023, il più caldo mai misurato. Questo calore extra “si può spiegare in larga misura, ma non del tutto”, riassume Burgess. “Il 2023 rientra nell’intervallo previsto dai modelli climatici, ma è davvero al limite esterno”, lontano dalla media, aggiunge con preoccupazione.

Le concentrazioni nell’aria di anidride carbonica (CO2), metano e ossido di azoto – i tre principali gas serra prodotti dall’uomo – aumenteranno ancora nel 2023, secondo le stime pubblicate dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense. La concentrazione di CO2 è stata in media di 419,3 parti per milione (ppm) nel 2023, con un aumento di 2,8 ppm dal 2022.

Secondo il progetto Carbon Monitor, tuttavia, le emissioni globali di CO2 nel 2023 sono aumentate solo dello 0,1% rispetto al 2022, raggiungendo 35,8 gigatonnellate. Sebbene queste stime indichino un plateau nelle emissioni umane, esse rappresentano comunque “dal 10% al 66,7% del restante budget di carbonio necessario per limitare il riscaldamento a 1,5°C”, notano gli autori.

In Italia in 17 anni 378 morti per eventi climatici: 321 per frane e valanghe

In Italia, dal 2003 al 2020 gli eventi climatici estremi hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni. Le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono risultate Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni), con un alto numero di comuni a rischio riscontrato anche in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Val d’Aosta con 8 decessi, un numero elevato se si tiene conto degli abitanti complessivi. E’ quanto emerge da uno studio ENEA, pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment, che ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi.

La mortalità è l’unico indicatore sanitario immediatamente disponibile per tutti i comuni italiani e la Banca Dati Epidemiologica dell’ENEA consente di effettuare studi sull’intero territorio nazionale utilizzando la mortalità per causa come indicatore di impatto”, spiega Raffaella Uccelli, ricercatrice del Laboratorio ENEA Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Claudia Dalmastri.

Dallo studio emerge inoltre che circa il 50% dei 247 comuni italiani con almeno un decesso è costituito da centri montani o poco abitati, dove il rischio di mortalità associata a eventi meteo-idrogeologici estremi potrebbe essere connesso alla loro fragilità intrinseca e alle difficoltà degli interventi di soccorso.

A livello demografico le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto”, sottolinea Claudia Dalmastri.

Nel nostro paese, oltre il 90% dei comuni e oltre 8 milioni di abitanti sono a rischio a causa di eventi climatici estremi, in particolare frane (1,3 milioni di abitanti) e inondazioni (6,9 milioni di abitanti). Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%) e le regioni più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste aree, eccetto il Lazio, sono state identificate come a rischio anche nello studio ENEA.

Gli eventi meteo estremi stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni. Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa quindi fondamentale per definire le azioni prioritarie di intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e di mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti”, conclude Raffella Uccelli.

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Conto salato per assicuratori: catastrofi naturali costeranno 108 mld dollari nel 2023

Le catastrofi naturali hanno causato danni per 280 miliardi di dollari in tutto il mondo nel 2023, di cui 108 miliardi coperti dalle compagnie assicurative. Lo rivela il riassicuratore Swiss Re, che avverte che il conto potrebbe raddoppiare nei prossimi 10 anni. L’ammontare dei danni e la percentuale coperta dagli assicuratori sono diminuiti rispetto all’anno precedente, mentre il conto si è gonfiato a causa dell’uragano Ian nel 2022. Tuttavia, il conto per gli assicuratori supererà ancora la soglia dei 100 miliardi di dollari per il quarto anno consecutivo, secondo quanto riportato dal riassicuratore svizzero nel suo studio annuale Sigma, che traccia il costo delle catastrofi naturali e dei disastri.

Nel 2022, i danni causati dalle catastrofi naturali sono stati pari a 286 miliardi di dollari, mentre il conto per gli assicuratori ha raggiunto i 133 miliardi di dollari. “Anche in assenza di una tempesta storica come l’uragano Ian, che ha colpito la Florida l’anno precedente, le perdite generate dalle catastrofi naturali nel 2023 sono state gravi“, ha dichiarato Jérôme Jean Haegeli, capo economista di Swiss Re.

I terremoti in Turchia e Siria sono stati i disastri naturali più costosi del 2023. Le perdite assicurate sono state pari a 6,2 miliardi di dollari e questo terremoto ha illustrato in modo “drammatico” le lacune di copertura nel mondo, sottolinea il rapporto. Le perdite economiche sono state pari a 58 miliardi di dollari, ma il terremoto ha colpito aree con scarsa copertura assicurativa, con circa il 90% delle perdite non coperte, quantifica il rapporto. I forti temporali, dal canto loro, hanno causato 64 miliardi di dollari di perdite assicurate, un nuovo record, afferma lo studio, sottolineando che questa è ora la seconda fonte di perdite per gli assicuratori dopo i cicloni tropicali. Le grandinate che accompagnano queste tempeste sono la causa principale dei danni. Gli Stati Uniti sono responsabili dell’85% delle perdite assicurate per tempeste, ma il conto è in aumento in Europa, superando i 5 miliardi di dollari all’anno negli ultimi tre anni. Il rischio di grandine, in particolare, è in aumento in Germania, Italia e Francia.

Con le temperature in aumento e gli eventi meteorologici estremi che diventano “più frequenti e intensi“, il conto delle catastrofi naturali per gli assicuratori potrebbe “raddoppiare nei prossimi dieci anni“, avverte Swiss Re.