Il governo francese ai lavoratori: non superate i 110 km/h in autostrada, così si riducono le emissioni di Co2

Il governo francese vuole incoraggiare i dipendenti a rallentare per recarsi al lavoro o nei viaggi d’affari, non superando i 110 km/h in autostrada, per ridurre le emissioni di CO2 e il consumo energetico complessivo. Oggi il ministro Agnès Pannier-Runacher ha chiesto ai responsabili delle grandi aziende, tra cui quelle del Cac40 e del Sbf120 che fanno parte dell’Associazione francese delle aziende private, di inserire la richiesta di riduzione della velocità nelle discussioni del dialogo sociale per “ancorare la sobrietà al tempo”.

In occasione di un incontro con i rappresentanti di una sessantina di queste aziende per fare una prima valutazione delle misure di sobrietà attuate dall’autunno, ha ricordato che l’obiettivo finale è quello di raggiungere una “riduzione del 40% del consumo energetico” nel Paese entro il 2050. Chiedere ai dipendenti di guidare a 110 km/h in autostrada rappresenta “tre minuti su un viaggio di 50 chilometri, ma il 20% in meno di emissioni di CO2 e di consumo di carburante”, ha detto. Questa misura è già stata adottata dalle amministrazioni per i dipendenti statali.
Mentre le aziende hanno reagito bene al piano di sobrietà e hanno ridotto drasticamente i loro consumi di gas ed elettricità lo scorso inverno, “il consumo di carburante” è l’unico a non essere diminuito nel 2022 rispetto al 2021, ha osservato l’esperta. Il governo chiede quindi alle aziende di “fissare obiettivi quantificati di riduzione dei consumi energetici” (carburanti, elettricità, gas), di “far convalidare questi obiettivi da organi interni di alto livello come il consiglio di amministrazione o il comex” e, infine, di “pubblicarli su internet o su piattaforme dedicate come quella sostenuta dallo Stato chiamata ‘Le aziende si impegnano'”. Inoltre, il governo vorrebbe che le direzioni aziendali affrontassero un’altra questione nel contesto del dialogo sociale: come organizzare il telelavoro in modo che porti a un effettivo risparmio energetico.

Secondo uno studio condotto dall’Agenzia per l’ambiente e la gestione dell’energia (Ademe) e dall’Istituto per le prestazioni degli edifici, il telelavoro ha un impatto molto ridotto sul consumo energetico quando solo alcuni dei dipendenti sono assenti, ma consente un risparmio energetico complessivo del 20-30% quando un sito è chiuso per tutto il giorno. Il ministro ha inoltre ricordato le linee guida per l’estate, ovvero l’assenza di aria condizionata al di sotto dei 26 gradi, e ha chiesto alle aziende di “prestare attenzione ai costi energetici legati alla ventilazione degli edifici”.

norvegia

Energia, l’esperienza norvegese: gas, petrolio e stoccaggio di Co2

Leader nell’estrazione di gas e petrolio, ma anche capofila nella Ccs, la Carbon Capture and Storage (cattura, trasporto e stoccaggio di anidride carbonica).

Sono decenni che la Norvegia corre più veloce degli altri per coniugare sviluppo ed ecologia. Così, dalla sua residenza romana, l’ambasciatore Johan Vibe riunisce il gotha della ricerca e rivendica l’esperienza e la creatività di Oslo “quando si tratta di trasformare la transizione energetica in realtà“. Il paese è “importante partner energetico per l’Europa“, osserva il diplomatico: “Si parla dell’Italia come futuro hub energetico d’Europa, noi lo siamo già nel mare del Nord“.

La Norvegia aderisce agli stessi obiettivi climatici dell’Unione Europea e ha già compiuto passi fondamentali verso un futuro a basse emissioni. Nella corsa verso la transizione, ha attivato strumenti diversi e diverse tecnologie. Per anni, ad esempio, è stata uno dei principali partner nei progetti forestali per salvaguardare i pozzi di carbonio naturali. Però il Paese individua anche un grande bisogno di “pozzi tecnici di carbonio“, quelli dedicati alla cattura e stoccaggio, appunto. Soprattutto nei settori “difficili da abbattere” dell’industria, che contribuiscono a circa il 30% delle emissioni globali.

Oltre 20 anni di esperienza nella Ccs e un grande potenziale per lo stoccaggio offshore. Nella residenza di Porta Pinciana, l’ambasciatore apre le porte ad Anne-Mette Cheese, senior advisor di Gassnova, l’azienda di Stato controllata dal ministero dell’Energia norvegese, che lavora ad assicurare che cattura, trasporto e stoccaggio della Co2 possano diventare una soluzione rilevante nella mitigazione dei cambiamenti climatici; Jan Theulen, direttore tecnologie di Heidelberg Materials, azienda che prevede di catturare 400mila tonnellate di Co2 all’anno per lo stoccaggio permanente e realizzerà il primo progetto al mondo di Ccs su scala industriale in un impianto di produzione del cemento a Brevik; Olav Oye, senior advisor di Bellona Foundation, una no profit indipendente fondata nel 1986, che punta a combattere i cambiamenti climatici implementando soluzioni soluzioni sostenibili; Renata Menguolo, principal geologist di Northern Lights, primo progetto commerciale al mondo per la ‘fase 2’, che fornisce servizio aperto a clienti di trasporto e stoccaggio di Co2.

Sono tutti coinvolti nella costruzione della catena del valore necessaria per trasformare questa tecnologia in “un vero punto di svolta“, scandisce Vibe: “Proteggerà e creerà posti di lavoro, aiutandoci a garantire una giusta transizione verso Net Zero”. L’obiettivo è informare e condividere le esperienze sulla Ccs in Europa. La cooperazione con i vicini nel Mare del Nord è già partita, con il trasporto del carbonio per lo stoccaggio nella piattaforma norvegese e l’invio di idrogeno in cambio. Sull’esperienza è già partito un tavolo di stakeholder tra Oslo e Roma per discutere di come si possa esportare nel Mediterraneo.

Innes FitzGerald

Atleta inglese 16enne rinuncia ai Mondiali in Australia: “Troppa Co2 per il viaggio in aereo”

Cara British Athletics, avere l’opportunità di gareggiare per la Gran Bretagna in Australia è un privilegio. Tuttavia, è con grande rammarico che devo rifiutare questa opportunità”. Si apre così una breve lettera, pubblicata da Athletics Weekly, con cui Innes FitzGerald, giovane promessa inglese della corsa di resistenza, comunica alla federazione atletica del suo Paese di non voler prendere parte ai campionati mondiali di corsa campestre che si svolgeranno in Australia. Il motivo? La “profonda preoccupazione” che l’impatto di un volo così lungo avrebbe sull’ambiente.

Avevo solo nove anni – scrive FitzGerald – quando è stato firmato l’accordo sul clima alla Cop21 di Parigi. Ora, a distanza di otto anni, le emissioni globali sono aumentate costantemente, avviandoci verso una catastrofe climatica. Sir David King, ex consulente scientifico capo del governo, ha dichiarato: ‘Quello che faremo, credo, nei prossimi tre o quattro anni determinerà il futuro dell’umanità’. La scienza è chiara. Una svolta è possibile solo grazie a un cambiamento trasformativo derivante da un’azione collettiva e personale”. Ecco perché “non mi sentirei mai a mio agio a volare sapendo che le persone potrebbero perdere i loro mezzi di sostentamento, le loro case e i loro cari. Il minimo che possa fare è esprimere la mia solidarietà a coloro che soffrono in prima linea a causa del collasso climatico. Arrivare a una decisione non è stato facile, ma non è paragonabile al dolore che proverei nel prendere il volo”.

Una decisione forte da parte della 16enne, che però non è nuova a questo genere di iniziativa. Aveva fatto notizia, infatti, la sua decisione di arrivare dalla sua casa di Exeter, nel Devon, fino a Torino per una gara pochi giorni fa utilizzando solo treno, bus e bicicletta, proprio per la sue riluttanza a prendere aerei. Per il viaggio, insieme alla sua famiglia, ha preso un pullman notturno per Lille prima di prendere un treno per Torino via Parigi. E per percorrere il tragitto fra le stazioni, circa 20 minuti, hanno utilizzato tutti solo biciclette pieghevoli. La mia famiglia è attenta all’ambiente quanto me“, ha detto l’atleta a Athletics Weekly. “Viviamo in una casa ‘passiva’ in una piccola azienda che coltiva frutta e verdura. Quindi mio padre era felice che non volassimo. L’aviazione è l’attività più energivora che possiamo svolgere e fa esplodere l’impronta di carbonio di una persona. Non voglio tutto questo sulla mia coscienza”.

Photo credits: Instagram @innes_fitzgerald

Clima, triste record europeo: estate del 2022 la più calda di sempre

Il 2022 è stato l’anno dei record – in negativo – per il clima: il quinto anno più caldo di sempre e il secondo più caldo in Europa (in quest’ultimo caso, dopo il 2020). È quanto emerge dal rapporto ‘Global Climate Highlights 2022’ di Copernicus, il sistema di monitoraggio climatico europeo, in base al quale si evidenzia che negli scorsi 12 mesi si sono registrati “estremi climatici, con molti record di temperature elevate e concentrazioni di gas serra in aumento nell’atmosfera”. Ma all’Europa spettano anche altri privati: l’estate del Vecchio Continente è stata, infatti, la più calda di sempre. 

+1,2 °C RISPETTO AL PERIODO PREINDUSTRIALE. Dal rapporto, inoltre, si evince che gli anni 2015-2022 sono stati gli otto più caldi di sempre: sono infatti stati superati diversi record di temperatura elevata sia in Europa sia nel resto del mondo, mentre altri eventi estremi come siccità e inondazioni hanno colpito vaste regioni. La temperatura media annuale dello scorso anno è stata di 0,3°C superiore al periodo di riferimento 1991-2020, che equivale a circa 1,2°C in più rispetto al periodo 1850-1900. Questo fa del 2022 l’ottavo anno consecutivo di temperature superiori di oltre 1°C al livello preindustriale. Inoltre, ogni mese estivo boreale del 2022 è stato almeno il terzo più caldo a livello globale. Per il 2022, le temperature hanno superato di oltre 2°C la media del periodo di riferimento 1991-2020 in alcune parti della Siberia centro-settentrionale e lungo la Penisola Antartica. Le regioni che hanno registrato l’anno più caldo in assoluto includono gran parte dell’Europa occidentale, il Medio Oriente, l’Asia centrale e la Cina, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda, l’Africa nord-occidentale e il Corno d’Africa.

I RECORD EUROPEI. L’estate del 2022 è stata la più calda mai registrata in Europa, con un netto margine rispetto a quella del 2021. L’autunno dello scorso anno, invece, è stato il terzo più caldo mai registrato, battuto solo da quelli del 2020 e del 2006. Le temperature invernali del 2022, inoltre, sono state di circa 1°C superiori alla media, collocando quello dello scorso anno tra i dieci inverni più caldi.  Al contrario, le temperature primaverili dell’Europa nel suo complesso sono state appena inferiori alla media del periodo di riferimento 1991-2020. In termini di medie mensili, nove mesi sono stati superiori alla media, mentre tre – marzo, aprile e settembre – sono stati inferiori. Il continente ha registrato il secondo giugno più caldo mai registrato, con circa 1,6°C sopra la media, e il suo ottobre più caldo, con temperature di quasi 2°C sopra la media. in tutti i Paesi – a eccezione dell’Islanda – le temperature annuali sono state superiori alla media 1991-2020 e diversi Paesi dell’Europa occidentale e meridionale hanno registrato le temperature annuali più alte almeno dal 1950. “Il 2022 – spiega Samantha Burgess, vicedirettrice del Copernicus Climate Change Service – è stato un altro anno di estremi climatici in Europa e nel mondo. Questi eventi evidenziano che stiamo già sperimentando le conseguenze devastanti del riscaldamento climatico”. Per questo, dice, “per evitare le conseguenze peggiori, la società dovrà ridurre urgentemente le emissioni di anidride carbonica e adattarsi rapidamente ai cambiamenti climatici”.

AUMENTANO I GAS SERRA. Il rapporto, inoltre, evidenzia che i gas serra atmosferici, nel corso del 2022, hanno continuato ad aumentare. L’analisi preliminare dei dati satellitari mostra che le concentrazioni di anidride carbonica sono aumentate di circa 2,1 ppm, mentre il metano è aumentato di circa 12 ppb.  Il risultato è una media annuale per il 2022 di circa 417 ppm per l’anidride carbonica e 1894 ppb per il metano. Per entrambi i gas si tratta delle concentrazioni più elevate registrate dai satelliti e, includendo altri record, dei livelli più alti da oltre 2 milioni di anni per l’anidride carbonica e da oltre 800.000 anni per il metano. “I gas a effetto serra, tra cui l’anidride carbonica e il metano – spiega Vincent-Henri Peuch, direttore del Servizio di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus – sono i principali responsabili del cambiamento climatico e dalle nostre attività di monitoraggio possiamo constatare che le concentrazioni atmosferiche continuano ad aumentare senza segni di rallentamento”.

 

Enea

Enea: In Italia da aprile a settembre +6% emissioni CO2, rinnovabili in calo dell’11%

È tutt’altro che positivo il quadro che emerge dall’Analisi Enea del sistema energetico italiano per il II e III trimestre dell’anno. Se, da un lato, evidenzia infatti consumi di gas più bassi, dall’altro si registra anche un calo delle rinnovabili, oltre alla crescita delle emissioni di CO2 e un forte peggioramento dell’indice della transizione energetica Ispred (-60% nel III trimestre). Dai primi nove mesi dell’anno, quindi, giungono segnali di criticità: a fronte di consumi di energia sostanzialmente fermi, con la previsione di un calo dell’1,5% sull’intero 2022, le emissioni di CO2 sono cresciute del 6%, con una stima di aumento di oltre il 2% a fine 2022. D’altra parte, a fronte del maggiore ricorso alle fonti fossili che stanno quasi tornando ai livelli pre-pandemia (+8% petrolio e + 47% carbone) e di una riduzione del 3% dei consumi di gas, le rinnovabili hanno registrato un calo dell’11%, dovuto a una riduzione dell’idroelettrico che l’aumento di solare ed eolico non è riuscito a compensare.
“Il forte calo dell’indice Enea-Ispred è da collegarsi in particolare al peggioramento della componente decarbonizzazione, scesa al valore minimo della serie storica”, spiega Francesco Gracceva, il coordinatore dell’Analisi trimestrale Enea. “In questo scenario – continua – l’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 potrà essere raggiunto solo se nei prossimi otto anni riusciamo a ottenere una riduzione media annua di quasi il 6%”.

Sul fronte della sicurezza energetica, l’analisi evidenzia il peggioramento dell’adeguatezza del sistema gas. “In vista del prossimo inverno richiede particolare attenzione la capacità delle infrastrutture gas di coprire la punta di domanda: infatti, nel caso di un completo azzeramento dei flussi dalla Russia (scesi sotto al 20% dell’import totale nei primi nove mesi, ma già quasi a zero a ottobre), risulterebbe molto difficile coprire punte di domanda legate a picchi di freddo intenso che investano l’intero territorio nazionale”, commenta Gracceva.
Lato prezzi, se per il gas gli incrementi registrati in Italia sono simili alla media europea, nel caso dell’elettricità gli aumenti sono stati all’incirca doppi di quelli registrati nell’Ue, in particolare nel caso delle imprese. “Rispetto al 2021 un’impresa con consumi medio-bassi ha visto aumentare i prezzi di elettricità e gas rispettivamente del 60% e del 120% nel primo semestre 2022, mentre nell’intero 2022 supereranno di ben oltre il 50% i precedenti massimi storici”, sottolinea Gracceva.
A livello di settori, nel periodo gennaio-settembre 2022, i consumi sono diminuiti considerevolmente nell’industria, con un calo particolarmente accentuato nel III trimestre (-15%), mentre è continuata la forte ripresa dei trasporti, sebbene a tassi progressivamente più contenuti (+12% nei nove mesi, +4% nel III trimestre). L’aumento delle emissioni, invece, è riconducibile quasi interamente alla produzione di energia elettrica e calore, alle raffinerie e alle industrie energivore.
“Un segnale importante è che i consumi di energia hanno iniziato a contrarsi in misura progressivamente maggiore rispetto alla dinamica di fattori determinanti come l’andamento del PIL, produzione industriale, mobilità e clima. Un trend simile si è stato registrato in tutta Europa con un calo della domanda dello 0,7% nei primi nove mesi dell’anno”, spiega Gracceva. “È evidente -aggiunge – che la riduzione sia stata determinata fortemente anche dagli alti prezzi dell’energia che hanno imposto a molte imprese energivore uno stop delle attività. Tuttavia, nei prossimi mesi sarà fondamentale verificare se la contrazione possa andare oltre, come effetto delle misure di risparmio energetico”.

In termini di fonti primarie i primi nove mesi del 2022 hanno visto proseguire la risalita delle fonti fossili: i consumi di petrolio sono cresciuti dell’8%, avvicinandosi ai valori pre-pandemici. Ancora più marcato l’aumento dei consumi di carbone (+47%), che a fine anno torneranno non lontani dai livelli del 2018. In forte diminuzione invece i consumi di gas naturale (-3% nei nove mesi, -8% nel III trimestre) e di fonti rinnovabili, in calo costante dell’11% circa in tutti e tre i primi trimestri dell’anno. La performance delle rinnovabili è stata influenzata negativamente dalla significativa riduzione dell’idroelettrico (-25% rispetto al minimo degli ultimi 15 anni), non compensato dall’aumento del 9% di eolico e solare nei primi nove mesi dell’anno, ai massimi storici nel periodo con una quota del 16,3% sulla richiesta di energia elettrica e un picco del 21,7% ad aprile.
L’Enea evidenzia anche un problema sulle materie prime, la cui disponibilità potrebbe risultare un collo di bottiglia per la transizione energetica. Infatti, i dati indicano una pressoché totale dipendenza dell’Ue dall’estero per terre rare, platino e litio (100%), tantalio (99%) e cobalto (86%). Dipendenza ancora più forte per l’Italia, dove le Crm hanno un’incidenza sul Pil pari al 32% e sull’export all’86%. “L’eventualità di non poter soddisfare al 2030 la domanda di energia eolica e per i veicoli elettrici è molto forte”, conclude Gracceva.

strade

Trasporti responsabili di un quarto delle emissioni di CO2

Viaggiare inquina. Secondo i dati pubblicati dall’Emissions Database for Global Atmospheric Research (EDGAR), nel 2020 il mondo dei trasporti è stato responsabile di circa un quinto del totale delle emissioni di CO2 a livello globale, arrivate a sfiorare i 36 miliardi di tonnellate. Dai numeri emerge anche il peso preponderante dei trasporti su strada in termini di inquinamento: auto, mezzi pesanti, autobus, veicoli commerciali e moto/scooter arrivano assieme al 78% delle emissioni generate dal settore. A seguire ci sono i mezzi marittimi (11%), gli aerei (8%) e i mezzi su rotaia (appena il 3%).

Il quadro si conferma simile, se non peggiore, restringendo l’analisi alla sola Unione europea. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente (Eea), attualmente i trasporti sono la fonte di circa un quarto delle emissioni di CO2 e la quota legata a veicoli su strada arriva a toccare il 71,7%, precedendo la navigazione (14,1%) e l’aviazione (13,4%). Non solo: a preoccupare è il trend legato al comparto mobilità, opposto a quello di tutti gli altri principali macrosettori. L’Eea, nel suo Transport and environment report 2021 evidenzia come le politiche in materia di clima ed energia nell’Ue hanno portato, tra il 2000 e il 2019, a riduzioni significative delle emissioni di gas serra in campi come la produzione di energia, l’industria manifatturiera, l’edilizia e l’agricoltura. Nei trasporti invece le emissioni totali di gas serra sono aumentate di oltre un terzo nello stesso lasso di tempo, mentre considerando soltanto i veicoli su strada il balzo è del 28%.

La situazione è senza dubbio destinata a migliorare nei prossimi anni, anche se con un ritmo quasi certamente non sufficiente per raggiungere i target di decarbonizzazione fissati da Bruxelles. In particolare, secondo la Commissione Ue le emissioni di CO2 dei trasporti saranno ancora superiori del 3,5% nel 2030 rispetto al 1990 e diminuiranno solo del 22% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Cifre ben lontane da quanto previsto nel Green Deal europeo dove, pur non essendo fissati obiettivi specifici per settore, si parlava della necessità di una riduzione del 90% delle emissioni di gas a effetto serra dai trasporti entro il 2050 (rispetto al 1990) per arrivare al traguardo complessivo della neutralità climatica nell’Ue. Non stupisce quindi la messa al bando, dopo mesi di trattative, in tutta l’Ue delle automobili a combustione a partire dal 2035. Anche perché, sempre secondo i dati dell’Eea riferiti al 2019, le automobili sono il mezzo di mobilità meno pulito, arrivando a produrre il 60,6% di tutte le emissioni del comparto trasporti.

La situazione italiana collima solo in parte con quella comunitaria, mostrando alcune peculiarità significativa del nostro paese. La quota dei trasporti sul totale di emissioni di gas serra si è attestata nel 2019 (dati dell’Ispra) al 25,2%, in linea quindi con il contesto complessivo dell’Ue. In Italia però si nota l’ancora più netta preponderanza del trasporto su strada dal quale deriva addirittura il 92,6% dell’inquinamento. Decisamente ridotto l’impatto della navigazione (4,3%) e dell’aviazione (2,3%), praticamente inesistente quello dei mezzi su rotaia (0,1%). Numeri che fotografano perfettamente l’eccessiva dipendenza dell’Italia nei confronti del trasporto su gomma e l’attuale arretratezza in tema di intermodalità gomma-ferro. Con un problema in più: il peso preponderante, rispetto a altri Paesi, dei carburanti fossili, con i consumi di gasolio e benzina che rappresentano circa l’88% del consumo totale su strada.

Per quanto riguarda il trend, le emissioni di gas serra dei trasporti in Italia sono aumentate del 3,2% tra il 1990 e il 2019, mentre quelle del trasporto su strada sono salite leggermente di più (+3,9%). Anche nel nostro Paese però sono attesi miglioramenti significativi, favoriti sia dalle politiche più green in tema di trasporti sia dall’evoluzione tecnologica. Secondo Ispra, nel 2030 le emissioni di CO2 da trasporto su strada diminuiranno del 39% rispetto al 1990, passando da circa 97 a 59 milioni di tonnellate: una tendenza, questa, nettamente migliore rispetto a quella complessiva dell’Ue. Entro il 2050 il calo proseguirà fino a raggiungere i 22 milioni di tonnellate.

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Ue sempre più insostenibile: aumentano le emissioni di Co2

L’Ue del Green Deal aumenta la sua insostenibilità. Questo almeno suggeriscono i numeri. Nel secondo trimestre del 2022 l’economia a dodici stelle nel suo complesso ha liberato in atmosfera 905 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (CO2-eq), una quantità di gas a effetto serra superiore del 3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Attenzione, però. Eurostat, nel diffondere i numeri, sottolinea come questo incremento tra aprile-giugno 2021 e aprile-giugno 2022 sia il risultato della ‘riaccensione’ dell’economia dei Ventisette dopo lo stop dovuto alla crisi sanitaria. “L’aumento documentato è in gran parte correlato all’effetto della ripresa economica a seguito del forte calo dell’attività dovuto alla crisi Covid-19”.

Ue dunque con più CO2 prodotta, ma rispetto ad una situazione che vedeva il tessuto produttivo non produrre e, quindi, non emettere. Il dato del secondo trimestre 2022 rileva in realtà una riduzione in termini di insostenibilità. Tra gennaio e marzo l’Ue ha prodotto 1.011.276.753 tonnellate di CO2 equivalente. Tra aprile e giugno si registra dunque una riduzione di 106mila tonnellate di anidride carbonica. Se poi si considera il quarto trimestre 2021, dove l’economia Ue ha sprigionato 1.026.134.414 tonnellate del gas clima-alterante, i 905 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti tra aprile e giugno scorsi segnano un -121mila tonnellate nel raffronto.

Dunque l’Ue ha iniziato ad emettere di più, per poi iniziare una parabola discendente nel primo trimestre dell’anno in corso e confermata, ancora di più, nel secondo trimestre. Su questa tendenza di riduzione l’istituto di statistica europeo non si pronuncia, ma va considerato come a fine febbraio sia iniziata l’aggressione russa all’Ucraina, tuttora in corso. Possibile che le ricadute economiche abbiano iniziato a ‘spegnere’ nuovamente la produzione. Le recenti previsioni economiche della Commissione europea del resto confermano come la guerra abbia fermato la crescita.
Ad ogni modo tra aprile e giugno 2022 i settori economici responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra sono stati manifatturiero (23%), fornitura di energia elettrica e gas (19%) e famiglie (17%), seguiti da trasporti e stoccaggio (14%) e agricoltura (13%).

La Norvegia si candida a ‘cimitero’ della CO2 europea

Sulle coste ghiacciate del Mare del Nord, un ‘cimitero’ in costruzione sta suscitando le speranze degli esperti di clima: presto il sito ospiterà una piccola parte della CO2 emessa dall’industria europea, evitando così che finisca nell’atmosfera. Considerata a lungo una soluzione tecnicamente complicata e costosa di utilità marginale, la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) è ora in voga in un pianeta che sta lottando per ridurre le proprie emissioni nonostante l’emergenza climatica.

Nella città di Øygarden, su un’isola vicino a Bergen (Norvegia occidentale), un terminale attualmente in costruzione riceverà tra qualche anno tonnellate di CO2 liquefatta, che verrà trasportata dal Vecchio Continente via nave dopo essere stata catturata alla fine delle ciminiere delle fabbriche. Da lì, il carbonio sarà iniettato tramite una conduttura in cavità geologiche a 2.600 metri di profondità. L’ambizione è che rimanga lì a tempo indeterminato.

Si tratta della “prima infrastruttura di trasporto e stoccaggio ad accesso libero al mondo, che consente a qualsiasi emettitore che abbia catturato le proprie emissioni di CO2 di prenderle in carico, trasportarle e stoccarle in modo permanente e in totale sicurezza“, sottolinea il direttore del progetto Sverre Overå. In quanto maggior produttore di idrocarburi dell’Europa occidentale, si ritiene che la Norvegia abbia anche il maggior potenziale di stoccaggio di CO2 del continente, in particolare nei suoi giacimenti petroliferi esauriti.

ACCORDI COMMERCIALI

Il terminal Øygarden fa parte del piano ‘Langskip’, il nome norvegese delle navi vichinghe. Oslo ha finanziato l’80% dell’infrastruttura mettendo sul piatto 1,7 miliardi di euro per sviluppare la CCS nel Paese. Due siti nella regione di Oslo, un cementificio e un impianto di termovalorizzazione, dovrebbero infine inviarvi la loro CO2. Ma la particolarità del progetto sta nel suo aspetto commerciale, in quanto offre anche agli industriali stranieri la possibilità di inviare la propria anidride carbonica. A tal fine, i giganti dell’energia Equinor, TotalEnergies e Shell hanno creato una partnership, denominata Northern Lights, che sarà il primo servizio di trasporto e stoccaggio transfrontaliero di CO2 al mondo quando entrerà in funzione nel 2024. Negli ultimi giorni sono state raggiunte due importanti pietre miliari per la CCS in Norvegia. Lunedì scorso, i partner dell’aurora boreale hanno annunciato un primo accordo commerciale transfrontaliero che prevede il trasporto e il sequestro di 800.000 tonnellate di CO2 catturate nell’impianto olandese del produttore di fertilizzanti Yara, a partire dal 2025, tramite speciali imbarcazioni. Il giorno successivo, Equinor ha presentato un progetto con la tedesca Wintershall Dea per la costruzione di un gasdotto di 900 chilometri per il trasporto di CO2 dalla Germania alla Norvegia per lo stoccaggio. Un progetto simile con il Belgio è già in cantiere.

NESSUNA SOLUZIONE MIRACOLOSA

Tuttavia, la CCS non è una soluzione miracolosa al riscaldamento globale. Nella sua prima fase, Northern Lights sarà in grado di trattare 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una capacità che sarà poi aumentata a 5-6 milioni di tonnellate. A titolo di confronto, l’Unione Europea ha emesso 3,7 miliardi di tonnellate di gas serra nel 2020, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente. Ma sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che l’Agenzia internazionale dell’energia ritengono che questo strumento sia necessario per contenere l’aumento della temperatura. Gli ambientalisti non sono unanimi nel sostenere la tecnologia. Alcuni temono che venga utilizzato come motivo per prolungare lo sfruttamento dei combustibili fossili, che distolga investimenti preziosi dalle energie rinnovabili o che si verifichino perdite. “Siamo sempre stati contrari alla CCS, ma la mancanza di azioni sulla crisi climatica rende sempre più difficile mantenere questa posizione“, afferma Halvard Raavand, rappresentante di Greenpeace Norvegia. “Il denaro pubblico sarebbe meglio investito in soluzioni che sappiamo essere efficaci e che potrebbero anche ridurre le bollette per le persone normali, come l’isolamento delle case o i pannelli solari“, spiega.

mare nord norvegia

Co2 stoccata a 2600 m sotto al mare: via progetto Northern Lights

Al largo di Øygarden, nel Mare del Nord norvegese, a 2.600 metri sotto il fondale, dall’inizio del 2025 verranno sepolte 800mila tonnellate di CO2 all’anno. Compresse e liquefatte nei Paesi Bassi, saranno poi trasportate trasportate nel sito Northern Lights. Si tratta di un progetto norvegese di stoccaggio di CO2 di proprietà alla pari di TotalEnergies, Equinor e Shell, che ha annunciato un primo accordo commerciale che costituisce “un passo importante nella decarbonizzazione dell’industria pesante in Europa“. La cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CO2) è uno dei modi per ridurre il rilascio di questo gas serra nell’atmosfera.

La joint venture ha firmato il primo accordo con il produttore norvegese di fertilizzanti minerali Yara “per il trasporto e il sequestro della CO2 catturata presso il sito Yara Sluiskil, un impianto di ammoniaca e fertilizzanti nei Paesi Bassi“. Il contratto rappresenta “un passo importante nella decarbonizzazione dell’industria pesante in Europa, aprendo il mercato del trasporto e dello stoccaggio transfrontaliero di CO2“, ha riassunto Northern Lights nella sua dichiarazione.

Dall’inizio del 2025, 800.000 tonnellate di CO2 all’anno saranno catturate, compresse e liquefatte nei Paesi Bassi, quindi trasportate al sito Northern Lights, dove saranno sepolte in modo permanente in strati geologici a circa 2.600 metri sotto il fondale marino, al largo di Øygarden, nel Mare del Nord norvegese“, ha dichiarato TotalEnergies in un comunicato separato.

In occasione di un incontro con la stampa, il ministro norvegese dell’Energia Terje Aasland ha salutato questo “passo importante” e un grande “giorno per la storia e per il futuro“, mentre Anders Opedal, amministratore delegato di Equinor, lo ha definito “una dimostrazione che le ambizioni climatiche possono essere trasformate in azioni reali“. “Dimostreremo che la CCS (Cattura e sequestro del carbonio, ndr) è uno strumento per l’ambizione climatica dell’Europa“, ha dichiarato Børre Jacobsen, direttore di Northern Lights. Sottolineando inoltre che Yara, con questo primo contratto, “riempirà la capacità disponibile del nostro sito Northern Lights Phase 1“.

Mentre gli impianti della prima fase del progetto dovrebbero stoccare fino a 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, Equinor ha affermato che Northern Lights si sta preparando per una seconda fase che “aumenterà la sua capacità totale fino a 5-6 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Lo scorso dicembre, il governo norvegese ha accettato di finanziare l’80% dei 6,9 miliardi di corone (650 milioni di euro) necessari per la prima fase di costruzione.

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L’Ue verso un quadro normativo sui certificati di cattura di CO2

Riciclare, rimuovere, immagazzinare in maniera “sostenibile” la CO2 che contribuisce ai cambiamenti climatici in maniera sostanziale. Per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (con zero nuove emissioni nette entro la metà del secolo) l’Unione europea lavora da una parte per tagliare le emissioni di carbonio generate dalla propria economia e attività; dall’altra, intende lavorare a strategie per immagazzinare più carbonio in natura (attraverso l’agricoltura del carbonio, la cosiddetta ‘carbon farming’ o dalle foreste, grazie al loro potenziale naturale di assorbimento della CO2) e promuovere soluzioni industriali e tecnologie per rimuovere e riciclare il carbonio in modo sostenibile e verificabile.

Questo perché anche introducendo misure per ridurre la produzione di carbonio, è importante contrastare l’accumulo di CO2 nell’atmosfera, che rappresenta una delle principali cause del riscaldamento globale. A dicembre 2021 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sui “cicli sostenibili del carbonio” fissando l’impegno che entro il 2030 le iniziative di stoccaggio del carbonio nei suoli agricoli portino a immagazzinare 42 Mt (Mega tonnellate) di CO2 nei pozzi di assorbimento naturali europei. “Entro il 2050, ogni tonnellata di CO2 equivalente emessa nell’atmosfera dovrà essere neutralizzata da una tonnellata di CO2 rimossa dall’atmosfera” in modo da compensare e contribuire alla neutralità, ovvero zero nuove emissioni nette. Ma è necessario capire come fare a calcolare e verificare le emissioni che sono realmente immagazzinate.

La comunicazione ha solo fissato l’impegno dell’Ue a invertire la rotta, promettendo però che entro il 2022 arriverà un quadro normativo, incentrato su una proposta legislativa per introdurre i certificati delle rimozioni di carbonio, in modo che i dati sull’immagazzinamento siano effettivamente verificabili tra Stati membri. L’esecutivo europeo ha in mano la grande sfida di creare uno schema di certificazione in modo che le misure di rimozione del carbonio siano credibili e trasparenti. Ad esempio, uno dei rischi legati all’assorbimento è che il carbonio venga riemesso nell’atmosfera in modo incontrollato (quella che Bruxelles definisce la “non permanenza” degli assorbimenti).

Tra le azioni per contribuire alla rimozione della CO2, un ruolo importante giocherà l’agricoltura e la promozione di pratiche di coltivazione del carbonio nell’ambito della Politica agricola comune (PAC), come la semina di colture di copertura nei terreni vuoti. Bruxelles punta molto sull’agricoltura smart e sequestro di anidride carbonica dai terreni agricoli per la neutralità climatica. In uno studio ne ha riconosciuto il ruolo per “contribuire in modo significativo agli sforzi dell’UE per affrontare il cambiamento climatico”, con benefici in termini di sequestro e stoccaggio del carbonio ma anche per quanto riguarda l’aumento della biodiversità e la conservazione degli ecosistemi.