Pnrr, Corte dei Conti Ue: Governi a rilento, obiettivi entro 2026 a rischio

Il governo Meloni non è messo male. Al contrario, il percorso che conduce all’attuazione del piano per la ripresa (Pnrr) appare uno dei più brillanti: per risorse erogate dal meccanismo per la ripresa post-pandemico è il terzo Stato membro dell’Ue, con il 46% di quanto spetta già messo a disposizione delle autorità competenti.

Anche sul lavoro svolto, l’Italia è sul podio di quanti hanno completato in modo completo e soddisfacente gli impegni assunti. Il tasso tricolore è del 34%, un terzo del percorso di riforme. Eppure tutto questo potrebbe non bastare. Palazzo Chigi, al pari degli altri governi europei, deve agire con senso di urgenza e senza ritardi, perché in Italia come altrove si fa fatica a utilizzare le risorse del Recovery Fund messe a disposizione per finanziare i piani nazionali per la ripresa. A Roma come nella altre capitali si procede “a rilento”, avverte la Corte dei conti Ue, il che implica che gli Stati membri “potrebbero non essere in grado di attingere ai fondi o assorbirli per tempo”, e quindi “non completare” le misure e le riforme previste entro il 2026, scadenza fissata per l’utilizzo di tutte le risorse europee. La speciale relazione dei revisori di Lussemburgo accende un vero e proprio campanello d’allarme. In sintesi “rimangono a rischio il completamento delle misure e, quindi, il conseguimento degli obiettivi del dispositivo stesso”.

Sul Recovery Fund e il primo strumento di debito comune si rischia dunque il fallimento, dunque. A meno di concedere più tempo agli Stati, come già chiesto dall’Italia e peraltro già suggerito dalla Banca centrale europea nelle scorse settimane. Precisazione d’obbligo: la situazione di difficoltà riguarda tutti, non si tratta di una realtà solo italiana. Anzi, fin qui il Paese sta facendo bene: alla fine del 2023 sono state presentate tutte le richieste di pagamento previste. Ma è la fase operativa che un po’ ovunque preoccupa la Corte dei Conti dell’Ue. “I prefinanziamenti hanno facilitato inizialmente l’erogazione dei fondi, ma l’assorbimento de Recovery Fund sta subendo ritardi e non è necessariamente detto che i fondi abbiano raggiunto i destinatari finali“.

Diversi i motivi alla base dei ritardi, cause che differiscono da uno Stato membro all’altro. Tra i più frequenti però circostanze esterne quali inflazione o carenze di approvvigionamento, la sottovalutazione del tempo necessario per attuare le misure, e le sfide connesse alla capacità amministrativa degli Stati membri. Una sfida, quest’ultima, vera soprattutto per l’Italia. La Corte dei Conti, nella relazione di oltre 60 pagine, rileva come nel marzo 2023 l’istituzione superiore di controllo italiana ha rilevato “difficoltà relative all’elevato avvicendamento del personale assunto” e ha sottolineato anche che le procedure per l’attuazione del Pnrr “erano complesse e molte autorità non disponevano ancora dell’organico necessario“.

C’è però un dato generale che non sfugge ai revisori di Lussemburgo e che mette gli stessi in apprensione, ed è la tabella di marcia. Un’analisi dei singoli Stati membri rivela che 16 Stati membri prevedevano di completare i traguardi e gli obiettivi relativi ad almeno il 30 per cento dei propri investimenti solo nel 2026, con valori che andavano dal 30 per cento nel caso della Spagna al 62 per cento nel caso dell’Italia e al 70 per cento in quello della Polonia.

Emerge dunque una difficoltà generale nel fare le riforme nei tempi che pure l’Ue si è data, e la necessità dei correttivi del caso per evitare che il Recovery Fund fallisca. “Lanciamo un segnale d’allarme“, riconosce Ivana Maletić, il membro della Corte responsabile della relazione, “perché a metà percorso i paesi Ue avevano attinto a meno di un terzo dei finanziamenti previsti ed erano avanzati per meno del 30 per cento verso i traguardi e gli obiettivi prefissati”. Da qui l’invito alla Commissione aiutare gli Stati a far sì che l’assorbimento delle risorse del Recovery Fund sia tempestivo ed effettivo, al fine di “evitare strozzature nell’esecuzione delle misure verso la fine del ciclo di vita del dispositivo e ridurre il rischio di spese inefficienti e irregolari“, come già emerso in Italia, con le frodi da 600 milioni di euro registrate dalla Procura europea, che ad aprile ha disposto l’arresto di 22 persone.

Corte dei conti: “Dei fondi Ue gran parte è debito, la responsabilità dell’Italia è più complessa”

Dalla Corte dei Conti arriva la ‘certificazione’ che gli impegni dell’Italia nel rapporto con l’Ue diventano sempre più stringenti. I magistrati contabili, nella Relazione annuale sul tema, infatti, mettono nero su bianco che il nostro Paese “impegna una responsabilità finanziaria più complessa rispetto al passato nel prelevamento e nell’impiego dei fondi europei, poiché una parte significativa di essi costituisce debito pubblico“.

La Corte riconosce, comunque, il peso della situazione geopolitica attuale, resa incerta dai vari scenari di guerra che si sono aperti, tanto nel cuore del Vecchio continente, con l’aggressione russa in Ucraina, quanto nel vicino Medio Oriente, con il conflitto tra Israele e Palestina. Fattori esterni alla volontà dell’Italia e dell’Unione europea, ma che inevitabilmente dispiegano effetti negativi sulle nostre economie. Ragion per cui, scrive la Corte dei Conti, “malgrado l’imponente sforzo di fiscal policy del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, le nuove emergenze geopolitiche e le pressioni inflazionistiche sopraggiunte hanno sottoposto a tensioni il bilancio dell’Unione europea, imponendo rilevanti correzioni per il reperimento e la destinazione di nuove risorse, con un conseguente ripensamento delle priorità“.

La proposta di revisione che ha ricevuto il via libera dal Consiglio Ue dello scorso mese di febbraio, porta in pancia un aumento del bilancio di circa 64,6 miliardi: si tratta di finanziamenti aggiuntivi, che rendono “l’obiettivo di una strutturale flessibilità, fondamentale per rispondere agli imprevisti e rivedere rapidamente le priorità di spesa“. Ma non c’è solo il Pnrr a pesare nel conteggio, perché “nei rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea permane la centralità delle politiche strutturali e di coesione socioeconomica, la cui dotazione per il ciclo di programmazione 2014-2020 è di 197,9 miliardi (64,5 a valere sul bilancio europeo e 133,4 su quello nazionale)“, mentre “per i fondi Fesr e Fse-Iog, la dotazione ammonta (dicembre 2023) a 64,4 miliardi, di cui 14,4 sull’iniziativa React-Eu“.

I magistrati contabili, inoltre, annotano che “a fronte di un totale programmato di 64,4 miliardi (di cui 47,9 di risorse Ue), la spesa certificata alla Commissione europea, sia a fine dicembre 2022 che a dicembre 2023, raggiunge rispettivamente 35 miliardi (di cui 28 cofinanziamento Ue) e 42,5 miliardi (il cofinanziamento Ue è 34,2). Considerando soltanto la quota di risorse unionali, al 31 dicembre 2023 il rapporto tra cofinanziamento certificato e risorse programmate si attesta al 71,4%“. Nel conteggio ci sono anche le politiche agricole, ovviamente. “Nel 2022 (ultimo anno del periodo transitorio seguito al ciclo di programmazione 2014-2020), su una produzione agricola europea pari a circa 537,5 miliardi di valore, la produzione italiana si attesta a 71,5, collocandosi al terzo posto fra gli Stati membri, preceduta da Francia (97,1 miliardi) e Germania (76,2) – si legge ancora nel documento -. Nonostante la crescita del prodotto rispetto al periodo pandemico, permane l’andamento in calo dei livelli occupazionali, con un numero di occupati agricoli diminuito del 2,8% nell’ultimo decennio, a fronte di un incremento del 3,1 riscontrato per tutti i settori“.

La Corte, poi, segnala che sul fronte delle irregolarità e frodi a danno del bilancio europeosi conferma la tendenza in crescita delle segnalazioni, dai 424 casi del 2022 (per 47 milioni da recuperare) ai 448 del 2023 (per 58,1 milioni)“.

Restano in tema, dal fronte pratico c’è anche un altro evento da segnalare. Perché fino a giovedì prossimo, 20 giugno, sarà presente a Roma una delegazione della Commissione Ue, per una serie di incontri che serviranno ad approfondire le prossime tappe del Pnrr. Ovviamente, ci sarà un focus dedicato alle misure strategiche del Piano, così come sul RePowerEu, il capitolo aggiuntivo del Next Generation Eu per far fronte alla crisi energetica. Durante queste giornate sarà passato al vaglio lo stato di avanzamento delle riforme e degli investimenti, da un lato, e la messa a terra delle risorse finanziarie e agli obiettivi inseriti nella sesta e settima rata, dall’altro.

A fare gli onori di casa sarà il ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, che si avvarrà del coordinamento dalla struttura di missione Pnrr e vedrà la partecipazione attiva dei ministeri e delle istituzioni. Le riunioni si svolgeranno nella modalità degli incontri istituzionali di alto livello e in tavoli di lavoro tecnico-tematici con tutte le Amministrazioni. Tutti player e fattori strategici soprattutto in vista della presentazione della richiesta di pagamento della sesta rata, che allo stato attuale si trova alla fase di verifica e rendicontazione.

Corte dei Conti: Nel 2022 per Enel utile netto +50,3% su 2021 a 7,157 miliardi

Il bilancio d’esercizio di Enel spa per il 2022 si è chiuso con un risultato netto di 7,157 miliardi di euro, in crescita del 50,3% sui 4,762 del 2021 da ricondurre, in particolare, ai proventi da partecipazioni e al risultato della gestione finanziaria, parzialmente compensati dalla riduzione degli altri proventi (sostenuti nel 2021 dalla cessione delle quote in Open Fiber spa) e delle rettifiche di valore delle partecipazioni. È quanto emerge dalla relazione sulla gestione 2022 di Enel spa, approvata dalla Sezione controllo enti della Corte dei conti con Delibera n. 9/2024, in cui la magistratura contabile ha rilevato una crescita del patrimonio netto della società (38,34 miliardi di euro) pari al 9,7% rispetto al 2021, imputabile principalmente all’utile complessivo al netto dei dividendi distribuiti. Questo – ha specificato la Corte – in un contesto globale non favorevole a causa dell’incertezza dovuta a fattori geopolitici che hanno generato volatilità sulle catene di approvvigionamento, spingendo verso l’alto i prezzi delle materie prime (comprese quelle energetiche) e generando spirali inflazionistiche.

I risultati del Gruppo sono stati influenzati da un incremento dei ricavi (63,9%) dovuto alle maggiori vendite di energia a prezzi medi crescenti e da un incremento dei costi (73,2%), legato prevalentemente ai maggiori approvvigionamenti dei combustibili con prezzi medi in aumento. Il bilancio consolidato al 31 dicembre 2022 si è chiuso con un risultato netto di Gruppo di 1,682 miliardi di euro, in riduzione sui 3,189 del 2021 anche per la differente incidenza delle imposte e delle interessenze di terzi nei periodi a confronto.

Si attesta ancora al 23,585% la partecipazione del MEF al capitale di Enel, con una proprietà diffusa in capo al mercato pari a circa il 76,4%. Tra i circa 670.000 azionisti (investitori istituzionali italiani ed esteri, oltre a risparmiatori individuali), quelli retail detengono circa il 20% del capitale.

Il patrimonio netto 2022 del Gruppo, pari a 28,657 miliardi di euro, è in lieve calo rispetto ai 29,653 miliardi del 2021 (28,325 nel 2020), sostanzialmente in virtù del minore apporto dell’utile dell’esercizio compensato dell’aumento delle riserve. Aumenta invece del 5,8% il patrimonio netto di terzi. L’indebitamento finanziario netto 2022 del Gruppo, attestatosi a 60,068 miliardi di euro, è in aumento del 16,2% (51,69 nel 2021), principalmente per effetto del fabbisogno generato dagli investimenti del periodo.

Si intensifica – rileva, infine la Corte – la tendenza in crescita dell’indebitamento, con il rapporto tra indebitamento finanziario netto ed Ebitda ordinario che si eleva a 3,1, ribadendo l’esigenza di adottare le misure di contenimento previste nel piano strategico.