L’ambientalismo estremo demonizza il progresso, in Europa prevale la cultura dei diritti
“Il declino dell’Occidente è uno spettro che ci angoscia da tempo. Ora però succede qualcosa di nuovo: è in corso la nostra autodistruzione. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica, non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. Tutto ciò che avviene ai nostri confini come la tragedia Ucraina, si spiega con questo retroscena interno: i nemici dell’Occidente sanno che ci sabotiamo da soli, rinunciando alle nostre certezze, cancellando la fiducia in noi stessi”.
Così Federico Rampini nell’introduzione del suo saggio ‘Suicidio occidentale’ ed. Mondadori 2022. Un’esagerazione? Forse sì, in qualche modo dovuta al fatto che ormai Rampini è un cittadino americano ed è quindi condizionato dall’esplosione in quel Paese della cultura del politically correct imperante nelle università, nel mondo delle aziende, in particolare Big Tech, e in molte multinazionali il cui marketing si rivolge ai giovani, nel management e nei consigli di amministrazione, invasi dalle nuove generazioni formate nei college dove detta legge una sinistra illiberale.
Però questa visione pessimista a dire il vero non è priva di fondamento.
Anche in Europa spesso prevale la cultura dei diritti piuttosto che quella dei doveri, e gli esempi di sbandamento culturale sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalle politiche e dalle scelte sulla transizione energetica, troppo spesso dominate da un ambientalismo estremo trasformato nella religione neopagana del nostro tempo che, come dice Rampini, demonizza il progresso economico e predica un futuro di sacrifici dolorosi oppure l’Apocalisse imminente.
Occorre dire però che la questione Ucraina e il sostegno dato a quel Paese per reggere l’urto dell’aggressione russa hanno riproposto il tema dell’Occidente, dei suoi valori, delle sue democrazie, delle sue alleanze anche militari.
La compattezza finora dimostrata dalla coalizione Nato, alleanza militare difensiva che in questi mesi si è addirittura allargata a due Paesi tradizionalmente neutrali come Finlandia e Svezia, smentendo la constatazione del Presidente francese Macron di una presunta “morte cerebrale” in cui a suo dire si sarebbe trovata l’alleanza atlantica prima dell’invasione russa dell’Ucraina, costituisce un primo elemento di riflessione e di ottimismo.
I valori dell’Occidente di libertà e autodeterminazione dei popoli, di libero mercato, di welfare sociale, di promozione delle pari opportunità, di rispetto delle donne e delle minoranze sessuali ed etniche costituiscono un punto di riferimento globale, tanto da rappresentare un’aspirazione profonda per i popoli di Paesi meno fortunati dei nostri retti da dittature o autocrazie.
La forza economica di Usa, Europa, Gran Bretagna, Giappone, Australia, Corea del Sud è in grado di reggere il gigante cinese e la sua espansione.
Gli esempi sono molteplici: l’uscita dal Covid e la rapidità del successo dei vaccini occidentali sono lì a dimostrare la performance delle nostre economie e dei nostri sistemi di impresa rispetto a quelli cinesi, che non sono stati in grado di risolvere rapidamente l’emergenza pandemica dopo averla probabilmente innescata; recentemente il Nobel per l’Economia Paul Krugman, dalle colonne del ‘New York Times’, ha sottolineato il fallimento del tentativo di Putin di ricattare le economie europee interrompendo le forniture di gas.
La guerra inizialmente ha sconvolto i mercati delle materie prime: il gas era lo strumento di pressione più valido nelle mani di Putin, l’unico che poteva davvero mettere in crisi le economie europee.
Non era chiaro come l’Europa avrebbe potuto sostituire le forniture russe. Abbiamo temuto una profonda recessione economica del nostro continente, razionamenti energetici, crisi occupazionali, possibili disordini sociali che avrebbero minato la stabilità politica dei Paesi europei e il loro sostegno all’Ucraina.
Nulla di tutto ciò è accaduto: nell’UE c’è stato un rallentamento economico ma finora le economie crescono ancora e non si può parlare di recessione, la disoccupazione non è aumentata, la produzione industriale è rimasta sostenuta nonostante il rallentamento della domanda.
La riduzione della domanda energetica, soprattutto di gas, dovuta ai prezzi che per un certo periodo sono stati molto alti, e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, esercizio nel quale grazie all’Eni l’Italia non è stata seconda a nessuno, hanno consentito alle economie del vecchio continente di continuare a funzionare nonostante il crollo delle importazioni di gas russo, con un aumento della capacità di importare Gnl (gas naturale liquefatto) con i famosi rigassificatori, che ha gettato le basi per un’intensa relazione energetica tra Europa e Stati Uniti d’America.
Come abbiamo detto tante volte, in questo quadro di un rinforzato rapporto euro-atlantico il mar Mediterraneo torna ad avere importanza strategica, così come il ruolo geopolitico dell’Italia, naturale ponte culturale ed economico verso l’area balcanica e verso quella dei Paesi del Nord Africa.
Alla luce dei fatti sopraesposti non regge dunque la tesi di molti secondo la quale l’Occidente sarebbe ormai un decaduto club di Paesi ricchi e che il resto del mondo con i grandi Paesi emergenti come Cina, India, Brasile, nel quadro di equilibri globali ormai multipolari e in rapida trasformazione, non sarebbero più disponibili a riconoscere l’egemonia occidentale e guarderebbero oltre.
In realtà questa tesi, secondo la quale tra tutti i Paesi del mondo solo il piccolo, ricco e decadente Occidente avrebbe condannato la Russia è del tutto infondata. L’Assemblea delle Nazioni Unite ha difeso l’integrità territoriale dell’Ucraina (uno dei principi fondamentali della Carta) e condannato l’invasione russa con 143 voti a favore, 35 astensioni e solo 5 contrari.
È stato anche giustamente fatto notare che oltre la quantità vale anche la qualità del voto, visto che i 5 Paesi contrari sono tra le peggiori dittature al mondo (Russia, Bielorussia, Nord Corea, Nicaragua e Siria). Neppure la Cina che afferma di essere amica “senza limiti” di Putin se l’è sentita di andare oltre l’astensione.
Argentina, Brasile e altre democrazie emergenti hanno condannato l’invasione russa anche se è certamente vero che questi Paesi sognano un mondo multipolare dove non esistano più potenze egemoni.
Il tema del multipolarismo è estremamente delicato, perché in realtà un globo multipolare dove gli Usa non sono più il poliziotto del mondo, sia perché non lo vogliono più fare, nella versione democratica di Obama prima e di Biden poi, con l’abbandono frettoloso e incomprensibile dell’Afghanistan ai Talebani, sia nella versione repubblicana trumpiana in cui “ci facciamo gli affaracci nostri e del resto non ci interessa” è un mondo molto più difficile, turbolento e caotico.
Ma questo è un tema complesso, che meriterà in futuro un editoriale dedicato.