Piano Mattei, Gozzi: Baricentro Ue si sposta a Sud, Italia diventa strategica

“Il baricentro europeo si è spostato verso Sud e in questo contesto il Mediterraneo e il ruolo dell’Italia diventa sempre più strategico. Tra l’altro noi abbiamo una capacità di dialogo, di empatia, di collaborazione con i Paesi del Nord Africa che altri Paesi occidentali non hanno e quindi noi dobbiamo essere nei confronti di questi Paesi un intelligente ambasciatore di valori dell’Occidente, di libertà, di democrazia e di libera impresa e contemporaneamente di cooperazione internazionale. Il piano Mattei nasce da questa intuizione, nasce dall’intuizione che c’è per l’Italia un’occasione straordinaria che viene proprio dalla collaborazione con questi Paesi. Duferco sta lavorando in Tunisia, in Algeria, in Libia e Marocco in ognuno di questi paesi cerchiamo di mettere le basi per future iniziative”. Lo ha detto a Gea il presidente di Duferco, Antonio Gozzi, che ha partecipato all’evento organizzato da Fondazione Articolo 49 ‘Nuove energie tra Europa e Africa’, nella residenza dell’ambasciatore del Marocco in Italia, a Roma.

“Il tema delle energie rinnovabili, tra l’altro, è uno dei temi centrali. Questi Paesi – aggiunge -, che ci chiedono tecnologia e supporto per i loro programmi di rinnovabili, sono anche disponibili a fare accordi di cooperazione come quello che stiamo facendo con la Tunisia sul cavo Elmed, che consentirà un contatto, uno scambio di energia elettrica con quel Paese. Gli industriali italiani, in particolare quelli energivori, sono disponibili ad andare a investire in energie rinnovabili, eolico, fotovoltaico in Tunisia, lasciando una parte dell’energia prodotta ai tunisini, Piano Mattei, e riportando in Italia come energia verde una parte dell’energia prodotta passando dal cavo che dovrebbe essere in costruzione, tra poco. Terna sta facendo le gare per i cavi, si parla di un realizzazione che dovrebbe essere pronta prima dell’inizio del 2028 e questo è una prospettiva molto concreta, molto importante, uno dei primi grandi progetti del Piano Mattei”.

Piano Mattei, Gozzi: Scambi di personale qualificato aiuto al commercio internazionale

“L’ambasciatore saggio che oggi è il consigliere diplomatico del premier meloni ha realizzato una prima importantissima misura di scambio e di selezione di personale tunisino che può venire in Italia sono 4500 persone che ricevono una prima formazione di base in Tunisia e poi vengono in Italia per avere la formazione specialistica. Questo è un esempio importante di capitale umano. Gli scambi incominciano a esserci: noi abbiamo fatto in Duferco, grazie all’Università di Genova, un accordo col Politecnico Mohamed VI del Marocco, per cui due giovani ingegneri marocchini, esperti in transizione energetica saranno con noi un anno a lavorare e lo scambio di personale qualificato, la formazione di personale qualificato da parte dell’università è l’incrocio tra università italiane e università del Maghreb, è un altro strumento fondamentale di Cooperazione sul capitale umano e credo che l’Italia abbia tutto l’interesse a sviluppare questi rapporti perché naturalmente quando c’è scambio di manager, di dirigenti, lo scambio commerciale diventa molto più semplice, molto più fluido, c’è amicizia e comprensione reciproca e questo aiuta il commercio internazionale”. Lo ha detto a Gea il presidente di Duferco, Antonio Gozzi, che ha partecipato all’evento organizzato da Fondazione Articolo 49 ‘Nuove energie tra Europa e Africa’, nella residenza dell’ambasciatore del Marocco in Italia, a Roma.

Piano Mattei, Gozzi: Genova può essere centrale con un grande progetto culturale

Il Mediterraneo “è destinato a diventare uno dei luoghi cardine dell’incontro tra Nord e Sud del mondo. L’Italia si trova quindi in una posizione strategica e deve cogliere questa opportunità straordinaria sfruttando la sua storia, la sua cultura, le sue imprese, la facilità di relazione con le popolazioni della costa sud del Mediterraneo che ci guardano con un’ammirazione e una simpatia che spesso non hanno nei confronti di altri Paesi occidentali. Il lancio del Piano Mattei da parte del Governo va in questa direzione”. Così Antonio Gozzi, responsabile del Piano Mattei per Confindustria Nazionale, in un intervento pubblicato su Piazza Levante.

Le città marittime, dice il presidente del gruppo Duferco, “in questo contesto diventano sempre più importanti, non solo per i loro porti e i loro traffici, che da sempre uniscono il mondo, ma anche perché saranno formidabili sedi di incontri e incroci tra popoli e culture che si affacciano sul nostro mare”. Ecco allora che Genova “ha l’occasione di rilanciare il suo ruolo nel mondo diventando una delle capitali, se non la capitale, di questo processo. La Liguria, se Genova non sarà ‘la Superba’ ma avrà la capacità di coordinare forze ed energie, può diventare un tassello straordinario in questo disegno”.

Nel suo intervento, Gozzi suggerisce al capoluogo ligure di “candidarsi attraverso un grande evento culturale”, visto che da tempo Genova e la Liguria “non ospitano un grande evento di livello internazionale”. Eppure, dice, “gli ingredienti ci sarebbero tutti: tradizione internazionale marittima e finanziaria, arte moderna, pittura, teatro, progetti di riconversione urbana e di messa in valore del centro storico retroportuale più grande del mondo, progetti di cooperazione universitaria e di ricerca, progetti di cooperazione industriale sulla transizione, progetti marittimi e logistici”.

“Mi piacerebbe – scrive Gozzi – che nei programmi di governo che i vari schieramenti presenteranno per le prossime elezioni regionali ci fosse spazio per questi temi intorno ai quali costruire il futuro della Liguria”, anche perché “senza città aperte alle nuove generazioni tutto sarà limitato a contesti che non si rinnovano e non si trasformano e che, per questo, sono destinati a deperire per egoismo senile”.

Mobilità, Castagna (Duferco): “Piano da 40 mln per 4mila nuovi punti di ricarica”

“Abbiamo in corso di implementazione un piano per installare 4mila nuovi punti di ricarica entro il 2025. E’ un piano che è partito da circa un anno e mezzo e ha un valore complessivo di circa 40 milioni di euro che è stato sostenuto sia dalla Bei, con un contributo a fondo perduto per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica ultra fast, sia da un finanziamento di Cassa Depositi e Prestiti e di Crédit Agricole con una garanzia Sace fino all’80% proprio perché si tratta di un investimento green”. Lo ha detto Marco Castagna, presidente di Duferco energia e Amministratore unico di Elettra Car Sharing a margine del convegno ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’, organizzato a Roma da Gea, Eunews e Fondazione Art.49.

“Duferco energia – ha aggiunto – è uno dei principali operatori dell’energia in Italia e naturalmente è presente anche nel settore della mobilità elettrica. Da diversi anni affrontiamo questo tema in azienda con un approccio verticale che guarda all’installazione delle infrastrutture di ricarica come principale asset, ma poi ci occupiamo anche della gestione delle infrastrutture stesse e della vendita dei servizi. Abbiamo anche sviluppato la tecnologia necessaria alla gestione dei servizi stessi”.

“Nell’ambito dei servizi che Duferco eroga, come venditore di energia elettrica e gas e come soggetto che opera nel mondo dell’efficienza energetica, sia per i privati sia per le aziende – ha detto ancora Castagna – quello della mobilità elettrica per noi è un settore altrettanto importante, per aiutare i nostri clienti a intraprendere e completare quel cammino di decarbonizzazione che è lo scopo, oggi, di tutte le imprese italiane. E il tema della mobilità entra a pieno titolo in questa tematica”.

“Sicuramente se guardiamo ai numeri, quello di auto elettriche circolanti in Italia è ancora limitato e i pochi bonus che ci sono – ha proseguito – sono a disposizione soltanto dei cittadini e per importi tutto sommato limitati, mentre noi sappiamo che il mondo dell’automotive vive, per la gran parte, legato al mondo delle flotte e delle imprese. Servono, quindi, contributi e bonus per abbattere il costo delle auto elettriche, che è ancora alto”.

Trasporti, per mobilità sostenibile dall’Ue servono meno regole e più incentivi

Transizione e sostenibilità non sono in discussione, ma nei modi l’Unione europea sta spingendo troppo sull’acceleratore. Troppe ambizioni e regole troppo severe, che rischiano di lasciare l’Ue al palo e, soprattutto, soccombere ad una concorrenza decisa di Stati Uniti e Cina. Servono cambi di passo, un compito lasciato a questo punto alla prossima legislatura. A fare il punto della situazione Withub, nell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ dedicato alla mobilità pulita.

Un tema, quest’ultimo, che già tanto ha fatto discutere e che ancora continua a far discutere. Perché, sostiene l’europarlamentare Carlo Fidanza, membro della commissione Trasporti, “la strada della transizione non è in discussione, ma il tema è capire come arrivare alla meta”, e qui l’Ue sembra aver sbagliato qualcosa. L’esponente dei conservatori europei (Ecr) contesta in particolare la scelta compiuta sui motori del futuro, e la decisione di inserire nella strategia ‘green’ a dodici stelle i soli combustibili sintetici. Da un punto di vista industriale, critica Fidanza, “oggi siamo all’avanguardia sui biocarburanti, e non tenere conto di questa filiera per un Paese come l’Italia è un colpo pesante, anche per l’indotto dell’automotive, che non potrà essere rimodulato”. Da un punto di vista di agenda sostenibile, invece, “se si conteggiano le emissioni solo allo scarico si crea un indirizzo tecnologico mono-direzionale”. Da un punto di vista di politiche, dunque, “è stato un errore non tenere aperte le porte a delle alternative”. Un errore che viene imputato ad un “approccio ideologico della Commissione e di Timmermans”, il commissario responsabile per il Green Deal nel frattempo dimessosi per correre alle elezioni olandesi di novembre.

C’è poi un secondo errore strategico, a detta di Marco Stella, vicepresidente di Anfia-Associazione nazionale filiera industria automobilistica. “L’ansia più grande che rimane è quella regolatoria”, e questo rischia di penalizzare l’Ue e la sua competitività economica. “Quello che ci differenzia dalle due grandi arre con cui ci confrontiamo a livello industriale, Stati Uniti e Cina e Asia, è che noi abbiamo avuto l’ansia di regolamentare l’industria mentre loro hanno stimolato l’industria”. Facendo un paragone, “noi (europei, ndr) ci siamo preoccupati di mettere la bandierina della sostenibilità, loro (Stati Uniti e Cina, ndr) hanno messo sul terreno aiuti”, come dimostra anche l’Inflation reduction act varato dall’amministrazione Biden, il piano da circa 369 miliardi di dollari per sostenere l’industria del green-tech. Ecco, nella corsa alla transizione “c’è stato da parte nostra un disarmo volontario”, lamenta ancora il vicepresidente di Anfia. “Abbiamo lasciato loro la leadership”. Per questo “l’auspicio è che nella prossima legislatura Ue si pensi profondamente all’industria del nostro continente”.

La questione del sostegno è centrale anche per Massimo Nordio, presidente di Motus-E. “Oggi c’è bisogno di un aiutino. Parlo degli incentivi”. Certo, l’Ue ha meno disponibilità, e regole comuni di spesa per tenere in ordine conti pubblici dissestati da crisi sanitaria prima e crisi energetica poi. Ma servono interventi, visto e considerato che, insiste Nordio, “il sistema degli incentivi nel passato ha funzionato”. Questo per l’impresa non può essere ignorato, poiché quando si parla di mobilità sostenibile “il mercato che non si sta sviluppando è quello della fiscalità dell’auto”. Che si scelgano sgravi, incentivi o bonus “l’auto elettrica deve essere trattata, dal punto di vista fiscale, in maniera diversa perché è una scelta virtuosa e coraggiosa”. In Italia “interloquiamo con il governo anche da questo punto di vista”, affinché la politica tricolore possa fare pressione a livello Ue per un cambio di rotta ritenuto imprescindibile.

Marco Castagna, presidente di Duferco energia, attira l’attenzione sulla necessità di sostegno all’auto elettrica e le sue potenzialità sfatando quello che considera un mito. “Quello dei tempi di ricarica nelle aree di sosta è un falso problema, perché alla fine decido io quando e dove ricaricare”. Certo, riconosce, “il tema rimane il prezzo” al concessionario, ma, “andrebbe considerato il prezzo dell’intero ciclo”, perché l’auto elettrica “costa molto meno in manutenzione” rispetto a un’auto tradizionale. Stando ai numeri diffusi da Withub nel corso dell’evento, c’è tanto in ballo, soprattutto per l’industria italiana. Ad agosto 2023 i numeri di immatricolazioni auto elettriche sono i seguenti: 165.165 in Regno Unito, 86.649 in Germania, 19.657 in Francia, 4.055 in Italia, 3.583 in Spagna. L’Italia fa fatica. E rischia di continuare a fare fatica per le scelte compiute.

La decarbonizzazione trasporti è già iniziata: è resa possibile dalle tecnologie già disponibili, come il biocarburante HVO, già disponibile in purezza, che può essere utilizzato con le infrastrutture esistenti e in molti veicoli già in circolazione”, scandisce Alessandro Sabbini, Responsabile Relazioni Istituzionali Centrali di Eni. “L’HVO – spiega – è un esempio di economia circolare applicata alla mobilità e contribuisce da subito alla riduzione delle emissioni del trasporto stradale, anche pesante, e dei traporti aereo, marittimo e ferroviario”.

Massimiliano Salini (Fi/Ppe), membro della commissione Trasporto del Parlamento europeo, insiste sulla necessità di un più ampio ventaglio di scelte. “Indicare un’unica formula produce in genere l’effetto contrario di quello che volgiamo ottenere”, dice riferendosi allo stop europeo ai biocarburanti. “Il principale alleato della transizione è l’innovazione e il principale alleato dell’innovazione è la libertà tecnologica, quello che noi definiamo neutralità”. L’auspicio implicito è un cambio di rotta, affidato alla prossima legislatura che verrà. “Nessuno chiede di ridurre le ambizioni, ma di farlo collocando queste sfide nel tempo e nella storia, in modo che tutti possano concorrere: industria, i cittadini con la tutela delle loro tasche, e la politica affezionata all’ambiente ma affezionata a quella sintesi che noi cerchiamo di realizzare tra ambiente, innovazione tecnologica e il mantenimento in vita di una brillante manifattura che fa il bene dell’economia europea”.

Un’impostazione condivisa da Alberto Moro, direttore generale Automotive di Bitron, azienda che guarda alla transizione a 360 gradi. “Sui biorcarburanti possiamo sviluppare i motori termici. Sull’idrogeno abbiamo iniziato a lavorare da qualche anno e abbiamo prodotto delle soluzioni innovative, da fornire ai clienti”. Perché nel mondo e nella mobilità che cambiano “la sperimentazione tecnologica gioca un ruolo strategico” e a Bitron “cerchiamo di anticipare i bisogni dei nostri clienti”.

L’ambientalismo estremo demonizza il progresso, in Europa prevale la cultura dei diritti

“Il declino dell’Occidente è uno spettro che ci angoscia da tempo. Ora però succede qualcosa di nuovo: è in corso la nostra autodistruzione. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica, non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. Tutto ciò che avviene ai nostri confini come la tragedia Ucraina, si spiega con questo retroscena interno: i nemici dell’Occidente sanno che ci sabotiamo da soli, rinunciando alle nostre certezze, cancellando la fiducia in noi stessi”.

Così Federico Rampini nell’introduzione del suo saggio ‘Suicidio occidentale’ ed. Mondadori 2022. Un’esagerazione? Forse sì, in qualche modo dovuta al fatto che ormai Rampini è un cittadino americano ed è quindi condizionato dall’esplosione in quel Paese della cultura del politically correct imperante nelle università, nel mondo delle aziende, in particolare Big Tech, e in molte multinazionali il cui marketing si rivolge ai giovani, nel management e nei consigli di amministrazione, invasi dalle nuove generazioni formate nei college dove detta legge una sinistra illiberale.

Però questa visione pessimista a dire il vero non è priva di fondamento.

Anche in Europa spesso prevale la cultura dei diritti piuttosto che quella dei doveri, e gli esempi di sbandamento culturale sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalle politiche e dalle scelte sulla transizione energetica, troppo spesso dominate da un ambientalismo estremo trasformato nella religione neopagana del nostro tempo che, come dice Rampini, demonizza il progresso economico e predica un futuro di sacrifici dolorosi oppure l’Apocalisse imminente.

Occorre dire però che la questione Ucraina e il sostegno dato a quel Paese per reggere l’urto dell’aggressione russa hanno riproposto il tema dell’Occidente, dei suoi valori, delle sue democrazie, delle sue alleanze anche militari.

La compattezza finora dimostrata dalla coalizione Nato, alleanza militare difensiva che in questi mesi si è addirittura allargata a due Paesi tradizionalmente neutrali come Finlandia Svezia, smentendo la constatazione del Presidente francese Macron di una presunta “morte cerebrale” in cui a suo dire si sarebbe trovata l’alleanza atlantica prima dell’invasione russa dell’Ucraina, costituisce un primo elemento di riflessione e di ottimismo.

I valori dell’Occidente di libertà e autodeterminazione dei popoli, di libero mercato, di welfare sociale, di promozione delle pari opportunità, di rispetto delle donne e delle minoranze sessuali ed etniche costituiscono un punto di riferimento globale, tanto da rappresentare un’aspirazione profonda per i popoli di Paesi meno fortunati dei nostri retti da dittature o autocrazie.

La forza economica di UsaEuropaGran BretagnaGiapponeAustraliaCorea del Sud è in grado di reggere il gigante cinese e la sua espansione.

Gli esempi sono molteplici: l’uscita dal Covid e la rapidità del successo dei vaccini occidentali sono lì a dimostrare la performance delle nostre economie e dei nostri sistemi di impresa rispetto a quelli cinesi, che non sono stati in grado di risolvere rapidamente l’emergenza pandemica dopo averla probabilmente innescata; recentemente il Nobel per l’Economia Paul Krugman, dalle colonne del ‘New York Times’, ha sottolineato il fallimento del tentativo di Putin di ricattare le economie europee interrompendo le forniture di gas.

La guerra inizialmente ha sconvolto i mercati delle materie prime: il gas era lo strumento di pressione più valido nelle mani di Putin, l’unico che poteva davvero mettere in crisi le economie europee.

Non era chiaro come l’Europa avrebbe potuto sostituire le forniture russe. Abbiamo temuto una profonda recessione economica del nostro continente, razionamenti energetici, crisi occupazionali, possibili disordini sociali che avrebbero minato la stabilità politica dei Paesi europei e il loro sostegno all’Ucraina.

Nulla di tutto ciò è accaduto: nell’UE c’è stato un rallentamento economico ma finora le economie crescono ancora e non si può parlare di recessione, la disoccupazione non è aumentata, la produzione industriale è rimasta sostenuta nonostante il rallentamento della domanda.

La riduzione della domanda energetica, soprattutto di gas, dovuta ai prezzi che per un certo periodo sono stati molto alti, e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, esercizio nel quale grazie all’Eni l’Italia non è stata seconda a nessuno, hanno consentito alle economie del vecchio continente di continuare a funzionare nonostante il crollo delle importazioni di gas russo, con un aumento della capacità di importare Gnl (gas naturale liquefatto) con i famosi rigassificatori, che ha gettato le basi per un’intensa relazione energetica tra Europa e Stati Uniti d’America.

Come abbiamo detto tante volte, in questo quadro di un rinforzato rapporto euro-atlantico il mar Mediterraneo torna ad avere importanza strategica, così come il ruolo geopolitico dell’Italia, naturale ponte culturale ed economico verso l’area balcanica e verso quella dei Paesi del Nord Africa.

Alla luce dei fatti sopraesposti non regge dunque la tesi di molti secondo la quale l’Occidente sarebbe ormai un decaduto club di Paesi ricchi e che il resto del mondo con i grandi Paesi emergenti come CinaIndiaBrasile, nel quadro di equilibri globali ormai multipolari e in rapida trasformazione, non sarebbero più disponibili a riconoscere l’egemonia occidentale e guarderebbero oltre.

In realtà questa tesi, secondo la quale tra tutti i Paesi del mondo solo il piccolo, ricco e decadente Occidente avrebbe condannato la Russia è del tutto infondata. L’Assemblea delle Nazioni Unite ha difeso l’integrità territoriale dell’Ucraina (uno dei principi fondamentali della Carta) e condannato l’invasione russa con 143 voti a favore, 35 astensioni e solo 5 contrari.

È stato anche giustamente fatto notare che oltre la quantità vale anche la qualità del voto, visto che i 5 Paesi contrari sono tra le peggiori dittature al mondo (RussiaBielorussiaNord CoreaNicaragua e Siria). Neppure la Cina che afferma di essere amica “senza limiti” di Putin se l’è sentita di andare oltre l’astensione.

ArgentinaBrasile e altre democrazie emergenti hanno condannato l’invasione russa anche se è certamente vero che questi Paesi sognano un mondo multipolare dove non esistano più potenze egemoni.

Il tema del multipolarismo è estremamente delicato, perché in realtà un globo multipolare dove gli Usa non sono più il poliziotto del mondo, sia perché non lo vogliono più fare, nella versione democratica di Obama prima e di Biden poi, con l’abbandono frettoloso e incomprensibile dell’Afghanistan ai Talebani, sia nella versione repubblicana trumpiana in cui “ci facciamo gli affaracci nostri e del resto non ci interessa” è un mondo molto più difficile, turbolento e caotico.

Ma questo è un tema complesso, che meriterà in futuro un editoriale dedicato.

Duferco e il nuovo laminatoio: basso impatto ambientale, alto risparmio energetico

Il nuovo laminatoio Duferco, grazie alle più moderne tecnologie utilizzate, è a bassissimo impatto ambientale, ad alto risparmio energetico e utilizza energie rinnovabili grazie anche alla stipula di PPA (power purchase agreement a lungo termine). Ma la sua storia viene da lontano. L’investimento strategico in grado di cambiare il mercato della produzione delle travi in Europa è stato infatti progettato nel 2019. Il progetto prevedeva la realizzazione di nuovo laminatoio integrato a valle dell’acciaieria per consentire la verticalizzazione ottimale dell’acciaio prodotto a San Zeno. Grazie alla localizzazione geografica, ai livelli di efficienza e qualità raggiunti dall’acciaieria e all’utilizzo delle più moderne tecnologie per la realizzazione del nuovo treno di laminazione, l’investimento punta a consolidare la posizione dell’azienda come best cost producer di travi in Europa.

Con il nuovo impianto l’intero sistema produttivo Duferco TP raggiunge il milione di tonnellate di prodotti laminati. I laminatoi di Pallanzeno (Verbania) e Giammoro (Messina) sono destinati alla specializzazione: il primo prevalentemente sui profili speciali e il secondo prevalentemente sui mercati geografici del Mediterraneo. Si tratta del coronamento di un sogno e il risultato di una lunga attività di miglioramento continuo, in cui tutti gli uomini di Duferco sono stati impegnati in questi anni.

Antonio Gozzi: “Pronti a una produzione totalmente green dell’acciaio”

“L’Italia e la sua siderurgia hanno un primato mondiale, a cui temiamo e che cerchiamo, come si fa sempre quando si è campioni del mondo, di mantenere questo titolo”. Lo dice Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e Duferco, al convegno ‘L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere’, organizzato da Gea ed Eunews. “Quando il mondo parla di dover decarbonizzare le produzioni di acciaio – continua -, quando si parla di processo green, in Italia è già realtà, viene già fatto e viene da lontano”. L’esigenza di comunicarlo, spiega,  “non è l’esigenza darsi una reputazione e una credibilità verde, ma comunicare al mondo, agli stakeholder, ai decisori, ai clienti, ai fornitori e persino ai nostri collaboratori che la siderurgia italiana – che è una elettrosiderurgia, cioè non usa il carbone – per natura è già elettrificata”. E “la produzione da forno elettrico rappresenta ormai più dell’80% del totale”.

L’obiettivo è, per Gozzi, quello di arrivare a una produzione totalmente green dell’acciaio. “I Lucchini, i Lonati, i Pasini… Hanno inventato loro l’elettro-siderurgia. Costruirono un settore decarbonizzato – spiega – tutto attaccato a centrali elettriche, una economia circolare perché non consumava risorse naturale in quanto utilizzava i rottami di ferro. Siamo i primi nel mondo e bisogna dirlo. Per produrre una tonnellata con forno elettrico si emettono 10-12 volte di Co2 in meno rispetto a una tonnellata prodotta a ciclo integrale. Vogliamo mantenere il titolo e arrivare al 2030, ben prima del 2055, ad essere il primo Paese con una produzione totalmente green dell’acciaio”. 

Ma non solo. “Sullo Scope1, cioè le emissioni dirette, la siderurgia italiana è già vicina all’obiettivo di arrivare al 2030, ben prima del 2055, ad essere il primo Paese con una produzione totalmente green dell’acciaio”, conferma il presidente di Federacciai e Duferco. “Usiamo però ancora un po’ di gas – aggiunge – ma al Nord siamo in mezzo alla campagna, dove con scarti e deiezioni animali è possibile arrivare a produrre biogas e biometano. Mi bastano 6 contratti con biodigestori da 1,5 Mwh e arrivare a centrare lo Scope1. Per lo Scope2 attualmente stiamo comprando elettricità dalla rete. I siderurgici però stanno già sostituendo energia dalla rete con elettricità prodotta da rinnovabili. Su 8mila ore di esercizio l’anno ora sono 2000 quelle coperte da rinnovabile. Non saremo solo carbon neutral – conclude Gozzi – ma carbon negative così potremo vendere i certificati verdi. Le rinnovabili però non bastano. Servirà la cattura di Co2 e il nucleare, micro reattori, per i quali saranno necessari una ventina di anni per raggiungere l’obiettivo”.

Gozzi (Federacciai): “Obiettivo produzione acciaio 100% green al 2030”

Dobbiamo partire dal presupposto che sulla decarbonizzazione non c’è altro Paese così avanti come noi: siamo all’80 per cento della produzione, siamo campioni del mondo dell’elettrosiderurgia e dobbiamo lavorare per confermarci”, e dunque “l’obiettivo che dobbiamo porci è quello di essere nel 2030 la prima nazione al mondo per produzione di acciaio totalmente green. Il che vuol dire che oltre al parametro dell’emissione in sè e per sé di Co2, dobbiamo immaginare che anche nello Scope 2 (emissioni indirette provenienti dalla generazione di energia elettrica acquistata o acquisita, vapore, calore o raffreddamento che l’organizzazione consuma ndr) si arrivi all’acquisto di energia elettrica sempre più green”. Lo ha affermato il presidente di Federacciai e Ceo di Duferco, Antonio Gozzi, in un’intervista rilasciata sabato a Repubblica Genova. Secondo Gozzi la strategia è, da una parte investire nelle rinnovabili, “in particolare sul fotovoltaico”, dall’altra “siamo ancora a 2000 ore coperte su 8 mila di esercizio con le fonti rinnovabili, abbiamo bisogno di energia di base decarbonizzata”. E non si può tralasciare “un’altra pista all’estero o in prospettiva anche in Italia”: il nucleare. “Abbiamo questa partnership insieme con Ansaldo Energia per raddoppiare la centrale slovena ma anche per studiare nuovi impianti veloci di piccola taglia e dimensioni, sono unità che assomigliano a batterie e possono aiutare enormemente le aziende energivore. L’obiettivo è essere il primo Paese nel mondo a produrre acciaio tutto green ed è un obiettivo realistico”, ha spiegato Gozzi.