Paolo Scaroni

Scaroni: “Avremo bisogno di gas per altri 10 anni. Trivellare? L’Italia è un Paese contro tutto”

Paolo Scaroni è Deputy Chairman di Rothschild & Co, oltre che presidente del Milan. Ma per anni è stato amministratore delegato sia di Enel che di Eni: insomma, è una autorità nel mondo dell’energia.

Presidente, avremo gas abbastanza questo inverno o batteremo i denti?
“Ne avremo abbastanza se le modeste forniture dalla Russia – riceviamo ancora circa 20-25 milioni di metri cubi di gas al giorno – dovessero continuare ancora per qualche mese. Se dovessero interrompersi domani mattina avremmo qualche preoccupazione”.

Gli italiani stanno ‘scoprendo’ che cos’è il gas. Si stanno facendo programmi a breve-medio termine per arrivare all’indipendenza dalle forniture russe, ci stiamo però legando ad altri fornitori di gas, molti in Africa. Qual è la soluzione per diventare veramente indipendenti? Quella delle rinnovabili, del nucleare, dell’idrogeno?
“Cominciamo col dire che l’Italia per ragioni storiche è stato il Paese che ha inventato l’utilizzo ampio del gas, perché quando Mattei cercava il petrolio in pianura padana, nelle perforazioni trovava gas ed ebbe l’idea di usarlo come combustibile nelle fabbriche e non solo per la giovane repubblica italiana. Quindi gli italiani ora scoprono il gas ma in realtà siamo stati i precursori. Oggi rinunciare al gas russo, vuol dire utilizzare gas per molti anni che arriva da altri Paesi. È difficile immaginare una transizione energetica in quattro e quattrotto. Certo, oggi riceviamo gas dall’Algeria, dalla Libia, dall’Azerbaigian via tubo, quindi solo per noi, e poi possiamo acquistare gas liquido nel mondo, che viaggia come il petrolio. Però quest’ultimo è sul mercato mondiale e va a chi lo paga di più. A lungo termine, certo, rinnovabili e nucleare potranno giocare un ruolo importantissimo, però almeno per i prossimi dieci anni noi abbiamo bisogno di gas”.

Noi il gas ce l’abbiamo, non estratto, soprattutto nell’Adriatico. C’è lo stop di ambientalisti e di alcuni partiti probabilmente per salvaguardare la laguna di Venezia. Intanto i croati trivellano e lo fanno anche gli albanesi di fronte alla Puglia. È un po’ un controsenso all’italiana?
“Noi nel passato abbiamo estratto 15-20 miliardi di metri cubi all’anno e le ricordo che il consumo italiano è di circa 70 miliardi, quindi coprivamo circa il 20-25% del fabbisogno. Progressivamente siamo calati come risultato perché non abbiamo fatto nuove esplorazioni, non è stato possibile realizzare nuove piattaforme e così via. Certo, gli italiani sono contro lo sfruttamento degli idrocarburi in mare, ma in realtà siamo un Paese che è sempre contro tutto. Siamo un Paese dove è difficilissimo realizzare qualunque infrastruttura. E così avviene che, siccome il gas non ha passaporto, se un giacimento è tra le acque di interesse economico di due Paesi, il Paese che lo estrae se lo porta a casa. Se si volesse ripartire con un aumento della produzione in Italia di gas, dovremmo ripartire con le esplorazioni, e far tante cose che suscitano opposizione ma non dalla politica, dai nostri concittadini. Sono loro che si organizzano per bloccare qualunque cosa. Pensiamo solo che oggi riceviamo 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Azerbaigian, e meno male che li riceviamo altrimenti saremmo veramente in difficoltà , e quel tubo che ci collega alla Grecia – il famoso Tap – ha avuto opposizioni incredibili. Oggi però si va lì e non lo si vede nemmeno. Quindi da questo punto di vista siamo veramente un Paese curioso”.

Rigassificatori, l’Italia ne ha realizzato uno grande al largo delle coste venete nel 2008, poi stop. Abbiamo scoperto con questa crisi energetica che la Germania non ha rigassificatori. Com’è possibile che grandi Paesi europei come Italia e Germania non abbiano investito in rigassificatori?
“È possibile perché per decenni, Germania, Italia ma anche Austria, Repubblica Ceca e altri Paesi del centro Europa hanno considerato la Russia il loro Texas, ritenendolo un Paese affidabile, che rispettava i contratti e che aveva tutto il gas di cui avevamo bisogno. Tra l’altro, il gas russo era più competitivo di quello liquido. Spagna e Portogallo si sono dotati di impianti di rigassificazione perché non potevano accedere al gas russo.”

Le risposte alla crisi energetica dell’Unione Europea lasciano un po’ il tempo che trovano, manca la volontà di creare una politica energetica vera continentale?
“Quando penso all’Europa penso alla governance che ci siamo dati. Ce la siamo data noi quindi è inutile criticarla, ma abbiamo una governance così complicata, farraginosa, bloccata da veti, per cui qualunque decisione o azione rilevante a livello europeo richiede tempi non compatibili con le emergenze. Questo è un vero problema. Vorrei anche aprire il capitolo Nato, perché quando a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina l’Alleanza Atlantica ha deciso azioni fortissime – armi, sanzioni – a quel tavolo c’erano dei Paesi petroliferi, primo fra tutti la Norvegia, che è un grandissimo esportatore di gas. In quel momento era largamente prevedibile che la reazione della Russia sarebbe stata quella di tagliarci il gas e che i prezzi sarebbero quindi schizzati a livelli inimmaginabili. A quel tavolo c’era chi ci guadagnava – Norvegia, Stati Uniti, Canada – e chi perdeva enormemente. Ecco, quella poteva essere la sede e potrebbe essere ancora la sede per chiedere una distribuzione più equa, perché è strano che un’azione presa collettivamente veda qualcuno che ci guadagna enormemente e qualcuno che ci perde enormemente”.

È vero che la guerra in Ucraina ha determinato un aumento fortissimo del prezzo del gas, ma qualche sommovimento c’era già prima. Qualcosa si percepiva?
“No, direi che non è così. Quello che avveniva nel 2021 è stato un aumento dei prezzi e dei consumi di gas, una crescita fisiologica frutto di economie che uscivano dalla pandemia, di transizione dal carbone al gas, quindi da una domanda più forte che spingeva i prezzi al rialzo. Per darle un dato: in Cina, dove molte case sono riscaldate a carbone, si è deciso proprio per ragioni ambientali di trasformare il riscaldamento di 15 milioni di case da carbone a gas. Il mercato vedeva prezzi in salita, ma niente a che vedere con quello che è accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina. Una osservazione: quando l’Europa ha deciso di rinunciare al gas russo, ha rinunciato a 150 miliardi di metri cubi all’anno. Non è che sul mercato c’erano 150 miliardi di metri cubi pronti a soppiantare il gas russo.”

Il Ttf, il prezzo alla Borsa di Amsterdam, è al centro delle polemiche. C’è chi dice che è una fiera di paese, che bisogna riformarla, che si deve addirittura agganciarsi all’Henry Hub americano per determinare le bollette…
“Magari ci legassimo all’Henry Hub, il problema è che l’Henry Hub è il mercato del gas domestico americano, non del gas di importazione…”

Il prezzo sarebbe ovviamente più alto di quello russo, però inferiore a quello che vediamo attualmente sul Ttf…
“Noi non possiamo condizionare i prezzi di una merce che non abbiamo. Quello che potremmo teoricamente fare è fissare un tetto ai prezzi per il gas che ci arriva via tubo quindi Norvegia, innanzitutto, Azerbaigian, Libia e Algeria, perché questo gas norvegesi e algerini non possono che venderlo a noi dato che il gasdotto è collegato con noi, non hanno alternative. A questi Paesi, in particolare alla Norvegia nostra partner nella Nato, potremmo chiedere un prezzo calmierato. Per quanto riguarda il gas liquido parlare di price cap mi sembra francamente una stupidaggine: se noi fissiamo un tetto che non è del mercato mondiale, il gas non verrà da noi ma andrà da un’altra parte”.

Lei è stato amministratore delegato di Enel e di Eni, il futuro come vede?
“Due osservazioni. Ci stiamo incamminando verso un’Europa che avrà costi energetici superiori agli Stati Uniti e alla Cina, i due grandi competitor a livello mondiale. Quindi le nostre imprese che utilizzano molta energia soffriranno e magari delocalizzeranno la loro produzione andando alla ricerca di energia meno cara. Il consumatore europeo avrà meno soldi in tasca perché dovrà pagare di più per scaldarsi, quindi da questo punto di vista vedo un futuro un po’ grigio. Penso però che dalle crisi vengano fuori nuove idee e può darsi che sul terreno delle rinnovabili, che dobbiamo spingere al massimo, l’Europa possa prendere quella leadership che vuole avere senza fermarsi solo a pannelli solari e pale eoliche ma con nuovi prodotti e soluzioni, attraverso i quali possiamo ritornare alla testa della tecnologia mondiale. Ultima cosa, il mondo non fa che cambiare: oggi ci diciamo delle cose, magari fra 5 anni ci diremo il contrario. Se ci fossimo incontrati nel 2012, dieci anni fa, prima dell’operazione russa in Crimea, e mi aveste chiesto una valutazione sul fornitore Russia per il gas, avrei detto che è un buon fornitore come puntualità delle consegne, prezzi, tranquillità…”.

Ultimissima domanda. C’è l’ipotesi che lei potrebbe essere il nuovo amministratore delegato di Milano-Cortina 2026. Se la chiamasse Draghi ci andrebbe?
“No, perché un compito full time come lo immaginano Draghi, il Coni, il Cio, mi obbligherebbe a lasciare tante cose che faccio, prima di tutte il Milan, che è una avventura che non ho nessuna intenzione di lasciare. Proprio ieri sono stato rinnovato per tre anni come Presidente. Immaginate se posso lasciare il Milan che negli ultimi anni sta dando discrete soddisfazioni…”.

Carollo (esperto petrolio e gas): “Abbandonare Ttf subito o l’economia rischia grosso”

Salvatore Carollo è stato un dirigente Eni e ora è analista e trader specializzato in petrolio e gas. È una sorta di autorità in materia. Recentemente sulla Rivista Energia ha lanciato una proposta per uscire dal dramma dei prezzi del Ttf, la Borsa olandese che ha visto schizzare fino a 350 euro/Mwh: abbandonare la piazza dei Paesi Bassi e legare il parametro delle nostre bollette all’Henry Hub, piattaforma americana, dove le quotazioni sono 7-8 volte inferiori a quelle europee.

Dottor Carollo, perché il Ttf non va bene e perché sforna prezzi così imprevedibili?

“La natura del Ttf non è tale da essere punto di riferimento del mercato europeo del gas. Io la chiamo fiera di Paese e molti mi hanno bacchettato, dicendo che esce da un meccanismo degno di una borsa. Bene, non la chiamerò più allora fiera di paese, ma miniatura di un Borsa… La Borsa petrolifera di Londra o di New York, ogni giorno vede transazioni per 2-3mila miliardi di dollari. C’è una liquidità straordinaria, che consente a tutti di operare, mentre ad Amsterdam la liquidità è di 1 miliardo. In Europa però il mercato del gas è più grande di quello petrolifero. Come fa allora un indicatore di un miliardo a rispondere a esigenze di un mercato da centinaia di miliardi?”.

Già, come è possibile? Per questo si parla di speculazione?

“Il Ttf è inadeguato per l’Europa. Mi spiego: la maggior parte del gas, 90-95%, va direttamente dall’origine alla destinazione finale, non ci sono intermediazioni, le forniture sono stabilite con contratti anche decennali. Per cui su quali scambi di volumi si basano le contrattazioni di Amsterdam? Pochi metri cubi, quelli fra Olanda, Belgio e Renania… Ora, se io e lei fossimo grandi traders avremmo modo di manipolare una Borsa così piccola: ci presentiamo la mattina e vogliamo 5 miliardi di contratti, la Borsa dice che 4 miliardi di domanda non sono stati soddisfatti, che era a corto di offerta, così il prezzo schizza in alto. La mattina dopo chiediamo di comprare 10 miliardi di contratti. Risultato: manca offerta e prezzo schizza alle stelle. Così hanno portato il prezzo da 20 a 380 euro in un anno e mezzo”.

Intanto l’economia, che paga bollette legate al Ttf, soffre…

“È una cosa grave e drammatica, che grida vendetta stiamo mettendo a repentaglio l’economia italiana ed europea perché difendiamo il Ttf. Capisco molti interessi, gli extra-profitti, tutti quelli del mare del Nord che stanno facendo il bagno nell’oro, però c’è un silenzio imbarazzante sul Ttf”.

Lei propone di legare il calcolo delle tariffe di luce e gas all’Henry Hub americano, come si può fare?

“L’Arera, l’authority per l’energia, dovrebbe definire il prezzo al consumo in base alla media pesata dei prezzi d’acquisto delle società italiane sul mercato internazionale, loro hanno l’obbligo di comunicarlo. E se si smettesse di riferirsi al Ttf, la Borsa olandese andrebbe in crisi, scenderebbe il prezzo e tutti i contratti basati su quell’indice produrrebbero tariffe inferiori”.

Ma perché proprio Henry Hub?

“Noi principalmente importiamo gas allo stato gassoso, via tubo. Il gas liquefatto, Gnl, per il processo tecnologico con cui si produce – fra raffreddamento, trasporto e ritorno allo stato gassoso, senza contare che il 30% evapora – è più caro di quello che arriva da un gasdotto. Questo è un dato oggettivo. Allora prendiamo il prezzo del gas liquido più caro che ci sia: ecco l’Henry Hub, terminale dal quale il gas viene esportato in tutto il mondo, un prezzo di mercato indiscutibile, usiamo quello come tetto per determinare le bollette. Se Arera vede che un operatore ha comprato a un prezzo più alto, a quel punto lo tira fuori dalla media pesata”.

L’Italia ha demandato all’Europa la grana energia…

“Quello che io propongo va fatto tutto in Italia, la politica energetica è materia esclusiva al 100% dei singoli Paesi”.

Come vede i prezzi futuri del gas?

“Se l’Italia smette di nascondersi dietro la foglia di fico dell’Europa, il problema si risolve subito. Se però la classe politica non ha coraggio di intervenire, chiaro che il mercato resterà pazzo. Quanti cittadini italiani hanno capito se abbiamo gas o non ce l’abbiamo? Assistiamo a uno scontro fra propagande, ma i pipeline che da Ucraina vengono in Europa non hanno smesso di portarci gas. La scorsa settimana, infine, Eni ha dichiarato a Gastech che porterà 20 miliardi di metri cubi di gas in più. Allora da dove nasce il problema della mancanza di gas? Perchè tagli e ristrettezze? Vedo dunque una crisi del prezzo più che dei volumi, ma il prezzo dipende dalle nostre scelte politiche. Andiamo a vedere gli interessi che ci legano al Ttf e poi ne riparliamo…”.

cipro gas

Scoperto maxi-giacimento di gas al largo di Cipro

Una scoperta che influirà notevolmente sul raggiungimento dell’indipendenza energetica dell’Europa dal gas russo. È quella annunciata dal gruppo Eni insieme alla francese TotalEnergies che hanno individuato, a circa 160 chilometri al largo di Cipro, un maxi-giacimento di gas da 2,5 TCF (trilioni di piedi cubi).

In sostanza, spiega Eni, il nuovo pozzo – denominato Cronos-1 – si trova in una profondità d’acqua di 2.287 metri e consiste in un’importante colonna di gas in una sequenza di roccia serbatoio carbonatica con proprietà da discrete ad eccellenti.

Con quest’ultimo ritrovamento Eni Cyprus è a quota quattro pozzi esplorativi perforati e due nel Blocco 6, dopo la scoperta a gas di Calypso-1 nel 2018. Il Gruppo conferma così l’efficacia della sua strategia, volta a creare valore attraverso la profonda conoscenza dei bacini geologici e l’applicazione di tecnologie geofisiche proprietarie.

(Photo credits: AMIR MAKAR / AFP)

Claudio Descalzi

L’Eni che non ti aspetti: eolico, sostenibile, alternativo

Eni ha sbancato il mercato. Ha chiuso il primo semestre con un utile netto di 7,398 miliardi, in crescita dagli 1,103 miliardi dello stesso periodo del 2021. “In un contesto di incertezza e volatilità dei mercati, ci siamo attivati rapidamente per garantire nuovi flussi di approvvigionamento“, ha commentato l’amministratore delegato, Claudio Descalzi. E “in Italia, ci siamo proattivamente impegnati nella ricostituzione degli stoccaggi di gas in previsione” dell’inverno. Petrolio e gas ovviamente sono i capisaldi del successo del cane a sei zampe che, confermando previsioni e il buy-back, ha beneficiato di uno sprint di tutto rispetto in Borsa: +5,63% a 11,71 euro, fra il plauso degli analisti. C’è però un Eni che non ti aspetti: green, sostenibile e soprattutto redditizio.

Tutte le attività per così dire non fossili sono sotto l’ombrello di Plenitude. “In Plenitude, il programma di espansione della capacità di generazione da fonti rinnovabili prosegue verso l’obiettivo di superare i 2 GW entro la fine dell’anno”, ha fatto sapere De Scalzi: “Date le condizioni di mercato, l’IPO è stata rimandata ma rimane nei nostri piani. Il business Eni della mobilità sostenibile incrementerà il valore delle nostre bioraffinerie, facendo leva sull’integrazione verticale con il nostro innovativo agri-business e il portafoglio di soluzioni decarbonizzate. Tecnologie breakthrough – ha concluso l’amministratore delegato – sono il motore del nostro sviluppo come testimonia la costruzione in corso dell’impianto dimostrativo di fusione magnetica che punta a produrre energia netta da fusione nel 2025“.

A proposito di redditività, nel secondo trimestre, Plenitude (che ricordiamo include il business retail, renewable & mobilità elettrica) ha conseguito un Ebit di 112 milioni di euro (+58% in riferimento al secondo trimestre 2021) per effetto delle maggiori produzioni di energia elettrica rinnovabile e dei maggiori prezzi di vendita all’ingrosso. E l’Ebitda atteso di Plenitude per il 2022 è confermato superiore a 0,6 miliardi.

Nel dettaglio, sul fronte rinnovabili, la produzione di energia elettrica è stata pari a 662 GWh nel secondo trimestre 2022, quasi quintuplicata rispetto allo stesso periodo del 2021. Al 30 giugno la capacità installata da fonti rinnovabili è pari a 1,5 GW: rispetto al 31 dicembre scorso la capacità è aumentata di 0,4 GW, principalmente grazie all’acquisizione dell’impianto Corazon negli Stati Uniti, all’installazione del primo lotto da 68 MW del campo fotovoltaico di Brazoria (USA), nonché all’acquisizione degli asset eolici di Fortore Energia in Italia.

L’accelerazione di Eni verso produzioni di energia rinnovabile è evidente elencando i principali accordi siglati nel secondo trimestre. Ad aprile, Plenitude ha annunciato un investimento in EnerOcean, una società spagnola che sviluppa W2Power, una tecnologia innovativa per impianti eolici galleggianti. Sempre ad aprile GreenIT, la joint venture tra Plenitude e CDP Equity, ha firmato ad aprile un accordo con il fondo Copenhagen Infrastructure Partners (CIP) per la costruzione e la gestione di due parchi eolici offshore galleggianti in Sicilia e Sardegna, con una capacità totale prevista di circa 750 MW. A maggio è stata siglata una intesa con Ansaldo Energia per valutare tecnologie per l’accumulo di energia elettrica alternative alle batterie elettrochimiche. A luglio, per concludere, Plenitude e HitecVision hanno sottoscritto un accordo per l’espansione dell’attività della joint venture norvegese Vårgrønn con l’obiettivo di consolidarne la presenza tra i più importanti player del settore eolico offshore.

Non è finita: a maggio Eni ha firmato con Sonatrach un memorandum of understanding per valutare la fattibilità di un progetto di idrogeno verde nella concessione Bir Rebaa North, per consentire la decarbonizzazione delle operazioni. La transizione energetica è avviata. Il cane a sei zampe è sempre più verde.

eni

Maxi accordo tra Eni e Qatar. Gli affari del colosso italiano nel 2022

Eni è stata selezionata da QatarEnergy come nuovo partner internazionale per l’espansione del progetto North Field East (NFE). QatarEnergy deterrà una quota del 75% ed Eni il restante 25%. La joint venture a sua volta deterrà il 12,5% dell’intero progetto NFE, di cui fanno parte 4 mega treni GNL con una capacità combinata di liquefazione pari a 32 milioni di tonnellate all’anno.

Il progetto consentirà di aumentare la capacità di esportazione di Gnl del Qatar dagli attuali 77 milioni a 110 milioni di tonnellate all’anno. Con un investimento di 28,75 miliardi di dollari, Nfe dovrebbe entrare in produzione entro la fine del 2025 e impiegherà tecnologie e processi all’avanguardia per minimizzare l’impronta carbonica complessiva, tra cui la cattura e lo stoccaggio della CO2. La mossa rafforza la presenza di Eni in Medio Oriente ottenendo l’accesso a un produttore di GNL leader a livello globale, con riserve di gas naturale tra le più grandi al mondo.

Nel 2022, gli sviluppi di business del colosso italiano dell’energia sono stati strategici: ha stipulato accordi quadro sull’aumento di flussi export del gas verso l’Europa con Algeria, Egitto e Congo; ha stretto un’intesa su nuove forniture di gas per l’Italia con l’Angola, perfezionando l’accordo con bp per la creazione di una joint venture indipendente, Azule Energy; all’inizio dell’anno, ha stipulato un’intesa con il Messico sulla produzione di una Fpso (unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico), ‘Miamte’, che ha avviato la produzione dal giacimento di Miztón, già a febbraio. Si calcola che la produzione aumenterà fino al completamento dello sviluppo entro il 2024 con l’installazione di altre due piattaforme sui giacimenti di Amoca e Tecoalli. Negli Emirati Arabi Uniti, l’azienda italiana ha poi registrato risultati positivi con il pozzo esplorativo XF002 nel Blocco 2, offshore Abu Dhabi, il primo negli Eau. Attraverso Vår Energi, controllata congiuntamente da Eni (69.85%) e da HitecVision (30.15%), si è aggiudicata poi 10 nuove licenze esplorative cin Norvegia. In Mozambico e Benin ha stretto accordi per la produzione di di agro-biofeedstock per biocarburanti.

gazprom

Russia taglia 15% forniture gas a Italia. Cingolani: “Nessuna criticità”

Dopo la Germania è la volta dell’Italia. Gazprom, ieri, ha comunicato a Eni una limitata riduzione delle forniture di gas, pari a circa il 15%. “Le ragioni della diminuzione – ha riferito a Gea un portavoce del gruppo – non sono state al momento notificate“. Certo, colpisce la concomitanza con il viaggio del premier Mario Draghi, assieme al presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, a Kiev, per portare di persona la solidarietà al popolo ucraino (e non solo, ovviamente) nell’incontro con il presidente Volodimir Zelensky.

Il braccio di ferro con Mosca, però, non si esaurisce con questa mossa. Perché il gigante russo del gas ha annunciato anche che taglierà di un altro terzo le sue forniture di gas all’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream, affermando di essere stato costretto a spegnere un’apparecchiatura della tedesca Siemens. “Gazprom sta interrompendo il funzionamento di un’altra turbina a gas Siemens presso la stazione di compressione di Portovaya“, dove viene riempito il Nord Stream, la cui produzione giornaliera scenderà giovedì da 100 a 67 milioni di metri cubi al giorno, dopo un primo calo da 167 a 100 milioni di metri cubi martedì.

Martedì il colosso russo aveva ridotto del 40% il flusso verso Berlino attraverso lo stesso gasdotto a causa di “problemi tecnici e ritardi nella manutenzione“. Una giustificazione respinta al mittente dal ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, che ha parlato invece di “una decisione politica“, impossibile da giustificare con ragioni tecniche.

Sul fronte italiano l’attenzione è alta. “L’andamento dei flussi di gas è costantemente monitorato in collaborazione con gli operatori“, ha assicurato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, spiegando che “non si riscontrano criticità“. Anche perché, come spiega l’amministratore delegato di Italgas, Paolo Gallo, a margine della presentazione del Piano Strategico 2022-2028, “bisogna fare i conti prima di preoccuparsi. Un elemento positivo è il livello di stoccaggio che è significativamente elevato, quindi si prosegue con il riempimento degli stoccaggi. Certamente è un elemento da prendere in considerazione“. Il manager sottolinea che “Eni certamente ha una visione più ampia di noi. Ma bisogna capire come i flussi di gas continueranno e come il livello di stoccaggio si muoverà. Noi, rispetto a altri Paesi, abbiamo livelli di stoccaggio più elevati. Quindi abbiamo un piccolo vantaggio“.

Le stesse rassicurazioni sono arrivate anche dall’Europa. Per l’Ue “non ci sono al momento indicazioni di rischi sulle forniture energetiche, anche se “non abbiamo ancora spiegazioni per quanto riguarda la decisione sull’Italia”, mentre “eravamo a conoscenza del taglio verso la Germania”, ha precisato un portavoce della Commissione Ue. Dall’inizio delle sanzioni contro la Russia, sono diminuite costantemente le esportazioni di gas da Mosca verso l’Europa. Già nelle scorse settimane Gazprom aveva chiuso i rubinetti a Bulgaria, Polonia, Paesi Bassi, Danimarca e Finlandia, per mancati pagamenti in rubli come richiesto dalle autorità russe. Tra l’11 e il 21 luglio è prevista la chiusura del gasdotto Nord Stream 1 per la manutenzione stagionale.

E mentre sul territorio europeo continua il braccio di ferro con il fornitore russo, da Gerusalemme la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha annunciato la firma di un memorandum di intesa trilaterale con Israele ed Egitto per maggiori forniture di gas al vecchio Continente. L’accordo “contribuirà a intensificare le consegne di energia in Europa, ha detto la presidente, spiegando che il gas israeliano arriverà in Egitto attraverso gasdotto – “si spera un giorno un gasdotto pronto per l’idrogeno” -, dove sarà liquefatto in Gnl e poi portato nell’Unione europea, dove sarà poi rigassificato. “Penso che questo sia un progetto molto importante, ma sappiamo che, nel tempo, dovremmo esplorare insieme l’uso delle infrastrutture per le energie rinnovabili. Questa è l’energia del futuro“, ha aggiunto von der Leyen.

venezia

A Venezia la prima stazione Eni in Italia per auto a idrogeno

Venezia dimostra con i fatti di essere davvero capitale mondiale della sostenibilità. Una città che in questi ultimi anni sta investendo energie e risorse per contribuire concretamente ad una reale transizione energetica che garantisca la tutela e la salvaguardia dell’ambiente“. Parole del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, durante la presentazione in località San Giuliano a Mestre della prima stazione di servizio Eni in Italia per il rifornimento di idrogeno. L’impianto è dotato di due punti di erogazione, con una potenzialità di oltre 100 kg/giorno, che possono caricare autoveicoli (in circa 5 minuti) e autobus. Si tratta in effetti di una novità assoluta in Italia, e fa parte della riqualificazione dell’area di servizio riaperta al pubblico a febbraio sia per il rifornimento di carburanti tradizionali sia per la ricarica elettrica, con una colonnina dotata di due postazioni che possono ricaricare contemporaneamente un veicolo in modalità fast e ultrafast. “La più antica città del futuro diventa così un esempio per tantissime altre amministrazioni che potranno guardare a quanto stiamo facendo” ha commentato Brugnaro, secondo cui “questa stazione di rifornimento ci consentirà di procedere speditamente in quel piano di ammodernamento del trasporto pubblico locale alimentato ad idrogeno che stiamo portando avanti con gli investimenti del Pnrr e soprattutto, grazie a Toyota, porterà nel parco auto del Comune alcune nuove vetture di rappresentanza alimentate a idrogeno“.

Di fatto, con l’impianto mestrino Eni procede verso la realizzazione di una rete di distribuzione che permette la circolazione di mezzi alimentati a idrogeno. La Eni Live Station è anche il primo traguardo della collaborazione con Toyota e Comune di Venezia per promuovere la mobilità sostenibile nel territorio veneziano attraverso la costruzione di nuove infrastrutture. “Un passaggio fondamentale per lo sviluppo della mobilità ad idrogeno anche in Italia“, secondo Luigi Ksawery Luca, amministratore delegato di Toyota Motor Italia. “Il percorso verso una mobilità a zero emissioni – spiega il manager della casa giapponese – non potrà che far leva su un utilizzo diffuso sia di mezzi alimentati ad idrogeno, sia di veicoli elettrici a batteria, che nella nostra visione sono pienamente complementari tra loro. L’auspicio è che questa sia solo la prima di molte stazioni di rifornimento d’idrogeno con le quali l’Italia possa presto allinearsi con gli altri Paesi europei”. In linea con l’accordo siglato nel 2019, Toyota metterà su strada un minimo di 10 Toyota Mirai: 3 sono state consegnate oggi a Brugnaro e sono entrate a far parte del parco mezzi comunale. Altre 3 vetture entreranno a far parte del parco auto dedicato al servizio di car sharing Kinto Share nella città di Venezia.

Un traguardo e un punto di partenza“, è quanto sottolinea Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution di Eni. “Non a caso – aggiunge – siamo in un’area come il Veneto e a Venezia per rispondere alla domanda di mobilità sostenibile e, più in generale, di una efficace e concreta transizione energetica“.

Alberto Cirio

Cirio a Versalis: “Aiutateci a creare una vera economia circolare”

Arriva da Crescentino, al confine tra le province di Torino e Vercelli, la proposta del governatore piemontese, Alberto Cirio, a Versalis, che nelle campagne del piccolo comune ha dato vita all’unico impianto italiano di produzione di bioetanolo ‘advanced’, cioè ottenuto da biomasse lignocellulosiche che non sono in competizione con la filiera alimentare. Impianto che per Versalis “ha una straordinaria importanza dal punto di vista strategico perché è il primo esempio al mondo di applicazione industriale della tecnologia Proesa (Produzione di etanolo da biomasse) per la produzione di energia rinnovabile“, ha ricordato il presidente Marco Petracchini, durante un incontro istituzionale organizzato per illustrare il ciclo produttivo del sito. Ed è proprio al termine delle spiegazioni ‘tecniche’ che il governatore piemontese ha invitato i vertici di Versalis – società di Eni impegnata nello sviluppo della chimica green – ad allargare il concetto di economia circolare al territorio piemontese, così da portare “benefici non solo all’ambiente, ma anche a tutti i ‘pezzi’ del circolo, a partire dalle aziende“.

L’impianto di Crescentino, acquisito dal gruppo nel 2018, è stato completamente riconfigurato e dall’inizio del 2022 produce bioetanolo partendo da biomasse di legno e cellulosa che, sostanzialmente, sono scarti di altre produzioni. L’obiettivo è trattare 200mila tonnellate all’anno di masse green, per una capacità massima di di circa 25mila tonnellate all’anno di bioetanolo. Lo stabilimento, inoltre, si basa sulla circolarità: si autosostiene dal punto di vista energetico, grazie alla produzione di energia elettrica rinnovabile e vapore dalla centrale termoelettrica che viene alimentata da biomasse a filiera corta e dalla lignina coprodotta dal processo.

Ed è proprio sul tema della circolarità che si è concentrato il presidente della Regione. La Pianura Padana, ha ricordato, è una delle zone più inquinate d’Europaa causa della sua geografia, con le Alpi che ‘chiudono’ Piemonte, Lombardia e Veneto e impediscono ai venti di spazzare via l’inquinamento. In queste Regioni ci sono restrizioni maggiori da parte di Bruxelles per quanto concerne gli scarti dell’agricoltura: ad esempio, è possibile bruciare i residui della potatura soltanto in un determinato periodo dell’anno, cioè dopo aprile. Ma le potature si fanno a ottobre e novembre. E cosa se ne fanno di tutto quel materiale se non possono smaltirlo?“. La Regione, ha spiegato, sta finanziando gli agricoltori affinché “si consorzino e acquistino dei cippatori” e allora “vi chiedo“, ha detto rivolgendosi ai vertici di Versalis, “perché non affiniamo meglio questo meccanismo? Se noi li sosteniamo in questa iniziativa, perché non vi attivate affinché il prodotto della cippatura trovi una destinazione sul territorio, cioè nel vostro impianto?

È un progetto che noi abbiamo già in mente – ha risposto Sergio Lombardini, responsabile BU Biochem Versalisma ci sono, al momento, ostacoli non di natura tecnica, quanto di partnership e normativa“. Ostacoli che, però, potrebbero essere superati “consorziandoci e creando, possibilmente, questa unità di cippatura con una municipalizzata“. “La sua proposta – ha rimarcato – incontra assolutamente una nostra idea“.

Il governatore piemontese, al termine del suo intervento, ha sottolineato quanto sia importante per la politica “progettare e avere una visione. Abbiamo un problema – ha ricordato – che è l’inquinamento. E allora dobbiamo trasformarlo in una opportunità, mettendo l’agricoltura al centro di un sistema di economia circolare. Ci sono molti soldi che arrivano dall’Europa e sono a disposizione per finanziare anche iniziative come queste. Mettiamo sempre un tappeto rosso a chi vuole investire in Piemonte“.

versalis

Versalis: “La fame è grande, con rinnovabili nuovi orizzonti”

La fame è sempre più grande” e le rinnovabili ci consentono “di ampliare il nostro portafoglio di prodotti“. L’amministratore delegato di Versalis, Adriano Alfani, parla del futuro green della società del gruppo Eni impegnata nella chimica verde, e lo fa da Crescentino, in provincia di Vercelli durante un incontro con le istituzioni del territorio per visitare l’impianto che, dall’inizio del 2022 produce bioetanolo advanced partendo da biomasse di legno e cellulosa. All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, anche il presidente di Versalis, Marco Petracchini e il governatore piemontese, Alberto Cirio. “Qui ad esempio – ha aggiunto Alfani riferendosi al sito del vercellese – stiamo valutando di produrre anche biogas e bioetanoloperché “per essere primi bisogna sì produrre, ma anche innovare“.

Versalis, ha ricordato l’ad, “sta spingendo tantissimo sui temi della sostenibilità, dell’economia circolare e delle fonti rinnovabili perché vogliamo dare al mercato prodotti decarbonizzati“. “Siamo la prima azienda chimica italiana non per volume – ha aggiunto Alfani – ma perché siamo sostenibili e specializzati. Per essere primi bisogna innovare ed è quello che stiamo facendo“.

E proprio grazie alla sua politica di sostenibilità, Versalis ha ottenuto la valutazione Platinum, il massimo livello del rating EcoVadis per la responsabilità sociale d’impresa. “Questo importante riconoscimento – ha detto Alfani – conferma il costante impegno di Versalis in tutti gli ambiti della sostenibilità, mettendo in atto le buone pratiche e integrandole nei sistemi di gestione dei processi aziendali. Il massimo rating ottenuto posiziona la nostra azienda al top del settore ed è il risultato di un grande lavoro di squadra”.

Acquisito nel 2018 da Versalis, il sito di Crescentino è stato riconfigurato grazie a importanti investimenti e ha avviato la produzione di bioetanolo advanced, in conformità con la normativa europea per lo sviluppo delle energie rinnovabili RED II, in quanto deriva da materie prime che non sono non in competizione con la filiera alimentare. In sostanza, si tratta di scarti di altre lavorazioni, reperite in aree vicine allo stabilimento, promuovendo una filiera a corto raggio e supportando i produttori locali. Il bioetanolo è prodotto attraverso la tecnologia Proesa1, una delle più innovative al mondo su scala industriale nel settore della chimica da biomasse, è certificato ISCC-EU e sarà utilizzato per la formulazione di benzina con componente rinnovabile. A Crescentino viene prodotto anche un disinfettante per mani e superfici, presidio medico chirurgico realizzato utilizzando come principio attivo l’etanolo di origine vegetale.

Il sito di Crescentino – ha ricordato Petracchini – ha per noi una straordinaria importanza dal punto di vista strategico perché è il primo esempio al mondo di applicazione industriale della tecnologia Proesa (Produzione di etanolo da biomasse) per la produzione di energia rinnovabile“.

Lo stabilimento si basa sulla circolarità: si autosostiene dal punto di vista energetico, grazie alla produzione di energia elettrica rinnovabile e vapore dalla centrale termoelettrica che viene alimentata da biomasse a filiera corta e dalla lignina coprodotta dal processo. Un complesso impianto di trattamento acque consente anche la produzione di biogas, a sua volta impiegato per la produzione di vapore. Inoltre, l’impianto è in grado di riciclare l’acqua utilizzata, riducendone drasticamente il consumo.

Incontro del Presidente Draghi con il Presidente Tebboune a Palazzo Chigi. Foto Palazzo Chigi.

Energia, Tebboune da Draghi e Mattarella: Italia-Algeria firmano nuovi accordi

L’energia resta centrale nello scacchiere geopolitico internazionale. Soprattutto per l’Italia, uno dei maggiori importatori di gas e petrolio dalla Russia, che da subito ha guardato all’Africa per la strategia di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico. Al centro del piano di Roma è stato posto subito l’accordo con l’Algeria, che dal 2023-2024 fornirà fino a 9 miliardi di metri cubi di gas per gli stoccaggi del nostro Paese. Un’amicizia di lunga data che ora diventa molto più stretta, ma non solo in campo energetico. Dopo la visita del premier, Mario Draghi, ad Algeri il mese scorso, ora è il presidente della Repubblica Algerina Democratica e Popolare, Abdelmadjid Tebboune, ad essere atterrato a Roma, per chiudere nuovi accordi che non riguardano solo le forniture di gas ma anche “nuovi orizzonti” sullo sviluppo delle rinnovabili, l’elettricità, lo scambio di informazioni finanziarie, la cooperazione culturale, le microimprese e il turismo.

Tebboune è stato ricevuto al Quirinale, dove il rapporto con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è forte. Granitico. “L’Algeria da tempo per l’Italia è un partner strategico per quanto riguarda l’energia, oltre che per diversi altri aspetti – dice infatti il presidente della Repubblica -. E noi siamo riconoscenti per l’ulteriore intensificazione di questa collaborazione, così come registrato, nei mesi scorsi, nei contatti intercorsi con il nostro governo”. Ma la collaborazione tra Italia e Algeria “si estende naturalmente alla ricerca di cooperare insieme nel segno della transizione ecologica, per intensificare la definizione e lo sviluppo delle forme di energia alternativa, rinnovabili, che consenta anche di dare una risposta alla crisi climatica che vi è nel mondo, attraverso l’unica strada percorribile”. Pensieri che coincidono perfettamente con quelli del presidente algerino: “Siamo disposti a dare l’Italia quanto ci chiede. C’è un accordo per delle esplorazioni congiunte tra Eni e Sonatrach, quindi ogni volta che la produzione viene aumentata la possiamo fornire all’Italia, che poi la manderà a tutta l’Europa”. Ma non solo, perché anche “sull’energia elettrica siamo d’accordo con gli amici italiani: ci sarà un collegamento marittimo dall’Algeria, con cui attraverso l’Italia potremo alimentare” il Vecchio continente.

Dopo i colloqui al Colle, la delegazione africana si è spostata a Palazzo Chigi, per la firma dei protocolli governativi d’intesa tra i ministri italiani degli Esteri, Luigi Di Maio, delle Infrastrutture e mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, del Turismo, Massimo Garavaglia, e il vice ministro dello Sviluppo economico, Gilberto Picchetto Fratin, e gli omologhi algerini. Nell’incontro con Draghi è stato anche “esaminato un lungo elenco di progetti da intraprendere insieme”, spiega poi premier, sottolineando che “c’è stata una grande apertura a iniziare una collaborazione tra i nostri Paesi che sarà molto più estesa di quanto abbiamo mai fatto in passato”.

Il primo assaggio si è avuto sempre a Palazzo Chigi, dove alla presenza proprio di Draghi e Tebboune, il presidente di Sonatrach, Toufik Hakkar, e l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, hanno firmato un Memorandum d’Intesa finalizzato all’accelerazione dello sviluppo di campi a gas in Algeria e alla decarbonizzazione attraverso idrogeno verde. La firma, fa sapere l’azienda “rappresenta un ulteriore tassello nel rafforzamento della cooperazione energetica tra Italia e Algeria ed è in linea con la strategia Eni di diversificazione delle fonti energetiche in un’ottica di decarbonizzazione”. Domani il presidente algerino vedrò di nuovo Mattarella, a Napoli, dove a Villa Rosebery parteciperà alla colazione offerta dal capo dello Stato. Il piano strategico dell’Italia, dunque, procede con passo costante.