Gas, accordo Italia-Libia da 8 miliardi. Meloni: “Passaggio storico”

Tenuto nascosto per motivi di sicurezza, il viaggio in Libia di Giorgia Meloni – accompagnata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello dell’interno Matteo Piantedosi – si è materializzato in un gelido sabato di fine gennaio, pochi giorni dopo la missione in Algeria. Al centro di questo viaggio il tema energetico e la volontà di accelerare i tempi per fare diventare l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo. A tripoli, infatti, la premier ha consolidato una partnership che, in concreto, poterà all’Italia circa 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Si tratta di un’intesa che è stata sottoscritta dall’Eni e dalla Noc (National Oil Corporation), ufficializzata da un comunicato della stessa Eni: “L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e l’amministratore delegato della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara, hanno siglato oggi un accordo per avviare lo sviluppo delle ‘Strutture A&E’, un progetto strategico volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. L’accordo è stato firmato alla presenza del Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e del primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Al-Dbeibah”.

L’accordo con la Libia, oltre che in chiave hub Mediterraneo, va inquadrato nella strategia della diversificazione dei fornitori energetici e dell’indipendenza dalla Russia. Ci vorranno circa tre anni perché le estrazioni di gas dal sito a 140 chilometri da Tripoli possano diventare ‘concrete’ ma l’intesa ha durata venticinquennale e quindi a lungo spettro: interessa due pozzi di gas off shore, chiamati rispettivamente “Struttura A” e “Struttura E”, scoperti nel 1970. Era dal 2000 che Italia e Libia non sviluppavano un progetto insieme e questo legame contribuirà alla stabilizzazione del Paese che faticosamente sta cercando un equilibrio dopo la scomparsa del colonnello Gheddafi avvenuta nel 2011.

La presidente del Consiglio ha definito questo accordo “storico” e consentirà di “diversificare le fonti energetiche, lavorare sulla sostenibilità, garantire energia ai libici e maggiori flussi all’Europa”. Per Meloni “La Libia è un partner fondamentale, che può contare sull’Italia nel processo di stabilizzazione politica, per il sostegno all’economia, per le infrastrutture. Una cooperazione a 360 gradi tra due nazioni che da sempre sono amiche”.

Energia, Plenitude: Possibile rateizzare bollette luce-gas del primo semestre

I clienti Plenitude, dal 1° febbraio, potranno chiedere la rateizzazione delle bollette di luce e gas relative al primo semestre 2023, con rate variabili in funzione dell’importo e senza l’applicazione di interessi e spese. Lo rende noto la società – che è una controllata di Eni – spiegando che l’agevolazione riguarda famiglie, condomini e piccole imprese.

L’iniziativa, si legge in una nota, “si pone in linea con quanto già fatto nel 2022”, ed è stata maturata “in considerazione delle difficoltà che i propri clienti potrebbero incontrare nel rispettare le scadenze delle bollette di energia elettrica e gas”. La possibilità di rateizzazione è stata concordata con i rappresentanti nazionali delle Associazioni del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU).

Plenitude è la Società Benefit di Eni che integra la produzione di energia 100% da fonti rinnovabili, la vendita di servizi energetici e un’ampia rete di punti di ricarica per veicoli elettrici. L’azienda fornisce attualmente energia a circa 10 milioni di clienti europei nel mercato retail con l’obiettivo di raggiungere entro il 2025 più di 11 milioni di clienti e di installare oltre 30.000 punti di ricarica per la mobilità elettrica. La Società prevede inoltre di superare i 6 GW di capacità installata da fonti rinnovabili entro il 2025, i 15 GW entro il 2030 e di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2040. EFS

Prezzi del gas ancora giù, bolletta verso taglio del 30-35%. Ma Arera resta prudente

Stoccaggi alti e meteo in miglioramento in Europa hanno rimandato sotto i 60 euro per megawattora il prezzo del gas sul mercato di Amsterdam. Il contratto Ttf con scadenza febbraio 2023, crollato da lunedì, ha ceduto oltre un punto percentuale oggi terminando la seduta a 57,55 euro/Mwh. La quotazione del gas ad Amsterdam risente del forte “aumento nell’utilizzo di fonti di energia fossile a maggiore impatto emissivo, come il carbone”, spiegava al Sole 24 Ore il presidente di Proxigas, Cristian Signoretto, ma anche del boom dell’eolico in particolare in Germania, Paesi del Nord Europa e nella penisola Iberica. “Quella relativa ai prezzi è una buona notizia per le famiglie e le imprese che vedranno le bollette ridursi”, aggiungeva Signoretto. Infatti anche nel mercato italiano il prezzo del gas sta calando: è sceso a 66,182 euro per megawattora. La media di gennaio è così di 68,802 euro/Mwh, il 40% in meno rispetto alla media di dicembre. Una percentuale che ai primi di febbraio, in base al nuovo meccanismo di calcolo, spingerà Arera – l’autorità per l’energia – a ridurre le tariffe del metano nel mercato tutelato di un 30-35%. Una sensibile riduzione, che arriva dopo due mesi di rialzi (novembre e dicembre) legati alla risalita dei prezzi con i primi freddi invernali.

La riduzione “però non deve toglierci il senso di urgenza avuto fino ad ora. A questi prezzi l’Europa paga comunque l’energia un multiplo degli Stati Uniti e della Cina e l’energia è essenziale per sostenere sviluppo industriale, economico e sociale“, puntualizzava il presidente di Proxigas, l’associazione nazionale industriali gas nata dall’aggregazione fra Anigas e Igas, che oggi ha tenuto la sua assemblea. “Vedo un rilassamento complessivo sull’abbassamento dei prezzi e mi preoccupa perché la situazione non è risolta“, ha sottolineato Aurelio Regina, presidente del gruppo tecnico Energia di Confindustria, intervenendo all’evento di Proxigas: “Se nel 2023 dovesse venire a mancare il sostegno pubblico in termini di incentivi per la riduzione dei costi dei consumi noi ci troveremmo esattamente nella situazione del 2022“. “Siamo ancora nel problema, siamo certo in una fase migliore ma elementi di criticità all’orizzonte non mancano. Bisogna tenere una sana e prudente attenzione“, ha ribadito Stefano Besseghini, presidente Arera, perché “abbiamo minimizzato i problemi, ma non li abbiamo risolti e alcuni si presenteranno nelle prossime settimane”.

Rispetto ai timori di settembre però la situazione è migliorata. “Se continua così e se siamo fortunati dovremmo riuscire ad avere a marzo ancora disponibilità di stoccaggi di gas al 60-65%. Poi dovremo incominciare a riempirli e non avremo più il gas russo”, ha ricordato l’ad di Eni, Claudio Descalzi, davanti ai rappresentanti di Proxigas. “Il gas continua a crescere e se noi non siamo veloci questo gas avrà una richiesta sempre superiore e non avendolo lo pagheremo sempre di più. L’obiettivo di tornare a prezzi di 4-5 anni fa mi sembra difficilissimo, in quest’ottica“. La quotazione del gas ad Amsterdam o in Italia è in effetti ancora del 250% rispetto a gennaio 2021. “Difficilmente arriveremo a fine di quest’anno ai prezzi alti di sei mesi fa, i prezzi però resteranno alt. Credo però che in 2-3 anni, quando metteremo a punto tutte le infrastrutture ritorneremo a prezzi ragionevoli“, ha concluso l’ad di Edison, Nicola Monti.

Caro-bollette, Antitrust contesta 7 società: “Aumenti ingiustificati per 2,6 milioni di famiglie”

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato sette procedimenti istruttori e deciso di adottare altrettanti provvedimenti cautelari nei confronti delle principali società fornitrici di energia elettrica e di gas sul mercato libero, che rappresentano circa l’80% del mercato. Secondo l’Authority, infatti, solo “metà degli operatori interessati ha rispettato la legge evitando di modificare le condizioni economiche – dopo il 10 agosto 2022 – ovvero revocando gli aumenti illecitamente applicati”. In altri termini, non tutti gli operatori si sono attenuti all’articolo 3 del Decreto Aiuti Bis – approvato il 9 agosto e convertito in legge il 21 settembre, che recita testualmente: “Fino al 30 aprile 2023 è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Fino alla medesima data (…) sono inefficaci i preavvisi comunicati per le suddette finalità prima della data di entrata in vigore del presente decreto, salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate”.

L’Antitrust contesta a Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie la mancata sospensione delle comunicazioni di proposta di modifica unilaterale delle condizioni economiche, inviate appunto prima del 10 agosto e, in seguito, “le proposte di aggiornamento o di rinnovo dei prezzi di fornitura, di carattere peggiorativo, giustificate sulla base della asserita scadenza delle offerte a prezzo fisso”. Ad Acea viene anche contestata “l’asserita efficacia delle comunicazioni di modifica unilaterale del prezzo di fornitura perché inviate prima dell’entrata in vigore del Decreto Aiuti bis (10 agosto 2022) e non ‘perfezionate’ prima della stessa data”.
Questi ultimi interventi vanno ad aggiungersi ai quattro procedimenti istruttori e agli altrettanti provvedimenti cautelari adottati nei confronti delle società Iren, Dolomiti, E.On e Iberdrola e fanno seguito a un’ampia attività preistruttoria svolta nei confronti di 25 imprese. In base a questa mole di dati, all’Auhority “risulta che i consumatori, i condomini e le microimprese interessati dalle comunicazioni di variazione delle condizioni economiche sono 7.546.963, di cui circa 2.667.127 avrebbero già subito un ingiustificato aumento di prezzo”.

“Ogni giorno – commenta il presidente di Consumerismo No Profit, Luigi Gabriele – ancora oggi, decine di consumatori scaricano la modulistica sul nostro sito per diffidare i gestori dall’applicare qualsiasi aumento delle tariffe di fornitura per luce e gas, a indicare come il fenomeno sia ancora molto esteso”. Incalza il Codacons, che invoca l’intervento della magistratura: “Dopo i provvedimenti adottati oggi dall’Antitrust, abbiamo deciso di presentare un nuovo esposto a 104 Procure della Repubblica di tutta Italia, affinché si indaghi a tutto campo sul comportamento delle società del mercato libero, accertando se le pratiche adottate possano configurare eventuali fattispecie penalmente rilevanti, dalla truffa all’appropriazione indebita, fino all’interruzione di pubblico servizio”.
Dal comunicato dell’Antitrust si legge infine che Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie adesso “dovranno sospendere l’applicazione delle nuove condizioni economiche, mantenendo o ripristinando i prezzi praticati prima del 10 agosto 2022 e, inoltre, dovranno comunicare all’Autorità le misure che adotteranno al riguardo”.
Le imprese hanno sette giorni per difendersi e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato potrà confermare o meno i provvedimenti cautelari. Hera, Edison ed Enel hanno già comunicato le proprie posizioni in merito e che si riservano di tutelare le proprie ragioni nelle sedi competenti. Il Gruppo Hera “ritiene di avere sempre operato in modo conforme alle norme vigenti e nel pieno rispetto degli impegni contrattuali con i propri clienti”, Edison ribadisce di essersi limitata “ai rinnovi delle condizioni economiche alla naturale scadenza contrattuale” ed Enel precisa “di non avere modificato alla propria clientela le condizioni economiche durante il periodo di validità dei contratti”.

 

 

Bioenergia

Da Eni a Coldiretti: la rivoluzione agricola per produrre energia

La seconda vita dell’agricoltura. Produrre energia e aiutare l’Italia ad avvicinarsi a quell’indipendenza energetica messa a dura prova in questo periodo per colpa principalmente del gas. La transizione energetica potrebbe dunque passare dai campi. La via l’ha indicata Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, dal Forum Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Villa Miani a Roma. E un importante accordo tra Eni e l’ex Bonifiche Ferraresi apre la via all’utilizzo di terreni abbandonati per produrre sementi da biocarburanti.
Tre le linee d’attacco di Coldiretti: biocombustibili, idroelettrico e solare.
Fa notizia il primo distributore di biogas per il rifornimento delle auto, realizzato nell’azienda agricola Bosco Gerolo, a Rivergaro, in provincia di Piacenza, gestito interamente da donne. “Con lo sviluppo del biometano agricolo Made in Italy ‘dalla stalla alla strada’ è possibile arrivare a produrre il 6% del fabbisogno di gas nazionale rispetto all’attuale 3%. Con il Pnrr sono stati stanziati 1,9 miliardi di euro per gli impianti biogas e biometano ed è ora necessario attivare i decreti attuativi – sottolinea Prandini -, riducendo la dipendenza del Paese dall’estero e fermando i rincari che stanno mettendo in ginocchio le imprese. Attualmente sono oltre 2.000 gli impianti a biogas in Italia di cui l’80% in ambito agricolo, dove sono stati creati 12mila posti di lavoro per investimenti pari a 4,5 miliardi di euro”.

Da tempo Coldiretti insiste poi sul piano laghetti per la realizzazione di oltre 220 invasi che darebbero la possibilità di rendere irrigui quasi 500.000 ettari. I laghetti artificiali consentirebbero peraltro di produrre energia da fonti rinnovabili, sia attraverso la realizzazione di circa 350 impianti fotovoltaici galleggianti, sia attraverso il processo di produzione idroelettrico. In totale 7 milioni di megawattora all’anno.
Sul solare il Pnrr ha stanziato 1,5 miliardi di euro, di cui il 30% è stato utilizzato con il primo bando. “Servono ora correttivi per aiutare le imprese a fare questi investimenti e garantire energia al Paese. Dal prossimo 1° gennaio la normativa europea sugli aiuti di stato per il settore agricolo consentirà l’incremento delle percentuali di contributo pubblico dalle attuali soglie del 50% per le regioni del Sud e del 40% per il Nord, portando tutto al 65%. Ma ciò va assicurato anche a chi ha fatto già domanda”, ha sottolineato il presidente di Coldiretti. Per l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti sono coinvolte circa 20mila stalle e cascine: una superficie complessiva di 4,3 milioni di metri quadri che può valere 0,43 Gw, il tutto senza consumare terreno fertile.

Proprio su terreni non produttivi insiste il nuovo accordo firmato da Eni e Bf, l’ex Bonifiche Ferraresi, per valutare lo sviluppo di colture a uso energetico in Italia, recuperando appunto aree degradate, abbandonate o inquinate, senza entrare in competizione con la filiera alimentare. “Oggi diamo vita ad una nuova iniziativa che prevede lo studio e la successiva messa in produzione dei primi 2.000 ettari nazionali di terreni adibiti alle coltivazioni di semi oleaginosi”, spiega Federico Vecchioni, amministratore delegato di Bf. Nel dettaglio a inizio 2023 si intende avviare una fase pilota finalizzata alla coltivazione delle sementi, come il cartamo e la brassica da cui estrarre l’olio vegetale da conferire alle bioraffinerie di Eni (a Venezia e a Gela), per la successiva trasformazione in biocarburanti. Le bioraffinerie sono oggi alimentate per l’85% da materie prime di scarto risultanti da oli esausti di cucina, grassi animali e altre biomasse, consentendo di produrre biocarburanti HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) in grado di abbattere, a seconda della carica utilizzata, tra il 60 e il 90% delle emissioni di CO2 rispetto al mix fossile di riferimento. La materia prima arriverà anche dall’Africa dove la società energetica guidata da Descalzi ha realizzato e sta implementando agri-hub in Kenya (dove si prevede una produzione di 20.000 tonnellate nel 2023 di oli vegetali), Congo (ricino da terreni agricoli abbandonati e degradati), Mozambico, Angola, Ruanda, Costa d’Avorio e Benin. Eni ha inoltre annunciato uno studio per la possibile realizzazione di una terza bioraffineria all’interno del sito industriale di Livorno che potrebbe avvenire entro il 2025, massimizzando così le sinergie con le infrastrutture già disponibili.

Paolo Scaroni

Scaroni: “Avremo bisogno di gas per altri 10 anni. Trivellare? L’Italia è un Paese contro tutto”

Paolo Scaroni è Deputy Chairman di Rothschild & Co, oltre che presidente del Milan. Ma per anni è stato amministratore delegato sia di Enel che di Eni: insomma, è una autorità nel mondo dell’energia.

Presidente, avremo gas abbastanza questo inverno o batteremo i denti?
“Ne avremo abbastanza se le modeste forniture dalla Russia – riceviamo ancora circa 20-25 milioni di metri cubi di gas al giorno – dovessero continuare ancora per qualche mese. Se dovessero interrompersi domani mattina avremmo qualche preoccupazione”.

Gli italiani stanno ‘scoprendo’ che cos’è il gas. Si stanno facendo programmi a breve-medio termine per arrivare all’indipendenza dalle forniture russe, ci stiamo però legando ad altri fornitori di gas, molti in Africa. Qual è la soluzione per diventare veramente indipendenti? Quella delle rinnovabili, del nucleare, dell’idrogeno?
“Cominciamo col dire che l’Italia per ragioni storiche è stato il Paese che ha inventato l’utilizzo ampio del gas, perché quando Mattei cercava il petrolio in pianura padana, nelle perforazioni trovava gas ed ebbe l’idea di usarlo come combustibile nelle fabbriche e non solo per la giovane repubblica italiana. Quindi gli italiani ora scoprono il gas ma in realtà siamo stati i precursori. Oggi rinunciare al gas russo, vuol dire utilizzare gas per molti anni che arriva da altri Paesi. È difficile immaginare una transizione energetica in quattro e quattrotto. Certo, oggi riceviamo gas dall’Algeria, dalla Libia, dall’Azerbaigian via tubo, quindi solo per noi, e poi possiamo acquistare gas liquido nel mondo, che viaggia come il petrolio. Però quest’ultimo è sul mercato mondiale e va a chi lo paga di più. A lungo termine, certo, rinnovabili e nucleare potranno giocare un ruolo importantissimo, però almeno per i prossimi dieci anni noi abbiamo bisogno di gas”.

Noi il gas ce l’abbiamo, non estratto, soprattutto nell’Adriatico. C’è lo stop di ambientalisti e di alcuni partiti probabilmente per salvaguardare la laguna di Venezia. Intanto i croati trivellano e lo fanno anche gli albanesi di fronte alla Puglia. È un po’ un controsenso all’italiana?
“Noi nel passato abbiamo estratto 15-20 miliardi di metri cubi all’anno e le ricordo che il consumo italiano è di circa 70 miliardi, quindi coprivamo circa il 20-25% del fabbisogno. Progressivamente siamo calati come risultato perché non abbiamo fatto nuove esplorazioni, non è stato possibile realizzare nuove piattaforme e così via. Certo, gli italiani sono contro lo sfruttamento degli idrocarburi in mare, ma in realtà siamo un Paese che è sempre contro tutto. Siamo un Paese dove è difficilissimo realizzare qualunque infrastruttura. E così avviene che, siccome il gas non ha passaporto, se un giacimento è tra le acque di interesse economico di due Paesi, il Paese che lo estrae se lo porta a casa. Se si volesse ripartire con un aumento della produzione in Italia di gas, dovremmo ripartire con le esplorazioni, e far tante cose che suscitano opposizione ma non dalla politica, dai nostri concittadini. Sono loro che si organizzano per bloccare qualunque cosa. Pensiamo solo che oggi riceviamo 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Azerbaigian, e meno male che li riceviamo altrimenti saremmo veramente in difficoltà , e quel tubo che ci collega alla Grecia – il famoso Tap – ha avuto opposizioni incredibili. Oggi però si va lì e non lo si vede nemmeno. Quindi da questo punto di vista siamo veramente un Paese curioso”.

Rigassificatori, l’Italia ne ha realizzato uno grande al largo delle coste venete nel 2008, poi stop. Abbiamo scoperto con questa crisi energetica che la Germania non ha rigassificatori. Com’è possibile che grandi Paesi europei come Italia e Germania non abbiano investito in rigassificatori?
“È possibile perché per decenni, Germania, Italia ma anche Austria, Repubblica Ceca e altri Paesi del centro Europa hanno considerato la Russia il loro Texas, ritenendolo un Paese affidabile, che rispettava i contratti e che aveva tutto il gas di cui avevamo bisogno. Tra l’altro, il gas russo era più competitivo di quello liquido. Spagna e Portogallo si sono dotati di impianti di rigassificazione perché non potevano accedere al gas russo.”

Le risposte alla crisi energetica dell’Unione Europea lasciano un po’ il tempo che trovano, manca la volontà di creare una politica energetica vera continentale?
“Quando penso all’Europa penso alla governance che ci siamo dati. Ce la siamo data noi quindi è inutile criticarla, ma abbiamo una governance così complicata, farraginosa, bloccata da veti, per cui qualunque decisione o azione rilevante a livello europeo richiede tempi non compatibili con le emergenze. Questo è un vero problema. Vorrei anche aprire il capitolo Nato, perché quando a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina l’Alleanza Atlantica ha deciso azioni fortissime – armi, sanzioni – a quel tavolo c’erano dei Paesi petroliferi, primo fra tutti la Norvegia, che è un grandissimo esportatore di gas. In quel momento era largamente prevedibile che la reazione della Russia sarebbe stata quella di tagliarci il gas e che i prezzi sarebbero quindi schizzati a livelli inimmaginabili. A quel tavolo c’era chi ci guadagnava – Norvegia, Stati Uniti, Canada – e chi perdeva enormemente. Ecco, quella poteva essere la sede e potrebbe essere ancora la sede per chiedere una distribuzione più equa, perché è strano che un’azione presa collettivamente veda qualcuno che ci guadagna enormemente e qualcuno che ci perde enormemente”.

È vero che la guerra in Ucraina ha determinato un aumento fortissimo del prezzo del gas, ma qualche sommovimento c’era già prima. Qualcosa si percepiva?
“No, direi che non è così. Quello che avveniva nel 2021 è stato un aumento dei prezzi e dei consumi di gas, una crescita fisiologica frutto di economie che uscivano dalla pandemia, di transizione dal carbone al gas, quindi da una domanda più forte che spingeva i prezzi al rialzo. Per darle un dato: in Cina, dove molte case sono riscaldate a carbone, si è deciso proprio per ragioni ambientali di trasformare il riscaldamento di 15 milioni di case da carbone a gas. Il mercato vedeva prezzi in salita, ma niente a che vedere con quello che è accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina. Una osservazione: quando l’Europa ha deciso di rinunciare al gas russo, ha rinunciato a 150 miliardi di metri cubi all’anno. Non è che sul mercato c’erano 150 miliardi di metri cubi pronti a soppiantare il gas russo.”

Il Ttf, il prezzo alla Borsa di Amsterdam, è al centro delle polemiche. C’è chi dice che è una fiera di paese, che bisogna riformarla, che si deve addirittura agganciarsi all’Henry Hub americano per determinare le bollette…
“Magari ci legassimo all’Henry Hub, il problema è che l’Henry Hub è il mercato del gas domestico americano, non del gas di importazione…”

Il prezzo sarebbe ovviamente più alto di quello russo, però inferiore a quello che vediamo attualmente sul Ttf…
“Noi non possiamo condizionare i prezzi di una merce che non abbiamo. Quello che potremmo teoricamente fare è fissare un tetto ai prezzi per il gas che ci arriva via tubo quindi Norvegia, innanzitutto, Azerbaigian, Libia e Algeria, perché questo gas norvegesi e algerini non possono che venderlo a noi dato che il gasdotto è collegato con noi, non hanno alternative. A questi Paesi, in particolare alla Norvegia nostra partner nella Nato, potremmo chiedere un prezzo calmierato. Per quanto riguarda il gas liquido parlare di price cap mi sembra francamente una stupidaggine: se noi fissiamo un tetto che non è del mercato mondiale, il gas non verrà da noi ma andrà da un’altra parte”.

Lei è stato amministratore delegato di Enel e di Eni, il futuro come vede?
“Due osservazioni. Ci stiamo incamminando verso un’Europa che avrà costi energetici superiori agli Stati Uniti e alla Cina, i due grandi competitor a livello mondiale. Quindi le nostre imprese che utilizzano molta energia soffriranno e magari delocalizzeranno la loro produzione andando alla ricerca di energia meno cara. Il consumatore europeo avrà meno soldi in tasca perché dovrà pagare di più per scaldarsi, quindi da questo punto di vista vedo un futuro un po’ grigio. Penso però che dalle crisi vengano fuori nuove idee e può darsi che sul terreno delle rinnovabili, che dobbiamo spingere al massimo, l’Europa possa prendere quella leadership che vuole avere senza fermarsi solo a pannelli solari e pale eoliche ma con nuovi prodotti e soluzioni, attraverso i quali possiamo ritornare alla testa della tecnologia mondiale. Ultima cosa, il mondo non fa che cambiare: oggi ci diciamo delle cose, magari fra 5 anni ci diremo il contrario. Se ci fossimo incontrati nel 2012, dieci anni fa, prima dell’operazione russa in Crimea, e mi aveste chiesto una valutazione sul fornitore Russia per il gas, avrei detto che è un buon fornitore come puntualità delle consegne, prezzi, tranquillità…”.

Ultimissima domanda. C’è l’ipotesi che lei potrebbe essere il nuovo amministratore delegato di Milano-Cortina 2026. Se la chiamasse Draghi ci andrebbe?
“No, perché un compito full time come lo immaginano Draghi, il Coni, il Cio, mi obbligherebbe a lasciare tante cose che faccio, prima di tutte il Milan, che è una avventura che non ho nessuna intenzione di lasciare. Proprio ieri sono stato rinnovato per tre anni come Presidente. Immaginate se posso lasciare il Milan che negli ultimi anni sta dando discrete soddisfazioni…”.

Carollo (esperto petrolio e gas): “Abbandonare Ttf subito o l’economia rischia grosso”

Salvatore Carollo è stato un dirigente Eni e ora è analista e trader specializzato in petrolio e gas. È una sorta di autorità in materia. Recentemente sulla Rivista Energia ha lanciato una proposta per uscire dal dramma dei prezzi del Ttf, la Borsa olandese che ha visto schizzare fino a 350 euro/Mwh: abbandonare la piazza dei Paesi Bassi e legare il parametro delle nostre bollette all’Henry Hub, piattaforma americana, dove le quotazioni sono 7-8 volte inferiori a quelle europee.

Dottor Carollo, perché il Ttf non va bene e perché sforna prezzi così imprevedibili?

“La natura del Ttf non è tale da essere punto di riferimento del mercato europeo del gas. Io la chiamo fiera di Paese e molti mi hanno bacchettato, dicendo che esce da un meccanismo degno di una borsa. Bene, non la chiamerò più allora fiera di paese, ma miniatura di un Borsa… La Borsa petrolifera di Londra o di New York, ogni giorno vede transazioni per 2-3mila miliardi di dollari. C’è una liquidità straordinaria, che consente a tutti di operare, mentre ad Amsterdam la liquidità è di 1 miliardo. In Europa però il mercato del gas è più grande di quello petrolifero. Come fa allora un indicatore di un miliardo a rispondere a esigenze di un mercato da centinaia di miliardi?”.

Già, come è possibile? Per questo si parla di speculazione?

“Il Ttf è inadeguato per l’Europa. Mi spiego: la maggior parte del gas, 90-95%, va direttamente dall’origine alla destinazione finale, non ci sono intermediazioni, le forniture sono stabilite con contratti anche decennali. Per cui su quali scambi di volumi si basano le contrattazioni di Amsterdam? Pochi metri cubi, quelli fra Olanda, Belgio e Renania… Ora, se io e lei fossimo grandi traders avremmo modo di manipolare una Borsa così piccola: ci presentiamo la mattina e vogliamo 5 miliardi di contratti, la Borsa dice che 4 miliardi di domanda non sono stati soddisfatti, che era a corto di offerta, così il prezzo schizza in alto. La mattina dopo chiediamo di comprare 10 miliardi di contratti. Risultato: manca offerta e prezzo schizza alle stelle. Così hanno portato il prezzo da 20 a 380 euro in un anno e mezzo”.

Intanto l’economia, che paga bollette legate al Ttf, soffre…

“È una cosa grave e drammatica, che grida vendetta stiamo mettendo a repentaglio l’economia italiana ed europea perché difendiamo il Ttf. Capisco molti interessi, gli extra-profitti, tutti quelli del mare del Nord che stanno facendo il bagno nell’oro, però c’è un silenzio imbarazzante sul Ttf”.

Lei propone di legare il calcolo delle tariffe di luce e gas all’Henry Hub americano, come si può fare?

“L’Arera, l’authority per l’energia, dovrebbe definire il prezzo al consumo in base alla media pesata dei prezzi d’acquisto delle società italiane sul mercato internazionale, loro hanno l’obbligo di comunicarlo. E se si smettesse di riferirsi al Ttf, la Borsa olandese andrebbe in crisi, scenderebbe il prezzo e tutti i contratti basati su quell’indice produrrebbero tariffe inferiori”.

Ma perché proprio Henry Hub?

“Noi principalmente importiamo gas allo stato gassoso, via tubo. Il gas liquefatto, Gnl, per il processo tecnologico con cui si produce – fra raffreddamento, trasporto e ritorno allo stato gassoso, senza contare che il 30% evapora – è più caro di quello che arriva da un gasdotto. Questo è un dato oggettivo. Allora prendiamo il prezzo del gas liquido più caro che ci sia: ecco l’Henry Hub, terminale dal quale il gas viene esportato in tutto il mondo, un prezzo di mercato indiscutibile, usiamo quello come tetto per determinare le bollette. Se Arera vede che un operatore ha comprato a un prezzo più alto, a quel punto lo tira fuori dalla media pesata”.

L’Italia ha demandato all’Europa la grana energia…

“Quello che io propongo va fatto tutto in Italia, la politica energetica è materia esclusiva al 100% dei singoli Paesi”.

Come vede i prezzi futuri del gas?

“Se l’Italia smette di nascondersi dietro la foglia di fico dell’Europa, il problema si risolve subito. Se però la classe politica non ha coraggio di intervenire, chiaro che il mercato resterà pazzo. Quanti cittadini italiani hanno capito se abbiamo gas o non ce l’abbiamo? Assistiamo a uno scontro fra propagande, ma i pipeline che da Ucraina vengono in Europa non hanno smesso di portarci gas. La scorsa settimana, infine, Eni ha dichiarato a Gastech che porterà 20 miliardi di metri cubi di gas in più. Allora da dove nasce il problema della mancanza di gas? Perchè tagli e ristrettezze? Vedo dunque una crisi del prezzo più che dei volumi, ma il prezzo dipende dalle nostre scelte politiche. Andiamo a vedere gli interessi che ci legano al Ttf e poi ne riparliamo…”.

cipro gas

Scoperto maxi-giacimento di gas al largo di Cipro

Una scoperta che influirà notevolmente sul raggiungimento dell’indipendenza energetica dell’Europa dal gas russo. È quella annunciata dal gruppo Eni insieme alla francese TotalEnergies che hanno individuato, a circa 160 chilometri al largo di Cipro, un maxi-giacimento di gas da 2,5 TCF (trilioni di piedi cubi).

In sostanza, spiega Eni, il nuovo pozzo – denominato Cronos-1 – si trova in una profondità d’acqua di 2.287 metri e consiste in un’importante colonna di gas in una sequenza di roccia serbatoio carbonatica con proprietà da discrete ad eccellenti.

Con quest’ultimo ritrovamento Eni Cyprus è a quota quattro pozzi esplorativi perforati e due nel Blocco 6, dopo la scoperta a gas di Calypso-1 nel 2018. Il Gruppo conferma così l’efficacia della sua strategia, volta a creare valore attraverso la profonda conoscenza dei bacini geologici e l’applicazione di tecnologie geofisiche proprietarie.

(Photo credits: AMIR MAKAR / AFP)

Claudio Descalzi

L’Eni che non ti aspetti: eolico, sostenibile, alternativo

Eni ha sbancato il mercato. Ha chiuso il primo semestre con un utile netto di 7,398 miliardi, in crescita dagli 1,103 miliardi dello stesso periodo del 2021. “In un contesto di incertezza e volatilità dei mercati, ci siamo attivati rapidamente per garantire nuovi flussi di approvvigionamento“, ha commentato l’amministratore delegato, Claudio Descalzi. E “in Italia, ci siamo proattivamente impegnati nella ricostituzione degli stoccaggi di gas in previsione” dell’inverno. Petrolio e gas ovviamente sono i capisaldi del successo del cane a sei zampe che, confermando previsioni e il buy-back, ha beneficiato di uno sprint di tutto rispetto in Borsa: +5,63% a 11,71 euro, fra il plauso degli analisti. C’è però un Eni che non ti aspetti: green, sostenibile e soprattutto redditizio.

Tutte le attività per così dire non fossili sono sotto l’ombrello di Plenitude. “In Plenitude, il programma di espansione della capacità di generazione da fonti rinnovabili prosegue verso l’obiettivo di superare i 2 GW entro la fine dell’anno”, ha fatto sapere De Scalzi: “Date le condizioni di mercato, l’IPO è stata rimandata ma rimane nei nostri piani. Il business Eni della mobilità sostenibile incrementerà il valore delle nostre bioraffinerie, facendo leva sull’integrazione verticale con il nostro innovativo agri-business e il portafoglio di soluzioni decarbonizzate. Tecnologie breakthrough – ha concluso l’amministratore delegato – sono il motore del nostro sviluppo come testimonia la costruzione in corso dell’impianto dimostrativo di fusione magnetica che punta a produrre energia netta da fusione nel 2025“.

A proposito di redditività, nel secondo trimestre, Plenitude (che ricordiamo include il business retail, renewable & mobilità elettrica) ha conseguito un Ebit di 112 milioni di euro (+58% in riferimento al secondo trimestre 2021) per effetto delle maggiori produzioni di energia elettrica rinnovabile e dei maggiori prezzi di vendita all’ingrosso. E l’Ebitda atteso di Plenitude per il 2022 è confermato superiore a 0,6 miliardi.

Nel dettaglio, sul fronte rinnovabili, la produzione di energia elettrica è stata pari a 662 GWh nel secondo trimestre 2022, quasi quintuplicata rispetto allo stesso periodo del 2021. Al 30 giugno la capacità installata da fonti rinnovabili è pari a 1,5 GW: rispetto al 31 dicembre scorso la capacità è aumentata di 0,4 GW, principalmente grazie all’acquisizione dell’impianto Corazon negli Stati Uniti, all’installazione del primo lotto da 68 MW del campo fotovoltaico di Brazoria (USA), nonché all’acquisizione degli asset eolici di Fortore Energia in Italia.

L’accelerazione di Eni verso produzioni di energia rinnovabile è evidente elencando i principali accordi siglati nel secondo trimestre. Ad aprile, Plenitude ha annunciato un investimento in EnerOcean, una società spagnola che sviluppa W2Power, una tecnologia innovativa per impianti eolici galleggianti. Sempre ad aprile GreenIT, la joint venture tra Plenitude e CDP Equity, ha firmato ad aprile un accordo con il fondo Copenhagen Infrastructure Partners (CIP) per la costruzione e la gestione di due parchi eolici offshore galleggianti in Sicilia e Sardegna, con una capacità totale prevista di circa 750 MW. A maggio è stata siglata una intesa con Ansaldo Energia per valutare tecnologie per l’accumulo di energia elettrica alternative alle batterie elettrochimiche. A luglio, per concludere, Plenitude e HitecVision hanno sottoscritto un accordo per l’espansione dell’attività della joint venture norvegese Vårgrønn con l’obiettivo di consolidarne la presenza tra i più importanti player del settore eolico offshore.

Non è finita: a maggio Eni ha firmato con Sonatrach un memorandum of understanding per valutare la fattibilità di un progetto di idrogeno verde nella concessione Bir Rebaa North, per consentire la decarbonizzazione delle operazioni. La transizione energetica è avviata. Il cane a sei zampe è sempre più verde.

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Maxi accordo tra Eni e Qatar. Gli affari del colosso italiano nel 2022

Eni è stata selezionata da QatarEnergy come nuovo partner internazionale per l’espansione del progetto North Field East (NFE). QatarEnergy deterrà una quota del 75% ed Eni il restante 25%. La joint venture a sua volta deterrà il 12,5% dell’intero progetto NFE, di cui fanno parte 4 mega treni GNL con una capacità combinata di liquefazione pari a 32 milioni di tonnellate all’anno.

Il progetto consentirà di aumentare la capacità di esportazione di Gnl del Qatar dagli attuali 77 milioni a 110 milioni di tonnellate all’anno. Con un investimento di 28,75 miliardi di dollari, Nfe dovrebbe entrare in produzione entro la fine del 2025 e impiegherà tecnologie e processi all’avanguardia per minimizzare l’impronta carbonica complessiva, tra cui la cattura e lo stoccaggio della CO2. La mossa rafforza la presenza di Eni in Medio Oriente ottenendo l’accesso a un produttore di GNL leader a livello globale, con riserve di gas naturale tra le più grandi al mondo.

Nel 2022, gli sviluppi di business del colosso italiano dell’energia sono stati strategici: ha stipulato accordi quadro sull’aumento di flussi export del gas verso l’Europa con Algeria, Egitto e Congo; ha stretto un’intesa su nuove forniture di gas per l’Italia con l’Angola, perfezionando l’accordo con bp per la creazione di una joint venture indipendente, Azule Energy; all’inizio dell’anno, ha stipulato un’intesa con il Messico sulla produzione di una Fpso (unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico), ‘Miamte’, che ha avviato la produzione dal giacimento di Miztón, già a febbraio. Si calcola che la produzione aumenterà fino al completamento dello sviluppo entro il 2024 con l’installazione di altre due piattaforme sui giacimenti di Amoca e Tecoalli. Negli Emirati Arabi Uniti, l’azienda italiana ha poi registrato risultati positivi con il pozzo esplorativo XF002 nel Blocco 2, offshore Abu Dhabi, il primo negli Eau. Attraverso Vår Energi, controllata congiuntamente da Eni (69.85%) e da HitecVision (30.15%), si è aggiudicata poi 10 nuove licenze esplorative cin Norvegia. In Mozambico e Benin ha stretto accordi per la produzione di di agro-biofeedstock per biocarburanti.