Allarme Gazprom: “Non garantiamo riattivazione Nord Stream”

Il colosso russo Gazprom sostiene di non poter garantire il corretto funzionamento del gasdotto Nord Stream, che rifornisce l’Europa, per la mancanza di una turbina tedesca riparata in Canada.

Le dichiarazioni arrivano con l’oleodotto fermo da dieci giorni per manutenzione, tra i timori dei Paesi europei che Mosca avanzi un motivo tecnico per interrompere definitivamente le forniture e fare pressione nella cornice del conflitto in Ucraina. Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, si mostra meno preoccupato degli altri: “Ci eravamo dati l’obiettivo di ridurre la dipendenza alla Russia e siamo passati da oltre il 40% di dipendenza a poco meno del 25% in pochissimi mesi“, spiega. Un lavoro fatto, ricorda, grazie a “nuovi partenariati che abbiamo costruito“.

La prossima settimana sarà con il premier Mario Draghi al vertice intergovernativo in Algeria, un altro passaggio fondamentale rispetto alle partnership energetiche di Roma. “Oggi grazie a questi accordi abbiamo molte meno preoccupazioni di altri partner rispetto alle quantità di gas, ma il prezzo rimane alto per la dinamica della decisione centralizzata al Ttf di Amsterdam e per questo dobbiamo intervenire“, ribadisce il titolare della Farnesina.

Anche prima della chiusura di Nord Stream, la Russia aveva ridotto drasticamente le consegne di gas nelle ultime settimane, adducendo la mancanza di turbine Siemens, necessarie per far funzionare le stazioni di compressione del gasdotto e di cui diverse unità erano state inviate in Canada per essere riparate. “Gazprom non è in possesso di alcun documento che autorizzi Siemens a portare fuori dal Canada il motore della turbina a gas per la stazione di compressione di Portovaya“, ha fatto sapere il gruppo russo in un comunicato. “In queste condizioni, non è possibile trarre alcuna conclusione obiettiva” riguardo al “funzionamento sicuro della stazione di compressione di Portovaia, che è un’attrezzatura essenziale per il gasdotto Nord Stream“.

Sabato il Canada ha annunciato che avrebbe restituito le turbine del Nord Stream alla Germania, nonostante le sanzioni contro Mosca e gli appelli dell’Ucraina a non “sottomettersi al ricatto del Cremlino“. Ottawa ha giustificato la decisione di rimandare indietro le attrezzature spiegando di non voler aumentare il rischio di una grave crisi energetica in Europa.

Le difficoltà sulle forniture di Nord Stream arrivano mentre i Paesi europei faticano a rifornirsi per l’inverno. La Germania ha definito “politica” la decisione di Mosca di tagliare le forniture attraverso il Nord Stream nelle ultime settimane.

Fs, collocati 200mln green bond per acquisto Frecciarossa 1000

Le risorse serviranno ad acquistare nuovi Frecciarossa 1000 per l’Italia e la Spagna in vista dell’entrata del Gruppo Fs, guidato da Luigi Ferraris, nel mercato dell’Alta Velocità iberica a fine anno. Il green bond da 200 milioni di euro, collocato oggi in private placement da FS Italiane e interamente sottoscritto dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), è a tasso variabile ed ha una durata pari a 17 anni. La sottoscrizione – si legge su Fsnews – rappresenta la seconda tranche dell’ammontare di 550 milioni di Euro, approvato dalla BEI nel 2021 e destinato ai nuovi acquisti di Trenitalia per convogli ad alta velocità, a valere del proprio Green Bond Purchase Programme e segue l’emissione di euro 350 milioni, sottoscritta nel mese di dicembre scorso, primo corporate green bond mai acquistato dalla Banca.

I Frecciarossa 1000, tecnicamente ETR 1000, rappresentano l’avanguardia dell’industria ferroviaria in fatto di treni ad Alta Velocità e la loro sostenibilità si misura in una maggiore efficienza energetica, e quindi in un risparmio di consumi, e in un’altissima percentuale di riciclabilità dei materiali usati per tutti i suoi componenti.

atomo

Italia senza energia atomica, ma Enea è leader nella ricerca applicata

Anche se l’Italia ha detto di fatto addio all’energia nucleare con i referendum del 1987, il nostro Paese rimane un punto di riferimento internazionale a livello di ricerca sull’atomo. La testimonianza più chiara arriva da Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile al centro di importanti progetti di ricerca e sviluppo sul nucleare di quarta generazione. Lo scorso dicembre è stato rinnovato il Consorzio Falcon (Fostering Alfred Construction) con Ansaldo Nucleare e Istituto di Ricerca Nucleare della Romania per realizzare un dimostratore di reattore a piombo di media taglia di IV generazione, il primo in Europa. Un’altra collaborazione al via in questo periodo coinvolge uno spin-off del Cern e riguarda reattori cosiddetti ADS (Accelerator Driven System) cioè ‘sistemi guidati da un acceleratore’ di protoni. Impianti che garantirebbero un livello di sicurezza molto maggiore visto che il reattore si spegnerebbe subito in caso di blackout elettrico, l’incubo peggiore per una centrale nucleare. “Questo tipo di reattore funziona ad acqua e sta a metà strada tra terza e quarta generazione, ma permette comunque di ridurre di molto il carico di rifiuti pericolosi”, spiega, parlando con GEA, Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare Enea. A marzo, inoltre, Enea ha siglato un accordo con la startup newcleo che prevede la realizzazione di Advanced Modular Reactors di piccole dimensioni raffreddati al piombo invece che ad acqua. L’obiettivo, ambizioso, della società è di sviluppare i primi prototipi entro sette anni e quindi di commercializzare i nuovi reattori per sostituire quelli oggi in funzione, di seconda e terza generazione. Un progetto che sta attirando le attenzioni di molti investitori, come testimoniano i 300 milioni di capitale raccolti a metà giugno coinvolgendo realtà di primissimo piano come Exor e Azimut. Enea in questa partita metterà in campo infrastrutture, know-how e professionalità del suo Centro Ricerche del Brasimone (Bologna), potendo anche implementate nuove strutture e laboratori con investimenti attorno ai 50 milioni di parte di newcleo e l’assunzione di diversi ingegneri. “È un progetto in cui io e tutta Enea crediamo molto – conferma Dodaro -. Vogliamo sviluppare un dimostratore di un reattore nucleare che però non è nucleare: non ci sarà alcun isotopo radioattivo e le funzioni del nocciolo saranno svolte da resistenze elettriche. Di fatto, noi costruiremo uno ‘scaldabagno’ ma non a acqua, bensì a piombo per dare la possibilità a newcleo di realizzare in Regno Unito e Francia i primi due prototipi di reattori al piombo di piccole dimensioni”.

Enea però vanta anche una tradizione pluridecennale nel campo della fusione nucleare, la cosiddetta ‘energia delle stelle‘ che, spiega Dodaro, ci “renderà indipendenti dai combustibili e sarà pulita e sicura”. Al Dipartimento Fusione e Sicurezza Nucleare Enea lavorano quasi 500 fra ricercatori e tecnologi nei Centri di ricerca di Brasimone e Frascati. “Oggi c’è un grande interesse dal punto di vista industriale per la fusione”, dice Dodaro. I numeri mostrano che nel maggior progetto internazionale sulla fusione, cioè ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) le imprese italiane hanno vinto quasi 2 miliardi di euro di commesse: meglio di noi soltanto la Francia. “Le competenze sul nucleare erano un fiore all’occhiello per l’Italia già quando avevamo le centrali. Fortunatamente dopo il referendum del 1987 le competenze italiane sul nucleare non sono andate perdute e sono state reinvestite in altri ambiti. L’Enea rappresenta un esempio piuttosto chiaro di questa capacità”. Prova ne sia che di recente a Brasimone la ricerca sulla fusione ha dato il la a due nuovi filoni: la produzione di radiofarmaci, con la prospettiva di realizzare un Polo Nazionale per la medicina nucleare e lo sviluppo di tecnologie avanzate per il monitoraggio e la sicurezza/difesa del territorio.

Vienna

La città più vivibile del mondo? Per il The Economist è Vienna

Vienna ha riconquistato il primo posto nella classifica delle città più vivibili del mondo, come nel 2018 e nel 2019, secondo una classifica pubblicata giovedì, da cui è esclusa Kiev, che sta affrontando l’assalto russo, mentre Mosca precipita. La capitale austriaca si colloca per la terza volta al vertice di questo indice realizzato dall’Economist Intelligence Unit, l’unità di ricerca e analisi affiliata al settimanale britannico The Economist. Succede alla città neozelandese di Auckland, che scende di 33 posizioni a causa dell’estensione delle restrizioni sanitarie. Gli esperti hanno premiato la stabilità di Vienna, le sue strutture educative e mediche e la qualità delle sue infrastrutture con un punteggio massimo di 100 su 100. I fattori culturali e ambientali sono quasi ideali.

L’Europa domina ampiamente la top 10 con sei città, tra cui Copenaghen e Zurigo, che completano il podio dietro Vienna, e Ginevra (6°). Il Canada è ben rappresentato con tre città: Calgary (a pari merito con il 3° posto), Vancouver (5°) e Toronto (8°). Parigi è al 19° posto, 23 posizioni in più rispetto al 2021. La capitale belga Bruxelles è al 24° posto, subito dopo Montreal (23°). Londra si è classificata al 33° posto, mentre Barcellona, notoriamente molto vivace, si è classificata al 35° posto, otto posizioni prima di Madrid (43°). Nel resto del mondo, Milano si è piazzata al 49° posto, New York al 51° e Pechino al 71°.

Per essere inclusa in questo panel, la città deve essere considerata una “destinazione d’affari, cioè un centro economico e finanziario, o essere richiesta dai clienti. Beirut, gravemente danneggiata dall’esplosione di un porto nel 2020 e capitale di un Libano politicamente instabile, non è stata inclusa. Gli autori indicano che Kiev ha dovuto essere esclusa dal rapporto nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Allo stesso tempo, Mosca (80°) è scesa di quindici posizioni.

Le città dell’Europa orientale sono scese in classifica a causa dell’aumento dei rischi geopolitici” e “della crisi del costo della vita, compresa l’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari“, ha spiegato la responsabile del rapporto dell’EIU Upasana Dutt. Nell’indice 2021 sono stati introdotti nuovi indicatori, come le restrizioni sanitarie, per valutare gli effetti della pandemia. Nel 2022 la qualità media della vita si è risollevata, ma rimane al di sotto del livello pre-Covid. Damasco rimane la città meno vivibile del mondo.

comunità energetiche

Il Pnrr come stimolatore delle comunità energetiche

Considerato ormai la panacea di tutti i dilemmi italiani, il Pnrr potrà ovviamente dare una grande spinta anche alle comunità energetiche. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede infatti finanziamenti specifici “per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo stabilite dalla normativa italiana, stanziando per le comunità energetiche rinnovabili e i sistemi di autoconsumo collettivo oltre 2 miliardi di euro”. Al di là delle intenzioni del governo e delle istituzioni europee, le comunità energetiche potrebbero davvero diventare il nucleo fondamentale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia. In pratica, l’energia a km zero. Come induce a pensare lo stesso termine, la comunità energetica è un’associazione di persone, imprese e istituzioni che decidono di unire le forze in un territorio ristretto per dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili.

La direttiva europea RED II (2018/2001/UE) definisce peraltro “l’autoconsumatore di energia rinnovabile” come un “cliente finale che produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta”. L’Ue introduce quindi concetti che ai profani appaiono quasi sinonimi, come comunità, collettività, condivisione e collaborazione. Quello di autoconsumo, inoltre, si riferisce alla possibilità di consumare in loco, per i propri fabbisogni, l’energia prodotta da un impianto di produzione locale. Si tratta né più meno di una delle basi delle transizione ecologica. “Produrre, immagazzinare e consumare energia elettrica nello stesso sito prodotta da un impianto di generazione locale – spiega l’Enea nella sua guida alle comunità energetiche – permette al produttore/consumatore di contribuire attivamente alla transizione energetica e allo sviluppo sostenibile del Paese, favorendo l’efficienza energetica e promuovendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili”.

I primi esperimenti sulle comunità energetiche risalgono agli inizi del 2000 e principalmente nel Nord Italia. Oggi, secondo l’ultimo report Comunità Rinnovabili a cura di Legambiente, se ne contano 35 già operative, sparpagliate in tutto il territorio nazionale: alcune tra i propri obiettivi hanno segnalato proprio l’autoconsumo di energia, altre la riduzione della spesa energetica, altre ancora la riduzione della povertà energetica mentre alcune si basano sulla combinazione di queste e altre finalità. Secondo il censimento Rse, invece, in Italia esistono una ventina di comunità energetiche rinnovabili (Cer). Poche, pochissime se si guarda all’estero. Dall’Orange Book ‘Le comunità energetiche in Italia’, curato da Rse e dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Utilitalia, emerge infatti chiarissimo il gap infrastrutturale tra Italia e Paesi europei. Non solo quelli appartenenti al G7, per così dire i più “sviluppati”, ma anche rispetto a quelli meno all’avanguardia dal punto di vista energetico. La Spagna ne conta almeno 33, Polonia e Belgio 34, la Francia ben 70 e la Svezia addirittura 200. Vere e proprie superpotenze sono Regno Unito (431), Paesi Bassi (500) e Danimarca (700) senza contare la quota monstre che può vantare la Germania, con almeno 1750 comunità energetiche attive.

comunità energetiche

Ecco allora che le risorse derivanti dal Pnrr sarebbero indispensabili per colmare il divario con i partner continentali e spingere l’acceleratore sulla transizione green. Il Pnrr, nell’ambito del compito (M2C2 – Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile) prevede 2,2 miliardi di euro specificamente per “la promozione delle energie rinnovabili per le comunità energetiche e l’autoconsumo”. Finanziamenti utili a installare circa 2.000 MW di nuova capacità di generazione elettrica in configurazione distribuita da parte di comunità delle energie rinnovabili e auto-consumatori. Ipotizzando una produzione annua da fotovoltaico di 1.250 kWh per ogni kW, si produrrebbero così circa 2.500 GWh annui in grado di evitare l’emissione di 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

auto inquinanti

Stop a auto e furgoni a benzina e diesel dal 2035

Auto tradizionale addio. Il Parlamento europeo chiude a motori benzina, diesel e gpl, che dal 2035 non potranno più essere prodotti per autovetture e veicoli commerciali leggeri. L’Aula approva le proposte di modifica del regolamento sugli standard di emissione di CO2 per queste tipologie di quattro ruote, che colpiscono anche le vetture ibride. L’obiettivo alla base dell’iniziativa di riforma normativa intende azzerare le emissioni dei gas responsabili del surriscaldamento del pianeta, a prescindere delle tecnologie nascoste sotto il cofano. Questo perché il settore trasporti è il principale responsabile di emissioni di gas clima-alteranti in Europa. Solo il comparto auto contribuisce per il 12% del totale emesso, mentre a livello complessivo la mobilità su gomma consuma il 65% del petrolio utilizzato in Europa.

Le nuove regole, così come approvate dall’Aula (339 voti favorevoli, 249 voti contrari e 24 astenuti) e adesso oggetto di negoziato inter-istituzionale con il Consiglio, impongono alle case automobilistiche di dotare auto e furgoni di motori più puliti da qui in avanti. Il che vuol dire che la catena produttiva dovrà essere innovata già prima dell’introduzione di auto elettrica. In base alle nuove regole g li obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 sarebbero fissati al 55% per le auto e al 50% per i furgoni. In altri termini l’attuale limite di 7 grammi di CO2 prodotta per chilometro percorso resterà in vigore fino al 2024, per poi scendere a 5 grammi dal 2025, a 4 grammi dal 2027, per ridursi a 2 grammi fino al 2034.

Esultano socialisti e verdi, che hanno fatto squadra in Aula. “È la fine dei motori a combustione, è un bene che la proposta sia stata adottata”, sottolinea l’europarlamentare dei Greens, Bas Eickhout. Il capodelegazione del Pd, Brando Benifei (S&D), coglie l’occasione per l’affondo contro gli altri italiani in Parlamento europeo: “Sconfitta totale della destra di Meloni, Salvini e Berlusconi, che hanno provato ancora a demolire il testo”.

Il provvedimento per nuovi standard di auto e furgoni è uno degli elementi portanti della strategia dell’Ue per la sostenibilità, che la commissione Ambiente aveva licenziato a fatica con una maggioranza ristretta di appena sei voti di scarto. Numeri che si temeva potessero essere ribaltati dall’Aula, dove il Ppe, ‘casa’ di Forza Italia, ha fatto approdare un emendamento che chiedeva, invece dello stop del 100% di auto e furgoni leggeri con motori tradizionali dal 2035, la riduzione del 90% di questi veicoli, permettendone quindi la produzione anche oltre la soglia temporale indicata dalla Commissione europea e conferma dalla commissione Ambiente dell’Eurocamera. Un emendamento appoggiato da Conservatori (Ecr) e sovranisti (Id), le famiglie politiche europee rispettivamente di Fratelli d’Italia e Lega. Emendamento bocciato in sede di voto in Aula. Un bene, perché, come spiegano i Verdi, “se questa proposta fosse fallita, non solo avremmo perso credibilità nell’affrontare il cambiamento climatico, ma avremmo anche eliminato la possibilità di rendere a prova di futuro una delle più grandi industrie europee”.

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La svolta della Ue: caricatore unico per tutti i dispositivi elettronici

A partire dall’autunno 2024, un caricatore unico – di tipo USB C – alimenterà tutti i piccoli dispositivi tecnologici e porrà fine alla giungla di cavi nelle case dei cittadini europei e alle tonnellate di rifiuti elettronici che si accumulano ogni anno in discarica. Proprio oggi e stato raggiunto l’accordo tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue, sulla revisione della direttiva sulle apparecchiature radio. Dopo questa intesa generale, eurodeputati e ministri dei 27 Paesi membri dovranno confermare le nuove misure – entro questo autunno – e la revisione della direttiva entrerà in vigore entro 24 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Le novità

  • La proposta è valida anche per i computer portatili, che inizialmente non erano inclusi: “Sono stati inseriti su richiesta del Parlamento, è un grande successo”, ha sottolineato con forza il relatore per l’Eurocamera, Alex Agius Saliba (S&D);
  • Per i dispositivi che supportano la ricarica rapida sarà armonizzata la velocità sul lato della porta USB-C PD (che sfrutta la stessa porta dell’USB-C) assicurando agli utenti una ricarica rapida alla stessa velocità con qualsiasi caricabatterie;
  • I consumatori avranno la possibilità di scegliere se acquistare un nuovo dispositivo elettronico con o senza il caricatore, indipendentemente dal produttore. Questo è legato sia alla volontà di far risparmiare “fino a 250 milioni di euro all’anno sull’acquisto di caricabatterie non necessari”, sia all’obiettivo di abbattere lo spreco di cavi e apparecchiature tecnologiche, che ogni anno è stimato sulle 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici.

I rischi

Imponendo l’USB-C a tutti i produttori, secondo alcuni contestatori, si rischia di rallentare l’innovazione tecnologica e Bruxelles. Ma l’idea è quella di stare al passo con questi sviluppi. Infatti, il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, assicura che “abbiamo ingegneri che si occupano del progresso anche a livello legislativo, della tecnologia, che avanza rapidamente”.

Un 2 giugno ‘diverso’ a Bruxelles anche in chiave mobilità elettrica

Una Festa del 2 giugno diversa dal solito quest’anno, a partire da Roma, dove alla tradizionale parata militare i capofila sono stati gli infermieri, i medici, il personale sanitario che hanno combattuto una vera guerra contro il Covid, contando anche molte, forse troppe, vittime nelle loro stesse fila. Sono questi gli eroi moderni che vorremmo celebrare, non quelli che devono difendere la propria vita con le armi contro un’aggressore. Ma questo, anche questo, purtroppo è quel che il mondo ci sta offrendo.

Tornando alla Festa del 2 giugno, nella quale celebriamo la nascita della nostra Repubblica, mi ha particolarmente e positivamente colpito l’immagine che l’Italia ha saputo dare di sé nella celebrazione qui a Bruxelles.

Era diventato un evento un po’ stanco, ripetitivo: un’ammucchiata di italiani, per lo più attempati, che si riunivano presso la splendida residenza dell’ambasciatore in Belgio, per mangiare qualcosa di faticosamente conquistato ad un buffet (di solito comunque decente). Ci si diceva quanto è bello essere italiani, quante belle cose sappiamo fare, sbucava sempre una Cinquecento o una montagna di Ferrero rocher (perché è vero che si trovano nelle ambasciate). Sudore, saluti e baci e poi tutti a casa. Erano anni che non andavo.

Sarà stato per la salmonella nello stabilimento Ferrero di Arlon, ma quest’anno i rocher non c’erano. C’era la Cinquecento, parcheggiata con discrezione lungo la strada: c’era un modello anni ’70, poi uno attuale, poi una Ferrari, innegabili eccellenze italiane, il tutto in chiave di promozione della mobilità elettrica, con una bella colonnina messa da Enel proprio all’ingresso del passo carraio della Residenza.

Quel che mi è piaciuto però quest’anno qui a Bruxelles è stato che la festa era sì a casa dell’ambasciatore presso il Belgio, così come deve essere, perché è lui che rappresenta l’Italia presso il regno, e dunque noi cittadini italiani, ma era stata organizzata da tutti i numerosi ambasciatori italiani che risiedono nella capitale europea. Si dice “fare sistema”, è un’espressione orrenda, ma il senso del lavorare in maniera unitaria e coordinata che l’Italia sta tentando di fare da qualche tempo qui c’era. Perché abbiamo l’ambasciatore presso il Belgio, al quale tutti i cittadini e le imprese italiane fanno riferimento nel loro quotidiano vivere ed operare qui. Un operare che si esplica nella vita civile del Paese, ma anche nel lavoro politico e materiale presso le istituzioni, e qui entra in campo l’ambasciatore Rappresentante dell’Italia presso l’UE, c’è a Bruxelles anche la NATO, il cui lavoro in questo momento è più che mai legato a gran parte della vita politica ed economia dell’Italia, e quindi c’era anche questo ambasciatore. Un pochino in disparte perché la natura del suo lavoro lo richiede, ecco anche l’ambasciatore presso il Comitato politico e di sicurezza dell’Unione. C’era il governo, con il sottosegretario agli Affari europei, e c’era ovviamente il nostro commissario europeo e qualche europarlamentare.

C’erano tanti giovani, qualche imprenditore, una manciata di giornalisti, due vicepremier belgi, qualche intellettuale e tanti cittadini, ma non troppi, una volta tanto le presenze sono state “ragionate” su quello che l’Italia fa e rappresenta a Bruxelles. Insomma un’Italia meno retorica, non nostalgica, che ha dimostrato di essere a casa sua in Europa.

EMMENUEL MACRON , ROBERTA METSOLA, URSULA VON DER LEYEN

Energia, indipendenza strategica è il centro del futuro dell’Europa

Il futuro dell’Europa passa per l’energia pulita e l’indipendenza strategica. Dall’energia al cibo, dai chip digitali alle tecnologie verdi l’Unione Europea a prova di futuro è quella che “è in grado di provvedere a se stessa in aree vitali, un’Europa che offre protezioni e benefici sociali unici per tutta la durata di queste grandi transizioni”. Per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, molte delle 49 proposte finali elaborate nel quadro della Conferenza sul futuro dell’Europa e presentate lunedì a Strasburgo ai vertici comunitari “ci danno una spinta per accelerare i lavori già in corso”. Primo tra tutti, quello per il patto verde per l’Europa, il Green Deal europeo, e la necessità di accelerare i negoziati sul pacchetto ‘Fit for 55’ in modo “da poter aumentare le energie rinnovabili, poter risparmiare energia e infine svezzarci dai combustibili fossili. Deve essere così”, ha ammonito von der Leyen nel suo lungo intervento durante la cerimonia conclusiva di questo esercizio di democrazia partecipativa inaugurato un anno fa e conclusosi oggi.

La presidente della Commissione promette di dare un rapido seguito alle proposte elaborate dai cittadini europei in questo processo. “Annuncerò le prime nuove proposte in risposta alla vostra relazione nel mio discorso sullo stato dell’Unione già a settembre”, ha assicurato. Si spinge oltre, andando a definire una posizione molto chiara dell’Esecutivo comunitario circa il tema più divisivo che questa Conferenza porta con sé, l’idea di arrivare a una riforma degli attuali trattati dell’Unione Europea su cui diversi Stati membri sono contrari. Chiarisce che il “voto all’unanimità in alcune aree chiave semplicemente non ha più senso se vogliamo essere in grado di muoverci più velocemente. E che l’Europa dovrebbe svolgere un ruolo maggiore – ad esempio, nella salute o nella difesa, dopo l’esperienza degli ultimi due anni – oltre che migliorare il modo in cui funziona la nostra democrazia su base permanente. Voglio essere chiara che sarò sempre dalla parte di coloro che vogliono riformare l’Unione europea per farla funzionare meglio”.

Un cambiamento per un’Europa più integrata e indipendente, anche energeticamente. È anche la trasformazione necessaria evocata dalla presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, secondo cui l’Ue “è ancora troppo dipendente dagli autocrati” come il presidente russo Vladimir Putin. “Dobbiamo sostenerci a vicenda mentre ci separiamo dal Cremlino e investiamo in fonti di energia alternative” e capire che “l’energia rinnovabile è tanto una questione di sicurezza quanto di ambiente. Ma possiamo farlo solo insieme”. Insieme, ha sottolineato la numero uno dell’Eurocamera, ponendo l’accento sulla necessità di aprire una convenzione per discutere di riforma dei trattati europei. “Questa conferenza dimostra che esiste un divario tra ciò che la gente si aspetta e ciò che l’Europa è in grado di fornire al momento. Ecco perché abbiamo bisogno di una convenzione come prossimo passo. Ci sono questioni che semplicemente non possono aspettare”, ha ricordato. Come quella dell’indipendenza energetica.

Per il presidente francese Emmanuel Macron abbandonare più rapidamente i combustibili fossili è un imperativo da un lato per soddisfare l’agenda europea sul clima, dall’altro per far sì che la “Russia affronti le sue responsabilità”. La guerra di Putin in Ucraina e la dipendenza europea “dai combustibili fossili russi significa che dobbiamo essere ancora più ambiziosi sul clima, dobbiamo investire di più nelle energie rinnovabili e nel nucleare, dobbiamo andare verso la sobrietà energetica e continuare a proteggere di fronte all’aumento dei prezzi”, ha sottolineato Macron. Il presidente francese, presente a Strasburgo in qualità di presidente di turno dell’Unione europea (fino alla fine di giugno) ha a cuore i temi della sicurezza alimentare europea e globale. “Dobbiamo anche riconquistare la nostra indipendenza alimentare. La guerra sta destabilizzando profondamente le catene di approvvigionamento e i mercati mondiali”, ha messo in guarda, sottolineando la necessità di ripensare “le nostre strategie di produzione per difendere la nostra sovranità alimentare e proteica”. Uno sguardo all’Europa e uno al resto del mondo. “Se vogliamo evitare carestie, destabilizzazioni geopolitiche alle nostre frontiere e drammi in tutto il bacino del Mediterraneo è una nostra responsabilità come europei”, ha concluso.

Maria Elisabetta Alberti Casellati

Casellati: “Transizione, rinnovabili e sostenibilità come sfida epocale”

L’ambizioso traguardo delle zero emissioni fissato dall’Europa per l’anno 2050 impone all’Italia un grande “salto di qualità”, attraverso “transizione ecologica, fonti rinnovabili, efficienza e autosufficienza energetica e mobilità sostenibile”. In merito a questo le “risorse del Recovery Fund, insieme al Pnrr, possono dare una spinta eccezionale” ma solo se “pianificando con intelligenza e lungimiranza strategie e investimenti”, ha dichiarato la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati nel suo messaggio per la prima edizione di ‘Duezerocinquezero’, forum nazionale su energia e sostenibilità, promosso dal Comune di Padova in collaborazione con AssoEsco.

La “sinergia tra pubblico e privato“, ha sottolineato Casellati, è “indispensabile sostenere il coraggio, l’intraprendenza e la creatività di tanti settori delle nostre economie che hanno messo innovazione, sostenibilità, integrazione con l’ambiente ed efficienza energetica al centro dei loro programmi di sviluppo“. Anche il coinvolgimento dei cittadini è essenziale in quanto “ogni transizione implica per definizione un’evoluzione della società, ovvero una crescita culturale prima ancora che tecnologica e infrastrutturale”. Inoltre, è importante “diffondere la consapevolezza che investire nella sostenibilità non è più soltanto una scelta meritevole, solida e durevole nel tempo, ma una via obbligata tanto sul piano ambientale, quanto su quello economico e sociale“, ha aggiunto la presidente del Senato.