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Verso le Europee: modifiche al Green Deal nei programmi elettorali di tutti i partiti Ue

Giusto, sbagliato, ideologico, poco sociale. Il Green Deal è il filo rosso, anzi, verde, di una campagna elettorale europea che fa dell’agenda di sostenibilità della Commissione europea uscente l’oggetto principale di qualunque partito politico. Ppe, Pse, Verdi, Re, Ecr, Sinistra: tutti hanno qualcosa da dire su un insieme di provvedimenti che si vorrebbe riconsiderare. Le elezioni europee di inizio giugno si identificano dunque in un vero e proprio referendum sulla transizione.

PPE: NO A IDEOLOGIA FUORVIANTE. L’ingrediente principale della ricetta economica dei popolari europei (Ppe) è la rimodulazione del Green Deal. Nel suo Manifesto per le elezioni europee 2024, il Ppe pone l’accento sul “bisogno di una politica che non sia offuscata da un’ideologia fuorviante, ma che fondi piuttosto su solide basi motivi di fatto e responsabilità sociale”. In altri termini, “dobbiamo bilanciare i diversi interessi nella nostra economia, società e ambiente, riconoscendo le sfide dell’economia globale, del cambiamento climatico e delle mutevoli realtà demografiche del nostro continente”. Il partito che in questi cinque anni ha sostenuto la Ursula von der Leyen nella veste di presidente della Commissione Ue è lo stesso che fa campagna elettorale contro di lei in versione candidata al secondo mandato.

Il programma economico di quello che sembra essere destinato a confermarsi primo partito nell’Ue prevede politica di tassazione amica delle imprese, tuttavia non specificata. “L’Europa a sostegno delle imprese e fiscalmente equa” potrebbe prendere diverse forme, lasciate al post-voto di inizio giugno. C’è poi la promessa a migliorare e rilanciare il mercato unico europeo, visto che “il rendimento economico dell’Europa dipende dal suo successo”. Centrali nell’impegno del Ppe, la strategia di competitività per l’Europa e il piano di investimenti per lavori di qualità. La prima intende ridare slancio allo spirito imprenditoriale a dodici stelle, la seconda investire nel settore ricerca e sviluppo. Per la prima si intende stabilire un sistema di verifica delle proposte legislative prima della loro presentazione, per la seconda convincere i governi a combinare investimenti pubblico-privati per un importo pari al 4 per cento del Pil. Il vero nodo centrale è però la riorganizzazione del collegio dei commissari, con un commissario specifico per le Pmi e la riduzione della burocrazia.

PSE: POLITICHE SOCIALI INSIEME A QUELLE EOCLOGICHE. I socialisti (Pse) sono chiari e concisi nel loro Manifesto programmatico. “Diciamo no all’austerità”, recita il documento. “Diciamo sì alla protezione dei lavoratori dalle crisi, alla regolamentazione dei mercati finanziari, alla lotta alla speculazione”. Tutto questo si declina nella proposta di un meccanismo permanente europeo di sostegno alla disoccupazione, sulla scia del programma anti-pandemico Sure che i suoi risultati li ha ottenuti. Un impegno che marca il solco con il Ppe di Ursula von der Leyen presidente della Commissione Ue e candidata, che al varo di un simile meccanismo ‘salva posti di lavoro’ ha detto ‘no’ in tempi non sospetti. Il Green Deal non è in discussione, ma l’agenda verde intende essere tinta di rosso allineando le politiche sociali a quelle ecologiche. Il che vuol dire principalmente contrasto alla povertà energetica e al caro-bollette, approvvigionamento ai più vulnerabili, e impegno per la riforma del mercato energetico per garantire la stabilità dei prezzi e l’accessibilità economica.

Infine, i socialisti intendono interpretare il ruolo di contemporaneo Robin Hood tassando i ricchi proteggendo così i meni abbienti per una giustizia fiscale funzionale all’equità sociale. Da programma, “le grandi aziende, i grandi inquinatori e gli ultra-ricchi devono pagare la loro giusta quota in Europa e nel mondo, attraverso tasse efficaci sulle società, sui profitti straordinari, sui capitali, sulle transazioni finanziarie e sugli individui più ricchi”.

RENEW EUROPA PUNTA SUGLI INVESTIMENTI. Quando si parla di economia e agenda economica i liberali europei (Re, Renew Europe) costruiscono la propria campagna elettorale sugli investimenti per rilanciare il motore economico a dodici stelle. “La prossima Commissione deve essere ‘la Commissione degli investimenti”, il passaggio e l’impegno chiave del programma di partito. Vuol dire attenzione a spesa in ricerca, sviluppo, innovazione e formazione del capitale umani, ma vuol dire anche creazione delle giuste condizioni per attrarre investimenti privati. La chiave per una rinnovata competitività passa per attrazione dei talenti e posti di lavoro di qualità.

Guardando al settore primario, i liberali strizzano l’occhiolino agli agricoltori promettendo loro una revisione del Green Deal in senso più a misura di esigenze di operatori del comparto. Tra queste, la riduzione delle accise sui combustibili rinnovabili, come il biogas, e aumentare la soglia ‘de minimis’ per gli aiuti di Stato all’agricoltura. Per il medio-lungo periodo, invece, votare Renew alle prossime elezioni vorrebbe dire avere chi spingerà per fare in modo che la prossima Commissione presenti un’analisi dei costi e dei benefici dei requisiti cumulativi per il settore agricolo dell’UE derivanti dalla legislazione ambientale e sanitaria, oltre a elaborare “un importante piano finanziario” per la transizione verso un sistema agricolo e alimentare sostenibile e competitivo, individuando le lacune di finanziamento e mobilitando i necessari finanziamenti pubblici e privati.

VERDI: PIU’ GREEN BOND EUROPEI. Verde, perché comunque il Green Deal non si tocca. Ma anche rosso, perché i riferimenti di base delle regole comuni di bilancio sono obsolete e vanno cambiate. I Verdi europei presentano ai cittadini-elettori un Manifesto che spinge anche più esplicitamente a sinistra dei socialisti. “Rivedremo i limiti dei Criteri di Maastricht e del Patto di Stabilità e Crescita”, si legge. Un impegno con cui tentare una spallata al Ppe, che su quei criteri ha costruito la riforma del Patto, e al Pse che non ha saputo modificare il tutto. I criteri di Maastricht fissano i limiti di spesa pubblica, che non può eccedere la soglia del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil e la soglia del 60 per cento nel rapporto debito/Pil. La promessa dei Greens è di quelle che possono acchiappare consensi, ma allo stesso tempo di quelle difficili da realizzare, poiché i parametri in questioni sono incardinati nei trattati sul funzionamento dell’Ue, la cui modifica richiede l’unanimità degli Stati membri e un percorso lungo e tortuoso.

I Verdi propongono una nuova governance macroeconomica “che dia priorità agli investimenti di qualità nei beni pubblici e alla transizione verde rispetto all’obsoleto paradigma della crescita ad ogni costo per evitare ulteriori crisi e le loro conseguenze sociali”. Spazio poi alla green-economy. Qui si intende spingere per un Fondo per la transizione verde e sociale equivalente ad almeno l’1 per cento annuo del PIL dell’Ue, finanziato principalmente da prestiti congiunti a livello dell’Unione. Spazio ai Green bond europei, ma pure al completamento dell’unione bancaria. I verdi spingono per il varo di uno schema di garanzia dei depositi, in stallo da anni.

ECR: FOCUS SU POLITICA INDUSTRIALE. I conservatori europei (Ecr) non si nascondono: “Rimaniamo fermi nella nostra convinzione che il motore a combustione interna, testimonianza della potenza della creatività e dell’ingegno europeo, possa rimanere commercialmente sostenibile negli anni a venire adottando tecnologie all’avanguardia e investendo nella ricerca innovativa su carburanti alternativi a basse emissioni”. Un estratto del Manifesto del partito che è una chiara presa di distanza da un Green Deal che si vuole rivedere in nome quanto meno di un determinato settore industriale. Si cerca un patto europeo con l’industria, a cui si promette che l’Ecr “sosterrà la ricerca e l’innovazione tecnologica e proporrà strategie in accordo con le imprese e non contro di esse”.

Più in generale l’obiettivo primario dell’Ecr nella sfera economica è “rivitalizzare la politica industriale” attraverso maggiore centralità alle piccole e medie imprese e più attenzione ai settori tecnologici (intelligenza artificiale) e di telecomunicazioni (reti 5G e 6G). Il tutto attraverso “libertà d’impresa per ogni cittadino, preservando nel contempo l’autonomia fiscale degli Stati membri e la non interferenza nelle questioni relative alla tassazione”. Non da ultimo, il modello nazionale non può non difende il ‘made in’. Recita il Manifesto Ecr: “Vogliamo anche salvaguardare e promuovere la nostra identità unica in un mondo globalizzato preservando e promuovendo abilità e metodi artigianali tradizionali”.

LA SINISTRA PER UN RECOVERY PERMANENTE.  Il programma economico del partito de La Sinistra propone il ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o Esm) per finanziare la ristrutturazione delle abitazioni e misure di efficienza energetica nel rispetto degli obiettivi del Green Deal, così da scaricare i costi dalle famiglie. A proposito di oneri, ecco la proposta di abolizione del patto di stabilità con il suo rigore, per un nuovo ‘patto di ristrutturazione sociale e ambientale’. Altro punto centrale: il Recovery Fund dovrebbe essere trasformato in meccanismo permanente per stimolare crescita e investimenti.

Nel Manifesto del partito c’è un programma fiscale molto chiaro, e molto a sinistra. Si propone l’introduzione di una ritenuta alla fonte sugli utili di multinazionali e banche, e di riprendere il lavoro per una tassa sulle transazioni finanziarie. Prevista inoltra una doppia azione contemporanea contro i giganti del web e la politica, con la proposta di una ‘tassa cloud’ progressiva sui ricavi delle piattaforme digitali, che copra la spesa delle aziende e dei partiti politici sui social media. Non finisce qui. Perché il programma spinge per una direttiva che un introduca obbligatoriamente un reddito minimo che “copra i bisogni fondamentali per una vita dignitosa” quali cibo, alloggio, energia, previdenza, accesso alla cultura, fondi per le emergenze. Sempre in ambito di politiche del lavoro, si chiede una riduzione delle ore lavorative e l’inclusione degli immigrati “a pari condizioni” salariali e di lavoro. Mentre in materia di spesa, si intende destinare il 7 per cento del Pil per istruzione e un 2 per cento di Pil in cultura.

Camilla Laureti (Pd) ospite del #GeaTalk del 13 maggio

Torna il 13 maggio alle 15.45, in diretta sul nostro canale YouTube, il #GeaTalk, format videogiornalistico di Gea, con i rappresentati delle istituzioni, della politica, delle aziende, della società civile, universitaria e del terzo settore in dialogo diretto su tematiche di stretta attualità. In diretta streaming, attraverso videoclip e news testuali, raccontiamo protagonisti e decisori dei nostri giorni, i loro progetti e le loro opinioni.

Ospite di questa puntata sarà Camilla Laureti, eurodeputata del Partito Democratico con delega alle Politiche agricole e alimentari, candidata alle elezioni Europee dell’8 e 9 giugno.

Questo il link per seguire la diretta:  https://youtube.com/live/ldv1Gt6sVnk

 

Tridico: “In Europa serve politica industriale, tassa unica e reddito di cittadinanza”

Dice Pasquale Tridico, capolista per il Movimento 5 Stelle alle elezioni europee nella circoscrizione Sud, ex presidente dell’Inps ed economista, che qualora dovesse venire eletto al Parlamento si “trasferirà a Bruxelles”. E, aggiunge, “la famiglia sarà con me. L’impegno deve essere nelle istituzioni europee, come fanno altri parlamentari francesi o tedeschi. Invece, molti nostri parlamentari considerano il Parlamento europeo un taxi con cui tornare più forti, per creare un partito o per affari che poco c’entrano con la posizione con cui si è eletti. Questo ha allontano i cittadini italiani dal voto europeo”.

Nel pieno della campagna elettorale, Tridico espone durante un #GeaTalk quali sono gli obiettivi che si dà come uomo di punta del Movimento nella corsa al seggio europeo. Racconta, ad esempio, che “dovremmo migliorare il mercato unico europeo, perché non si regge con questo dumping. Per cui l’Unione dovrebbe iniziare a pensare a una tassa unica sul capitale”. Ma non basta: “Poi iniziamo a fare un welfare dell’Unione europea”, spiega. E, tra le altre cose, cita un reddito di cittadinanza europeo che farà drizzare le antenne all’attuale esecutivo che quello italiano, di reddito di cittadinanza, lo ha appena cancellato: “E’ quello che vogliamo portare in Europa, un reddito minimo universale che sia un dividendo sociale per tutti i cittadini europei che stanno al di sotto della soglia di povertà relativa in tutti i Paesi membri. E questo verrebbe finanziato con una nuova fiscalità, che non è nuova, ma avremmo un bilancio comune più vicino al 5 per cento in modo che gli shock dei Paesi possano essere gestiti in modo comune. Quello che manca è la gestione comune della crisi, che abbiamo visto col Covid e non con le crisi finanziarie”.

Ad ascoltare ancora Tridico, “negli ultimi decenni nel nostro Paese vedo una follia, una tendenza a fare investimenti a scarso contenuto tecnologico. Si aprono bar e ristoranti a ogni angolo di città, che non portano produttività ma sfruttano il lavoro. Potrei fare esempi di altri tipi di investimento che non hanno una responsabilità sociale, ma che al contrario sfruttano il costo del lavoro e la flessibilità per galleggiare, per fare competizione”. Non basta, l’ex presidente dell’Inps va oltre: “Noi abbiamo bisogno di investire in automotive, nella frontiera delle tecnologie, per quello c’è l’esigenza di un grande piano industriale. Stiamo facendo morire le industrie, Melfi chiude, Mirafiori chiude, Stellantis delocalizza. Negli anni ’90 producevamo 1,8 milioni di veicoli all’anno, oggi ne produciamo 900mila, e questo rappresenta il declino industriale del Paese. Se questo è sostituito da bar e ristoranti non cresceremo mai”.

Garbato ma severo, Tridico. Sul Superbonus ‘sgrida’ il ministro Giorgetti: “Il Superbonus nasce nel luglio del 2020, nel febbraio 2021 il governo Conte cade, arriva il governo Draghi col ministro Giorgetti che fa i decreti attuativi al ministero dello Sviluppo economico. Abbiamo il governo Draghi dunque e dopo il governo Meloni, con ancora il ministro Giorgetti. Cioè, il Superbonus è gestito da tre anni e mezzo dai governi Draghi e Meloni con Giorgetti ministro. Possiamo dirne bene o male, ma con certezza possiamo dire che è stato gestito da Giorgetti, che si lamenta senza mai modificarlo”. Meno garbato, ma ugualmente severo in merito al Ponte sullo Stretto considerato “non sostenibile, non economicamente efficiente , non prioritario, inutile”. Perché spiega “dal Nord della Calabria al Sud della Calabria ci vogliono cinque ore e mezzo. Non c’è Alta Velocità, non ci sono strade adeguate. Se arrivo e passo il ponte in venti minuti, cinque minuti, un minuto, cosa me ne faccio? Qual è la priorità per noi calabresi? Passare il ponte in un minuto o avere strade che ad esempio collegano Reggio Calabria con Bari?”.

Rimandata Ursula von der Leyen (“Sulla pandemia ha fatto bene, dopo mi ha deluso”), non promosso Mario Draghi (“Ha contribuito a quella governance del passato, dalla Bce e poi da premier. Sono certo che alcune cose che ha scritto si possano e si debbano fare ma non si possono fare con le stesse persone che hanno contribuito a creare quella governance”), l’euro-ricetta sta nel libro che Tridico ha scritto con un titolo emblematico ‘Governare l’economia per non essere governati dai mercati’. Sostiene l’ex numero uno dell’Inps: “Noi non siamo un Paese in via di sviluppo, non possiamo fare competizione sul lavoro, ma sull’innovazione e la tecnologia. Il lavoro deve essere ben retribuito, ben qualificato, dignitoso. Questo vuol dire governare i mercati”. Il lavoro, sottolinea, “non va considerato un mercato come il carciofo, come il pesce, ma governare i mercati vuol dire governare l’economia, attraverso regole che partono dal mercato del lavoro: il salario minimo, il reddito minimo, i tempi di lavoro, la tecnologia, lo smart working e la produttività che deriva anche dalle competenze acquisite”.

L’ultimo passaggio è sul Green Deal. Che non ha funzionato, perché “ha bisogno di essere sostenuto dagli Stati. Se pensiamo che il costo debba essere supportato da agricoltori, cittadini e aziende, vuol dire che questa transizione non solo non avverrà mai, ma creerà dei ‘perdenti’. Fondi pubblici, perché siamo a un bivio”. In fondo, il ragionamento finisce sempre lì: “In Europa abbiamo avuto una legislazione che ha vincolato, con il divieto agli aiuti di stato le politiche pubbliche. Per questo abbiamo accumulato ritardi nella transizione. Dobbiamo capire che questa transizione deve essere guidata da grandi investimenti pubblici”.

De Meo: “Un ‘Good Deal’ per l’Ue. Draghi? Non è il caso di fare nomi”

“Forza Italia e Partito popolare europeo hanno già immaginato che la prossima legislatura debba concentrarsi su un ‘Good Deal’, un buon accordo”. Salvatore De Meo, presidente della commissione Affari Costituzione del Parlamento europeo, membro della commissione Itre e Agri, candidato alle elezioni europee del prossimo 8-9 giugno per la circoscrizione Italia-Centrale, mette in evidenza cosa non ha funzionato nella transizione verde imboccata cinque anni fa. “Il Green Deal, che nasce nel 2019, non ha tenuto conto di quegli eventi epocali che nessuno immaginava, come la pandemia, i due scenari di guerra e soprattutto la resistenza ideologica di alcuni gruppi politici riconducibili a Timmermans, che non hanno voluto nemmeno aprire quel dibattito, Dibattito che poi si è dovuto inevitabilmente aprire nella parte finale di questa legislatura per rendere praticabili questi obiettivi ambiziosi, legittimi e condivisibili”, dice nel corso del #GeaTalk.

Quindi, per De Meo “la prossima legislatura non deve fare marcia indietro”, ma fare in modo che certi obiettivi siano “conseguiti in maniera realistica, pragmatica sempre e comunque sottolineando che la sostenibilità ambientale deve essere coniugata con la sostenibilità sociale, economica e produttiva”.

Sintetizzando, il futuro “è quello di far sì che quest’Europa si renda conto che la vita reale è un po’ diversa da quella descritta da alcuni tecnocrati, che hanno preso il sopravvento rispetto ad un’assenza di politica che riesca a definire una visione”. La linea “è tracciata e non può essere cancellata”, secondo De Meo. Il riferimento è alle sfide come “le transizioni verde e digitale, che devono però essere riviste alla luce di ciò che è accaduto e che ha avuto un impatto su tutte le dinamiche del Pianeta. Dobbiamo insistere ma con un ambientalismo che non diventi ideologico, con il pragmatismo, perché la sostenibilità ambientale venga declinata anche da un punto di vista sociale, economico e produttivo”.

L’obiettivo è quello di “rendere la nostra Europa sempre più autonoma e competitiva: solo in questo modo saremo in grado di poter essere seduti al tavolo che conta, alla pari e non in maniera subalterna rispetto ad altri continenti – aggiunge -. Perciò non possiamo non guardare a tutto ciò che riguarda l’autonomia alimentare e l’autonomia energetica, conservando le nostre prerogative e i nostri valori”.

Tra nuova Pac e rinnovabili l’agricoltura assume un ruolo centrale nell’Europa che verrà. De Meo affonda il colpo: “Noi siamo contrari all’occupazione del fotovoltaico di terreni agricoli che, invece, devono essere destinati alle funzioni primarie e siamo contrari anche all’invasione di interi parchi fotovoltaici o eolici in alcuni ambienti che, tra l’altro, verrebbero violati nella loro identità paesaggistica e naturalistica”, attacca. E fa esempi concreti: “Nella regione Lazio, così come nella Toscana o nella Puglia, credo che non si possa non guardare sia al fotovoltaico sia alle rinnovabili in generale, con un quadro regolatorio che eviti anche una deturpazione del nostro ambiente. Perché, poi, non si può vivere di solo ambiente: dobbiamo coniugare le politiche ambientali con quelle industriali con quelle sociali e produttive“.

La Pac ha portato i trattori a Bruxelles e a proteste violente. Sottolinea De Meo: “Forza Italia e il Partito popolare europeo, ma anche altri gruppi politici, avevano segnalato da anni che si stava andando in una direzione che avrebbe esasperato il sistema produttivo agricolo. Lo abbiamo dovuto registrare con una tensione che è andata anche oltre la legittima dimostrazione di coloro i quali sono stati messi sul banco degli imputati e definiti come gli inquinatori del mondo“.

Quindi, prosegue De Meo, “la prima narrativa da ribaltare è proprio questa. Anzi, gli agricoltori sono le sentinelle dell’ambiente, coloro i quali non hanno piacere di utilizzare fitofarmaci e non hanno piacere di disperdere le acque. Ma hanno bisogno di avere strumenti che consentano loro di essere competitivi e di garantire la nostra sicurezza alimentare“.

L’appuntamento dell’8 e 9 giugno è una opportunità da cogliere, racconta De Meo, consapevole che le elezioni europee hanno poco appeal sugli italiani e che la campagna elettorale rischia di diventare solo una prova di forza a uso interno. Il cambiamento è nell’aria: “Il Partito popolare europeo non ha escluso riserve e critiche a Ursula von der Leyen che, in questa legislatura, anche in ragione di una maggioranza che in alcuni momenti si è sbilanciata troppo a sinistra, ha assunto delle posizioni che erano troppo appiattite su un vicepresidente, Timmermans”.

E Mario Draghi? Meglio alla Presidenza del Consiglio o della Commissione Ue? “Non possiamo fare nessun tipo di previsione, dobbiamo aspettare l’esito delle elezioni – puntualizza De Meo -. Io non immagino nomi, se non quelli che stanno nel perimetro fisiologico delle regole attuali e che hanno visto i singoli gruppi politici, tra cui il Ppe, fare una procedura di individuazione del proprio candidato. Draghi è un nome autorevole, ma non credo che in questo momento si debba ricorrere al nome autorevole, ancor prima di aver capito quelle che sono le nostre risultanze elettorali”.

Salvatore De Meo (Fi) ospite del #GeaTalk del 6 maggio

Torna oggi 6 maggio alle 13, in diretta sul nostro canale YouTube, il #GeaTalk format videogiornalistico di Gea, con i rappresentati delle istituzioni, della politica, delle aziende, della società civile, universitaria e del terzo settore in dialogo diretto su tematiche di stretta attualità. In diretta streaming, attraverso videoclip e news testuali, raccontiamo protagonisti e decisori dei nostri giorni, i loro progetti e le loro opinioni.

Ospite di questa puntata sarà Salvatore De Meo, eurodeputato di Forza Italia, candidato alle elezioni Europee dell’8 e 9 giugno.

Questo il link per seguire la diretta https://www.youtube.com/watch?v=RCUq1U_7AMk 

Europee, Meloni capolista: “Possiamo cambiare l’Ue, su Green deal avevamo ragione noi”

Dopo settimane di slalom su una sua eventuale candidatura alle europee, l’annuncio arriva dal palco della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara: Giorgia Meloni sarà capolista del suo partito in tutte le liste per le elezioni dell’8 e 9 giugno. Durante la kermesse, Meloni conta sulla presenza dell’alleato di Forza Italia Antonio Tajani. Assente Matteo Salvini, che diserta con un videomessaggio: “E’ l’ultima domenica che posso dedicare ai miei figli“, si giustifica. “Grazie Matteo, anche se ci ha preferito il Ponte”, ironizza la premier.

Oltre un’ora di discorso in cui la leader fa il punto sui traguardi raggiunti dal partito e dal governo, su quelli da raggiungere, sui progetti per l’Italia e l’Europa. Alla fine, un richiamo alla responsabilità per tutti, anche per se stessa: “Intendo fare la mia parte“, annuncia. “Ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni elettorali, se sopravvivo“. Durante il discorso, più volte la leader di FdI accusa malesseri senza precisare il motivo. Sembrano delle cefalee o delle vertigini: “Perdonatemi, sono su un otto volante, ma ce la faccio“, rassicura. Quando il discorso entra nel vivo, la voce si alza e la presidente del Consiglio è costretta a riabbassarla: “Non posso“, scandisce. Meloni rivendica le sue vittorie sui “gufi” che, sostiene, speravano fallisse: dalla revisione del Pnrr ad alcune politiche ambientali a Bruxelles dove, è convinta, l’Italia può fare la differenza.

Affonda sugli “errori” degli avversari. Il Superbonus? “La più grande patrimoniale al contrario mai fatta in Italia“, accusa e ricorda: “Finora sono state scoperte truffe per almeno 17 miliardi di euro. In pratica, quelli che dovevano portare ‘onestà’ nelle istituzioni ci hanno regalato una legge che si è rivelato il più grande regalo mai fatto dallo Stato italiano a ladri e truffatori”. Poi parla del “coraggio e della determinazione” avuti dall’esecutivo italiano nel mettere in discussione alcuni totem del Green Deal: “Ora fioriscono dichiarazioni, studi e documenti che dicono, più o meno, tutti la stessa cosa: bisogna puntare alla sostenibilità ambientale senza derive ideologiche che mettano in pericolo la sostenibilità economica e sociale“, afferma. Che dunque si deve recuperare la dimensione produttiva e competitiva dell’Europa. Parole di “buonsenso, che però confessano come la strada imboccata fin qui dall’Ue fosse sbagliata”. D’altra parte, mette in chiaro, sul Green deal europeo “chi oggi plaude alle parole di Mario Draghi o ai documenti di Enrico Letta, liquidava le nostre critiche come ‘negazionismo climatico’ e ‘oscurantismo scientifico’. La verità – esclama – è che qualcuno dovrebbe avere il coraggio di riconoscere è che abbiamo sempre avuto ragione noi, che non era oscurantismo o negazionismo, ma banale realismo”.

Nessuno, ribadisce la premier, “è più ecologista dei conservatori“, assicura, bollando gli attivisti dei movimenti giovanili come “eco-teppisti che imbrattano i monumenti, le opere d’arte, che bloccano le strade e impediscono alla gente di andare a lavorare”. Contro quelle che definisce “follie ideologiche” dell’Europa, FdI intende continuare a battersi anche sul comparto auto: “Nessuno nega che l’elettrico possa essere una parte della soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti, però io nego che possa essere l’unica – afferma -. Sostenere il contrario è semplicemente un’idiozia, che diventa suicida quando lo si fa senza tenere conto che l’elettrico viene prodotto da nazioni che non rispettano neanche lontanamente i vincoli ambientali a cui sono sottoposte le nostre aziende“. Stesso discorso vale per le Case green, direttiva “pensata malissimo, senza tenere conto di alcuna specificità“, denuncia. E’ come se “efficientare una casa di legno nella tundra finlandese fosse la stessa cosa di efficientare una casa in pietra in un borgo della Sicilia“, lamenta. “Solamente dei burocrati chiusi in un palazzo di vetro possono immaginare una cosa del genere”.

Insomma, con lei al governo, osserva Meloni, “l’Italia è tornata protagonista in Europa, nel Mediterraneo allargato, ambito incredibilmente dimenticato per tanto tempo. E’ tornata in Africa ed è stata capace di fare da apripista per l’approccio non più predatorio o caritatevole, a cui oggi tutti guardano con interesse”. E se questi risultati sono stati ottenuti in un anno e mezzo, incita: “Pensate cosa potremmo fare se l’8 e il 9 giugno riusciremo a moltiplicare la nostra rappresentanza a Bruxelles e se dovessimo riuscire a costruire una maggioranza di centrodestra anche nel parlamento europeo“. Infine, l’invito al popolo, al quale si dice di appartenere con orgoglio, dopo anni in cui “sono stata derisa per le mie radici“, con gli appellativi di “pesciarola e borgatara“: “Votatemi scrivendo il mio nome, ma il mio nome di battesimo, Giorgia, come mi chiamano tutti quelli che mi avvicinano“.

Europee, Confindustria a candidati: “Confrontiamoci, serve un Rinascimento industriale”

In vista delle elezioni europee di giugno, Confindustria chiede un confronto ai candidati. C’è “urgenza di politica industriale, ma sembra che il ceto politico non lo abbia ben chiaro“, avverte Carlo Bonomi ricordando che “la sfida di competitività lanciata da Cina e Usa impone di non perdere tempo“.

L’associazione degli industriali stila un documento e lancia le sue proposte per il futuro del Vecchio Continente, parlando della necessità di un ‘Rinascimento industriale’. Il momento è delicato, avverte il presidente di Confindustria, che ai media chiede: “Non permettiamo che questo importante passaggio democratico, davvero delicato, diventi una grande arma di distrazione di massa della politica”. La domanda è di tenere alto il dibattito sui temi europei e di “spiegare i contenuti di quello che siamo chiamati a fare in questo passaggio democratico, la sensazione è che i temi europei siano poco conosciuti”, osserva.

Il Parlamento europeo, ricorda Bonomi, “si appresta a prendere decisioni vitali per l’Unione”. E’ importante quindi che “si riappropri del proprio ruolo politico che a volte è stato sottratto dall’ingerenza della Commissione“, denuncia l’industriale. L’esempio è quello della Fit for 55: “Se guardiamo agli obiettivi di decarbonizzazione che ci siamo posti, Confindustria ha stimato che solo l’Italia ha bisogno di 1.120 miliardi di investimenti. L’unico strumento di finanza pubblica straordinaria che abbiamo è il Pnrr, che a seconda di come si voglia classificare su questi temi mette 65-70 miliardi, significa che famiglie e imprese dovranno investire oltre mille miliardi e questo, è chiaro, non è possibile“, afferma.

Nei mesi scorsi è stato consultato tutto il Sistema, sia a livello territoriale che settoriale, per contribuire alla definizione di un quadro organico di proposte per rendere l’Europa più competitiva.
Il documento si chiama ‘Fabbrica Europa’ ed è il risultato di questa consultazione capillare. Una serie di raccomandazioni per rimettere l’industria al centro dell’agenda europea, costruendo una politica industriale più forte, basata sulle tre declinazioni della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) e supportata da un “adeguato livello di investimenti”.

Prima delle elezioni europee il sistema di Confindustria organizzerà una serie di incontri, in tutte le circoscrizioni elettorali europee, per un confronto diretto con i candidati sui contenuti del documento. Sull’ambiente, la raccomandazione è di affiancare al Green Deal una politica industriale europea per restare al passo nella corsa globale alle tecnologie del futuro. “È importante adottare un approccio di neutralità tecnologica, e istituire fondi europei che supportino e integrino gli investimenti nelle varie tecnologie e fonti energetiche“, si legge.

Quanto alle politiche energetiche, si chiede di completare l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica, creare un mercato unico del gas e sviluppare una strategia europea per l’energia nucleare. Il mercato elettrico, sottolinea Confindustria, dovrà “tendere ad una efficace integrazione delle fonti rinnovabili, disaccoppiandole dai mercati di breve termine e dal gas“. Parallelamente, per regolarizzare gli scambi crossborder di gas e tendere ad un sistema tariffario europeo armonizzato, è importante favorire la creazione di un mercato unico del gas naturale e di quelli rinnovabili. L’Europa dovrebbe inoltre “dotarsi di una strategia condivisa sul nucleare e dare agli Stati membri chiari indirizzi per la realizzazione di impianti innovativi, che possano in concreto contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione“, precisa ‘Fabbrica Europa’. Il nucleare sta riconquistando un ruolo importante e strategico nel mix energetico del futuro, con Paesi Ue ed extra-Ue che continueranno ad affidarsi a questa fonte energetica. Questa tecnologia, analizza Confindustria, può contribuire alla decarbonizzazione dell’economia Ue, affiancando la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che ha bisogno anche di impianti programmabili ad emissioni zero accanto ai sistemi di accumulo. Nuove prospettive, sottolinea il documento, “potranno anche derivare dal nucleare di piccola taglia e, in futuro, dalla tecnologia della fusione“.

Riformare le regole ETS (Emission Trading Scheme) e rafforzare il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) è un altro punto focale, assieme alla raccomandazione di promuovere l’economia circolare e la simbiosi industriale nei modelli di business. “Andrà definito e armonizzato un quadro regolatorio chiaro e completo che possa stimolare innovazioni per l’uso efficiente delle risorse produttive“.

Fondamentale è anche regolamentare l’intelligenza artificiale per rendere l’Ue il continente ideale dove investire in questa tecnologia: “L’applicazione dell’Artificial Intelligence Act e la futura legislazione in materia dovranno trovare una sintesi efficace tra gli interessi dei diversi settori economici per rendere l’Europa un importante attore nello sviluppo tecnologico e delle applicazioni legate all’IA“.