La Fao chiede misure più incisive per migliorare e tutelare la gestione delle risorse ittiche

La Pesca eccessiva si è ridotta drasticamente nel Mediterraneo e nel Mar Nero, ma lo sfruttamento delle specie più commerciali è ancora lungi dall’essere sostenibile. L’ultima edizione del rapporto ‘Stato della Pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero’, pubblicato dalla Commissione generale per la Pesca nel Mediterraneo (Gfcm), che fa capo all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), registra una diminuzione dello sfruttamento eccessivo delle risorse nell’area, soprattutto con riferimento alle specie più importanti, dalla sogliola dell’Adriatico al nasello europeo, che sono oggetto di piani di gestione multilaterali. Tuttavia, il 73% delle specie commerciali è ancora interessato da una Pesca eccessiva, mentre la pressione della Pesca, pur essendo diminuita nel tempo, continua a essere doppia rispetto al volume considerato sostenibile.

Il rapporto precisa che nel Mediterraneo e nel Mar Nero, dove un abitante su mille è pescatore, migliorare la gestione delle risorse ittiche è vitale, sia per l’economia locale sia per la conservazione della biodiversità. Non a caso, l’edizione 2022 del documento biennale è stata pubblicata in occasione della Cop15 sulla biodiversità che si apre oggi in Canada.
Nel suo precedente rapporto, la Gfcm stimava il sovrasfruttamento per il 75% delle specie commercializzate nel 2018 e per l’88% nel 2012. Un segnale incoraggiante, visto che quest’anno è stata registrata “una notevole riduzione della Pesca eccessiva degli stock di nasello europeo nel Mediterraneo, rombo chiodato nel Mar Nero e sogliola comune nell’Adriatico, che attualmente sono oggetto di uno o più piani di gestione”. È fondamentale per i Paesi interessati “invertire la tendenza al ribasso delle risorse acquatiche” e “stabilire legami tra redditività e sostenibilità”, ha affermato Miguel Bernal, segretario esecutivo della Gfcm. Per questo, nella Strategia per il 2030, i membri della Gfcm hanno fissato nuovi obiettivi per far fronte alle criticità. “La nuova strategia offre una visione ambiziosa e richiede un impegno collettivo più coraggioso rispetto al passato”, ha aggiunto.

Nel Mediterraneo e nel Mar Nero la Pesca genera introiti annui per 2,9 miliardi di dollari e si stima crei mezzo milione di posti di lavoro lungo tutta la catena di valore. In media, uno ogni mille abitanti delle zone costiere della regione è un pescatore; in alcune zone costiere, il dato può essere fino a dieci volte maggiore. Tuttavia, la forza lavoro sta invecchiando. Nel 2020 più della metà di tutti gli equipaggi aveva più di 40 anni, mentre i giovani di età inferiore ai 25 anni erano soltanto il 10 percento. Stando ai più recenti dati contenuti nel rapporto, il fenomeno si sta aggravando.
“Una trasformazione blu” del settore della Pesca, ovvero il rispetto degli ecosistemi marini, “è l’unico modo per garantire che questo settore continui a sostenere la produzione alimentare e i mezzi di sussistenza delle generazioni attuali e future”, afferma Manuel Barange, direttore della Divisione della Pesca e dell’acquacoltura della Fao.
La Gfcm che riunisce 23 Paesi, è stata creata nel 1949 per svolgere un ruolo attivo nella conservazione degli stock ittici nelle acque internazionali del Mediterraneo. Le zone in cui la Pesca è vietata o regolamentata sono il risultato di negoziati, in particolare tra autorità e pescatori. Attualmente circa due terzi dell’area del Mediterraneo e del Mar Nero sono protetti in dieci zone di Pesca regolamentate, istituite proprio dalla Cfcm.

siccità

Giornata del suolo, in Italia persi 19 ettari al giorno. Appello degli ambientalisti: Stop al consumo

“Consumare Suolo in maniera indiscriminata significa anche favorire le calamità idrogeologiche. Un suicidio! Serve dunque una svolta, serve una nuova condotta improntata al senso della responsabilità di tutti, dai cittadini alle istituzioni. Meno consumo di Suolo e più rigenerazione urbana: da oggi dovranno essere questi gli obiettivi per i quali lavorare”. Il messaggio di Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, arriva forte e chiaro in occasione della Giornata mondiale del Suolo (World Soil Day 2022) promossa dalla Fao e sostenuta dalle Nazioni Unite. Il tema per il 2022 è ‘Il suolo: dove comincia l’alimentazione’. Secondo i dati del Rapporto Snpa 2022 dell’Ispra, che Legambiente riprende oggi, in Italia il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno, con una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i due metri quadrati al secondo.

In generale, la Fao sottolinea che, nel mondo, due miliardi di persone non hanno un apporto equilibrato di nutrienti nella propria alimentazione. La tutela del suolo è un obiettivo raggiungibile solo perseguendo azioni quali, per esempio, l’utilizzo sostenibile dei fertilizzanti, la ricarbonizzazione dei suoli, il miglioramento della mappatura di dati e informazioni a essi legati, il monitoraggio della fertilità del suolo.

Dal macro al micro. In Italia, è la Coldiretti a delineare lo stato dell’arte. “Negli ultimi 50 anni – spiega il presidente Ettore Prandini – è scomparso quasi un terreno agricolo su 3 (-30%) con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari a causa dell’abbandono e della cementificazione che rende le superfici impermeabili. Negli ultimi dieci anni, con le campagne l’Italia ha perso 400 milioni di chili di prodotti agricoli per l’alimentazione dell’uomo e degli animali, aumentando il deficit produttivo e la dipendenza dall’estero”. L’organizzazione sottolinea come occorra “accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo”, sottolineando che “è comunque positiva la scelta del Governo di investire nella manovra sul Fondo per il contrasto al consumo di suolo: 10 milioni nel 2023, 20 nel 2024, 30 nel 2025 e 50 milioni di euro all’anno nel biennio 2026-2027″. Finanziamenti fondamentali, ai quali si affiancano interventi “necessari di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali”, conclude l’associazione, ricordando che i cambiamenti climatici (nel 2022 si sono registrati tremila eventi estremi) e la sottrazioni di terra fertile capace di assorbire l’acqua danno vita a un micidiale mix i cui effetti si traducono, in oltre 9 Comuni su 10 (il 93,9% del totale) in aree a rischio idrogeologico per frane e alluvioni.

Su quest’ultimo tema si è espressa anche l’Anbi. L’alluvione nelle Marche dello scorso 15 settembre e quella nel comune sardo di Bitti nel novembre 2020 sono, per l’associazione, casi simbolo di disastri ambientali che hanno evidenziato l’importanza dei Consorzi per la Gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue che, però, da soli non sono sufficienti “di fronte alla velocità della crisi climatica e all’estremizzazione degli eventi atmosferici. Serve una visione politica, che ponga il territorio al centro, a iniziare dall’approvazione della legge contro il consumo di suolo, che giace da due legislature in Parlamento”, dichiara Massimo Gargano, direttore generale Anbi.

A questa richiesta di azione dal punto di vista legislativo, fa eco anche Legambiente. “Dall’approvazione, dieci anni fa, del ddl proposto dall’allora ministro dell’Agricoltura, Mario Catania – esordisce Stefano Ciafani, presidente Nazionale dell’associazione – l’Italia è in attesa di una legge per fermare il consumo di suolo. Da allora le proposte di legge si sono moltiplicate, ma una normativa non è mai uscita dalle secche della discussione parlamentare”. Una carenza normativa – secondo Legambiente – che fa il paio con la mancanza di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, anch’esso in stallo dal 2018, che Legambiente auspica possa essere approvato entro la fine dell’anno, come preannunciato dal governo Meloni dopo la tragedia di Ischia.
“Quanto lì accaduto – commenta Stefano Ciafani – mette la politica di fronte alla necessità di agire concretamente e in maniera tempestiva per dare al Paese una legge che rivesta un ruolo centrale contro il consumo indiscriminato di suolo e il dissesto idrogeologico”.

 

grano

Fao: “I prezzi frenano a luglio, ma ancora alti rispetto al 2021”

I prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale sono scesi bruscamente a luglio, trascinati al ribasso dai prezzi dei cereali e degli oli vegetali. Lo ha dichiarato l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). Dopo aver raggiunto il massimo storico a marzo in seguito all’invasione dell’Ucraina, l’indice dei prezzi alimentari della Fao, che segue le variazioni dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti di base, è sceso dell’8,6% in un mese, segnando il quarto calo consecutivo. Tuttavia, rimane a livelli elevati, attestandosi a 140,9 punti a luglio, con un aumento del 13,1% su base annua rispetto a giugno 2021, ha dichiarato l’agenzia.

Máximo Torero Cullen, economista capo della Fao, ha accolto con favore il “gradito” calo, soprattutto dal punto di vista dell’accesso al cibo, ma ha avvertito che ci sono ancora molti rischi per la sicurezza alimentare globale, come una recessione o “gli alti prezzi dei fertilizzanti e il loro potenziale impatto sulla produzione e sui mezzi di sussistenza degli agricoltori“.

L’indice Fao dei prezzi degli oli vegetali è calato a luglio del 19,2%, “scendendo al livello più basso degli ultimi 10 mesi“, a causa del calo dei prezzi di tutti gli oli e del petrolio greggio. Le abbondanti esportazioni di olio di palma verso l’Indonesia e il buon raccolto di colza stanno deprimendo i prezzi, mentre la domanda di importazione di olio di girasole – di cui l’Ucraina è un importante produttore – è calata drasticamente.

L’indice Fao dei cereali è sceso dell’11,5%, con “il calo maggiore dei prezzi mondiali del grano, che sono scesi di ben il 14,5% in risposta all’accordo raggiunto tra Ucraina e Federazione Russa sullo sblocco dei principali porti del Mar Nero“, sottolinea l’organizzazione. Dopo la firma dell’atteso accordo, avvenuta il 22 luglio, la prima nave, il cargo Razoni, è salpata lunedì da Odessa dopo cinque mesi di totale inattività nei porti. Altri tre carichi di grano hanno lasciato l’Ucraina venerdì, ha dichiarato la Turchia, che sta supervisionando l’attuazione delle esportazioni.

Anche l’indice Fao dei prezzi dello zucchero è sceso del 3,8%, a causa del “calo dei prezzi dell’etanolo che ha portato a una produzione di zucchero in Brasile superiore al previsto nel mese di luglio“. Anche le prospettive di produzione favorevoli in India hanno contribuito al calo, compensando le preoccupazioni per le rese delle barbabietole da zucchero europee.

Pesca e acquacoltura: un 2020 da record. Fao: “Più sostenibilità”

Il settore della pesca e dell’acquacoltura, con una produzione mondiale che ha raggiunto “livelli record” nel 2020, deve intraprendere una “trasformazione blu” a livello mondiale per affrontare “la duplice sfida della sicurezza alimentare e della sostenibilità ambientale“, secondo un rapporto pubblicato dalla Fao.

Dobbiamo trasformare i sistemi agroalimentari in modo che i prodotti alimentari acquatici siano raccolti e catturati in modo sostenibile, che i mezzi di sussistenza siano salvaguardati e che la biodiversità e gli habitat acquatici siano protetti“, afferma il direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) Qu Dongyu.

LA PRODUZIONE NEL 2020

La crescita dell’acquacoltura, in particolare in Asia, ha permesso alla produzione totale della pesca e dell’acquacoltura di raggiungere il massimo storico di 214 milioni di tonnellate nel 2020, di cui “178 milioni di tonnellate di animali acquatici e 36 milioni di tonnellate di alghe“, secondo il rapporto della Fao ‘State of World Fisheries and Aquaculture’, pubblicato ogni due anni e reso noto durante la conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani a Lisbona. La produzione di animali acquatici nel 2020 è stata superiore del 30% rispetto alla media degli anni 2000. “Questi risultati sono in gran parte attribuibili alla produzione record dell’acquacoltura, pari a 87,5 milioni di tonnellate di animali acquatici“, si legge nel rapporto. “Le risorse ittiche continuano a diminuire a causa della pesca eccessiva, dell’inquinamento, della cattiva gestione e di altri fattori, ma la quantità di sbarchi da stock biologicamente sostenibili è in aumento”, ha dichiarato la FAO.

21,4 KG PRO CAPITE NEL 2030

In un mondo che dovrà sfamare 10 miliardi di persone entro il 2050, la ‘trasformazione blu’ è, per la Fao, una “strategia visionaria per affrontare la duplice sfida della sicurezza alimentare e della sostenibilità ambientale“. Dal 1961 il consumo globale di prodotti alimentari acquatici (escluse le alghe) è cresciuto a un tasso medio annuo del 3%, quasi il doppio della crescita annuale della popolazione mondiale, raggiungendo i 20,2 kg pro capite. A livello globale, questi prodotti hanno fornito circa il 17% delle proteine animali consumate nel 2019, e fino al 50% in diverse parti dell’Asia e dell’Africa. Nel 2020, la produzione di animali acquatici è aumentata del 6% rispetto al 2018. Per contro, la produzione della pesca di cattura è scesa a 90,3 milioni di tonnellate, con un calo del 4% rispetto alla media degli ultimi tre anni – un calo “dovuto principalmente alla pandemia” legata alla Covid-19. I Paesi asiatici rappresentano il 70% della produzione mondiale. La Cina è rimasta il maggior produttore di pesche, seguita da Indonesia, Perù, Russia, Stati Uniti, India e Vietnam. Secondo le stime della Fao, il consumo globale dovrebbe “aumentare del 15% fino a raggiungere una media di 21,4 kg pro capite entro il 2030”, spinto dall’aumento dei redditi e dall’urbanizzazione. “Si prevede che la produzione totale di animali acquatici raggiunga i 202 milioni di tonnellate nel 2030, soprattutto grazie alla crescita sostenuta della produzione dell’acquacoltura, che dovrebbe superare per la prima volta la soglia dei 100 milioni di tonnellate nel 2027 per poi raggiungere i 106 milioni di tonnellate nel 2030“, si legge nel rapporto. Essenziali per la sicurezza alimentare, la pesca e l’acquacoltura hanno anche un’importanza economica fondamentale:si stima che 58,5 milioni di persone siano impiegate nel settore, di cui circa il 21% sono donne” e “circa 600 milioni di persone dipendono da questo settore per il loro sostentamento. Il valore totale di prima vendita della produzione di animali acquatici nel settore “è stato stimato in 406 miliardi di dollari nel 2020“, di cui il 65% è destinato all’acquacoltura.

(Photo credits: Jonathan NACKSTRAND / AFP)

bovini

Alghe alle mucche per ridurre emissioni metano

Integratori di alghe per limitare le emissioni di metano da parte delle mucche. Una sfida che stanno affrontando i supermercati Morrisons e la Queen’s University Belfast nell’ambito di un progetto di ricerca della durata di tre anni, dedicato proprio allo studio delle alghe come inibitori del metano proveniente dal bestiame, uno dei fattori che contribuisce al riscaldamento globale. “Stiamo concludendo le prove di laboratorio e passeremo alle prove commerciali a settembre“, ha detto all’Afp un portavoce dei supermercati britannici. Le alghe saranno acquistate da pescatori britannici che già riforniscono la catena di distribuzione.

Dai primi risultati della ricerca è emerso che le mucche emettevano l’82% in meno di metano quando una piccola quantità di alghe rosse veniva aggiunta al mangime. Un risultato simile a quello ottenuto lo scorso anno dall’Università della California. Alcuni scienziati scozzesi stanno conducendo uno studio analogo con le pecore di un’isola dell’arcipelago delle Orcadi.

La flatulenza e l’eruttazione dei bovini, infatti, emettono metano, un gas serra circa 30 volte più potente della CO2, e l’intero settore agricolo è uno dei maggiori emettitori di gas serra. Secondo la Fao, il settore della carne rappresenta il 14,5% delle emissioni di origine umana, senza contare la deforestazione o gli sprechi legati alla lavorazione del prodotto.

In Nuova Zelanda, intanto, è stata presentata una proposta di legge per “tassare” le flatulenze di mucche e pecore. Un’imposta da addebitare agli agricoltori che allevano questi animali. In questo territorio vivono circa 10 milione di mucche e 26 milioni di pecore e l’agricoltura è responsabile della metà delle emissioni totali di gas serra. Il piano potrebbe partire già nel 2025 e comprende anche incentivi economici per gli allevatori in grado di ridurre le emissioni.

 

(Photo credits: LIONEL BONAVENTURE / AFP)

Crisi alimentare, Mediterraneo fa quadrato: È rischio mondiale

La crisi alimentare causata dal blocco del grano dovuto all’invasione russa in Ucraina rischia di finire fuori controllo. Addirittura “di degenerare in crisi mondiale“, avverte il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che alla Farnesina ha presieduto il primo Dialogo ministeriale Mediterraneo assieme a Germania e Turchia. Se le navi rimarranno attraccate nei porti ucraini con le tonnellate di materie prime impossibilitate a partire ci potranno essere “conseguenze ancora più devastanti“, come “nuove guerre“. Ecco perché serve un’inversione di rotta. Alla discussioni sulle possibili soluzioni hanno contribuito il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, e in collegamento i ministri dei 24 Paesi dell’area del Mediterraneo, oltre ai rappresentanti di 7 organizzazioni internazionali interessate.

Entro la fine di giugno intendiamo condividere con voi un documento tecnico di follow up, preparato insieme alla Fao, in consultazione con i co-presidenti e con le organizzazioni internazionali che desiderano prendere parte a questa iniziativa“, spiega Di Maio in apertura dei lavori. Questo documento “identificherà le aree di collaborazione e individuerà azioni concrete” per risolvere la crisi del cibo. L’elemento condiviso tra tutti i partecipanti è che occorre fare presto, perché “bloccare le esportazioni del grano significa condannare a morte milioni di bambini, donne e uomini“, ammonisce il responsabile della diplomazia italiana. Ricordando che “l’insicurezza alimentare è diventata un problema globale“. Così come è urgente trovare una soluzione a perdite e sprechi: “Sono un problema molto serio” che riguarda “dal 16% al 20% della produzione alimentare“, ovvero “decine di milioni di tonnellate di cibo nella regione mediterranea ogni anno“.

Serve una cooperazione sempre più stretta, spiega il direttore generale della Fao, Qu Dongyu: “Dobbiamo risolvere i problemi insieme, attraverso la solidarietà internazionale e questo vale per il governo italiano, per la comunità internazionale e, soprattutto, la comunità delle Nazioni Unite“. Anche in questa fase storica, in cui il conflitto aumenta esponenzialmente le incertezze. Ma dobbiamo “utilizzare questa crisi come un richiamo a intraprendere una svolta immediata, ma anche a livello di medio lungo termine”, sostiene Dongyu. Per questo “abbiamo bisogno di agire per reperire cibo, per produrre meglio, per produrre di più e per rendere più aperti i mercati globali alimentari – continua -. Quindi, in qualche modo snellire la logistica, renderla più efficiente, rendere le derrate alimentari più accessibili a coloro che ne hanno più bisogno“. Servono “sistemi alimentari, c’è molto spazio per migliorare, anche in Italia e in Europa, per migliorare lo sfruttamento del suolo, l’efficientamento delle reti idriche e migliorare la filiera delle forniture, la filiera della produzione agroalimentare. Dobbiamo trovare delle soluzioni, dobbiamo puntare sulla ricerca e sullo sviluppo“. Le lancette scorrono veloci, urgono risposte. E possibilmente una tregua alle armi, che consenta di bloccare la crisi alimentare prima che sia troppo tardi.

grano

Rischio crisi alimentare per 200 milioni di persone: pesano clima e guerra

Nel 2021 quasi 200 milioni di persone nel mondo, suddivisi in 53 Paesi, vivono in una condizione di insicurezza alimentare. La situazione non è cambiata più di tanto quest’anno, anzi l’analisi delle tendenze rivela che può peggiorare almeno in altre 20 nazioni. I dati dell’indagine condotta dalla Fao e dal Programma Alimentare Mondiale diventano ancora più drammatici nella Giornata internazionale contro l’insicurezza alimentare, anche se questo aumento viene interpretato con cautela, prima di capire se le cause siano un peggioramento sostanziale della sicurezza alimentare o il frutto di una crescita della popolazione registrata tra il 2020 e il 2021. Restano, comunque, cifre esorbitanti. Soprattutto se si considera che c’è una media storica di 49 milioni di persone in 46 Paesi che rischia di finire in carestia senza aiuti immediati per garantire loro i mezzi di sussistenza.

Tra i territori al massimo livello di allerta figurano ancora Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, ai quali si aggiungono anche Afghanistan e Somalia. Le rispettive popolazioni vengono classificate tra quelle destinate a soffrire la fame o la morte, con un deterioramento delle condizioni di vita che richiedono attenzioni più urgenti. Per quanto riguarda l’Afghanistan, 20mila persone della provincia di Ghor vivono in condizioni catastrofiche a causa del limitato accesso umanitario nel periodo che va da marzo a maggio. Da qui a settembre, però, l’insicurezza alimentare acuta dovrebbe aumentare del 60% rispetto allo stesso periodo del 2021. Inoltre, dopo aver previsto 401.000 persone in condizioni catastrofiche nel Tigray, in Etiopia, nel 2021, solo il 10% dell’assistenza richiesta è arrivata nella regione, almeno stando ai monitoraggi condotti fino al mese di marzo del 2022; anche se la produzione agricola locale, pari al 40% della media, è stata fondamentale per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza.

Ci sono anche altri fattori che il rapporto tiene in considerazione. Anche perché la criminalità organizzata e i conflitti rimangono i principali fattori che causano la fame acuta. Con percentuali che sono aumentate anche nei primi 3 mesi di quest’anno: per avere un’idea, secondo i dati Acled, siamo passati dalle 2.537 guerre locali registrate a gennaio del 2022 alle 3.807 di marzo. La violenza ha ridotto l’accesso al cibo per le persone, distruggendo o bloccando i mezzi di sussistenza, comprese le attività agricole, il commercio, i servizi e i mercati attraverso l’imposizione di restrizioni e impedimenti amministrativi. Senza contare lo spopolamento di chi ha dovuto abbandonare la propria terra, riducendo anche la disponibilità di cibo per le comunità e i mercati. Inoltre, a ciò si uniscono tra le cause dell’insicurezza anche le condizioni climatiche estreme, come le tempeste tropicali, le inondazioni e la siccità, continuano ad essere elementi altamente critici in alcune regioni del mondo.

Per non parlare degli effetti a catena della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, che si sono riverberati a livello globale, sullo sfondo di una graduale e disomogenea ripresa economica dopo la pandemia di Covid-19, il costante aumento dei prezzi di cibo ed energia e il deterioramento delle condizioni macroeconomiche. Le restrizioni alle esportazioni ucraine riducono l’offerta alimentare mondiale, aumentano ulteriormente i costi dei prodotti alimentari e aumentano i livelli (già elevati) di inflazione. Per non parlare, poi, del costo dei fertilizzanti, che alla lunga potrebbero incidere sui rendimenti delle colture, quindi sulla futura disponibilità di cibo. Questi elementi, sommati all’instabilità economica, nei prossimi mesi potrebbero portare emergenze civili e disordini in alcuni dei Paesi più paesi più colpiti dalla crisi alimentare.

Le incertezze, senza un intervento deciso della comunità internazionale, rischiano di raggiungere nuovi record negativi. Ecco perché, in un tweet, il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, lancia un monito: “La sicurezza alimentare è un tema che riguarda tutti, dai governi alle imprese alimentari, agli esperti e i consumatori. Continuiamo a lavorare insieme e ad impegnarci per un mondo di cibo più sicuro per una salute migliore e una vita migliore“. Serve fare squadra. E serve farlo presto.

foresta

La soluzione alle sfide presenti e future sono le foreste

Le foreste sono i nostri partner chiave per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, tra cui la lotta alla desertificazione, il raggiungimento della sicurezza alimentare e il miglioramento dei mezzi di sussistenza, nonché gli obiettivi forestali globali, l’accordo di Parigi, il decennio delle Nazioni Unite sul ripristino degli ecosistemi e il Global Forest Goals Biodiversity Framework“. A lanciare il messaggio è Qu Dongyu, direttore generale della Fao, che si trova a Seul, il Corea del Sud per il XV Congresso mondiale delle Foreste. “Questo è un messaggio importante – ha aggiunto – che andrà portato” in tutte le occasioni in cui “varranno prese decisioni sul futuro del pianeta” per ribadire che le foreste sono parte integrante della soluzione alle sfide presenti e future”.

Il congresso, sul tema ‘Costruire un futuro verde, sano e resiliente con le foreste’, è tornato in Asia dopo 43 anni, cioè dopo quello che si tenne in Indonesia nel 1979. L’evento si svolge in un momento in cui le sfide per l’umanità sono molte e collegate tra loro: la crisi climatica, la guerra in Ucraina, la pandemia e l’impennata dei prezzi alimentari che stanno colpendo più duramente i Paesi più poveri. Oggi più di 800 milioni di persone soffrono ancora la fame e 3 miliardi non possono permettersi una dieta sana. “Le foreste possono svolgere un ruolo chiave nel ripristino degli ecosistemi con l’obiettivo di una vita migliore per tutti“, ha detto il direttore generale della Fao.

Qu Dongyu ha delineato tre percorsi interconnessi per sostenere la ripresa economica e ambientale: l’arresto della la deforestazione, il ripristino di terreni degradati e l’utilizzo sostenibile delle foreste. Foreste e agricoltura, ha spiegato, “devono sostenersi a vicenda” perché “svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo di nuovi materiali e prodotti rinnovabili, nonché approcci innovativi al paesaggio” a vantaggio “sia delle persone sia del pianeta“. Questa visione, ha sottolineato Qu, richiede la definizione delle giuste priorità politiche, l’allineamento degli incentivi finanziari agli obiettivi di sostenibilità e l’aumento degli investimenti. Fondamentale, ha aggiunto, è un approccio coordinato e proprio su questo sta lavorando la Fao, rafforzando il suo lavoro con i governi, il settore privato, il mondo accademico, le donne e i giovani. “Insieme – ha precisato il direttore generale della Fao – possiamo sbloccare tutto il potenziale delle foreste per ottenere una migliore produzione, una migliore nutrizione, un ambiente migliore e una vita migliore per tutti, senza lasciare indietro nessuno“.

E di clima ha parlato anche Antonio Guterres, segretario generale della Nazioni Unite, che si trova in Africa per un viaggio tra Niger e Nigeria. I Paesi più ricchi, ha detto a Dakar, dove ha incontrato Macky Sall, capo di Stato senegalese e presidente in carica dell’Unione Africana, devono “agire” subito per contrastare l’emergenza climatica e adempiere alle promesse fatte in merito agli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. “È ora di agire. È ora di mantenere la promessa di 100 miliardi di dollari all’anno fatta a Parigi“, ha ribadito Guterres ricordando l’impegno preso dai Paesi più sviluppati – e finora non rispettato – di garantire collettivamente, a partire dal 2020, cento miliardi di dollari ai Paesi del sud del mondo, per aiutarli a finanziare la loro transizione ecologica e ad adattarsi alle conseguenze del riscaldamento globale. Impegno preso nel 2015 in occasione della firma dell’Accordo di Parigi. Secondo un rapporto commissionato dalla Cop26, tenutasi a Glasgow nel novembre 2021, questo obiettivo potrebbe essere raggiunto con tre anni di ritardo, quindi nel 2023.

 

prodotti alimentari

Impennata dei prezzi dei prodotti alimentari. La Fao: “Mai così alti”

Prima l’emergenza Covid e ora la guerra. Già l’inflazione italiana e il caro prezzi sull’energia avevano fatto correre ai ripari il governo. Ora la Fao conferma l’impennata mondiale dei prezzi dei prodotti alimentari. Mai erano stati raggiunti livelli così alti. A spingere gli indicatori – soprattutto su cereali di base e olii vegetali – sono state le ripercussioni dell’invasione russa in Ucraina. Secondo l’organizzazione Onu per l’Alimentazione e l’agricoltura, a marzo l’indice generale dei prezzi dei prodotti alimentari si è attestato su una media di 159,3 punti, ovvero +12,6% rispetto a febbraio, mese in cui era già stato raggiunto il massimo livello dalla creazione dell’indice, nel 1990. L’indice rileva le variazioni mensili dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti alimentari diffusamente commercializzati. L’ultimo livello è stato più alto del 33,6 percento rispetto a marzo 2021. A marzo l’indice relativo ai cerali ha superato del 17,1% quello di febbraio, sotto la spinta dei prezzi del grano e dei cereali secondari, causata principalmente dalla guerra. Federazione Russa e Ucraina, insieme, hanno rappresentato negli ultimi tre anni circa il 30% e il 20% delle esportazioni mondiali di grano e mais. E secondo la Fao, lo scorso mese i prezzi mondiali del grano sono schizzati del 19,7% e quelli del mais del 19,1%, raggiungendo un livello record, insieme a quelli dell’orzo e del sorgo.

Come già anticipato dalle associazioni italiane dei consumatori, anche i prezzi degli olii vegetali hanno subito un’impennata. L’indice Fao segna un +23,2% a causa dell’innalzamento delle quotazioni dell’olio di semi di girasole, di cui l’Ucraina è il principale esportatore mondiale. Indicatori verso l’alto anche per quanto riguarda olio di palma, soia e colza (sia per gli aumenti sull’olio di semi sia per quelli del petrolio greggio).

Considerando il tradizionale carrello della spesa italiano, la Fao ha fatto risuonare il campanello dell’allarme anche sui prezzi dei latticini (+2,6% tra febbraio e marzo), zucchero (+6,7%), e carne (+4,8%), che ha raggiunto un dato record per la carenza di suini da macello in Europa occidentale.

La Fao ha anche pubblicato il nuovo ‘Bollettino sull’offerta e la domanda dei cereali’, che include la previsione di una produzione mondiale di grano nel 2022 pari a 784 milioni di tonnellate, ossia l’1,1 percento in più rispetto al 2021. Tale stima tiene conto di un previsto mancato raccolto su almeno il 20 percento delle aree coltivate in Ucraina, in particolare il frumento autunnale, a causa di distruzione diretta, accesso limitato o mancanza di risorse per fare il raccolto. Nel bollettino si stima per il 2022 una produzione cerealicola mondiale di 2799 milioni di tonnellate, in leggero aumento rispetto al 2020. Per le scorte mondiali a fine 2022 è previsto un +2,4% rispetto ai livelli iniziali, soprattutto per le maggiori riserve di grano e mais in Russia e Ucraina a seguito di una previsione di esportazioni in calo.

Giornata delle Foreste: il legno è dalla parte del clima

Il legno? Permette a milioni di persone in tutto il mondo di rendere l’acqua potabile, di cuocere il cibo e di costruire case ed è una risorsa rinnovabile quando le foreste vengono gestite in maniera sostenibile. In occasione della Giornata internazionale delle foreste, che si svolge il 21 marzo, la Fao pubblicherà un nuovo rapporto dal titolo ‘Prodotti forestali nella bioeconomia globale: favorire la sostituzione con prodotti a base di legno e contribuire agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Oss)’, che spiega come il passaggio dai prodotti a base fossile a quelli a base di legno possa aiutare a combattere il cambiamento climatico e a conseguire gli Oss.

Nella stessa giornata il direttore generale della FAO, QU Dongyu, insieme agli studenti di agraria e ad altre istituzioni partner, sarà al Parco archeologico dell’Appia Antica dove verranno piantati 40 alberi donati dalla Regione Lazio, nell’ambito del progetto OSSIGENO (OXYGEN), un’iniziativa per compensare le emissioni di carbonio e proteggere la biodiversità.