Se la manifattura è debole… il petrolio (forse) sta peggio

Una manifattura debole in mezzo mondo, dagli Usa alla Cina passando per l’Europa, e le voci insistenti di un possibile aumento della produzione dei Paesi Opec hanno sgonfiato i prezzi del petrolio, che rivedono i minimi da un anno. Nemmeno l’attacco ad opera degli Houthi nello Yemen a una petroliera saudita ha ravvivato gli acquisti. Anzi, proprio l’assenza di smentite del club di Vienna, dove ha sede l’organizzazione internazionale degli Stati esportatori di greggio, su un cambio di rotta della politica di tagli alla produzione (comunque non del tutto rispettata) che prosegue da un paio di anni, ha fatto peggiorare le quotazione di Wti texano e Brent europeo, i quali lasciano sul terreno circa il 4%, col primo che scivola a 70,6 e il secondo a 74,2 dollari al barile.

Venerdì la Reuters ha rilanciato sei fonti dell’Opec+ che inizieranno ad allentare i tagli alla produzione a partire da ottobre. Se l’organizzazione decidesse di avviare il processo di incremento della produzione a ottobre, ciò sarebbe ampiamente compensato dalle significative perdite nella produzione di petrolio della Libia, membro dell’Opec, iniziate la scorsa settimana. Finora, la produzione della Libia ha visto un -700.000 barili al giorno per la chiusura dei giacimenti petroliferi da parte del governo orientale della Libia. Un calo che offre all’Opec+ un po’ di margine agli altri membri per iniziare il lento processo di aumento della produzione di greggio senza alterare il numero complessivo di barili che entrano nel mercato. Sarebbero 8 i Paesi membri dell’Opec+ pronti a pompare 180.000 barili al giorno in più a ottobre come parte del piano esistente del gruppo per annullare i 2,2 milioni di barili al giorno di tagli volontari.

Certo è che, al di là della battaglia per il controllo del mercato petrolifero tra Opec e Paesi non Opec (dagli Usa alla Guyana), sono anche i dati economici a indicare un rallentamento della manifattura e di conseguenza della domanda di greggio. I prezzi sono stati appesantiti infatti dagli ultimi dati economici dalla Cina, che hanno mostrato che l’attività delle fabbriche continua a contrarsi, con l’indice ufficiale dei direttori degli acquisti dell’Ufficio nazionale di statistica che ha mostrato come l’attività manifatturiera di Pechino si sia contratta per il quarto mese consecutivo ad agosto, raggiungendo il  valore più basso degli ultimi sei mesi.

In Europa, Francia e Germania continuano a navigare all’interno di una profonda fase di contrazione come hanno testimoniato ieri gli indici Pmi industriali. E oggi pomeriggio l’indice Ism manifatturiero americano è risalito leggermente a 47,2 ad agosto, dal minimo di novembre 2023 di 46,8 registrato a luglio, ma è risultato inferiore alle stime di mercato di 47,5, segnalando così la 21esima contrazione mensile dell’attività manifatturiera statunitense negli ultimi 22 mesi. Quinto ribasso di fila.
La Federal Reserve e la Bce taglieranno i tassi nelle prossime settimane per allentare la pressione e non deprimere ulteriormente la domanda. Da vedere se non sia troppo tardi.

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Argento al top da 11 anni e le commodity fanno risalire inflazione industriale

Oro, argento e rame sembrano ‘prendere fuoco’. Continua il rally delle commodity nonostante dalla Fed si mantenga una linea aggressiva sulla politica monetaria, che potrebbe non contemplare alcun taglio dei tassi nel 2024 a causa di una inflazione ben sopra il 3%. Un’inflazione che rischia addirittura di salire proprio per il rally delle materie prime, scattato negli ultimi due mesi. Infatti i dati provenienti da due grandi Paesi leader nelle materie prime non lasciano intravvedere una frenata dei rincari.

I prezzi alla produzione industriale in Canada sono aumentati dell’1,5% mensile ad aprile, al di sopra delle previsioni di mercato dello 0,8% per raggiungere un nuovo massimo di 8 mesi, dopo il +0,9% rivisto al rialzo del mese precedente. Questo aumento è stato determinato dai costi più elevati dei prodotti primari di metalli non ferrosi (+8,3%), vale a dire argento greggio e leghe d’argento (+13,5%) e oro greggio e leghe d’oro (+9,1%), poiché le tensioni geopolitiche hanno avuto un impatto sulla prezzi dei metalli preziosi in aprile. Inoltre, i prezzi sono cresciuti per i metalli industriali, in particolare rame greggio e leghe di rame (+10,3%) e rame e leghe di alluminio (+7,4%), guidati dalla crescita della produzione in Cina. E in Brasile i prezzi alla produzione sono aumentati dello 0,74% rispetto al mese precedente ad aprile, il terzo aumento consecutivo e al ritmo più forte dall’ottobre 2023, in linea con l’opinione della banca centrale secondo cui la tendenza crescente dei prezzi delle materie prime globali può sostenere la pressione inflazionistica nel paese. I costi alla produzione dei beni d’investimento sono saliti dell’1,16%, mentre i prezzi dei produttori di beni intermedi sono aumentati dello 0,59% e quelli dei produttori di beni di consumo dello 0,89%.

Il prezzo dell’argento sale del 5,2% a 32 dollari l’oncia al massimo di 11 anni e continuando a sovraperformare i prezzi di riferimento dell’oro – che sale dell’1% a 2,358 dollari per oncia – poiché il contesto macroeconomico favorevole per i metalli preziosi ha aggravato l’acquisto fisico di argento per usi industriali. La domanda di pannelli solari in un contesto di volatilità dei prezzi dell’energia elettrica in tutto il mondo ha sostenuto la domanda industriale di argento, riflessa dalle azioni solari scambiate ai massimi da inizio anno. I forti guadagni dell’argento arrivano anche in un contesto di notizie di una più forte domanda cinese di argento.

Per sottolineare l’aumento della domanda globale di metalli, il broker SP Angel ha riferito che uno studio dell’Università del Michigan ha affermato che la quantità di rame necessaria per i veicoli elettrici è “impossibile da produrre per le società minerarie”. Lo studio ha evidenziato la sfida critica rappresentata dall’insufficiente produzione di rame per la transizione globale ai veicoli elettrici, affermando che la quantità di rame necessaria per i veicoli elettrici è “sostanzialmente impossibile da produrre per le società minerarie”. Un veicolo elettrico richiede da tre a cinque volte più rame rispetto alle tradizionali auto a gas o diesel. Lo studio ha analizzato 120 anni di dati sulla produzione globale di rame e ha modellato la produzione futura rispetto al fabbisogno di rame previsto per le energie rinnovabili e i veicoli elettrici. Lo studio ha concluso che il fabbisogno di rame delle energie rinnovabili supera l’attuale capacità di produzione. Risultato finale: il rame sale del 2%, tornando a 10.500 dollari per tonnellata. Non è record, ma poco ci manca. Così come puntano ad altre vette i prezzi di alluminio, platino, e zinco. Tutti legati alla transizione, tutti con rialzi intorno al 2 per cento.

Usa, l’inflazione cala e Fed si ferma sui tassi. La Bce no…

L’inflazione cala, poco, negli Usa, lasciando presagire una pausa della Federal Reserve nell’aumento dei tassi a giugno. In Europa invece, col costo del denaro al 3,75% contro il 5,25% statunitense, la stretta è destinata a continuare, emerge leggendo l’intervista di Christine Lagarde al giapponese Nikkei. La forbice tra i due continenti sulla politica monetaria potrebbe prendere due strade distinte, se i dati sui prezzi alla produzione industriale Usa, in uscita domani, confermeranno il raffreddamento delle fiammate inflattive.

Ad aprile l’inflazione a stelle e strisce è salita dello 0,4% mensile e del 4,9% annuale. Le stime erano per un +0,4% mensile, confermate, e per un 5% annuale, quindi sotto le attese. I prezzi al consumo sono leggermente scesi, a livello tendenziale, rispetto al dato di marzo (5%), mentre sono saliti a livello congiunturale (+0,1% nel mese precedente). L’indice shelter, legato a tutto quello che ruota attorno alla casa, è stato quello che ha fornito il contributo maggiore all’aumento mensile di tutti gli articoli, seguito dagli incrementi dell’indice di auto e autocarri usati, e a quello della benzina. L’aumento di quest’ultimo ha compensato il calo degli altri indici dei componenti energetici, così l’indice energetico è salito dello 0,6% ad aprile. L’indice di tutti gli articoli è appunto aumentato del 4,9% annuale, l’incremento più piccolo da maggio 2021. L’indice core, che esclude cibo ed energia, è invece cresciuto mensilmente dello 0,4% ad aprile come a marzo. Anno su anno è salito del 5,5%, stabile nei confronti del dato precedente. A livello tendenziale l’indice energetico è diminuito del 5,1% mentre quello alimentare è aumentato del 7,7%. In ogni caso cibo ed energia sono le voci che hanno fatto diminuire l’indice complessivo.

“Le nostre valutazioni sono che i dati sulle pressioni inflazionistiche mostrano un lieve miglioramento ma soprattutto non registrano sorprese negative che avrebbero potuto portare argomentazioni ai membri più falchi all’interno della commissione operativa della Federal Reserve per effettuare ancora un rialzo del costo del denaro nella prossima riunione di giugno”, sottolinea Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, che aggiunge: “Riteniamo, infatti, che la Fed possa decidere di fare una pausa nel processo di rialzo dei tassi di interesse, esaminando così ancora più attentamente gli effetti delle politiche monetarie portate avanti negli ultimi mesi sull’economia reale in particolare su inflazione, occupazione, crescita delle attività economiche e salari dei lavoratori. Solamente dati fuori dalla norma nel prossimo report sul mondo del lavoro sulla crescita dei salari dei lavoratori potrebbe convincere i banchieri centrali ad applicare un nuovo rialzo”.

Tutt’altra musica nell’eurozona. “Siamo determinati a domare l’inflazione e riportarla al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo”, ha detto a Nikkei la presidente della Bce, Christine Lagarde. “Abbiamo già intrapreso un’azione politica considerevole per farlo, ma c’è ancora molto terreno da percorrere”. “Ci sono fattori che possono indurre significativi rischi al rialzo per le prospettive di inflazione. E siamo ancora in una situazione in cui l’incertezza sul percorso dell’inflazione è elevata, quindi dobbiamo essere estremamente attenti a quei potenziali rischi, il cui elenco esatto troverete nella nostra ultima dichiarazione di politica monetaria, in particolare in relazione all’aumento dei salari in vari Paesi europei”, ha continuato la numero uno dell’Eurotower. La Bce poteva alzare i tassi prima? “Possibile. Avrebbe fatto una differenza enorme? Probabilmente no”, ha aggiunto Lagarde. “Quello che so è che siamo determinati a domare l’inflazione, per riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2 per cento in modo tempestivo e abbiamo già effettuato un aggiustamento considerevole. Ma abbiamo ancora più terreno da percorrere”.

In Usa tassi più alti dell’inflazione, soffre il petrolio. Oggi la stretta Bce

Il costo del denaro sale al massimo dal 2007 negli Usa e vale più dell’inflazione. La Federal Reserve, come da attese, aumenta il costo del denaro di un altro 0,25% portandolo così al 5,25% contro un carovita al 5%. Il mercato si aspettava anche l’annuncio di una pausa nella stretta monetaria, ma il presidente della Fed, Jerome Powell, ha detto che “non è stata decisa una pausa” durante il meeting. La banca centrale americana ha rimosso una frase dal comunicato che recitava che “alcuni aumenti di policy aggiuntivi potrebbero essere appropriati“. Ma come al solito, Powell ha rimarcato che qualsiasi futuro aumento dei tassi sarà “dipendente dai dati” escludendo comunque un taglio dei tassi quest’anno se i prezzi resteranno sostenuti. Entro l’anno, riportando le previsioni degli esperti della Fed, potrebbe invece esserci una “leggera recessione” anche se mister Fed ci crede poco. Queste ultime dichiarazioni hanno deciso l’andamento dei mercati.

L’esclusione di un taglio tassi ha fatto chiudere Wall Street in negativo, dopo una giornata passata in territorio più che positivo. Il mercato, considerando appunto la contrazione dell’economia, punta da tempo in una retromarcia della Fed in autunno. Non è detto comunque che gli investitori non ritenteranno la grande scommessa nelle prossime settimane, anche se la Fed – partita tardi col rialzo tassi – non sembra intenzionata a farsi condizionare per non essere accusata di far ripartire una seconda ondata inflattiva, com’era accaduto negli anni ’70. La recessione annunciata – che tuttavia non è detto che accada vedendo i dati forti del lavoro Usa e dei servizi – continua ad affondare il prezzo del greggio.

I signori del petrolio, ovvero Emirati Arabi e Arabia Saudita, hanno immediatamente copiato la decisione della Fed, portando i tassi rispettivamente al 5,15% e al 5,75%, anche perché il Riyal saudita è ancorato al dollaro. I futures sull’oro nero invece sono ulteriormente scivolati di oltre 4 punti percentuali: il Wti texano dopo le 22 era scambiato addirittura a 68 dollari al barile, mentre il Brent valeva poco più di 71 dollari. Condizioni finanziarie più restrittive spingeranno le principali economie a contrarsi. Inoltre, una frenata e a sorpresa della manifatturiera cinese ha lanciato l’allarme su una contrazione globale. A chiudere la giornata negativa del petrolio l’ultimo rapporto settimanale dell’Eia americana, che ha mostrato come le scorte di benzina negli Stati Uniti siano aumentate inaspettatamente la scorsa settimana.

Oggi toccherà alla Bce comunicare la sua politica restrittiva. Scontato un aumento dei tassi, che secondo le attese del mercato sarà dello 0,25%. Se però la Fed è arrivata al capolinea anche se ufficialmente non è stata annunciata la pausa, la Bce domani alzerà il costo del denaro al 3,75%, ovvero un punto e mezzo inferiore a quello statunitense. La stretta probabilmente continuerà dunque, nonostante l’inflazione sia dovuta per due terzi all’aumento dei margini aziendali. I prezzi energetici sono in discesa e non preoccupano più i banchieri centrali, però se il gas dovesse salire in autunno, considerando la necessità di riempire gli stoccaggi, la Bce avrebbe le armi spuntate per fermare i rincari.

Fed vola basso: partito processo di disinflazione. Oggi Bce, dubbi su ritmo stretta

La Federal Reserve vola basso. Jerome Powell, governatore della banca centrale più importante del mondo, non è diventato colomba ma è meno falco rispetto al 2022. Il costo del denaro è stato alzato di un altro 0,25% a 4,75% – record dal 2007 -, un forte segnale di rallentamento della politica monetaria dopo una serie ininterrotta di rialzi a botte di 0,75% (4 consecutive più l’ultima da 0,5%) iniziata quasi un anno fa. “More work to do”, c’è ancora tanto lavoro da fare, ha spiegato durante la conferenza stampa Powell, ci saranno “ulteriori” rialzi nei prossimi mesi per arrivare fino al 5,25% finale, tuttavia il tono più accomodante del numero uno della Fed ha dato l’impressione che qualcosa sia cambiato, alla luce della forte riduzione dell’inflazione verso fine 2022, al punto che ora il carovita in America è al 6,5%. L’obiettivo della Federal Reserve ovviamente resta il 2%, però – ha sottolineato Powell – il “processo di disinflazione è iniziato in un quarto dell’economia, come si vede dai beni”.

L’energia, tra carburanti e costi legati al riscaldamento, non sembra più un problema, così come i prezzi dei prodotti agro-alimentari sono in fase di rallentamento da parecchie settimane. “Speriamo di veder iniziare questo processo di disinflazione sui servizi core, soprattutto quelli extra-immobiliare… Il mercato del lavoro è ancora forte, li non vediamo ancora disinflazione”. “Dobbiamo finire il lavoro che abbiamo cominciato anche se non siamo molto lontani dal vedere un’inversione di tendenza. Abbiamo comunque già moderato l’aumento dei tassi di soli 0.25 e durante il meeting del Fomc c’è stata discussione sul percorso che dovremo seguire”, ha precisato mister Fed. “E’ vero – ha poi risposto ad alcune domande dei giornalisti – l’inflazione scende più rapidamente delle nostre aspettative, ma in sette settori che rappresentano il 56% dell’economia i prezzi non sono calati, penso ad esempio al settore finanziario, ma anche ai ristoranti”. Per capire se la stretta è agli sgoccioli toccherà dunque aspettare marzo, quando “rivedremo le stime e decideremo se alzare l’obiettivo di tassi già al 5,25% o rivedere la nostra politica. Non è comunque il momento di fare una pausa sui rialzo dei tassi”, come ha fatto la banca centrale canadese, e “non sarebbe opportuno tagliare i tassi entro fine anno” se l’economia regge.

Wall Street ha preso bene la svolta di Powell, tant’è che il Dow Jones ha chiuso in leggerissimo guadagno dopo una giornata vissuta in negativo, mentre il Nasdaq ha addirittura messo a segno un +2%. Il dollaro è ormai tornato a 1,1 euro. Dopo la Fed, oggi pomeriggio tocca alla Bce. Le aspettative sono di aumento del costo del denaro di uno 0,5%, cui seguirà un altro rialzo di 0,5% al meeting successivo di marzo come annunciato dalla presidente Christine Lagarde a dicembre. Rispetto a un mese e mezzo fa però lo scenario è completamente cambiato. Il prezzo del gas, che ha infiammato i costi aziendali e l’inflazione per gran parte del 2022, è crollato. L’energia elettrica pure. E il petrolio fa meno paura, nonostante l’embargo verso il greggio russo scattato a inizio dicembre e il prossimo embargo nei confronti del diesel di Mosca che inizierà domenica. Anche i prezzi degli alimentari iniziano a raffreddarsi, come emerso dal dato sul carrello della spesa nell’Eurozona sceso all’8,5% a gennaio. Ciò nonostante i tassi saliranno di un altro punto entro un paio di mesi arrivando così al 3,5% a inizio primavera.

Quello che andrà capito oggi durante la conferenza stampa è se l’atteggiamento della Lagarde rimarrà aggressivo, come emerso durante l’incontro con i giornalisti pre-natalizio, un atteggiamento che aveva impaurito governi (in particolare Palazzo Chigi), imprenditori e investitori. All’interno del mondo Bce, la linea ‘falco’ non piace apertamente a Fabio Panetta, membro del Board, e a Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. Gli italiani comunque non sono i soli a chiedere di “ponderare bene la stretta” per evitare danni collaterali, visto che l’inflazione sta già scendendo. La mini-svolta di Powell potrebbe rendere meno spavalda anche la Lagarde.

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