Api, fotovoltaico e yoga: ecco come i rifiuti speciali diventano ecosistema

Da una parte il carcere delle Vallette, dall’altra l’impianto di Iren. Poi Villa Cristina e la tangenziale nord. Ma in cima ai lotti già esauriti è impossibile rendersi conto che sotto i piedi ci sono 34 anni di residui di attività umane, una sorta di ‘storia’ della nostra industria e dei nostri consumi. Rifiuti, insomma. Barricalla si trova a Collegno, alle porte di Torino, ed è uno degli 11 impianti in Italia in cui vengono definitivamente sepolti (‘coltivati’ è il termine corretto) i rifiuti pericolosi, cioè quelli che non possono più essere reimpiegati nel ciclo produttivo e che contengono inquinanti, e quelli speciali non pericolosi.

Si tratta di rifiuti solidi e trattati, provenienti principalmente da attività industriali, come ad esempio quelli derivanti dalle demolizioni, o ancora il terreno proveniente da siti contaminati e poi bonificati, le ceneri residue degli inceneritori o l’amianto ampiamente utilizzato in edilizia fino agli anni ‘90. Sono tutti rifiuti che devono essere smaltiti in modo corretto, perché se dispersi potrebbero causare gravissimi danni alle persone e all’ambiente.

Dalla sua apertura negli anni ’80, ogni anno ne sono state smaltite 130mila tonnellate, per un volume complessivo autorizzato di 1,86 milioni di metri cubi articolati in cinque lotti. Qui, per dire, è stato portato ciò che era impossibile trattare diversamente da ciò che restava della Costa Concordia e del ponte Morandi di Genova. E qui si sta per esaurire lo spazio a disposizione, tanto che a pochi chilometri di distanza si sta lavorando per aprire Barricalla2, che dovrebbe entrare in funzione nell’estate del 2025. Il quinto e ultimo lotto, infatti, sta per essere del tutto ‘coltivato’: si tratta di 508.000 metri cubi di rifiuti che sono stati autorizzati nel 2017 e hanno cominciato a essere conferiti a settembre 2018. Mancano ancora 20.000 tonnellate prima che la vasca venga definitivamente sigillata con l’uso di materiali impermeabili come argilla e teli in polietilene ad alta densità. Poi avverrà la riqualificazione, con terreno erboso e numerose essenze arboree autoctone. Proprio come già accaduto agli altri quattro lotti.

Nel 2011 Barricalla ha installato qui il suo primo parco fotovoltaico, per una superficie complessiva di 4680 metri quadri e una potenza di 936 KW. A ottobre 2021 è stato installato il secondo sul quarto lotto, che ha portato la potenza complessiva a 1,6 MW, cioè il fabbisogno annuo di 3000 persone. Si tratta di “opere di recupero ambientale”, dice a GEA Alessandro Battaglino, vicepresidente dell’impianto, “e di una restituzione al territorio di quello che noi comunque in qualche maniera abbiamo fatto nel corso degli anni. Produciamo energia elettrica che poi viene appunto immessa in rete e quindi restituita alle comunità”.

 

Già, il territorio. Le relazioni, assicura Battaglino, sono ottime, sia con chi vive nella zona, sia con le associazioni ambientaliste anche grazie a “tanti momenti di apertura dell’impianto per far toccare con mano ai cittadini” come è fatta la discarica e “i rigidi protocolli” che la governano. Nessun comitato del ‘no’, insomma. Così, in cima alle vasche sigillate e trasformate in collina – che schermano il rumore della città – può capitare che vengano organizzate sedute di yoga al tramonto o che le scuole portino gli studenti per far conoscere loro il ciclo dei rifiuti. In 34 anni, spiega il vicepresidente, “non si sono mai verificati incidenti”, anche perché “qui sono state fatte delle scelte che hanno anticipato quello che poi la normativa ha stabilito come obbligatorio”.

E anche per questo l’impianto è considerato un modello di buone pratiche sia in Italia sia in Europa. “Ogni carico che arriva – dice Battaglino – viene controllato e viene verificato che il materiale conferito sia lo stesso che è stato campionato prima dell’ingresso”. Ogni prodotto, insomma, ha la sua carta d’identità univoca. E qui, inoltre, sottolinea, “i dipendenti hanno un know how che pochi hanno in Italia” e che fa la differenza.

Come ulteriore strumento di controllo dello stato di salute dell’impianto, dal 2000 trovano spazio in Barricalla quattro arnie. Le api, infatti, sono ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno dell’ambiente in cui vivono, oltre a preservare la biodiversità. Il miele prodotto viene confrontato con quello di zone rurali e nei due prodotti, spiega Battaglino, “si trovano le stesse sostanze”.

“Il paradigma dell’ economia circolare – conclude Battaglino – sta funzionando bene per recuperare tutte quelle risorse che la natura non ci darebbe più”, perché sono state esaurite.

Il fotovoltaico nasce sui rifiuti: l’esempio di Barricalla

“Alla chiusura dei lotti esauriti noi costruiamo impianti fotovoltaici, come opera di recupero ambientale. Quindi, al di là di impiantare delle essenze arboree e di piantumare tutto quello che deve essere piantumato sui lotti esauriti, ecco che la costruzione dell’impianto fotovoltaico è anche una restituzione al territorio di quello che noi comunque in qualche maniera abbiamo fatto in corso degli anni. Produciamo energia elettrica che poi viene appunto immessa in rete e quindi restituita alle comunità”. Lo spiega a GEA Alessandro Battaglino, vicepresidente di Barricalla, il principale impianto di smaltimento in Italia per i rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi che si trova a Collegno, alle porte di Torino. Qui si trovano diversi impianti fotovoltaici, la cui potenza complessiva è di 1,6 MW. Una parte dell’energia prodotta viene utilizzata dallo stesso impianto, il resto entra nella rete.

Dal carbone alle rinnovabili: il magnate indiano Adani rende green la sua fortuna

Nel bel mezzo del deserto, al confine con il Pakistan, Gautam Adani sta costruendo il più grande parco di energie rinnovabili del mondo. Un investimento nel futuro per l’uomo più ricco dell’Asia, che ha costruito la sua fortuna principalmente sul carbone. Sotto un sole cocente, migliaia di operai ‘coltivano’ file di pannelli solari, preparano il terreno per le future turbine eoliche e srotolano cavi infiniti per alimentare il tutto. A Khavda, il Parco delle Energie Rinnovabili coprirà ben 726 km2, quasi la dimensione di New York. Quando sarà completato nel 2027, dovrebbe generare 30 gigawatt di energia solare ed eolica: 17 GW da parte di Adani, il resto da altre aziende. Abbastanza per dare energia a 18 milioni di persone. Il parco dovrebbe produrre addirittura un terzo in più della Diga delle Tre Gole in Cina, il più grande sito energetico del mondo. Secondo Gautam Adani, che nel 2022 è diventato per breve tempo il secondo uomo più ricco del mondo con una fortuna di 154 miliardi di dollari, l’impianto sarà “visibile anche dallo spazio“.

I critici del magnate affermano che la sua ascesa è stata in gran parte favorita dal primo ministro Narendra Modi. Un anno fa, il suo gruppo è stato accusato di “spudorata manipolazione” delle proprie azioni e di “frode contabile per diversi decenni” dalla società di investimento statunitense Hindenburg Research. Il valore dell’impero è crollato di oltre 150 miliardi di dollari, ma il gruppo ne ha recuperato la maggior parte e, da allora, l’imprenditore 61enne ha speso ingenti somme in progetti di transizione energetica. L’India è il terzo maggior emettitore di CO2 e il governo Modi si è ripetutamente espresso contro la graduale eliminazione del carbone.

Il parco per le energie rinnovabili di Khavda è il fulcro di Adani Green Energy Limited, di cui la francese TotalEnergies ha acquisito una quota del 19,7% per 2,5 miliardi di dollari nel 2021. Il porto commerciale di Mundra, il più grande dell’India e gestito da un altro ramo dell’impero Adani, produce componenti chiave per la sua futura offensiva nel settore delle energie rinnovabili, tra cui eliche di turbine eoliche lunghe 80 metri. “Stiamo creando uno dei più grandi e integrati ecosistemi di energia rinnovabile al mondo per il solare e l’eolico“, ha scritto Gautam Adani su X, dove si descrive come un “orgoglioso indiano“. L’ambizione di Nuova Delhi è di creare 500 gigawatt di capacità di energia rinnovabile entro il 2030 per soddisfare metà del suo fabbisogno. Adani, che respinge le accuse di Hindenburg, ha dichiarato che investirà circa 100 miliardi di dollari in questa transizione energetica. Tuttavia, l’India sta anche pianificando di aumentare la sua capacità di produzione di energia a carbone e non intende essere neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio fino al 2070.

Secondo Ashok Malik della società di consulenza Asia Group, il Gruppo Adani è “seduto su asset molto solidi” e “riflette le ambizioni, le speranze e la strategia dell’India“. “È perfettamente sensato che una società che è coinvolta solo nel settore energetico indiano inizi a guardare alle energie pulite e rinnovabili come una via d’uscita dal carbone, anche se il carbone non sparirà del tutto“, ha dichiarato l’esperto all’AFP. Al Khavda Park, gli operai indossano elmetti e giubbotti di segnalazione e lavorano con il volto coperto per proteggersi dal sole cocente e dalla sabbia pungente. Un manager non autorizzato a parlare con i media ha comunque dichiarato che le condizioni erano “difficili“. Il sito dista circa 75 km dal villaggio più vicino e sei km dal confine militarizzato con il Pakistan. Un altro dirigente ha detto che le sottounità dell’impianto saranno in grado di funzionare autonomamente “nel caso in cui la sala di controllo centrale diventi inoperante“.

Progetti di questo tipo hanno spesso un costo ambientale elevato, ma l’ambientalista Mahendra Bhanani fa notare che il parco energetico è situato lontano dagli insediamenti umani e da siti rinomati per la loro biodiversità. “L’energia solare è meglio di molte industrie chimiche inquinanti“, afferma, chiedendo uno studio.

Albedo, questo sconosciuto. Una spinta green per impianti fotovoltaici

Gli impianti fotovoltaici utilizzano sempre più spesso i moduli bifacciali che permettono di sfruttare la luce solare sui due lati del modulo, sia sul fronte (front) che sul retro (back), aumentando la produzione di elettricità, raccogliendo quindi non solo la radiazione diretta, ma anche quella riflessa dal terreno.

Ecco perché, oltre a localizzazione dell’impianto, layout (disposizione dei pannelli) e altezza da terra, diventa importante l’albedo del suolo, ossia la percentuale di radiazione solare riflessa dal terreno verso il retro dei moduli, che va valutata e – se possibile – aumentata.

L’albedo è quindi il potere riflettente di una superficie, espresso in genere in frazione o in percentuale. Ad esempio un corpo perfettamente riflettente avrebbe un’albedo uguale a 1 (100% riflessione), uno perfettamente assorbente, avrebbe albedo zero. In concreto, avere un’albedo del terreno del 10% significa che, se l’irraggiamento solare ricevuto dal suolo è di 1 kilowatt, la quantità riflessa è 100 Watt.

Il valore dell’albedo è determinato da vari fattori, caratteristici della superficie: il colore, prima di tutto, ma anche la rugosità, le sue irregolarità e la presenza di polveri o acqua.
A oggi l’albedo naturale del terreno negli impianti solari varia tra il 10% e il 30%, anche se – in particolari condizioni – può subire variazioni anche rilevanti: nel caso di copertura con neve si può arrivare al 50%.

Per le utility green, come Enel Green Power (con oltre 1.200 impianti rinnovabili nel mondo) , l’ottimizzazione dell’uso di suolo e l’efficienza energetica sono fondamentali per la sostenibilità. Da qui l’impiego, ovunque possibile e conveniente, moduli bifacciali, con aumenti di produttività fino al 10% rispetto a quelli tradizionali.

La progettazione di base degli impianti dovrà valutare al meglio la distanza tra le file di moduli e la ‘geometria solare’ (l’inclinazione dei raggi solari, variabile nel tempo e con le stagioni) e quindi il cosidetto fattore di vista, cioè la superficie del modulo (front o back) che ‘vede’ la fonte di radiazione, diretta (il sole), diffusa (il cielo) o riflessa (dal terreno). Ma per la componente riflessa, nel caso di moduli bifacciali, si può aumentare la riflessione, con coperture parziali del terreno, sia con sassi di colore chiaro che con teli geotessili in polipropilene, riducendo (a pari energia captata) la superficie degli impianti il consumo di suolo e senza compromettere la capacità del terreno di assorbire acqua.

Aumentare ulteriormente l’energia raccolta dai moduli fotovoltaici non solo ne aumenta l’efficienza, ma favorisce anche la transizione energetica, contribuendo infatti a ridurre il consumo di suolo.

Boom domanda fotovoltaico, prezzi pannelli a minimi storici: in Cina produttori in crisi

La Cina domina il mercato globale dei pannelli solari grazie a grande capacità produttiva e a prezzi ultra-competitivi. Il calo dei costi tuttavia sta diventando un boomerang per l’ex celeste impero, che nei prossimi mesi potrebbe assistere a numerosi fallimenti. Anche se la domanda solare aumenta con l’accelerazione della transizione energetica globale, il numero di produttori diminuirà nei prossimi 12-18 mesi, ha affermato Lan Tianshi, co-amministratore delegato di GCL Technology Holdings Ltd., il secondo produttore mondiale del materiale chiave polisilicio. “Il momento peggiore è arrivato”, ha aggiunto a Bloomberg, prevedendo che circa il 25% dei produttori di polisilicio saranno costretti ad abbandonare l’attività. “Questo è un test di pressione su chi può sopravvivere“. Molti produttori di energia solare vendono a prezzi prossimi ai costi di produzione e le aziende produttrici di polisilicio non annunciano più piani per costruire più fabbriche, ha sottolineato a Bloomberg. I nuovi impianti già in costruzione stanno annullando le fasi successive, mentre gli impianti completati ritardano l’inizio dell’attività.

Secondo l’autorevole Bernreuter Research l’eccesso di offerta spingerà i nuovi entranti fuori dal mercato nel 2024. L’anno prossimo il leader cinese del mercato del polisilicio Tongwei darà inizio a una fase di concorrenza spietata. “Tongwei prevede di mettere in funzione 575.000 tonnellate di nuova capacità produttiva il prossimo anno, mentre ci aspettiamo crescita del mercato di 200.000 tonnellate al massimo”, afferma Johannes Bernreuter, capo di Bernreuter Research e autore del ‘Polysilicon Market Outlook 2027’. La carenza di polisilicio nel 2021 e nel 2022 aveva fatto salire il prezzo spot fino a quasi 40 dollari al kg, attirando molti aspiranti cinesi nel settore. “Se tutte le nuove capacità venissero aumentate nel 2024, l’eccesso di offerta aumenterebbe fino a 1,4 milioni di tonnellate”, aggiunge Bernreuter. “Con i suoi bassi costi di produzione e la comprovata qualità del prodotto, Tongwei spingerà la maggior parte, se non tutti, i nuovi concorrenti fuori dal mercato”.

La crisi in Cina sembra alle porte anche se il più grande cliente dell’industria del polisilicio, il settore solare, è in rapida crescita. A differenza di altri ricercatori di mercato, Bernreuter prevede che gli impianti fotovoltaici annuali aumenteranno da 425 GW nel 2023 a 1.100 GW nel 2027, il che equivale a un tasso di crescita medio annuo del 26,8%. “I modelli previsionali tradizionali hanno per lo più sottostimato la crescita del fotovoltaico. Pertanto abbiamo adottato un approccio più aggressivo”, spiega l’analista. La rapida crescita alimenterà la forte domanda di silicio metallico, che è costituito da quarzo. “La conseguenza è inevitabile: nella seconda metà di questo decennio il quarzo per il silicio metallico scarseggerà“, prevede Bernreuter.

Nel frattempo i prezzi delle celle solari più vendute nell’attuale mercato solare, hanno continuato la loro traiettoria discendente arrivando a toccare i prezzi più bassi di sempre, secondo i dati OPIS – una società del gruppo Dow Jopnes – forniti a Pw Magazine.

Shell inizia costruzione del suo primo impianto fotovoltaico in Italia

Shell inizia la costruzione del suo primo impianto fotovoltaico in Italia e posa a Taranto il pannello numero uno del grande parco ‘Zamboni‘.
Il mega-impianto sorgerà su un’area industriale di Talsano, con una capacità di circa 20 MW, ma assicurerà, a partire dal 2024, una produzione annua di oltre 30 GWh: il consumo medio di circa 14mila famiglie in un anno.

La multinazionale britannica opera in Italia da oltre un secolo e con l’avvio del fotovoltaico “conferma la propria posizione di Energy Company integrata“, commenta Marco Marsili, Country Chair Shell Italia. La compagnia è infatti presente in tutti i settori energetici “sostenendo la transizione energetica del Paese e i processi di decarbonizzazione dei nostri clienti“, rivendica ricordando che “con orgoglio” continua a porre il Paese come “uno dei principali all’interno del Gruppo“.

Oltre 34mila i pannelli fotovoltaici bifacciali ad alta efficienza verranno installati nel parco, su un’area di 17,6 ettari: 14,6 ettari ospiteranno i panelli, la restante area di circa 3 ettari verrà piantumata. La conclusione dei lavori è prevista per marzo 2024, mentre l’entrata in esercizio dell’impianto è prevista nel corso del mese successivo.

Si dice “molto contento” di dare avvio all’opera Ivan Niosi, amministratore delegato Renewable Generation Shell Energy Italia. Nel corso degli ultimi anni, spiega, “abbiamo sviluppato 48 progetti in 11 regioni italiane, di cui 20 con iter autorizzativo concluso e gli altri in avanzato stadio di permitting; progetti che ci rendono oggi tra i principali solar developer del Paese con circa 2 gigawatt di capacità di produzione”.

Come parte del progetto, Shell Energy Italia ha siglato un accordo con Baker Hughes, azienda che si è assicurata per 8 anni l’acquisto di una quota di energia rinnovabile prodotta dall’impianto come parte integrante del suo piano di decarbonizzazione degli stabilimenti italiani. Il contratto è “una conferma concreta della nostra capacità di creare un filo diretto tra la nostra produzione e la richiesta di energia da fonti rinnovabili posizionandoci come operatore energetico integrato”, afferma Gianluca Formenti, amministratore delegato Shell Energy Italia.
Un “passo importante verso la decarbonizzazione, in Italia e nel mondo“, lo definisce Paolo Noccioni, Presidente Nuovo Pignone IET, Baker Hughes. Parte di un “più ampio percorso verso la sostenibilità che, in quanto azienda di tecnologia a servizio dell’energia e dell’industria, sosteniamo anche attraverso lo sviluppo di soluzioni efficienti e innovative per accompagnare la transizione energetica. Per raggiungere gli importanti obiettivi di sostenibilità che ci siamo dati, per noi prioritari e non negoziabili, crediamo nell’attivazione di collaborazioni virtuose come questa che vede insieme aziende, Istituzioni e territorio”, fa sapere.

La realizzazione dell’impianto Zamboni genererà diversi benefici sia di carattere occupazionale che ambientale, contribuendo alla rinaturalizzazione di un’area fino a oggi incolta e sostenendo la biodiversità locale. Come parte degli accordi presi con il Comune, Shell costruirà un impianto fotovoltaico su lastrico solare, con sistema di accumulo energetico, sul tetto di un immobile nella disponibilità del Comune per consentire l’uso di energia rinnovabile. Nei prossimi mesi 32 persone saranno impegnate nella realizzazione dell’impianto, a cui si aggiungeranno addetti per la manutenzione delle aree a verde e per la successiva gestione ordinaria.

fotovoltaico

Anno da record per il fotovoltaico: nel 2022 +2,5 GW, miglior dato in 9 anni

Il 2022 è un anno ‘d’oro’ per il fotovoltaico in Italia. Quello con i valori, in termini di capacità degli impianti installati, più alti degli ultimi 9. Lo dicono i numeri contenuti National survey report of photovoltaic power applications in Italy, pubblicato sul sito del Gse, rilevando una “crescita significativa”, con quasi 2,5 GW di nuova capacità per un circa 210mila impianti. Non male davvero, ma potrebbe andare comunque meglio, per questo le attese sono spostate sulle semplificazioni amministrative previste dai decreti varati dal governo che “contribuiranno a risolvere i problemi di autorizzazione“. In particolare sono il Pniec e il decreto Cer, così come quello sull’agrivoltaico ad attrarre l’attenzione dell’analisi.

Per il momento il nostro Paese si gode il balzo in avanti già compiuto. Perché “la capacità totale commissionata alla fine del 2022 è di circa 25 GW“. La potenza nazionale pro capite lo scorso anno risulta di 415 Watt per abitante, con un aumento di circa 41 W rispetto al 2021. Anche la suddivisione territoriale svela importanti novità, perché il 30,9% degli impianti è installata in due regioni del nord, Veneto e Lombardia, con quest’ultima che raggiunge un record in termini di potenza installata (3,15 GW), superando per la prima volta supera la Puglia (3,05 GW). Il Nord si prende anche un altro primato, quello dei sistemi di accumulo: sui 155.176 sistemi di accumulo installati (il totale è 230.496), il 45% è concentrato in tre regioni del Settentrione. Per quanto riguarda l’autoconsumo, invece, il risultato è 6.227 GWh, ovvero il 22,5% della produzione fotovoltaica totale e il 49% di quella in regime di autoconsumo.

Se i numeri sono di sicuro positivi, le prospettive future risultano ancora più rosee. Perché, secondo le stime del National survey report of photovoltaic power applications in Italy 2022, “il mercato crescerà nei prossimi due anni” anche grazie all’avvio di programmi come quello lanciato da Enel Green Power, sta investendo in una linea di produzione di celle e moduli fotovoltaici con un obiettivo di capacità annua di 3 GW entro il 2024, nel suo stabilimento 3Sun di Catania, annunciando la produzione di moduli fotovoltaici in configurazione tandem prevista per la fine del 2025.
Ma è il mercato elettrico italiano a vivere un periodo di grandi cambiamenti, iniziati vent’anni fa ma che, complice anche la crisi scoppiata poco prima della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina e acuita proprio dal conflitto, sta facendo progressi significativi negli ultimi mesi. La totale liberalizzazione “è stata decisa solo nell’agosto 2017 e si prevede che sarà completata dopo il 2024, quando il sistema tariffario sarà eliminato anche nel settore domestico“, si legge nell’analisi. Sarà questa la grande sfida per un settore che sta cambiando pelle e che resta strategico per il sistema economico, produttivo e sociale.

Arriva il reddito energetico: 200 milioni per impianti fotovoltaici destinati a famiglie in difficoltà

Sostenere le fasce in maggiore difficoltà economica e allo stesso tempo ottenere un beneficio ambientale. E’ quanto intende fare il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica con un decreto, firmato da Pichetto, che prevede un fondo da duecento milioni di euro rivolto alle famiglie in condizione di disagio economico, destinato alla realizzazione di impianti fotovoltaici in assetto di autoconsumo. L’obiettivo è consentire l’accesso agevolato all’energia rinnovabile per persone che appartengono a nuclei familiari con Isee inferiore ai quindicimila euro o a trentamila, avendo almeno quattro figli a carico.

Il Fondo Reddito Energetico, alla cui operatività lavora il Gestore Servizi Energetici (GSE), è di natura rotativa e mette a disposizione per le annualità 2024-2025 complessivi duecento milioni di euro, per gran parte nel Mezzogiorno: sono infatti destinatarie dell’80% delle risorse le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il Fondo può essere incrementato con un versamento volontario da parte di amministrazioni centrali, Regioni, Province, ma anche organizzazioni pubbliche e realtà no-profit.

Gli impianti fotovoltaici al servizio di unità residenziali nella disponibilità di nuclei familiari in condizione di disagio economico devono essere di potenza nominale non inferiore ai due kilowatt e non superiore ai sei, o comunque non andare oltre la potenza nominale in prelievo sul punto di connessione. Gli impianti, per i quali il decreto destina un contributo in conto capitale, devono essere realizzati su coperture e superfici, aree e pertinenze di cui il soggetto beneficiario sia titolare di un valido diritto reale.

Con questo provvedimento – spiega il ministro Pichettoperseguiamo un doppio fine: quello sociale di sostegno alle fasce più indigenti e, allo stesso tempo, quello ambientale, perché promuoviamo l’utilizzo di energia rinnovabile. E’ una nuova risposta del governo – conclude il ministro – per concretizzare una reale ed equa sicurezza energetica”.

Rinnovabili, decreto sulle Aree idonee in arrivo: l’obiettivo è 80 Gigawatt al 2030

Questione di giorni, non più di mesi. Il decreto legge che individua le Aree idonee ad accogliere gli impianti per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili è pronto, ora mancano il passaggio in Conferenza unificata e in Cdm. La bozza, che GEA ha potuto visionare, conferma quanto ha sempre sostenuto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, in questi mesi: l’obiettivo è raggiungere una potenza aggiuntiva di 80 Gigawatt entro il 2030. La tabella di ripartizione tra Regioni e Province autonome vede sul gradino più alto del podio la Sicilia, con un target progressivo che dovrà portare l’isola a 10.380 Megawatt entro i prossimi 7 anni. Alle sue spalle c’è la Lombardia con 8.687 MW e in terza posizione la Puglia con 7.284 MW.

A seguire ci sono i 6.255 MW al 2030 per l’Emilia-Romagna, 6.203 per la Sardegna, 5.763 MW per il Veneto, 4.921 MW per il Piemonte, 4.708 MW per il Lazio, 4.212 per la Toscana, 3.943 MW per la Campania, 3.128 MW per la Calabria, 2.313 MW per le Marche, 2.076 MW per la Basilicata, 2.067 MW per l’Abruzzo, 1.940 MW per il Friuli Venezia Giulia, 1.735 MW per l’Umbria, 1.191 MW per la Liguria, 995 MW per il Molise, 848 MW per la provincia di Trento, 804 MW per Bolzano e 549 per la Valle d’Aosta.

Dal momento in cui il decreto sarà operativo, Regioni e Province avranno 180 giorni di tempo per emanare leggi locali utili a individuare le superfici dove potranno sorgere gli impianti. Per chi non rispetterà le scadenze, sarà il Cdm a prendere le redini in mano, con il Mase che potrà proporre al presidente del Consiglio gli schemi di atti normativi di natura sostitutiva. Gli enti locali potranno anche concludere fra di loro accordi per il trasferimento statistico di determinate quantità di potenza, ma in caso di inadempienze, rispetto agli obiettivi minimi assegnati al 2030, ci saranno compensazioni economiche “finalizzate a realizzare interventi a favore dell’ambiente, del patrimonio culturale e del paesaggio, di valore equivalente al costo di realizzazione degli impianti“. Ci sarà l’Osservatorio nazionale, un “organismo permanente di consultazione e confronto tecnico sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi regionali, nonché di supporto e di scambio di buone pratiche in particolare finalizzate all’individuazione delle superfici e delle Aree idonee e non idonee“.

Quanto ai criteri, le aree agricole classificate come Dop e Igp sono considerate idonee solo ai fini dell’installazione di impianti agrivoltaici. Inoltre, nel processo di individuazione delle superfici devono essere rispettati “i princìpi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale, sul paesaggio e sul potenziale produttivo agroalimentare, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo.

Tra le aree idonee rientrano i “siti dove sono già installati impianti della stessa fonte in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale” che “non comportino una variazione dell’area occupata superiore al 20%“, anche se questo limite “non si applica per gli impianti fotovoltaici“. Restando sempre sul punto, per “impianti fotovoltaici standard realizzati su suoli agricoli, una percentuale massima di utilizzo del suolo agricolo nella disponibilità del soggetto che realizza l’intervento, comunque non inferiore al 5% e non superiore al 10%“, Mentre “per impianti classificati come ‘agrivoltaici’ che rispettino le prescrizioni di esercizio previstela percentuale raddoppia al 20.

Per quanto concerne gli impianti eolici, i criteri assegnati a Regioni e Province autonome c’è quello di valutare le aree “con adeguata ventosità” tale da “garantire una producibilità maggiore di 2.250 ore equivalenti a 100 metri di altezza“. Ma vanno escluse le superfici “ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela, come i siti che rientrano “nel patrimonio Unesco, nella lista Fao Gihas e in quelli iscritti nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici“, sui quali, è possibile “introdurre fasce di rispetto di norma fino a 7 chilometri, purché le aree idonee complessivamente individuate sul territorio regionale o provinciale abbiano una superficie pari almeno all’80% di quella individuabile applicando i limiti di 3 chilometri e comunque pari almeno all’80% di quella individuabile considerando i criteri specifici di ventosità“. Una scelta che non piace all’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento: “Ancora una volta sembra penalizzare il settore eolico, il provvedimento risulta poco soddisfacente“.

Il decreto, poi, stabilisce che le nuove leggi regionali o quelle varate dalle Province autonome per rispettare le nuove disposizioni sulle Aree idonee “prevalgono su ogni altro regolamento, programma, piano o normativa precedentemente approvato a livello regionale, provinciale o comunale, inclusi quelli in materia ambientale e paesaggistica“. Infine, i procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore del dl Aree idonee vengono comunque portati a termine con le regole in vigore dal 2021.

L’energia geotermica può aiutare la transizione, l’Italia ha grandi risorse

Abbiamo più volte sostenuto che l’approccio giusto alla transizione energetica e cioè del passaggio dall’energia prodotta con fonti fossili, che comporta grandi emissioni di CO2, all’energia prodotta da fonti rinnovabili senza emissioni di CO2 è quello che si definisce di ‘neutralità tecnologica’.

Applicare il principio della neutralità tecnologica significa sfruttare tutte le tecnologie che producono energia senza emissioni di CO2 e non limitarsi solo ad alcune filiere tecnologiche quali tipicamente fotovoltaico, eolico e idroelettrico, che vanno benissimo ma per varie ragioni, prima fra tutte la loro non programmabilità e intermittenza, non sono sufficienti.

Le industrie, gli ospedali, altri servizi essenziali hanno bisogno di energia elettrica h 24 e cioè anche quando il sole non c’è, il vento non tira e c’è poca acqua nei fiumi.

Tra le fonti energetiche che possono fornire energia continua e senza emissioni di CO2 c’è certamente il geotermico.

Un caro amico geologo, il dottor Sandro De Stefanis che legge regolarmente i miei articoli sulla transizione energetica e che insieme alla Confederazione Italiana libere professioni sta organizzando per settembre un bel convegno a Genova sulla sicurezza energetica, mi ha sollecitato ad occuparmi anche dell’energia geotermica come importantissimo strumento per la decarbonizzazione, per la produzione di elettricità continua, per l’utilizzo di grandi risorse naturali ancora da sfruttare , nel rispetto dell’ambiente circostante.

Come si vedrà l’Italia ha un potenziale importantissimo per la produzione di questa energia, un potenziale che per ragioni difficilmente spiegabili non viene adeguatamente sfruttato.

L’energia geotermica è la forma di energia ottenibile dal calore proveniente da fonti geologiche presenti nel sottosuolo.

Si tratta di una forma di energia alternativa e rinnovabile che si basa sullo sfruttamento del calore naturale del pianeta Terra dovuto all’energia termica rilasciata da processi di decadimento nucleare naturale di elementi radioattivi quali uranio, torio e potassio contenuti nelle rocce presenti nel sottosuolo terrestre (nucleo, mantello, crosta terrestre). Ma come è possibile recuperare il calore della terra?

La temperatura del suolo aumenta mano a mano che si scende in profondità, registrando un incremento di 3 gradi ogni 100 metri. Le acque sotterranee a contatto con rocce ad alta temperatura si trasformano in vapore.

Il grande interesse dell’energia geotermica è che si tratta di una fonte stabile da cui si può ricavare energia costante (il famoso base load decarbonizzato) e che determina un’occupazione di suolo più contenuta rispetto alle altre fonti di energia rinnovabile. Inoltre l’assenza di processi di combustione contribuisce alla riduzione delle emissioni di inquinanti e di CO2 in atmosfera; infatti l’energia termica fuoriesce dalla superficie terrestre attraverso vettori fluidi quali acqua e vapore.

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici esistono diverse tipologie di centrali geotermiche che sfruttano il vapore e l’acqua calda per azionare turbine e produrre energia elettrica.

Molti e significativi sono i vantaggi dell’energia che sfrutta il calore della terra.

  • Si tratta di un’energia verde e continua, indipendente dalle temperature esterne, dalle condizioni metereologiche e dall’alternanza notte-giorno;
  • Tra le energie rinnovabili è quella che riesce a produrre maggiore quantità di elettricità;
  • Gli impianti geotermici sono silenziosi, non creano problemi acustici e non emettono anidride carbonica né polveri sottili;
  • L’assenza di processi di combustione riduce al minimo la necessità di interventi di manutenzione sugli impianti.

Dal punto di vista geotermico l’Italia ha grandissime risorse ed è un paese privilegiato con un potenziale enorme che sarebbe capace di soddisfare, secondo gli studiosi, il 40% del fabbisogno interno di energia elettrica. Nel nostro Paese le zone ad alta geotermia si trovano in Toscana: si tratta del triangolo Lardarello-Travale -Radicondoli e del Monte Amiata.

Proprio gli italiani sono stati all’inizio del ’900 i primi a sfruttare a Lardarello questa fonte energetica. Oggi gli impianti toscani, tutti gestiti dall’Enel producono 6 miliardi di Kwh l’anno coprendo circa il 30% del fabbisogno elettrico regionale. La centrale elettrica più grande è quella di Valle del Secolo a Lardarello che ha una capacità di 120 MW e oggi è in manutenzione.

Sono in attesa di autorizzazione impianti per oltre 700 GWh/anno che da soli, secondo stime dell’ex ministro dell’Energia e dell’Ambiente Cingolani, potrebbero dare il 10% dell’energia rinnovabile da immettere in rete nel 2030.

Infine, oltre le grandi centrali elettriche di cui si è detto sopra, possono risultare interessanti anche più piccole applicazioni domestiche del geotermico per riscaldare e climatizzare le abitazioni con consumi molto bassi e costi di manutenzioni irrisori.

Il principio anche in questo caso è molto semplice: si manda acqua in profondità, oltre i 100 metri, per scaldarla di 3-4 gradi centigradi; questo gradiente termico è sufficiente a trasformare un fluido contenuto in un serbatoio della centrale termica in un gas che espandendosi crea energia e calore alimentando caloriferi e scambiatori di calore. Ideale per le case in montagna dove non è difficile scendere di 100 metri con i tubi dell’acqua. Si tratta di un investimento piuttosto costoso che però viene ripagato nel tempo dalla totale assenza di consumi di combustibile. L’unica energia che viene consumata nel processo è quella della piccola pompa elettrica che manda l’acqua in profondità. Ma anche qui basta mettere qualche pannello solare sul tetto per coprire con fonti verdi anche questo fabbisogno energetico.