app rifiuti mare

In Francia l’app per mappare in real-time i rifiuti galleggianti

Si chiama ‘The Collector’ ed è un catamarano che ogni giorno perlustra la costa di Biarritz alla ricerca di rifiuti di plastica causati dai turisti. L’imbarcazione – le cui attività sono finanziate dal Comune – è collegata a un’app (I clean my sea), che consente agli utenti di segnalare la presenza dei rifiuti. Si tratta, principalmente, di diportisti, surfisti, nuotatori o semplici cittadini che passeggiano sulla spiaggia. I due marinai a bordo della barca ricevono una notifica, con la foto scattata dall’utente e la posizione GPS, come spiega Aymeric Jouon, ricercatore in oceanografia e ideatore della società che gestisce la barca, omonima dell’applicazione. L’augurio è che con l’aiuto degli utenti, si riesca a creare “una mappa dei rifiuti galleggianti in tempo reale“.

La raccolta, a cui la città di Biarritz ha assegnato 60mila euro, è stagionale e segue il picco di affluenza turistica sulla costa, spiega Mathieu Kayser, assessore all’ambiente. “Se potessimo, useremmo la barca tutto l’anno, ma avrebbe un costo“, troppo elevato. Sulle spiagge di Biarritz, ogni mattina, i dipendenti comunali raccolgono anche i rifiuti arenati, riportati dalle correnti. Ogni anno, spiega Kayeser, i rifiuti aumentano a causa del problema del “consumo globale“, ma “noi cerchiamo di trovare tutte le soluzioni per affrontare la questione. ‘The collector’ terminerà la sua missione a settembre.

I rifiuti raccolti in mare vengono smistati a mano dal personale che si trova a bordo. Come Valetin Ledée, 22 anni. “L’80% dei rifiuti – racconta – è costituito da plastica molto fine o microplastica, a volte intrappolata in un mucchio di alghe“. I venti e le maree hanno un grande impatto sulla raccolta. “Il vento leggero da ovest spinge la plastica indietro, verso la costa, e quando il livello dell’acqua si alza, raccoglie tutto ciò che è sulle sponde o ciò che si è depositato sulle spiagge“, afferma Aymeric Jouon. Così, assicura Mathieu Kayser, “l’80% dei rifiuti raccolti in mare arriva da terra“.

Oltre la fascia costiera di 300 metri, in cui opera The Collector, un’altra barca attraversa le acque tra la foce dell’Adour, a Bayonne, e il confine spagnolo, a Hendaye. Sostenuta dal dipartimento dei Pirenei atlantici, nel 2021 ha raccolto diverse tonnellate di rifiuti di plastica.

(Photo credits: GAIZKA IROZ / AFP)

dipendenti

In Francia il pendolarismo diventa parte della ‘carbon footprint’ aziendale

Le imprese, le amministrazioni e gli enti locali dovranno contabilizzare le proprie emissioni indirette di gas serra nei loro bilanci. Lo prevede un recente decreto del ministro per la Transizione energetica, Agnès Pannier-Runnacher.

Il decreto, firmato il 1° luglio, modifica il perimetro delle indicazioni obbligatorie nei rapporti sulle emissioni di gas serra (BEGES), che aziende ed enti locali sono tenuti a pubblicare (ogni quattro anni per le imprese, tre anni per gli altri enti).

Finora ogni organizzazione aveva l’obbligo di indicare la propria impronta carbonica diretta (Scope2) e quella indiretta (cioè le emissioni indirette da consumo energetico, Scope2). Ora, invece, sarà obbligatorio indicare anche altre emissioni indirette derivanti dalle attività a monte e a valle dell’organizzazione (Scope3).

Si tratta, quindi, di contabilizzare e dichiarare tutte le emissioni indirette significative. Questo include, ad esempio, si legge in una nota del ministero francese, “le emissioni legate all’uso di prodotti venduti da un’azienda, o il pendolarismo dei dipendenti“.

Un’evoluzione del sistema che intende portare aziende, pubbliche amministrazioni e comunità “ad avere una visione più completa della propria impronta climatica e (…) dare priorità alle azioni da intraprendere“.

Sono pochi i Paesi che obbligano le aziende a calcolare e pubblicare il proprio bilancio delle emissioni di gas serra, ma la legislazione si moltiplica, soprattutto per i maggiori emettitori e gruppi quotati in borsa. È il caso del Regno Unito, dove il Companies Act dal 2013 obbliga le aziende a menzionare nella loro relazione annuale la quantità di gas serra emessi dagli ambiti 1 e 2.

In Francia, le aziende con più di 500 dipendenti dal 2010 devono pubblicare e aggiornare la propria relazione sulle emissioni e il proprio piano di transizione ogni quattro anni.

In Giappone l’obbligo in vigore dal 2006 riguarda le imprese di alcuni settori (energia, trasporti) e quelle con più di 20 dipendenti che emettono più dell’equivalente di 3.000 tonnellate di Co2. È stato esteso alle 4.000 aziende più grandi nella primavera del 2022. Discussioni sono in corso anche a Hong Kong per l’attuazione di un piano simile nel 2025.

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Un ‘Tinder del carbone’ per aiutare le imprese a ridurre emissioni

Come sostituire la caldaia a gas del panificio con una caldaia a biomassa? O recuperare e utilizzare il calore della fornace della fonderia? In Francia è stata lanciata una piattaforma per mettere in contatto le imprese, una sorta di ‘Tinder del carbone’.

Chiamata ‘I decarbonise‘, la piattaforma consente alle aziende di trovare soluzioni per ridurre le proprie emissioni di CO2 o il proprio consumo energetico, e a chi fornisce soluzioni tecniche di trovare clienti.

Una prima valutazione dell’attività sarà effettuata il 7 settembre in occasione di un evento a Bercy che riunirà tutte le parti interessate, hanno dichiarato all’AFP Sylvie Jehanno, CEO di Dalkia, una filiale di EDF, e Stéphane Michel, direttore del settore gas ed elettricità rinnovabili di TotalEnergies, sponsor del progetto.

Il progetto è sostenuto dal settore ‘Nuovi sistemi energetici‘, presieduto da Jehanno e Michel. È finanziato da Ademe nell’ambito del piano France Relance.

L’idea è di non rifare gli errori fatti con il fotovoltaico, dove la maggior parte dei pannelli solari proviene dall’Asia, ci saranno molti progetti di decarbonizzazione e questa è un’opportunità per l’industria francese“, che sta giocando una partita “molto collettiva” sul tema lanciando questa piattaforma, ha detto la signora Jehanno.

La produzione di pannelli solari in Europa è molto diminuita a causa dei prezzi elevati, dei prezzi ridotti dalla Cina e delle politiche pubbliche irregolari.

È una corsa all’implementazione di soluzioni che abbassino i prezzi e ci mantengano competitivi“, sostenendo i produttori francesi ed europei, ha dichiarato Aurélie Picart, delegata generale del Comitato strategico del settore.

Il sito propone tre temi principali a seconda che un’azienda cerchi di ottenere “risparmi energetici, di ridurre le proprie emissioni di CO2 attraverso “energia o calore a basso contenuto di carbonio” o, quando ciò non è possibile, di “catturare la CO2 emessa” per riciclarla.

(Photo credits: Niek Verlaan)

Il coleottero giapponese minaccia la Francia

Il coleottero giapponese, un pericolo per centinaia di specie vegetali, potrebbe presto essere introdotto in Francia, ha avvertito l’Agenzia nazionale francese per la salute e la sicurezza (Anses), raccomandando una maggiore sorveglianza e vari mezzi di controllo. Il coleottero giapponese (Popillia japonica) è stato avvistato in Italia nel 2014 e in Svizzera nel 2017 e “la probabilità che entri in Francia è alta“, ha dichiarato l’Anses in un comunicato. “Questo insetto rappresenta una minaccia per centinaia di specie vegetali: l’adulto preferisce nutrirsi di foglie mentre le larve si nutrono di radici“, avverte l’Anses.

Si tratta di oltre 400 tipi di piante, tra cui “piante alimentari: prugna, mela, vite, mais, soia, fagioli, asparagi, ecc.; specie forestali, come l’acero piatto o il pioppo; piante ornamentali, ad esempio i cespugli di rose o alcune specie presenti nei prati e nei tappeti erbosi“. Per l’Anses è impossibile prevenire l’arrivo di questo coleottero in Francia. “È un insetto che si muove facilmente, le condizioni di temperatura e precipitazioni gli sono favorevoli e poiché può consumare molte specie di piante presenti sul territorio francese non avrà difficoltà a trovare fonti di cibo“, spiega Christine Tayeh, coordinatrice scientifica dell’Anses. È quindi necessario “intervenire non appena l’insetto viene individuato per la prima volta“, attraverso “trappole dotate di esche miste (una combinazione di feromoni sessuali e attrattivi floreali)” posizionate lungo il confine con i Paesi in cui è già presente e in prossimità dei punti di ingresso al territorio (porti, aeroporti, strade), sensibilizzando anche gli operatori dei settori interessati. La formula ha funzionato in Oregon e California, dice l’Anses.

In caso di rilevamento, l’Agenzia raccomanda di “delimitare una zona infestata” con una sorveglianza rafforzata e l’attuazione di diversi mezzi di controllo contro il coleottero, tra cui “la cattura di massa, l’uso di prodotti fitosanitari di sintesi e la lotta biologica“, a seconda della situazione. Anche l’irrigazione durante il periodo di deposizione delle uova o l’aratura del terreno in autunno possono essere utilizzati per ridurre la sopravvivenza delle larve e i danni alle piante. “Se tali azioni non vengono messe in campo il prima possibile dopo l’individuazione del coleottero giapponese, prevenire la sua diffusione una volta che si è insediato sul territorio può richiedere molto tempo e avere scarse possibilità di successo“, avverte l’Anses.

elettronica

Durata e riparabilità delle apparecchiature elettroniche. Il ‘repair score’ Ue

L’introduzione di regole armonizzate in Ue sulle informazioni ai consumatori riguardo a durata e riparabilità delle apparecchiature elettroniche è uno dei punti indicati dal Parlamento europeo in vista di una futura legge sul diritto di riparazione. Il ‘repair score‘ (indice di riparabilità), secondo una petizione promossa dal gruppo dei Verdi all’Europarlamento dovrebbe tenere conto di quattro differenti parametri: il design del prodotto accessibile; gli strumenti necessari per eseguire la riparazione; la disponibilità di pezzi necessari per la sostituzione; i prezzi dei pezzi di ricambio.

In attesa di una regolamentazione a livello comunitario, alcuni Paesi si sono già mossi autonomamente per dotare le nuove apparecchiature elettriche e elettroniche di un’indicazione chiara sulla riparabilità, sulla falsariga di quanto accade già per l’indice di prestazione energetica. Capofila assoluta è la Francia dove dal 1° gennaio, nell’ambito della legge anti spreco per l’economia circolare, è entrato in vigore l’obbligo dell’indice de réparabilité inizialmente solo per smartphone, televisori, lavatrici a oblò e tosaerba. Recentemente, però, la normativa è stata estesa anche a lavatrici a carica dall’alto, lavastoviglie, robot aspirapolvere, idropulitrici cablate e non e ad alta pressione. L’etichetta sulla riparabilità è caratterizzata da un punteggio compreso tra 1 e 10, calcolato come la media su una griglia di voci definite dal ministero della Transizione Ecologica. Quattro parametri sono comuni a tutte le categorie merceologiche: disponibilità di documentazione per riparatori e consumatori; facilità di smontaggio; disponibilità di pezzi di ricambio; prezzo dei pezzi di ricambio. La quinta voce è specifica per ogni tipologia di prodotto: ad esempio, per i pc portatili viene valutato l’aggiornamento del software. Al punteggio finale è anche collegata una scala di colori che va dal rosso scuro per gli oggetti meno riparabili al verde scuro di quelli più riparabili. Il tutto è contrassegnato da un pittogramma con un ingranaggio e una chiave inglese.

L’obiettivo del governo di Parigi è duplice: da un lato rendere più appetibili per consumatori i prodotti potenzialmente più durevoli, dall’altro stimolare le case costruttrici a migliorare le proprie pratiche, rendendole più circolari. Bruxelles ovviamente osserva con attenzione l’iniziativa francese che potrebbe diventare il modello di una futura etichettatura di riparabilità in Ue. Intanto, anche altri Paesi iniziano a muoversi nella stessa direzione. Il governo spagnolo ha annunciato la volontà di introdurre l’indice di riparabilità e la stessa richiesta è arrivata qualche settimana fa dal ministro tedesco per la Protezione dei consumatori, Steffi Lemke. La vera svolta, capace di indurre le grandi aziende a puntare su prodotti facilmente riparabili, può però arrivare solo grazie a un’iniziativa legislativa a livello europeo, sulla scia di quanto ha di recente fatto l’Europarlamento spingendo per l’introduzione del caricatore universale per i device elettronici.

(Photo credits: Maruf Rahman)