Prima udienza di Leone XIV a Meloni: Ucraina, Gaza e il summit Onu in Etiopia al centro

Sorrisi, strette di mano e un colloquio a porte chiuse che dura oltre mezz’ora. Giorgia Meloni arriva in Vaticano per la sua prima udienza ufficiale con Papa Leone XIV, eletto in conclave l’8 maggio scorso.

Nella delegazione della premier ci sono i due vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Con loro, dopo l’udienza, la presidente del Consiglio scende poi in Terza Loggia, per incontrare anche il segretario di Stato, Pietro Parolin, e il ‘ministro degli Esteri’, Paul Gallagher.

Ucraina e Gaza al centro, in particolare l’impegno comune per la pace a Kiev e in Medio Oriente e l’assistenza umanitaria a Gaza, che ancora fatica ad arrivare, sotto gli attacchi e i blocchi di Israele. “Sono state sottolineate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e l’Italia“, fa sapere il Vaticano in una nota di poche righe, facendo riferimento a generiche “questioni afferenti ai rapporti bilaterali” e “tematiche d’interesse per la Chiesa e la società italiana”. Meloni, aggiunge Palazzo Chigi, ribadisce “l’apprezzamento per l’impegno della Sede Apostolica per la pace in Ucraina, a Gaza e in tutte le aree di crisi” e si sofferma sull’importanza della libertà religiosa e sulla tutela delle comunità cristiane in Medio Oriente, che hanno sofferto le conseguenze delle crisi e dell’instabilità dell’area. I due leader condividono poi, rende noto la presidenza del Consiglio, “l’ottima collaborazione con le organizzazioni cattoliche religiose per la cooperazione in Africa, nell’ambito del Piano Mattei”.

Prima di chiudere le porte, la Santa Sede diffonde qualche immagine dell’incontro, in cui la premier e il Pontefice sono seduti nello studio del Palazzo apostolico. “Ha fatto tanti viaggi, io invece sono rimasto sempre a Roma”, dice il Papa. Lei gli parla del summit sulla sicurezza alimentare dell’Onu, che co-presiederà con il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed il 28 luglio, ad Addis Abeba, in Etiopia. Poi qualche immagine sullo scambio dei regali dopo il colloquio, in cui si vede la presidente del Consiglio che dona al Papa una veduta seicentesca della Chiesa dei Santi Domenico e Sisto e dell’antico monastero domenicano che ospita l’Angelicum, la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino dove Robert Prevost ha studiato Diritto canonico e ricorda la “grande cultura religiosa” dell’istituto. Il Papa ricambia con un volume su Sant’Agostino. E l’ultima stretta di mano: “Buon lavoro”, è l’augurio di Meloni al Papa.

Il primo contatto che hanno avuto la premier e il Pontefice è stato telefonico: il 15 maggio, appena una settimana dopo l’elezione di Prevost al soglio di Pietro. Si prospettava di organizzare i negoziati di pace tra Russia e Ucraina in Vaticano, ipotesi accolta positivamente dal Papa, ma poi saltata. Il primo incontro faccia a faccia c’è stato il 18 maggio, per la messa di inizio pontificato. Poi hanno avuto modo di incontrarsi di nuovo il 21 giugno, per il Giubileo dei governanti, quando Meloni ha chiesto al Papa se si fosse “assestato”.

Leone riceve Mattarella: Ucraina e Gaza sul tavolo della diplomazia della pace

Ucraina e Gaza. Ma anche il “contributo della Chiesa nella vita del Paese”. Tra sorrisi e strette di mano, Sergio Mattarella e Robert Prevost hanno il loro primo colloquio a porte chiuse nello studio del Palazzo apostolico in Vaticano. Ancora una volta, tutto ruota intorno a quella pace che sembra lontanissima, in un mondo martoriato.

Il primo scambio di saluti di persona c’era stato il 18 maggio, giorno in cui Leone XIV ha presieduto la messa per l’inizio del Pontificato. Già in quella occasione, come per il primo saluto dalla loggia delle benedizioni, il pensiero di Leone era rivolto alle aree di crisi. Il capo dello Stato arriva nel cortile di San Damaso poco prima delle 9, accolto dal reggente della prefettura della casa pontificia, monsignor Leonardo Sapienza. Il cortile è allestito per l’occasione, una composizione di fiori tricolore, il lungo tappeto rosso, 16 ‘gentiluomini di Sua Santità’.

Ad accompagnare il presidente della Repubblica, una delegazione consistente. Tutta la sua famiglia, i tre figli Laura, Bernardo e Francesco con i coniugi e i cinque nipoti, oltre ai suoi consiglieri, il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, l’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Di Nitto.

Poco meno di un’ora di colloquio a porte chiuse, poi lo scambio dei doni, in cui spicca il messaggio per la Pace di Papa Francesco, che Prevost regala al presidente: “Ho reso omaggio alla sua tomba a Santa Maria Maggiore il giorno prima del Conclave“, ricorda lui, donando al Pontefice due volumi cinquecenteschi su Sant’Agostino. Poi, l’incontro del presidente con il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, accompagnato da Mirosław Wachowski, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati (il segretario Paul Gallagher è in visita a Cuba, in occasione del 90esimo anniversario dei rapporti diplomatici bilaterali tra la Santa Sede e il Paese caraibico). “Durante i cordiali colloqui in Segreteria di Stato è stato espresso compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti. Ci si è soffermati su temi di carattere internazionale, con particolare attenzione ai conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Nel prosieguo della conversazione sono state affrontate alcune tematiche di carattere sociale, con speciale riferimento al contributo della Chiesa nella vita del Paese”, spiega il Vaticano.

Ho portato al nuovo Pontefice l’affetto dell’Italia”, racconta poco dopo il capo dello Stato ad Arezzo, visitando la sede di Rondine Cittadella della Pace. Mattarella riporta ai ragazzi una citazione di sant’Agostino già utilizzata dal Papa agostiniano in occasione del suo incontro con la stampa mondiale: “Anche all’epoca di Agostino, a Ippona, c’era chi si lamentava dei tempi difficili, brutti, cupi. La sua risposta fu: ‘I tempi siamo noi’, sottolineando – osserva il presidente – che i tempi si modellano secondo quello che noi ci mettiamo dentro”.

Costo climatico record per ricostruire Gaza: emissioni pari a quelle di 135 Paesi

La ricostruzione degli edifici distrutti nei primi quattro mesi dell’assalto israeliano a Gaza genererà l’equivalente di quasi 60 milioni di tonnellate di CO2. Di fatto, il costo del carbonio per ricostruire Gaza sarà maggiore delle emissioni annuali di gas serra generate individualmente da 135 paesi, esacerbando l’emergenza climatica globale oltre al bilancio delle vittime senza precedenti. E’ quanto rivela una nuova ricerca condotta da ricercatori nel Regno Unito e negli Stati Uniti, pubblicata sul Social Science Research Network e condivisa esclusivamente con il Guardian.

La ricostruzione dei circa 200mila condomini, scuole, università, ospedali, moschee, panifici, impianti idrici e fognari danneggiati e distrutti da Israele nei primi quattro mesi della guerra a Gaza genererà fino a 60 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e): quasi alla pari con le emissioni totali del 2022 generate da paesi come Portogallo e Svezia, e più del doppio delle emissioni annuali dell’Afghanistan.

Secondo lo studio, la ricostruzione a lungo termine genererà il costo maggiore in termini di emissioni di carbonio dalla guerra a Gaza. Circa 26 milioni di tonnellate di detriti e macerie sono stati lasciati in seguito al bombardamento israeliano, la cui bonifica potrebbe richiedere anni.

Dalla ricerca, sintetizza il quotidiano britannico, emerge come le emissioni di riscaldamento del pianeta generate dagli attacchi aerei e terrestri durante i primi 120 giorni della guerra a Gaza siano state superiori all’impronta di carbonio annuale di 26 delle nazioni più vulnerabili al clima del mondo, tra cui Vanuatu e Groenlandia. Inoltre, oltre il 99% delle 652.552 tonnellate di anidride carbonica (CO2 equivalente/CO2e) stimate essere state generate nei primi quattro mesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre sono legate al bombardamento aereo di Israele e all’invasione terrestre di Gaza. Quasi il 30% delle emissioni totali di CO2e sono state generate dai 244 aerei cargo americani che hanno trasportato bombe, munizioni e altri rifornimenti militari verso Israele nei primi 120 giorni. Secondo il calcolo, che è quasi certamente una sottostima significativa a causa della mancanza di dati sulle emissioni militari precisa la ricerca, il costo del carbonio dei primi 120 giorni dell’assalto israeliano a Gaza era equivalente al consumo energetico annuale combinato di 77.200 famiglie americane.

L’analisi fornisce un’istantanea conservativa del costo climatico dell’attuale guerra a Gaza, oltre alle uccisioni, alla carestia deliberata, ai danni alle infrastrutture e alla catastrofe ambientale. E sottolinea anche i dati della macchina bellica di ciascuna parte: i razzi di Hamas lanciati su Israele tra ottobre 2023 e febbraio 2024 hanno generato circa 1.140 tCO2e. Altre 2.700 tCO2e sono state attribuite al carburante immagazzinato dal gruppo prima del 7 ottobre. Nel complesso, l’impronta di carbonio di Hamas nei primi 120 giorni è stata equivalente al consumo energetico annuale di 454 case americane.

“Mentre l’attenzione del mondo è giustamente focalizzata sulla catastrofe umanitaria, anche le conseguenze climatiche di questo conflitto sono catastrofiche”, ha affermato Ben Neimark, docente senior presso la Queen Mary University di Londra (QMUL) e coautore della ricerca. “Eppure il nostro studio è solo un’istantanea che tiene conto delle maggiori emissioni di gas serra segnalate dalla macchina da guerra nei primi 120 giorni”.

“Una delle gravi conseguenze della guerra a Gaza è stata la massiccia violazione del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile… che rappresenta un grave rischio per la vita e il godimento di tutti gli altri diritti”, ha affermato Astrid Puentes, la relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l’ambiente. “La regione sta già sperimentando gravi impatti climatici che potrebbero peggiorare”.

L’analisi di 120 giorni, che si basa su una precedente ricerca riportata dal Guardian a gennaio, include le emissioni dirette di CO2 derivanti dai bombardamenti e dai voli di ricognizione, dai serbatoi e dal carburante di altri veicoli, nonché dalle emissioni generate dalla produzione e dall’esplosione di centinaia di migliaia di bombe.
Per la prima volta, i ricercatori hanno anche calcolato le emissioni dei camion che effettuano il viaggio di andata e ritorno di 370 miglia (595,5 km) dall’Egitto a Gaza per consegnare aiuti umanitari a 2,3 milioni di palestinesi affamati intrappolati sotto i bombardamenti. Secondo lo studio, i circa 1.400 camion a cui Israele ha consentito di entrare a Gaza tra l’inizio di ottobre e febbraio hanno generato quasi 9.000 tonnellate di CO2e. Ulteriori 58.000 emissioni di CO2e provenivano da generatori diesel ora utilizzati per generare elettricità a Gaza dopo che Israele ha danneggiato o distrutto gli impianti solari dell’enclave e l’unica centrale elettrica (prima del conflitto, circa il 25% dell’elettricità di Gaza proveniva da pannelli solari, una delle percentuali più alte del mondo.)

Mattarella: “Giovani disorientati da mondo debole nel contrastare crisi ambientale sempre più minacciosa”

Guerre, ascolto, pace, lavoro, diritti, unità. Sono alcune delle parole chiave utilizzate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio consegnato agli italiani nell’ultimo giorno dell’anno, il nono tra il primo mandato e l’inizio del secondo. Dallo studio della sala della Vetrata, al Quirinale, con alle spalle l’albero di Natale e le bandiere italiana, europea e della Repubblica, il capo dello Stato guarda al 2024 ricordando che “non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo”.

Perché “sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”. Ma allo stesso tempo il presidente sottolinea: “Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana. La violenza. Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate”.

Il pensiero corre alle “devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla”. E alla “orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”.

Il monito di Mattarella è chiaro: “La guerra, ogni guerra, genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti”.

Il presidente della Repubblica lancia un messaggio semplice, ma potente. “È indispensabile – dice – fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace”. Mattarella aggiunge: “Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Ma “sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace”. E “per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi”.

Il capo dello Stato si rivolge, poi, come spesso accade, direttamente ai giovani, con i quali costruisce fin dal suo primo mandato un filo diretto. “L’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore, quello vero, è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete”.

Mattarella mette in luce che “rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento – continua – che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale”. Ma “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

Un passaggio importante del suo discorso, il presidente della Repubblica lo dedica all’importanza di “ascoltare”, a cui attribuisce anche il significato di “saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo. Mutamenti che possono recare effetti positivi sulle nostre vite. La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali. Adesso, con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali”.

Mattarella afferma: “Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile”. Per il capo dello Stato “viviamo un passaggio epocale. Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto” per “definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social”. Perché “la democrazia è fatta di esercizio di libertà” che “quanti esercitano pubbliche funzioni, a tutti i livelli, sono chiamati a garantire” e che sia “indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento”.

Mattarella, infine, ricorda, a tutti, che “la forza della Repubblica è la sua unità”, ma “non come risultato di un potere che si impone”. L’unità della Repubblica “è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace”. Valori che ha incontrato “nella composta pietà della gente di Cutro”, nella “operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano Romagna mia” o “negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà”.

Il presidente della Repubblica, prima di augurare buon anno alle italiane e agli italiani, lascia un ultimo messaggio: “Uniti siamo forti”.

 

 

Photo credit: sito Presidenza della Repubblica

A Gaza moria di api vicino al confine: gas e razzi stanno distruggendo le arnie

Vicino alla recinzione che separa la Striscia di Gaza da Israele, l’apicoltrice Miassar Khoudair guarda la regina delle sue api sopravvissuta alla ripresa delle ostilità tra i palestinesi e l’esercito israeliano. “Gas, razzi e polvere generati dalla guerra stanno uccidendo le api“, ammette.

A pochi giorni della Giornata mondiale delle api, che cade il 20 maggio, Miassar è andata a ispezionare le sue arnie, situate a poche centinaia di metri dal confine, sopra il quale la scorsa settimana sono stati lanciati razzi dai palestinesi e missili dagli israeliani. Durante cinque giorni di scontri, innescati dai raid aerei israeliani contro la Jihad islamica ma che non hanno risparmiato i civili, Koudair non ha potuto recarsi nel campo delle sue arnie. Tre o quattro dei suoi alveari sono stati distrutti nello scontro a fuoco, ma nonostante i pericoli, è qui, lontano dalle aree più popolate della Striscia da 2,3 milioni di abitanti, che le sue api sono più a loro agio. “Le mettiamo sempre nelle zone di confine perché ci sono molti alberi e piante selvatiche, senza troppi edifici o persone“, spiega Miassar.

Circa 60 ettari di raccolto sono stati danneggiati dal ciclo di violenze, prima che entrasse in vigore il cessate il fuoco imposto il 13 maggio, secondo i dati dell’ufficio stampa del movimento islamista Hamas che controlla la Striscia di Gaza. Si stimano inoltre in 207.000 euro le perdite legate ai raid in arnie, pollai e altri allevamenti. Gli scontri hanno causato la morte di 34 palestinesi, compreso un uomo ucciso da un razzo palestinese sul territorio israeliano. Da parte israeliana, una persona è morta, secondo i servizi di emergenza israeliani.

Per alcuni giorni, la vita quotidiana si è fermata e Khoudair non è stata in grado di vendere il suo miele in un centro commerciale normalmente affollato a Gaza City dove ha uno stand con diversi barattoli di diverse dimensioni e peluche di Winnie the Pooh, grande amante del dolce nettare. L’apicoltrice ha avviato la sua attività pochi mesi fa, dopo aver studiato erboristeria in Arabia Saudita: se il miele è di buona qualità, spiega, può essere usato per curare alcuni disturbi, problemi di concentrazione e persino fertilità.

La giovane, segretaria di formazione, è una dei rari abitanti della Striscia di Gaza ad essere emigrata e tornata in questo territorio palestinese sotto il blocco israeliano da quando Hamas ha preso il potere 16 anni fa.

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