Ghini (Anpam): Stiamo lavorando per industria delle armi sostenibile

Da un anno e mezzo alla guida di Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni civili e sportive, Giovanni Ghini ha chiara la strada da percorrere per tutelare il suo settore anche nel segno della sostenibilità. “Lo stiamo facendo, ma ci vuole tempo. Abbiamo performance da rispettare, non si può cambiare dalla sera alla mattina”, ha detto intervistato da GEA nel corso dell’evento ‘How we can governe Europe?’, tenutosi martedì e mercoledì a Roma, nella cornice della nuova sede di Commissione e Parlamento europeo.

Agroalimentare, Pasquali (Banco BPM): Ruolo banche è essere presenti e favorire investimenti

A margine dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da GEA e Eunews, che si è svolto a Roma il 29 e 30 novembre, GEA ha parlato con Massimo Pasquali, Responsabile Coordinamento Aziende di Banco BPM del ruolo delle banche nel settore dell’agroalimentare.

Ghini (Anpam): Stiamo lavorando per industria delle armi sostenibile

Da un anno e mezzo alla guida di Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni civili e sportive, Giovanni Ghini ha chiara la strada da percorrere per tutelare il suo settore anche nel segno della sostenibilità. “Lo stiamo facendo, ma ci vuole tempo. Abbiamo performance da rispettare, non si può cambiare dalla sera alla mattina”, ha detto intervistato da GEA nel corso dell’evento ‘How we can governe Europe?’, tenutosi martedì e mercoledì a Roma, nella cornice della nuova sede di Commissione e Parlamento europeo.

Presidente Ghini, l’Europa è in fase di discussione sulle strategie della difesa. Dal suo punto di vista questo percorso si sta svolgendo nel modo giusto o manca ancora qualcosa?

“Io credo che debba essere presa in considerazione l’evoluzione che c’è stata in questo ultimo anno. E credo che il conflitto russo-ucraino abbia creato delle nuove priorità. E a queste nuove priorità l’Europa e l’insieme delle nazioni devono dare una risposta. Per quello che riguarda l’industria, deve dare una risposta compatibile con quelli che sono i tempi dell’industria. Non sempre i piani che l’Europa propone possono essere seguiti dall’industria così come un piano quinquennale di nota memoria”.

Sul piano ambientale e della sostenibilità che progressi ha fatto l’industria delle armi?

“In generale l’industria si sta muovendo verso una completa sostenibilità. Ci sono studi e ricerche per sostituire con materiali sostenibili quelli che sono sempre stati i materiali utilizzati nel tempo. Però ci vuole pazienza perché noi abbiamo delle performance da rispettare e non possiamo dalla sera alla mattina, o nel giro di poco tempo, dare le risposte tecniche che il committente, come può essere l’esercito, si aspetta. In questo caso noi abbiamo bisogno di tempo per lavorare, anche se il nostro sforzo è cominciato ad esempio per sostituire le plastiche con materiale biodegradabile o compostabile”.

Dal punto di vista pratico, il reperimento delle materie prime per la produzione è un problema o il vostro settore non sta vivendo queste difficoltà?

“Diciamo che all’inizio è stato un problema, l’industria delle munizioni si è dovuta adeguare con tempi non propri. Nel senso che era abituata ad avere un canale che riforniva in continuazione e invece si è ritrovata a disagio per la crescita degli ordini e per la difficoltà a reperire materie prime. Il vero problema oggi è di natura strategica. Ovvero da dove le prendiamo queste materie prime, perché oggi le troviamo ma le stiamo prendendo sostanzialmente per più della metà quelle tradizionali fuori dall’Europa e quasi integralmente per quelle non tradizionali, che dovrebbero sostituire, fuori dall’Europa. Quindi siamo al 100% di dipendenza straniera”.

In corso a Roma HGE. Tajani: Completare transizione verde

L’Europa come approdo e destino, ma tutto va adeguato ai tempi che corrono. La prima giornata della nona edizione di ‘How can we govern Europe?’, organizzata da Eunews, GEA e Withub porta in dote questo concetto. Cruciale nella fase storica che stiamo vivendo. Non a caso il titolo della due giorni è dedicato a ‘Le nuove sfide dell’Ue: unità e solidarietà per superare la guerra e la pandemia’. Tra gli interventi più attesi quello del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che a Bruxelles ha vissuto buona parte della sua carriera politica. “L’Europa deve lavorare per completare le transizioni, verde e digitale, e ridurre la dipendenza dall’estero per il reperimento di materie prime. Lo stiamo facendo sui combustibili fossili russi e stiamo costruendo una autonomia sui chip”.

Il responsabile della Farnesina sottolinea che il governo lavora “per un’Italia protagonista in Europa e un’Europa protagonista nel mondo”. Ma invita ad essere “consapevoli che ciò che andava bene 30-40-60 anni va oggi non è più attuale”, dunque “l’Ue va riformata per essere autorevole ed efficace in uno scenario internazionale in profonda trasformazione”. Senza mettere in discussione i principi fondanti, anzi: “Ad essi dobbiamo ispirarci per portare avanti queste riforme”.

Di grande interesse anche lo speech dell’ambasciatore di Francia in Italia, Christian Masset, che torna sull’accordo firmato dalla premier, Elisabeth Borne, a Berlino la settimana scorsa con il cancelliere Olaf Scholz sulla collaborazione in tema di energia. “Nella conferenza finale ha detto che in tempi duri c’è necessità di riavvicinarsi, ed è proprio quello che stiamo facendo. Il rapporto franco-tedesco è necessario, però non sufficiente – sottolinea il diplomatico –. Perciò lo scorso anno abbiamo firmato il Trattato del Quirinale: anche il rapporto franco-italiano deve andare avanti”.

Con Gilberto Dialuce, presidente di Enea, è stato toccato un altro tema fondamentale: il risparmio energetico. Anzi, un cambio di paradigma necessario, quasi culturale. “Transizione energetica e transizione ecologica diventano fattori strategici – spiega –. Ma una delle tematiche su cui in Europa si deve fare sforzo in più è quello degli stoccaggi, perché se non si investe potentemente in stoccaggi e connessioni il meccanismo non funzionerà”. Tra l’altro, afferma ancora Dialuce, il momento storico è ancora avvolto dalle incertezze: “Non sappiamo se a lungo termine sarà un inverno mite o rigido, se quest’ultima fosse l’ipotesi e le forniture russe a scartamento ridotto, sarebbe complicato arrivare a fine inverno senza interventi”. Ecco perché “bisogna essere pronti ad affrontare situazioni che potrebbero verificarsi, con misure di emergenza”. Il presidente di Enea tocca anche il tema del nucleare: “Al di là dello sforzo tecnologico, andrà valutato anche per il suo peso sul mercato, in una fase in cui le rinnovabili diventano sempre più importanti”.

Non solo energia ad Hge, che ha dedicato un panel anche all’economia circolare e al sistema degli imballaggi, visto che proprio domani la Commissione Ue presenterà la proposta di Regolamento. Al dibattito ha contribuito anche il ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, con un messaggio. “Il nostro Paese – scrive – ha raggiunto nel 2021, con 9 anni di anticipo rispetto a obiettivi di desideri previsti all’Europa di fronte a un tasso di riciclo per imballaggi superiore al 70%; la media europea (Ue 27) non supera il 65%, ed è secondo per quantità di imballaggi avviati a riciclo pro-capite, dietro solo al Lussemburgo che, per quanto virtuoso, rappresenta una popolazione di circa 600mila abitanti, praticamente un decimo di quella italiana“. Dunque, “osservando questi risultati appare evidente che un criterio uguali per tutti i 27 Stati membri rischi di penalizzare maggiormente chi in questi anni ha prodotto maggiori sforzi per trovare soluzioni adatte rispetto alla propria morfologia produttiva”. Ergo, specifica Urso, “per essere politiche efficaci e condivise – conclude Urso – occorre che le regole comunitarie siano disegnate in modo tale da rispettare le specificità di ogni nazione”.

Sfide dell’Ue tra energia e transizione ecologica: al via How can we govern Europe?

‘How Can We Govern Europe?‘: è la domanda che, per la nona edizione, si pone la redazione di Eunews, insieme a quella di GEA. Il più importante evento italiano sugli affari europei si tiene oggi, martedì 29 e mercoledì 30 novembre presso i nuovi spazi di Esperienza Europa David Sassoli a Roma, in Piazza Venezia 6/7, messi a disposizione dall’Ufficio di collegamento del Parlamento europeo in Italia e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Ue, come sempre partner dell’iniziativa.

La nona edizione di HGE punterà i riflettori sul percorso di integrazione europea e la discussione sulla modifica dei trattati; sui progressi nell’ambito dell’Unione della sicurezza e della difesa; sulle politiche energetiche, dei trasporti e della produzione industriale alla luce delle transizioni ecologica e digitale; sulla gestione dei flussi migratori e delle politiche agricole.

Tra i relatori confermati: Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri; Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e ministro per le Infrastrutture e i Trasporti; Raffaele Fitto, ministro per gli Affari Europei, le Politiche di coesione e l’attuazione del Pnrr.

IL PROGRAMMA.

MARTEDI’ 29 NOVEMBRE

9.15: Welcome coffee e registrazione partecipanti

9.45: Presentazione. Lorenzo Robustelli, Direttore responsabile di Eunews.it

9.50: Saluti di benvenuto: Fabrizio Spada, Ufficio di collegamento del Parlamento europeo in Italia, Responsabile Relazioni istituzionali. Massimo Pronio, Rappresentanza della Commissione Ue in Italia, Responsabile comunicazione

10.00: Intervento di apertura: Antonio Tajani, Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri

10.10: Dal NextGenerationEU al fronte comune sull’Ucraina: i progressi dell’integrazione UE e le spinte per la modifica dei trattati. Intervengono: Pina Picierno, Vicepresidente del Parlamento europeo; Salvatore De Meo, Eurodeputato, Presidente comm. AFCO; Christian Masset Ambasciatore di Francia in Italia; Michele Valensise, Presidente di Villa Vigoni. Modera: Lorenzo Robustelli, Direttore responsabile di Eunews

11.10: Coffee break

11.30: Quale energia per l’Ue? L’energy mix italiano ed europeo per i prossimi cinque mesi, cinque anni, cinque decadi. Intervengono: Patrizia Toia, Eurodeputata, Vicepresidente comm. ITRE; Claudia Canevari, Commissione Ue, Capo unità efficienza energetica DG ENER; Gilberto Dialuce, Presidente ENEA; Giuseppe Calabrò, Università della Tuscia, Prorettore alla ricerca; Ilaria Restifo, EDF Europe, Responsabile per l’Italia. Modera: Vittorio Oreggia, Direttore editoriale Withub e Direttore responsabile di Gea

12.30: Dall’economia circolare al riuso prima del riciclo: l’evoluzione del modello produttivo UE. Intervengono: Alberto Gusmeroli, Deputato, Presidente comm. Attività produttive; Alessandra Moretti, Eurodeputata, comm. ENVI; Mattia Pellegrini, Commissione UE, Capo unità DG ENV; Giuseppe Vadalà, Commissario unico per la bonifica delle discariche; Edo Ronchi, Presidente Circular economy network. Modera: Filiberto Zovico, Fondatore di ItalyPost.

13.30: Pausa lavori

14.30: Mobilità sostenibile: i nuovi paradigmi del trasporto e della logistica e il ruolo del PNRR nell’adeguamento delle infrastrutture. Intervengono: Roberto Morassut, Deputato, Vicepresidente comm. Trasport; Lucia Vuolo, Eurodeputata, comm. TRAN; Pierpaolo Settembri, Capo unità Coordinamento e pianificazione DG MOVE; Ivano Russo, Amministratore unico di RAM. Modera: Yann Ollivier, Giornalista di AFP.

15.30: Coffee break

16.00: Finanziare la transizione verde e digitale: più accesso al credito per le imprese in un ambiente più sicuro per gli investitori. Intervengono: Marco Osnato, Deputato, Presidente comm. Finanze; Giuseppe Ferrandino, Eurodeputato, comm. ECON; Marcel Haag, Commissione Ue, Direttore Horizontal policies DG FISMA; Luca D’Agnese, CDP, Direttore Policy, Valutazione e Advisory. Modera: Roberto Sommella, Direttore di Milano Finanza

17.00: Bussola strategica: coordinare l’industria europea per costruire l’Unione della sicurezza e della difesa. Keynote speech: Jiří Šedivý, Agenzia europea per la difesa, Direttore esecutivo Intervengono: Fabio Massimo Castaldo, Eurodeputato, comm. AFET e sottocomm. Difesa e Sicurezza; Giovanni Ghini, Presidente ANPAM; Pietro Batacchi, Direttore di Rivista italiana difesa Karolina Muti, IAI, Ricercatrice, Programmi Sicurezza e Difesa. Modera: Alessandro Marrone, IAI, Responsabile programma Difesa

18.00: Fine lavori

MERCOLEDI’ 30 NOVEMBRE

9.30: Welcome coffee e registrazione partecipanti

10.00: Comunicare l’Ue coinvolgendo i cittadini: l’Esperienza Europa. Carlo Corazza, Direttore dell’Ufficio di collegamento del Parlamento europeo in Italia

10.10: Presentazione del Progetto didattico Gea EDU. Vittorio Oreggia, Direttore editoriale Withub e Direttore responsabile di Gea

10.45: Il sostegno della BEI alla transizione ecologica. Gelsomina Vigliotti, Vicepresidente BEI

11.00: Coffee Break

11.15: Sicurezza alimentare: PAC, Fit for 55 e Farm to Fork di fronte alla guerra e alla siccità. Intervengono: Luca De Carlo, Senatore, Presidente della comm. Industria, Commercio, Turismo, Agricoltura e produzione agroalimentare; Herbert Dorfmann, Eurodeputato, comm. AGRI; Michael Niejarh, Commissione UE, Direttore generale aggiunto DG Agri; Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura e Coordinatore nazionale Agrinsieme; Ettore Prandini, Presidente Coldiretti; Cristiano Fini, Presidente di Cia-agricoltori italiani; Luigi Scordamaglia, Consigliere delegato di Filiera Italia; Massimo Pasquali, Banco Bpm, Responsabile del coordinamento Aziende Modera: Marco Liberati, giornalista di Agricolae

12.45: Il nuovo ruolo dell’Italia nell’UE

Al via Plan’Eat, progetto europeo guidato dal Crea per un cibo amico dell’ambiente

Il cibo amico dell’ambiente è una possibilità reale. Attraverso il progetto Horizon PLAN’EAT, Trasformazione dei sistemi alimentari per comportamenti alimentari più sani e più sostenibili, il Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi dell’economia agraria) intende infatti promuovere l’adozione generalizzata di abitudini alimentari corrette e rispettose per l’ambiente con un approccio multi-sistemico e un ruolo attivo della filiera agroalimentare.

Il progetto Horizon coinvolge 24 tra enti e organizzazioni di 12 Paesi europei (Italia, Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Ungheria, Irlanda, Olanda, Polonia, Svezia e Regno Unito) e ha l’obiettivo finale di fornire all’Unione europea gli strumenti per l’attuazione di politiche nutrizionali e di sostenibilità efficaci, con un possibile grado di armonizzazione tra i diversi Paesi Membri, e ad includere i temi della sana alimentazione e della sostenibilità nelle Linee Guida Nutrizionali delle nazioni europee.

A coordinare le azioni è il Crea che, attraverso lo studio approfondito dei fattori che determinano le abitudini alimentari, cercherà di mettere punto efficaci raccomandazioni, strumenti e interventi ad hoc per gli attori della filiera alimentare per rendere la produzione sempre più compatibile con le raccomandazioni dietetiche, migliorando salute e sostenibilità delle scelte alimentari. Nel dettaglio, il centro di ricerca Alimenti e Nutrizione si occuperà di raccogliere i dati sui consumi e costumi alimentari della popolazione dei 12 paesi europei partecipanti, dividendola in 9 fasce vulnerabili, ossia gruppi di popolazione che hanno esigenze nutrizionali particolari come bambini e anziani oppure gruppi di popolazione che non hanno accesso a una dieta sana, come gli individui a basso reddito o a bassa scolarità. Sulla base dei risultati ottenuti, saranno formulate proposte mirate di diete e raccomandazioni che possano gradualmente sostituire abitudini alimentari dannose per l’organismo.

I consumatori – dichiara Laura Rossi, ricercatrice del Crea Alimenti e Nutrizione e coordinatrice di PLAN’EAT saranno i protagonisti del progetto perché primi destinatari delle raccomandazioni. Verranno effettuati 9 Living Labs, che coinvolgeranno, oltre alla popolazione generale, determinati sottogruppi di popolazione (bambini, adolescenti, persone con basso reddito e anziani) in diverse aree europee, per mappare i loro pattern dietetici e analizzarli sotto il punto di vista ambientale, socioeconomico e salutare”. In particolare, PLAN’EAT adotterà un approccio sistemico a più livelli, interessando il settore della filiera alimentare, la sfera ambientale e quella individuale. Infatti, uno degli obiettivi strategici del progetto è la promozione di stili di vita alimentari che coniughino la sostenibilità nutrizionale e la promozione della salute con la protezione dell’ambiente e delle risorse energetiche. L’operazione culturale a favore di un’alimentazione sostenibile, a cui si lavora da diverso tempo, consiste nel favorire l’allineamento dei consumi di cibo alle raccomandazioni delle Linee Guida realizzate dal Crea, che suggeriscono di orientarsi maggiormente verso prodotti vegetali rispetto a quelli animali, con una preferenza, in quest’ultimo caso, per alimenti a minor impatto ambientale, come il latte, le uova, i pesci piccoli del Mediterraneo e il pollo. Senza tralasciare l’adozione di una serie di “sane” abitudini, come l’acquisto da filiere corte e locali di prodotti con pochi input esterni.

Pulina (Carni Sostenibili): Emissioni e assorbimento CO2 allevamenti si azzerano

Con un valore di oltre 30 miliardi di euro, 135mila aziende presenti in tutta Italia e più di 230mila lavoratori, la filiera della carne è uno dei pilastri del sistema agroalimentare italiano. Salumi, tagli pregiati e formaggi rappresentano fiori all’occhiello del made in Italy, esportati e apprezzati sulle tavole di tutto il mondo. Se l’impatto del settore sul Pil del nostro Paese è evidente, quello sull’ambiente è invece al centro di un aspro confronto tra scienziati, attivisti e addetti ai lavori. GEA ne ha parlato con Giuseppe Pulina, professore di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti dell’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili, associazione per il consumo consapevole e la produzione sostenibile di carni e salumi.

Secondo la Fao, ogni anno gli allevamenti emettono 7,1 gigatonnellate di Co2 equivalente, cioè il 14,5% dei gas serra prodotti dall’uomo. Questa attività è quindi considerata tra le maggiori responsabili del cambiamento climatico. Cosa ne pensa?

“Innanzitutto è necessario tenere conto che l’impatto di un’attività sull’ambiente dev’essere sempre commisurato ai vantaggi dei beni che produce. E nella classifica dei bisogni umani l’alimentazione occupa il primo posto. Nel caso degli allevamenti, le emissioni devono essere quindi commisurate all’importanza della produzione di cibo per otto miliardi di persone: se è vero che dobbiamo ridurre, meglio iniziare da altri settori. È poi importante ricordare che le emissioni di metano provocate dai ruminanti sono in aumento solo nei Paesi in via di sviluppo, che necessitano di alimenti per sfamare le proprie popolazioni: in Europa e negli Usa la percentuale si sta riducendo da trent’anni, grazie a una zootecnia sempre più efficiente. Infine un’ultima considerazione sulle metriche utilizzate da questi studi: se usassimo quelle di ultima generazione messe a punto dai fisici dell’atmosfera di Oxford, le stime sarebbero ridotte al 20% circa rispetto a quanto dichiarato dalla Fao”.

Uno studio pubblicato su Nature Food sostiene però che la produzione alimentare globale sia responsabile del 35% di tutte le emissioni di gas serra: quelle derivanti da alimenti di origine vegetale contribuiscono per il 29%, quelle da cibi di origine animale il 57%. Conviene essere vegetariani per salvare il Pianeta?

“In questi studi tutto dipende dall’unità funzionale che si decide di usare. Si tratta di due categorie di cibo completamente diverse: gli alimenti di origine animale sono consumati perché altamente proteici, quelli vegetali (soprattutto amidacei) perché portatori di energia. Possono quindi essere confrontati solo sulla base della quantità di amminoacidi essenziali che contengono, fondamentali per il nostro metabolismo. Tenendo in considerazione questi apporti nutritivi, la quantità di emissioni risulta addirittura favorevole ai cibi di origine animale. Per fare un esempio, nessuno si stupisce se un chilo di pane costa 3 euro e un chilo di prosciutto 30, perché il loro valore nutrizionale è diverso: questo giustifica il fatto che, per realizzare quel prosciutto, si produca una quantità maggiore di gas serra”.

Nel libro ‘La sostenibilità delle carni e dei salumi in Italia’ sostiene che gli allevamenti nel nostro Paese siano già net zero dal punto di vista delle emissioni. Che cosa intende?

“Secondo i dati dell’Ispra e dell’Istat, gli allevamenti italiani emettono complessivamente 20 milioni di tonnellate di Co2 equivalente all’anno. Gli assorbimenti complessivi di carbonio di tutte le aziende zootecniche del Paese – che avvengono attraverso la componente arborea, i pascoli, la silvicoltura, ecc. – hanno un valore simile: questo significa che, sommando le due quote, il bilancio totale delle emissioni risulta pari a zero. Ciò non deve stupire: la produzione di questi cibi avviene nei pascoli, nelle campagne, dove non solo si produce ma anche si sequestra carbonio, si ricicla azoto, si purificano le acque. Vengono quindi attivati veri e propri servizi eco-sistemici. È l’unica attività umana di questo tipo: piuttosto che parlare di emissioni, dovremmo parlare di bilanci. E qui le cose iniziano a cambiare”.

Resta però vero che l’impronta idrica della carne bovina è molto superiore rispetto a quella di altri alimenti: secondo uno studio del Water Footprint Network, per produrre un chilo di carne bovina sono necessari 15mila litri di acqua contro i 300 impiegati per le verdure…

“Per il calcolo dell’impronta idrica c’è una grande confusione sugli standard da utilizzare. Il metodo del Water Footprint Network, ideato da due studiosi sul finire degli anni Novanta, è stato molto criticato perché considera anche l’acqua piovana. Un sistema certificato più sicuro è quello dell’ISO 14046, legato a convezioni accettate a livello internazionale: in questo caso l’impronta idrica degli alimenti include solo l’acqua effettivamente consumata (chiamata anche ‘blue water’) e attinta da falde, corsi superficiali, laghi, ecc. Se le colture sono quindi alimentate da piogge, il loro impatto sul consumo di acqua sarà ovviamente inferiore. Se si usano questi parametri l’impronta idrica della carne assume un valore molto variabile in funzione della tipologia di allevamento: si passa però a ordini di grandezza nettamente inferiori calcolati in centinaia, e non migliaia, di litri”.

Se a suo parere la filiera della carne è più sostenibile di quello che si pensa, perché il consumo di bistecche, salumi e prosciutti è fortemente osteggiato da associazioni, ambientalisti, ecc.?

“È sicuramente una questione di interessi economici. Spendiamo una quota importante del nostro reddito – circa il 35-40% a livello mondiale – per acquistare prodotti alimentari: si tratta di consumi importantissimi in termini di business, ma estremamente rigidi perché legati a gusti, tradizioni, abitudini, ecc. Per spostarli è necessario lanciare campagne di demonizzazione contro alcuni alimenti, come ad esempio la carne, con l’obiettivo di lasciare spazio a nuovi cibi, magari sintetizzati in laboratorio, attorno ai quali ruotano grandi investimenti. Quella in atto contro gli alimenti di origine animale è una battaglia che vuole cancellare l’agricoltura dalla faccia della Terra, in favore di surrogati alimentari costruiti a tavolino. Oggi nell’occhio del ciclone c’è la carne, ma domani toccherà al pesce, alle uova, ai pomodori, fino ad arrivare a tutto ciò che è naturale, tradizionale, genuino. Bisogna controbattere lanciando un’offensiva che non sia di retroguardia, ma rivolta al futuro: è importante farlo affinché i nostri figli possano continuare a mangiare non solo una buona bistecca, ma anche un buon piatto di pesce, dell’Asiago ben fatto accompagnati da contorni come insalata, pomodori e patate”.

allevamento

Mangimi di qualità: è il primo passo importante verso un’alimentazione sicura

Nella prospettiva di una filiera integrata e amica dell’ambiente, la sicurezza alimentare riguarda direttamente il cibo destinato a nutrire gli animali. È una questione disciplinata per legge. I mangimi, infatti, possono essere venduti soltanto se soddisfano determinate condizioni. Devono essere sani, adatti all’utilizzo a cui sono destinati e, anche, non avere effetti nocivi sull’ambiente, sul benessere animale e dell’uomo. “Il sistema di produzione industriale di mangimi applica un severo controllo qualità delle materie prime acquistate”, spiega Lea Pallaroni, direttore generale di Assalzoo, Associazione nazionale tra i Produttori di alimenti zootecnici. “Le aziende hanno un piano di ‘prerequisiti’ che definisce le caratteristiche igienico-sanitarie delle materie prime e prevede standard a norma di legge o più rigorosi, a seconda del parametro valutato e della destinazione del prodotto finito”. Così è possibile garantire un mangime finito di qualità, che rispetta i limiti legali e i parametri stabiliti dall’azienda o da specifici disciplinari di produzione.

La policy europea sulla gestione del rischio della sicurezza dei mangimi è la base della nostra legislazione alimentare. “La normativa mangimistica europea è molto rigorosa”, sottolinea la dirigente di Assalzoo. Sono regole che si applicano a tutti i paesi della Ue. “Dagli anni 2000, il nuovo impianto normativo prevede il censimento di tutti gli operatori coinvolti nella filiera dell’alimentazione animale”. La norma si basa sulla valutazione del rischio effettuata da EFSA , l’Autorità europea sulla Sicurezza alimentare. “La nostra è una legislazione dove in primis viene cautelato il consumatore, grazie a un sistema ‘di paletti’ che indirizza il percorso del sistema produttivo”.

Alcuni aspetti legislativi, per Assalzoo, potrebbero però essere migliorati. “La normativa mangimistica dovrebbe talvolta essere resa più flessibile e lasciare spazio all’innovazione”, afferma Lea Pallaroni. “Soprattutto là dove non sussistono rischi per i consumatori, potrebbero essere individuate soluzioni alternative. Un esempio è la richiesta strategica di ridurre l’uso del medicinale veterinario e, al tempo stesso, di conseguire questo obiettivo ricorrendo a estratti naturali, quelli che noi ‘umani’ acquistiamo in erboristeria o che sono indicati come fitoterapici. Nell’alimentazione animale non possono essere utilizzati perché non hanno un’autorizzazione specifica”.

Insieme al rispetto di leggi e regolamenti, per garantire la loro sicurezza è fondamentale che i mangimi non conformi vengano individuati il più possibile ‘a monte’: il ruolo degli operatori del settore è dunque centrale. L’applicazione di trattamenti termici al mangime, la corretta somministrazione di quantità idonee e la riduzione degli sprechi per evitare che gli alimenti si deteriorino, sono garanzia di salubrità e di adeguatezza nutrizionale per l’animale.

Gli operatori sono tenuti ad applicare i principi e le prassi relativi alla rintracciabilità del mangime, mettendo in atto, in caso di rischio o pericolo, il ritiro o il richiamo del prodotto dal mercato. Debbono quindi verificare che i prodotti siano salubri prima del loro avvio al consumo attuando precise verifiche, suddividendole secondo i principi individuati dalla Ue: approvvigionamento, produzione e utilizzo. “A ogni ingrediente che fa il suo ingresso in stabilimento”, racconta Graziano Di Filippo, responsabile Formulazione e Sviluppo prodotti dell’azienda mangimistica Mignini & Petrini, “viene attribuito un lotto e un codice a barre, che lo segue lungo tutto il ciclo produttivo”.

Diverse, quindi, sono le procedure condotte in regime di autocontrollo dai produttori di mangimi, attraverso l’attivazione di un sistema che identifica i punti critici del processo produttivo, chiamato HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point – Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici) il cui scopo è dare la garanzia che un mangime non sia pericoloso per l’animale. “Tra le criticità del ciclo di produzione del mangime c’è la verifica delle materie prime in fase di accettazione”, prosegue Graziano Di Filippo. “Queste arrivano nei mangimifici su autotreni e per controllare la loro conformità è determinante prelevare un campione rappresentativo di tutta la partita. A seconda della materia prima, abbiamo stabilito requisiti specifici più restrittivi di quelli imposti per legge. Per esempio, per il mais e i suoi sottoprodotti è essenziale il controllo della presenza di micotossine, sostanze tossiche prodotte da funghi che possono attaccare le piante dei cereali”.

Insieme all’autocontrollo da parte dei produttori, si affiancano le diverse attività di verifica condotte dalle autorità nazionali che hanno lo scopo di assicurare il totale rispetto della normativa e di garantire la piena conformità dei prodotti che poi vengono posti in commercio. Sono azioni predisposte dal ministero della Salute e dal ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e forestale, che, tramite i rispettivi uffici territoriali, gli enti e gli organismi che operano sul territorio, mettono in atto monitoraggi e sorveglianze.

Accanto alle verifiche nazionali, le materie prime e i mangimi di importazione sono verificati anche dai Posti di Ispezione Frontalieri, che esaminano l’immissione in commercio dei prodotti sul territorio comunitario. Si tratta del Sistema di Allerta Rapido per Alimenti e Mangimi (RASFF) e si attiva nel momento in cui un prodotto può rappresentare un rischio per la salute pubblica. È una rete che fa riferimento alle autorità di ogni Stato membro della Ue, alla Commissione europea e all’Autorità europea per la Sicurezza Alimentare.

I report annuali, redatti da tutti gli organismi di verifica e controllo, ci mostrano un miglioramento progressivo e costante del grado di conformità dei mangimi ai requisiti normativi di sicurezza.
Importantissima, è anche la trasmissione di informazioni tra operatori, fornitori e acquirenti. Cooperando, infatti, si possono condividere buone pratiche di igiene, mappature geografiche, sistemi di allarme, gestione degli incidenti, schemi di monitoraggio collettivi e database per la caratterizzazione dei rischi. In sintesi, allevatori e aziende di mangimi lavorano insieme per ottimizzare i sistemi di allevamento e bilanciare gli alimenti sul fabbisogno di ogni categoria animale. La trasmissione di informazioni avviene anche tramite una etichettatura chiara, che reca tutte le dichiarazioni obbligatorie. “La norma di etichettatura è stata modificata per dare maggiore trasparenza e prevede anche la possibilità per gli acquirenti di chiedere ai produttori ulteriori informazioni”, chiarisce il direttore di Assalzoo Lea Pallaroni. “Il più grosso cambiamento è stato quello di dover indicare tutte le materie prime utilizzate, definendole con il loro nome specifico invece che con la classe di appartenenza. Gli additivi che prevedono un limite massimo di inclusione devono essere dichiarati anche quantitativamente”. Nel caso del pet food la norma ha accolto le richieste di un’etichettatura con terminologie più vicine a quella degli alimenti, per aiutare la comprensione anche da parte di operatori non professionali. “Tutte le informazioni trasmesse al consumatore, anche tramite brochure o siti web, sottostanno alla medesima legislazione e agli stessi controlli”, puntualizza Lea Pallaroni. Dunque, sono tutte garantite.

Possiamo dunque dormire sonni tranquilli, almeno sul fronte dei mangimi? “Le aziende mangimistiche, così come le altre aziende alimentari, operano in modo sicuro”, conclude il direttore di Assalzoo.

agricoltura

Sfida agricoltura sostenibile per sfamare 8 mld di persone: difendere produzione alimentare

Rispettare le risorse naturali come l’acqua, la terra e la biodiversità, assicurando contemporaneamente il nutrimento agli esseri umani nonostante l’impatto dei cambiamenti climatici e l’aumento della popolazione sulla terra. Sono questi gli obiettivi dell’agricoltura sostenibile, dove la parola sostenibilità non è riferita soltanto al rispetto dell’ambiente, ma anche all’ambito sociale: assicurando quindi la salute delle persone, la qualità della vita di chi si occupa della produzione, i diritti umani di chi opera nel settore e l’equità sociale. Un esempio su tutti: per essere sostenibile l’agricoltura dovrebbe abbandonare i pesticidi, veleni che uccidono la fertilità dei terreni, oltre a far male alla salute.

Al centro del concetto di ‘agricoltura sostenibile’, come spiega l’Agricultural Sustainability Institute, c’è proprio l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno dell’umanità, che si tratti di cibo o di tessuti, senza che questa attività sia destinata a penalizzare le esigenze delle generazioni future. Soprattutto in un pianeta sovrappopolato. Undici anni fa il mondo tagliava il traguardo dei sette miliardi di abitanti, oggi siamo arrivati a otto. E così, presto o tardi, si dovrà tornare a discutere della presunta necessità di aumentare la produzione alimentare per poter sfamare l’intera popolazione della Terra. “Per sfamare otto miliardi di persone la strada è tanto chiara quanto rivoluzionaria: smettere di inseguire la produttività e cominciare a difendere la produzione alimentare. Il cibo dev’essere un diritto, non un bene da scambiare in Borsa, non una commodity grazie alla quale arricchirsi a discapito di qualcuno, della salute del pianeta e del futuro stesso dell’umanità”, ha spiegato Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. E proprio l’aumento della produttività, l’occupazione ed il valore aggiunto nelle filiere alimentari è uno dei 5 principi a cui deve ispirarsi un’agricoltura definita ‘sostenibile’, fissati dalla Fao. In futuro sarà necessario migliorare la produttività alimentare in vista del continuo aumento della popolazione, “ma bisognerà farlo – precisa l’agenzia Onu – diversamente da come avvenuto finora, limitando l’espansione dei terreni agricoli per salvaguardare e migliorare l’ambiente”. Secondo obiettivo è quello di proteggere e migliorare lo stato delle risorse naturali da cui dipendono la produzione alimentare e agricola: quindi a sua volta la sua sostenibilità dipende dalla difesa delle risorse stesse. Sebbene l’intensificazione delle produzioni abbia avuto un esito positivo, la diminuzione dell’espansione agricola per proteggere gli ecosistemi ha avuto anche un impatto negativo per l’ uso massiccio di acqua, pesticidi e fertilizzanti. Tali tendenze dovute all’intensificazione agricola non sono compatibili con l’agricoltura sostenibile e rappresentano una minaccia per la produzione futura. “Nel mondo esistono tante realtà virtuose – continua Petrini – oltre la metà della popolazione viene alimentata da 500 milioni di produttori di piccola scala, imprese familiari oppure piccole cooperative. Un tessuto enormemente prezioso, da salvaguardare e tutelare, da difendere e promuovere, da sostenere, ma che invece si trova sempre più spesso strozzato in un sistema che privilegia le multinazionali, l’agroindustria, i big della chimica applicata al cibo, chi possiede i brevetti e i semi ibridi, gli stessi che incassano una grande fetta dei fondi stanziati a livello internazionale”.

Per questo, uno dei principi della Fao è anche quello di ottimizzare i mezzi di lavoro e sostenere una crescita economica inclusiva: garantire ai lavoratori del settore alimentare un accesso adeguato alle risorse e il controllo di queste significa ridurre la povertà e la dispersione alimentare nelle aree rurali. Il quarto obiettivo, è invece quello di migliorare la resilienza dei popoli, delle comunità e degli ecosistemi: eventi meteorologici estremi, volatilità del mercato e conflitti civili compromettono la stabilità dell’agricoltura. Questo si ripercuote sul mercato alimentare con un aumento di prezzi e perdite economiche sia per i produttori che per i consumatori. Limitare attraverso tecnologie e politiche attive questi fenomeni significa dare stabilità a tutto il sistema alimentare. La resilienza diventa quindi centrale nella transizione verso un’agricoltura sostenibile e riguarda sia la dimensione naturale che quella umana. Infine, per essere sostenibile l’agricoltura deve adattare la governance del settore alle nuove sfide, grazie a una serie di norme che renda possibile un equilibrio tra pubblico e privato assicurando trasparenza ed equità.

Da ingredienti a valori nutrizionali: le regole sull’etichettatura degli alimenti

Da quasi otto anni, precisamente dal 13 dicembre del 2014, tutti gli operatori del settore agroalimentare sono obbligati a esporre l’etichettatura degli alimenti. Questo in base alle disposizioni generali del Regolamento europeo 1169 del 2011 sulla fornitura di informazioni relative al cibo che i consumatori acquistano. L’obiettivo è assicurare chiarezza sui prodotti, in modo da non indurre il consumatore in errore su caratteristiche, proprietà o possibili effetti.

Le indicazioni sono presenti sul portale del ministero della Salute e vedono la distinzione tra alimenti preimballati, sui quali le informazioni obbligatoriedevono comparire sul preimballaggio o su un’etichetta a esso apposta”, e alimenti non preimballati, in questo caso le informazioni “devono essere trasmesse all’operatore che li riceve, affinché possa fornirle al consumatore finale”. Devono essere obbligatoriamente indicate caratteristiche come la denominazione dell’alimento, l’elenco degli ingredienti, gli ingredienti o coadiuvanti tecnologici elencato nell’allegato II o derivati da una sostanza o un prodotto elencato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata, la quantità degli ingredienti o categorie di ingredienti, la quantità netta dell’alimento e il termine minimo di conservazione o la data di scadenza.

Non solo, perché tra le informazioni che inderogabilmente vanno fornite al consumatore ci sono anche le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego, il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare, il Paese d’origine o il luogo di provenienza, le istruzioni per l’uso (per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento) e una dichiarazione nutrizionale (valore energetico, grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine, sale). Per le bevande che contengono più dell’1,2 % di alcol in volume, poi, va indicato il titolo alcolometrico volumico effettivo.

Ovviamente, la prescrizione è che tutte le indicazioni siano stampate in modo chiaro e leggibile, il carattere deve avere una dimensione non inferiore a 1,2 millimetri, mentre nelle confezioni più piccole non deve essere inferiore a 0,9 millimetri. Sull’etichetta possono essere inserite anche altre informazioni, che vengono però considerate facoltative o, quantomeno, su base volontaria. E devono soddisfare alcuni requisiti: non devono indurre in errore il consumatore, non devono essere ambigue né confuse, devono basarsi nel caso su dati scientifici pertinenti e non possono occupare lo spazio disponibile in etichetta per le informazioni obbligatorie.