plastica spiaggia

Plastica, mascherine e cotton fioc: così Legambiente ripulisce le spiagge

Le spiagge italiane? Sono sporche, senza distinzioni geografiche e con la costante di una tendenza all’aumento della quantità di rifiuti. Che, comunque, non rappresentano l’unica problematica per le nostre coste ma – come emerge dai risultati dell’indagine ‘Mare Monstrum’ firmata da Legambiente – sono in compagnia dell’insidioso diffondersi di scarichi illegali di liquami e dell’aggressivo abusivismo edilizio ‘vista mare’. Senza calcolare gli effetti prodotti dalla pandemia che ha ‘popolato’ le spiagge di dispositivi di sicurezza come mascherine e guanti.

Legambiente si occupa di pulizia delle spiagge fin dal 2014, e lo fa in un’ottica di citizen science, ossia coinvolgendo direttamente le persone perché si prendano cura con impegno del pianeta”, racconta a GEA Stefania di Vito, Ufficio Scientifico di Legambiente. “Attraverso la recente indagine Beach Litter è stato effettuato un monitoraggio accurato dei litorali italiani applicando un protocollo comune messo a punto da Ministero dell’Ambiente e basato sulla valutazione di 11 parametri, tra i quali rientra anche la presenza di rifiuti marini. Degli oltre 44mila rifiuti censiti nell’indagine svolta quest’anno la plastica ha rappresentato il materiale di composizione dominante, costituendo oltre l’80% degli oggetti rinvenuti”, aggiunge.

Proprio sugli oggetti in plastica – dalle stoviglie usa e getta per arrivare ai cotton fioc – è necessario intervenire. Ad esempio, agire in maniera mirata sulla riduzione della plastica monouso permetterebbe di limitare considerevolmente la portata del problema, diminuendo una parte importante dei rifiuti. In questa direzione si inserisce la direttiva europea Single Use Plastics, che contempla anche il ripensamento del design degli oggetti: ne costituisce un modello la produzione di tappi che restano attaccati per un lembo al collo delle bottiglie. Per attutire invece l’impatto dei mozziconi – ne vengono abbandonati nelle spiagge 5 milioni ogni giorno – è stato incentivato il coinvolgimento dei produttori di sigarette nelle attività di raccolta e smaltimento.

Ma che fine fanno poi i rifiuti raccolti? Una domanda che non può restare sospesa nell’aria: “Ci sono alcuni progetti sperimentali per il recupero della plastica – racconta di Vito –. Tuttavia soltanto una minima parte, quella che non ha subito eccessive degradazioni, può essere riutilizzata e avere una seconda vita. Non si tratta di una filiera strutturata in quanto il materiale risulta spesso danneggiato in maniera importante”.

La presenza di plastica e microplastica è un pericolo per gli organismi marini sotto diversi versanti: intrappolamento, ingestione, soffocamento e rilascio di sostanze tossiche come additivi e composti persistenti che si insinuano nei tessuti delle specie ittiche causando problematiche in tutta la filiera trofica. “A questo proposito – dichiara di Vito – Legambiente sta seguendo un progetto di studio in collaborazione con i dipartimenti di Ecologia ed Ecotossicologia dell’Università di Siena per approfondire l’impatto delle microplastiche in mare”.

Come si diceva, ad aggravare la situazione, complici gli ultimi anni di pandemia, le spiagge italiane e di tutto il mondo si sono ‘sporcate’ dei rifiuti legati all’emergenza sanitaria, come mascherine e guanti. Tanto che i dispositivi di sicurezza individuale sono presenti in quasi la metà delle spiagge censite dall’iniziativa ‘Clean up the Med’ svoltasi lo scorso maggio: i quantitativi maggiori sono stati rinvenuti in Grecia, seguita da Algeria, Croazia, Libano e Spagna.

Lago Trasimeno

Microplastiche nelle acque dolci: parte monitoraggio Legambiente-Enea-Arpa

Nei laghi Bracciano e Trasimeno sono presenti microplastiche da frammenti di rifiuti, polistirolo e pellet. Lo rilevano i dati del progetto Blue Lakes di Legambiente, in collaborazione con Enea e Arpa. Il problema dell’inquinamento delle acque dolci è diffuso, ma ancora non abbastanza affrontato.

Abbiamo iniziato a monitorare le microplastiche nei laghi nel 2016, venivamo da un monitoraggio in mare e ci siamo resi conto che mancava informazione sull’inquinamento delle acque interne, questa era a nostro avviso una carenza enorme“, spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, presentando il progetto a Piediluco, lago rientrato recentemente nel monitoraggio. “Con Enea abbiamo iniziato a fare una prima sperimentazione sul lago di Garda, poi abbiamo capito che serviva un’azione più strutturata da qui nasce Blue Lakes”.

Il progetto è articolato: affronta l’emergenza ambientale mirando a prevenire e ridurre la presenza delle microplastiche nei laghi attraverso un approccio integrato che rafforza la governance, forma gli addetti ai lavori, aumenta la consapevolezza attraverso attività di informazione e sensibilizzazione della cittadinanza. L’obiettivo è sviluppare e condividere metodi standardizzati di monitoraggio.

Nei campioni raccolti nel Bracciano e nel Trasimeno, sono stati rilevati soprattutto frammenti, presenti in tutte le stagioni con valori percentuali dal 90 al 70% sulle microplastiche analizzate. Tra le altre microplastiche, i film (che solitamente derivano dalla decomposizione degli imballaggi) mostrano un aumento percentuale nel periodo primaverile; le fibre (associate solitamente al lavaggio degli indumenti) sono in percentuale inferiore (4%) rispetto alle forme predominanti e non sono presenti nei campioni primaverili. Rimane costante infine la presenza dei filamenti con un valore maggiore pari al 9% nel campionamento invernale.

Dalla caratterizzazione chimica condotta per consentire l’identificazione del polimero che compone ogni particella raccolta è emersa una percentuale predominante di polietilene (PE) e polipropilene (PP) in entrambi i laghi, rispettivamente 50 e 15% nel lago di Bracciano, 70 e 20% nel Trasimeno.

Polietilene e Polipropilene sono tra i materiali più presenti nella nostra vita quotidiana: il primo costituisce il 40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche, il secondo trova largo impiego come plastica per alimenti, ad esempio per contenitori alimentari rigidi, come i vasetti di yogurt, i bicchierini di plastica per caffè o i tappi delle bottiglie di plastica.

microplastiche

Nel lago di Bracciano è presente una maggiore eterogeneità di polimeri, seppure con valori non superiori al 2%, fatta eccezione per il polietilene tereftalato PET (28%). Diversamente nel Trasimeno il polistirene (PS) è il terzo polimero maggiormente presente con valore pari al 10%, mentre il polivinilcloruro (PVC) anche se presente non supera l’1%.

Questi dati sulla quantità e tipologia di microplastiche nei corpi idrici lacustri consentono di colmare il gap di conoscenze rispetto ai numerosi studi condotti nei mari e negli oceani in tutto il mondo, di studiare questo fenomeno complesso e ampiamente diffuso e la standardizzazione dei metodi di monitoraggio è fondamentale per confrontare dati, valutare la distribuzione e l’apporto di particelle nella dinamica terra-mare“, sottolinea Maria Sighicelli, ricercatrice del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali Enea.

L’applicazione di questo protocollo, aggiunge Zampetti, ha richiesto un “continuo adattamento alle diverse condizioni ambientali delle acque interne sottoposte ad una maggiore incidenza di micro e nano-plastiche dovuta alle numerose attività antropiche e alla vicinanza di aree urbanizzate eterogenee“. La sua definizione è molto importante perché, prosegue “ad oggi, se questo inquinamento è monitorato e codificato nelle acque marine, non lo è nei fiumi e nei laghi, dove non solo le microplastiche sono presenti ma spesso si fa un uso importante delle acque ai fini irrigui o idropotabili. Per questo ci auguriamo che il progetto Blue Lakes possa contribuire a dare uno strumento utile di monitoraggio e a rivedere la normativa sui controlli, inserendo anche questo parametro”.

turismo

Turismo sempre più green, aumenta la sensibilità di vacanzieri e strutture

Puntare su strutture ricettive a basso impatto energico, fare attenzione alle emissioni generate con i propri spostamenti, preferire ristoranti che puntano su prodotti a km zero. Sono solo alcune delle principali regole su cui si basa il turismo ecosostenibile, un modo di viaggiare attento all’ambiente che negli ultimi anni sta facendo breccia nel cuore degli italiani.

Secondo l’11° Rapporto ‘Gli italiani, il turismo sostenibile e l’ecoturismo’, il 43% degli italiani si dice disponibile a spendere il 10 o il 20% in più per non danneggiare l’ambiente durante le proprie vacanze, mentre poco meno della metà (48%) prima di scegliere una struttura turistica si informa si informa sull’attenzione che ha per l’ambiente.

Dati citati anche da Paola Fagioli, esponente di Legambiente Turismo, realtà che ha l’obiettivo di consentire alle imprese turistiche e ricettive di avere una maggiore sensibilità ecologica e un riconoscimento ambientale. “Le varie indagini mostrano una maggiore attenzione all’ambiente degli italiani quando pianificano le ferie e nei comportamenti durante le vacanze. La sensibilità è cresciuta soprattutto con la ripresa dei viaggi dopo la pandemia. E anche le strutture ricettive si stanno muovendo nella stessa direzione, visto che in fase di prenotazione sono sempre di più le persone che si informano sull’attenzione alla sostenibilità della destinazione scelta“, afferma parlando con GEA. Chiari messaggi per tutti gli operatori del comparto turistico: investire sulla sostenibilità ambientale di strutture e proposte può essere anche una chiave decisiva per attrarre la clientela.

Per capire quanto incidano sull’ambiente le scelte fatte in tema di viaggi e vacanze basta considerare alcuni numeri. Uno studio pubblicato nel 2019 sulla rivista Journal Nature Climate Change ha stimato che il turismo è responsabile dell’8% delle emissioni di CO2 a livello globale. Non solo: secondo il programma ambientale delle Nazioni Unite il 14% dei rifiuti solidi prodotti ogni anno nel mondo è generato dall’industria turistica. Ogni singolo vacanziero ne produce in media fino a 2 kg al giorno, ben oltre il dato riferito a ogni cittadino italiano nel 2021 che è di 1,33 kg (fonte Ispra). Trasporti e rifiuti, dunque, ma secondo Fagioli (che è anche direttrice di Legambiente Emilia Romagna) il primo aspetto da migliorare è un altro: l’efficienza energetica delle strutture. “Il nostro Paese ha un patrimonio edilizio datato, e le strutture ricettive ovviamente non fanno eccezione. Migliorare le prestazioni energetiche è fondamentale. Basti pensare solo all’impatto generato d’estate da un impianto di climatizzazione poco efficiente“, spiega.

Una spinta può venire dal programma di investimenti legata al Pnrr, che prevede 2,4 miliardi di euro (cioè meno dell’1% del totale) per i progetti del settore Turismo e Cultura, in buona parte dedicati proprio all’ammodernamento delle strutture ricettive. Fagioli però rileva alcune criticità. “La somma destinata al turismo sembra davvero esigua se si pensa che parliamo di uno dei comparti più rilevanti di tutta l’economia nazionale“, sottolinea. Non solo. “Vanno anche semplificate le procedure e le modalità per accedere ai vari bandi e incentivi destinati alle imprese turistiche – aggiunge Fagioli -. Inutile puntare su formule come ad esempio i Click Day, che non danno alcuna importanza al merito di chi fa richiesta. Questa burocrazia rischia di scoraggiare chi opera nel settore, già alle prese con altre problematiche come, nell’ultimo periodo, la difficoltà di trovare manodopera“.

nucleare

Sì o no al nucleare in Italia? Spada: “Zero rischi”, Ciafani: “Pericoloso”

Nella folle corsa all’approvvigionamento energetico, torna sul tavolo del dibattito pubblico il tema del nucleare, accantonato dal referendum del 1987. C’è chi è convinto sia l’unica alternativa per evitare il continuo rischio di emergenza energetica e chi, invece, vorrebbe chiudere il discorso ancora prima di intavolarlo.

Quello a cui guarda l’Italia è un nucleare di quarta generazione. Ma bisogna stare attenti, avverte Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, intervistato da GEA: “Non esiste”. Si studia da 20 anni, senza “grandi passi avanti”. Secondo le stime più concrete, se le ricerche dovessero dare risultati diversi, i reattori su scala commerciale di quarta generazione si vedranno “a ridosso della metà del secolo. Quando, cioè, sarà troppo tardi e “per certi versi una parte del nostro Paese già sarà sott’acqua, se non facciamo quegli interventi immediati di riduzione di emissioni di gas serra per contenere il cambiamento climatico in atto”.

Il nucleare che oggi è possibile avere, e si sta realizzando in Francia e Finlandia, è di terza generazione avanzata. Eppure, insiste il presidente di Legambiente, “non ha risolto nessuno dei problemi storici”: uno su tutti la produzione di scorie altamente radioattive, che non si sa ancora come smaltire definitivamente. Continua, poi, ad avere “rischi di incidente” e a essere la fonte di energia più costosa: “Il nucleare, mi spiace dirlo da ambientalista, non è stato ucciso dagli ambientalisti, ma dal libero mercato, perché i costi di gestione di attività e chiusura del ciclo sono assolutamente proibitivi e per questo negli ultimi 10 anni gli investimenti sono andati a picco, perché le rinnovabili sono una tecnologia consolidata, che non produce emissioni di gas serra, non produce scorie, ha dei costi sempre più bassi, molto più bassi del nucleare, quindi questa discussione che si sta facendo in Italia è surreale”, avverte.

Chi nella tecnologia nucleare vede, invece, un’opportunità è il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada: “Se davvero l’Italia ambisce all’autonomia energetica, non può che essere una parte importante del mix di fonti”, spiega contattato da GEA. La nuova generazione “sta raggiungendo molto rapidamente uno stadio di sviluppo fino a pochi anni fa impensabile – osserva -. Ma, in un futuro più prossimo, è opportuno rivalutare anche il nucleare tradizionale. Impianti sicuri, flessibili, di piccole dimensioni e realizzabili in pochi anni. È improcrastinabile parlarne senza preconcetti; il know how lo abbiamo in casa dato che le aziende del nostro territorio offrono servizi per gli impianti all’estero. Il nucleare, insomma, è un’alternativa reale su cui investire fin da subito”.

A percepirne le potenzialità applicate all’ambito ferroviario è Luigi Cantamessa, direttore generale della Fondazione Fs. Ammette di credere fermamente nella scienza: “Dieci anni fa chi avrebbe mai pensato che l’iPhone potesse fare quello che fa. Credo che il nucleare oggi, a livello ferroviario, sia una opportunità veloce e sicura”, afferma. Trentacinque anni fa, confessa, non sarebbe stato della stessa opinione: “Io nel nucleare vedo il minor impatto e non l’avrei pensata così nel giorno del referendum. Ho cambiato idea perché ho visto di cosa è capace la tecnologia”.

Inoltre, prosegue, “nell’opinione pubblica rimangono Chernobyl e un referendum fatto in un contesto diverso e obsoleto, quando avevamo il telefono a casa. Penso che se ci rimettiamo a camminare in quella direzione, in meno di un decennio il nucleare potrebbe risolvere il grande problema dell’Italia, avere un’indipendenza energetica eliminando l’idrocarburo, non vedo al momento altro”.

Il problema delle scorie non sembra spaventare il presidente della Fondazione Fs: “Anche l’eternit copriva tutte le stazioni ferroviarie italiane, oggi è smaltito come un rifiuto speciale. So di essere un po’ brusco, ma sono per il pensiero forte, quindi o noi rinunciamo allo standard di vita al quale siamo abituati e ci diamo alla la decrescita felice, il che è una libera scelta, o troviamo, come ci insegna l’economia circolare, la fonte energetica con meno esternalità, con meno conseguenze negative e non al prelievo, ma dall’inizio della creazione della fonte energetica fino allo sfruttamento e dopo”.

bormio

Giochi 2026, le (tante) perplessità del fronte ambientalista

I Giochi olimpici più sostenibili di sempre? Non proprio, secondo le tante obiezioni che si sono levate dal mondo ambientalista negli ultimi tempi riguardo la realizzazione delle opere necessarie per Milano Cortina 2026. Perplessità che a metà aprile sono state messe nero su bianco dai presidenti nazionali di otto associazioni (Cai, Federazione Nazionale Pro Natura, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness Italia, Touring Club Italiano, Wwf) che in una dichiarazione congiunta hanno espresso “la loro forte preoccupazione per il grave impatto ambientale che rischia di essere provocato dalle opere previste per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026“. Le associazioni, scrivono, “non possono che denunciare il fatto che non sia stata avviata una VAS (Valutazione Ambientale Strategica, nda) nazionale e che manchi un percorso pubblico sulla questione Olimpiadi“. E sottolineano: “La percezione è che, ad oggi, si punti al commissariamento straordinario degli interventi per recuperare l’evidente ritardo sulla tabella di marcia dei lavori, tutto ciò a scapito degli impatti ambientali che le opere in corso e in progetto avranno sui territori“. Insomma, la galassia ambientalista pretende maggior trasparenza dalle istituzioni per evitare che il grande evento si trasformi in un’occasione sprecata, se non dannosa, per la montagna.

L’attenzione è rivolta in particolare al cluster di Cortina, la “perla delle Dolomiti” situata al centro di un territorio dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Non è un caso che il Cai abbia deciso di tenere il 10 luglio proprio a Cortina il suo Consiglio centrale. “È un modo per testimoniare in maniera concreta il nostro impegno per la tutela dell’ambiente montano – ha spiegato il nuovo presidente Antonio Montani in questo particolare caso legato alle prossime Olimpiadi invernali, e per uno sviluppo che sia davvero attento alla sostenibilità“.

Grosse critiche riguardano l’impianto per il bob che prenderà il posto della storica pista Eugenio Monti, oggi inservibile e destinata a essere smantellata e ricostruita da zero. Il costo stimato dei lavori dovrebbe essere di 61 milioni di euro per quello che “diventerà un punto di riferimento per gli sport invernali”, ha assicurato il presidente del Veneto Luca Zaia. Italia Nostra, Mountain Wilderness e i Comitati ambientalisti del Cadore la pensano in modo diametralmente opposto e parlano del rischio di costruire una “cattedrale del deserto” dai costi futuri insostenibili, simile alla pista di Cesana per Torino 2006: costata 110 milioni di euro, è stata completamente abbandonata al proprio destino a causa dei costi di gestione troppo elevati. A tal proposito, qualche settimana fa la consigliera regionale di Europa Verde, Cristina Guarda, ha evidenziato come, nel carteggio tra Cio e Regione Veneto, il Comitato Olimpico Internazionale avesse da subito espresso l’opportunità di non costruire un nuovo impianto e di puntare su strutture già esistenti, raccomandazione questa contenuta anche nell’Olympic Agenda 2020, documento che fissa le linee guida per le candidature a cinque cerchi. La soluzione? Far disputare le gare di bob, slittino e skeleton a Innsbruck, in Austria, dove esiste una pista con costi nettamente inferiori per l’adeguamento ai parametri olimpici. Altre perplessità riguardano il progetto del Villaggio olimpico (realizzazione temporanea da rimuovere dopo i Giochi) in località Fiames, a nord di Cortina. “L’area fra un corso d’acqua a rischio idraulico e un pendio con rischio geologico in località Fiames, non risponde ai criteri di sicurezza e tradisce la natura speculativa del progetto“, hanno scritto i rappresentanti di Italia Nostra, Peraltrestrade Dolomiti, Comitato Civico Cortina e Gruppo Parco del Cadore in una lettera rivolta al numero uno del Cio, Thomas Bach. Infine, tra i tanti nodi che rischiano di venire al pettine, ci sono i cantieri per l’adeguamento della statale 51 Alemagna, principale porta d’accesso a Cortina attualmente insufficiente a reggere i volumi di traffico previsti per i Giochi. Da più parti si sollevano allarmi per i ritardi nei due interventi principali, le varianti di Longarone e Cortina.

Perplessità simili investono anche un altro cluster olimpico montano, quello della Lombardia dove Bormio sarà teatro delle gare di sci alpino maschile e sci alpinismo e Livigno di quelle di snowboard e freestyle. Qui gli impianti sono già esistenti, ma poche settimane fa l’Aci di Sondrio ha diffuso un dossier sulle opere di viabilità in programma in Valtellina che lascia poco spazio all’ottimismo. Secondo il documento, solo il 50% dei lavori ferroviari e il 25% di quelli stradali saranno portati a compimento prima dell’inizio delle Olimpiadi. Tra gli interventi stradali che rischiano di non essere completati in tempo utile ci sono la tangenziale sud di Sondrio e la “tangenzialina” di Bormio. L’Aci di Sondrio poi sottolinea come non sia stato previsto un sistema di interscambio ferro-gomma per raggiungere Bormio e Livigno senza dover ricorrere all’utilizzo dell’auto.

siccità

La grande sete dell’Italia. In Piemonte 170 Comuni in crisi

Sale la temperatura, di pioggia non se ne vede da mesi e l’Italia ha sempre più sete, con 15 milioni di persone sottoposte a stress idrico. Da nord a sud il grido di allarme è unanime: è una calamità. E i prossimi mesi saranno ancora più critici.

La situazione peggiore è al nord, con il Piemonte che ha già chiesto lo stato di calamità per l’agricoltura, oltre ad aver annunciato il rilascio di acque dai bacini utilizzati per produrre energia idroelettrica a supporto dell’irrigazione e la deroga al minimo deflusso vitale dei fiumi. Decisioni prese nel corso dell’insediamento del tavolo permanente voluto dal governatore Alberto Cirio per monitorare e affrontare la situazione di emergenza e del quale fanno parte le organizzazioni agricole, i consorzi irrigui, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, le Autorità d’ambito del servizio idrico integrato e l’Anbi (Associazione nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari). Cirio ha ricordato che “stiamo vivendo una crisi idrica peggiore di quella del 2003” e “il secondo maggio più caldo dal 2009 negli ultimi 65 anni“. Il Po sta pagando le conseguenze peggiori, con un portata d’acqua inferiore al 72% rispetto alla norma. Sulle Alpi non c’è neve, gli affluenti sono secchi e il Grande Fiume non è in grado di soddisfare la domanda degli agricoltori. Verso est, il suo Delta è salato per più di 15 chilometri. Da qui la decisione di agire, in accordo con i gestori degli invasi, “per rilasciare un quinto delle acque contenute nei bacini idroelettrici, operazione che permetterebbe di garantire 15-20 giorni di respiro e salvare il raccolto e le produzioni agricole grazie all’aumento della portata dei fiumi e dei canali di irrigazione“.

Ma il peso della grande sete sta gravando anche sui cittadini. Sono 170 i Comuni piemontesi in cui sono state emanate ordinanze per l’uso consapevole dell’acqua potabile e limitazione agli usi domestici. Vietato, insomma, utilizzare l’acqua per innaffiare i giardini o per attività non destinate alla cucina e all’igiene personale. In 10 Comuni della provincia di Novara, inoltre, è stato interrotto il flusso di acqua potabile durante la notte. Va meglio a Torino città, dove – assicura il sindaco Stefano Lo Russo – “non ci sono criticità tali da compromettere la somministrazione di acqua potabile alla popolazione“. La siccità, però, spiega il primo cittadino, potrebbe durare a lungo ed è fondamentale “la programmazione degli interventi come la manutenzione delle reti, gli invasi, le opere di mitigazione, di stoccaggio e di accumulo, che devono essere messe in campo“. Altre Regioni si stanno attivando per chiedere lo stato di calamità che, pur non potendo prevenire situazioni del genere, consente, come ha ricordato Cirio, di dare ai governatori “la celerità e l’elasticità nell’adottare decisioni emergenziali, un po’ come è successo con il Covid“.

La mappa della sete non risparmia nessuno. Dalla Lombardia alla Sicilia, dal Piemonte al Molise, dal Veneto al Lazio, dalla Toscana alla Puglia la siccità stringe in una morsa i campi e i raccolti del 2022. Secondo le stime di Coldiretti i danni all’agricoltura ammontano a 2 miliardi di euro e per la Cia “è a rischio fino al 50% della produzione agricolanel nord Italia. In Lombardia Enel rilascerà subito, per almeno 10 giorni, 200.000 metri cubi di acqua al giorno per il fiume Brembo e 250.000 metri cubi di acqua al giorno per il fiume Serio, così da dare sollievo agli agricoltori.

La siccità, ha ricordato Legambiente, negli ultimi 25 anni è costata all’Italia 5 miliardi di dollari e questa nuova ondata rischia di far diventare il conto ancora più salato.

tassonomia verde

No a gas e nucleare in tassonomia, Wwf: “Priorità alle rinnovabili”

‘No’ all’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui finanziare il Green Deal europeo. Le commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) del Parlamento europeo hanno approvato un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati in seduta plenaria a luglio, la Commissione Ue sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

La tassonomia ‘verde’ è il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. I deputati “riconoscono il ruolo del gas nucleare e fossile nel garantire un approvvigionamento energetico stabile durante la transizione verso un’economia sostenibile”, ma “ritengono che gli standard di screening tecnico proposti dalla Commissione non rispettino i criteri per le attività economiche ecosostenibili”, si legge in una nota dell’Eurocamera pubblicata dopo il voto.

Nel congratularsi con gli eurodeputati per aver scelto la strada giusta per proteggere la credibilità della tassonomia dell’Ue Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del Wwf Italia, ha ribadito che “non c’è nulla di sostenibile nei combustibili fossili e nelle scorie nucleari”. Per questo, ha proseguito, “etichettarli come ecologici nella tassonomia europea potrebbe sottrarre miliardi di euro di investimenti alle energie rinnovabili e alle tecnologie verdi”.

Inoltre, il gas è ormai diventato una fonte di insicurezza energetica e di rischio geopolitico in Europa. “L’energia nucleare è costosa, lenta da costruire e crea scorie altamente radioattive che ancora non sappiamo come gestire”, ha avvertito Midulla. Ora come ora le rinnovabili sono la nostra energia di ‘libertà’ e quindi la chiave per la sicurezza energetica. L’etichettatura del gas come investimento sostenibile porterebbe l’Europa a utilizzarne ancora di più. Il che, ha spiegato, “significa continuare la dipendenza e bollette più elevate per i cittadini europei“.

Anche Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha voluto dire la sua in merito alla bocciatura da parte delle commissioni sul nucleare e il gas nella tassonomia verde: “Si tratta di un primo importante risultato – ha dichiarato – che apre la strada alla bocciatura della proposta di considerare gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili, in base al regolamento sulla tassonomia che classifica gli investimenti verdi. Una decisione importante che può scongiurare, rigettando la proposta della Commissione, un duro colpo al Green Deal Europeo e a un’ambiziosa politica in grado di fronteggiare l’emergenza climatica”.

L’Europarlamento – ha concluso Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo Legambiente – ora può e deve rigettare la proposta della Commissione ed evitare così che centinaia di miliardi di euro, anziché essere investiti in rinnovabili ed efficienza energetica, vadano sprecati con il nucleare e il gas fossile aggravando la duplice crisi climatica ed energetica”.

Mosaico Verde

Con campagna Mosaico Verde piantati oltre 300mila alberi

Creare nuove aree verdi, ripristinare gli ecosistemi a rischio, restituire alla collettività parchi e boschi riqualificati: questi sono solo alcuni degli obiettivi perseguiti attraverso Mosaico Verde, la campagna nazionale per la forestazione di aree urbane ed extraurbane e la tutela dei boschi esistenti – promossa da AzzeroCO2 e Legambiente – grazie alla quale sono stati messi a dimora oltre 311.000 alberi in Italia, per i quali si stima l’assorbimento di oltre 217.000 tonnellate di CO2*.

Mosaico VerdeI dati sono stati presentati nel corso dell’evento ‘Nuovi boschi urbani e tutela delle foreste: la ricetta di Mosaico Verde per rendere più verde l’Italia’ che si è svolto a Roma, durante il quale AzzeroCO2 ha illustrato i risultati raggiunti tra il 2018 e il 2022 grazie al lavoro sinergico tra pubblico e privato: 286 gli ettari riqualificati in 130 aree gestite da Comuni e Enti Parco di 16 regioni italiane. Sono 127 i Comuni e gli Enti parco che hanno aderito e oltre 30 quelli in corso di adesione: nella maggior parte dei casi si tratta di realtà pubbliche che, non avendo risorse sufficienti per incrementare le aree verdi o gestire in modo sostenibile quelle esistenti, le hanno rese disponibili all’interno della campagna, dando loro una seconda opportunità.

Per noi si tratta – ha spiegato Sandro Scollato, amministratore delegato di AzzeroCO2 – di un punto di partenza e non di arrivo che ci sprona a fare ancora di più nei territori nei quali c’è bisogno di azioni puntuali al fine di tutelare il patrimonio naturale e migliorare il benessere delle comunità locali. Per noi Mosaico Verde è diventato un vero e proprio incubatore di biodiversità: ce lo confermano i numerosi interventi in cui sono presenti diverse specie di alberi e arbusti, in cui privilegiamo l’introduzione di piante mellifere che attirano gli impollinatori, o specie pioniere che attecchiscono nelle condizioni più difficili e creano le condizioni ideali affinché tutte le altre piante e gli animali possano crescere e riprodursi”.

Bee House

Tra i progetti sviluppati nell’ultimo anno volti alla tutela e alla riqualificazione di aree in condizioni di fragilità, particolarmente significative sono state le iniziative realizzate nel Parco Nazionale del Vesuvio, che hanno consentito l’installazione di Bee House per gli insetti impollinatori e di telecamere per il monitoraggio delle specie animali, le attività di messa in sicurezza e di ripristino del percorso ciclo – pedonale realizzate a Roma in un’area di Villa Ada-Monte Antenne e gli interventi di ingegneria naturalistica sul Colle del Gianicolo. Si tratta in tutti i casi di iniziative che coniugano due azioni strategiche promosse dalla campagna: il ripristino degli ecosistemi e la messa in sicurezza dei territori.

Piantare alberi, tenendo sempre conto delle esigenze dei diversi territori, dei contesti e della biodiversità locale, per rendere migliori le nostre città – ha commentato Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette e biodiversità di Legambiente – è un’azione semplice, poco costosa e alla portata di tutti ma che gioca un grande ruolo nella lotta globale al cambiamento climatico“.

Mosaico verde

comunità energetiche

I 40 comuni che sono 100% rinnovabili: piccoli e (quasi) tutti al Nord

Sono in tutto 40 i comuni italiani che si possono definire rinnovabili al 100%, secondo la fotografia scattata da Legambiente nel suo ultimo dossier ‘Comunità Rinnovabili’. Nell’elenco, stilato in base ai dati forniti da Comuni, Gse, Terna e Airu (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano), rientrano quei territori che sono in grado di produrre più energia elettrica e termica di quella consumata dalle famiglie residenti, utilizzando un buon mix di fonti rinnovabili: fotovoltaico, eolico, mini idroelettrico, geotermia, biogas, biomassa e reti di teleriscaldamento. Nel computo rientrano solo i comuni dotati di almeno tre di queste tecnologie, mentre eliminando questo “paletto” si arriva a 3.493 enti (definiti da Legambiente 100% elettrici) autosufficienti in termini di energia.

Analizzando l’elenco dei comuni 100% rinnovabili, si nota subito la forte disparità a livello territoriale tra Nord e Sud. Nessun comune è situato nelle regioni meridionali, appena sei rientrano nel Centro Italia e sono tutti in Toscana, grazie soprattutto al ruolo ricoperto dalla geotermia ad alta entalpia. Per il resto, a dominare sono soprattutto località montane situate sull’arco alpino, con poche eccezioni come Limena, grosso centro alle porte di Padova. Quasi metà del totale (17) appartiene alla provincia di Bolzano, altre quattro a quella di Trento, tre a testa per Aosta e Brescia.

L’altra caratteristica che balza all’occhio è la predominanza dei comuni di piccole dimensioni. Sono infatti 38 i piccoli comuni (sotto i 5.000 abitanti) 100% rinnovabili, 2.271 i piccoli comuni 100% elettrici e 772 i piccoli comuni la cui produzione di energia da fonti rinnovabili varia tra il 50 e il 99% del fabbisogno. I piccoli borghi, che tra l’altro sono al centro di molti degli investimenti previsti dal Pnrr in termini di efficienza energetica, sono dunque capofila della svolta green, un modello da studiare e quindi replicare su scala maggiore seguendo la strada indicata dall’Europa attraverso il RepowerEU: più energia da fonti rinnovabili. Una svolta necessaria, visto che il contributo complessivo portato dalle fonti pulite al sistema elettrico italiano è arrivato nel 2021 a 115,7 TWh, che rappresentano però solo il 36,8% dei consumi complessivi.

Il dossier ‘Comunità Rinnovabili’ si focalizza anche su quanto sia capillare la presenza delle varie tecnologie sul territorio: almeno un impianto (pubblico o privato) è presente in 7.914 comuni italiani, in pratica la totalità. Risultato questo già sostanzialmente raggiunto nel 2011, dopo il boom del primo decennio di questo secolo. Gran parte dei comuni oggi è dotato di impianti per il solare fotovoltaico (7.855) e termico (7.127), mentre l’incidenza scende per altre forme di energia rinnovabile: bioenergie (4.101), mini idroelettrico (1.523), eolico (1.054) e geotermia (942).

comunità energetiche

Da Basiglio a Bufi l’esempio virtuoso delle comunità energetiche da fonti rinnovabili

Da Basiglio, comune della città metropolitana di Milano, a Blufi, piccolo Comune di circa 900 abitanti nell’entroterra palermitano. Dal nord al sud Italia, le comunità energetiche da fonti rinnovabili prendono sempre più piede, confermandosi come esempi da seguire per sviluppare progetti virtuosi su tutto il territorio nazionale. Soprattutto nel contesto italiano, che da una parte vede un grande fermento da parte di amministrazioni pubbliche, imprese e territori per la realizzazione di impianti da fonti di questo tipo e, dall’altra, numeri ancora risicati rispetto alla capacità potenziale di realizzazione e al raggiungimento degli obiettivi climatici del 2030.

A certificarlo è anche l’ultima edizione di ‘Comunità Rinnovabili’, il report di Legambiente che dal 2006 racconta quanto di buono si muove nei territori. E di buono ce n’è parecchio: a fronte di un incremento annuo nel 2021 di appena l’1,58% del contributo complessivo delle fonti rinnovabili al sistema elettrico italiano, i numeri delle comunità energetiche sono invece in forte crescita. Cento quelle individuate da Legambiente nelle ultime tre edizioni del rapporto, di cui 35 effettivamente operative, 41 in progetto e 24 all’inizio del loro percorso. Tra queste, 59 sono state censite nell’ultimo anno e vedono coinvolte famiglie, Comuni e imprese sotto forma sia di comunità energetiche rinnovabili che di configurazioni di autoconsumo collettivo.

Qualche esempio? Basiglio e Blufi, precedentemente citate, sono rispettivamente la prima Comunità Energetica Rinnovabile dei Comuni della Città Metropolitana di Milano e il primo tassello di un nucleo aggregante diffuso all’interno del Parco delle Madonie. Ma ci sono anche Amares, la comunità energetica composta da sole imprese di Ripalimosani, in Molise, o ‘CER Nuove Energie Alpine’ del cuneese, capace di superare la criticità del vincolo alla cabina primaria. Riunisce infatti sotto di sé configurazioni diverse di energia condivisa, che in condizioni ‘normali’ sarebbero state comunità energetiche separate, distribuite in Comuni serviti da cabine primarie differenti, interfacciandosi poi con il GSE attraverso uno unico gestionale nella piattaforma dedicata. E se la viterbese ‘Comunità Energetica Rinnovabile Gallese’ è nata nel contesto di un progetto europeo, quella di Ventotene è la prima operante su un’isola del Mediterraneo.

E ancora, a Sestri Levante, in provincia di Genova, la Comunità Energetica Quartiere Tannino fa da stimolo alla riqualificazione degli edifici pubblici: i pannelli sono installati infatti sulle coperture dei magazzini del centro del riuso e dell’ostello cittadino. ‘Solisca’, che riunisce i soci della comunità energetica di Turano, nel Lodigiano, ha deciso di ripartire il premio derivante dal GSE tra tutti i membri, tra cui una ventina di utenze familiari a basso reddito, in modo da estendere i vantaggi dell’autoconsumo a chi rischia di vedersi tagliato fuori dalla transizione verso le rinnovabili. A Imola, Energia Verde Connessa vede collaborare tre imprese, due con il ruolo di prosumer – ovvero di produttrici e consumatrici di energia rinnovabile – e una con quello di consumatrice dell’energia verde in eccedenza. Differenziazione è la parola d’ordine a Foiano di Valfortore, piccolo Comune dell’entroterra di Benevento, il cui progetto è quello di sfruttare differenti fonti rinnovabili per garantire il completo soddisfacimento del fabbisogno energetico dei propri soci. Per arrivare fino alla Comunità Energetica Rinnovabile e Solidale di Messina che, seguendo l’esempio di Napoli Est, vuole trasformarsi anche in un’occasione di riscatto sociale per quartieri e rioni difficili. Dando così avvio a un processo di maggiore giustizia sia ambientale che sociale.