Dal fagiolo di Meloni al tappo delle bottiglie di Metsola

Il fagiolo di Giorgia Meloni e il tappo delle bottiglie di plastica di Roberta Metsola sono stati i momenti più ‘alti’ dell’assemblea di Confindustria, là dove il presidente Orsini è stato molto diretto nel lanciare l’allarme energia, nel chiedere all’Europa un brusco cambio di passo e nell’invocare un nuovo piano industriale, anzi un piano industriale straordinario per l’Italia, quantificabile in 8 miliardi all’anno per i prossimi tre, meglio sarebbe per cinque.

Il fagiolo (se è più piccolo di un centimetro non è europeo) è il paradosso che ha usato la premier per fare capire come questa Europa sia fuori dal tempo e distante dalla realtà, vittima di regole che si autoimpone e di dazi interni che sono molto peggio di quelli ballerini millantati da Donald Trump. Il tappo attaccato al collo delle bottiglie di plastica è invece l’immagine usata dalla presidente del Parlamento Ue per dire che la Ue medesima non è quella di questo provvedimento ecologico ma può e deve essere qualcosa di diverso. Delicata ma netta, insomma. Quasi critica. Poi l’una ha aperto le porte di Chigi agli industriali sul tema dell’energia (come dire: se avete un problema venite da me e non lamentatevi pubblicamente), l’altra ha voluto chiarire subito, ad inizio intervento, che il parlamento di Strasburgo e gli uffici ovattati di Bruxelles stanno dalla parte degli imprenditori e sono al fianco degli industriali. Non sia mai.

Riavvolgendo il nastro dell’appuntamento bolognese, emerge che Orsini, Meloni e Metsola la pensano allo stesso modo sull’Europa. Che va cambiata. Che va riformata. Che va adeguata alle necessità dei 400 milioni e passa di cittadini. E in fretta. Ma la nota dolente è che troppe volte si è sentito questo refrain senza che nulla di concreto sia stato fatto per imprimere una svolta radicale. Al massimo ci sono state delle correzioni in corsa con evidenti malumori interni. Ma tra Trump che incombe e la Cina che minaccia, tra guerre sparse e terre (rare) da conquistare il conto alla rovescia si è esaurito da un pezzo. Il pachiderma di Bruxelles non ha più ragione di esistere, bisogna essere grilli, saltare di qua e di là.

Dopo aver detto che l’Italia è più credibile e quindi spendibile verso l’esterno, la chiosa della presidente del Consiglio agli industriali è stato un inno alla gioia: “pensate in grande perché io lo farò”. Un ‘claim‘ a presa rapida accolto con molti assensi del capo da una platea gremita di eccellenze, anche se prima si è andati a sbattere contro il muro dei costi energetici. Disaccoppiamento di gas ed elettricità, oltre al nucleare di ultima generazione sono le strade da battere per uscire da una situazione delicatissima, che sta piegando la nostra industria riducendone la competitività. Per Meloni le speculazioni energetiche sono inaccettabili, per Orsini a Roma non devono frenare sulle rinnovabili, che da sole non risolvono il problema ma nell’ambito di un indispensabile mix energetico sicuramente aiutano.

Dopo le richieste e le risposte si attendono a strettissimo giro atti concreti. Dimenticandosi di fagioli e tappi di bottiglia.

Europee, la gioia di von der Leyen: “Ppe garantisce ancora stabilità”

Il centro pro-europeista ha tenuto ed è con quel centro che dobbiamo andare avanti a lavorare”. Lo ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, nel corso della notte elettorale all’Eurocamera a Bruxelles. Un concetto che, sottolineato anche dalla presidente della Commissione e candidata di punta al bis per il Partito popolare europeo (Ppe), Ursula von der Leyen, è stato il leitmotiv della serata, insieme al richiamo alla responsabilità e all’apertura dei Verdi ad intervenire per dare stabilità alla maggioranza.

La notte si è conclusa con le ultime proiezioni del Parlamento europeo, alle 3 del mattino, che davano il Ppe come primo partito dell’Aula con 184 seggi. La crescita del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) e di Identità e democrazia (Id), invece, non è riuscita a portare una delle due formazioni alla terza posizione nella lista dei partiti più nutriti nell’aula, scansando via i liberali di Renew Europe e sparigliando le carte della maggioranza Ursula. Alla fine, popolari, socialisti e liberali tengono e mantengono la maggioranza numerica, con 403 deputati.

“Oggi è una buona giornata per il Ppe, abbiamo vinto le elezioni, siamo il partito più forte, siamo l’ancora della stabilità e il voto ha riconosciuto la nostra leadership nei passati 5 anni”, ha dichiarato von der Leyen poco prima di mezzanotte dal palco allestito nell’aula plenaria, usata come grande sala stampa. “Queste elezioni ci danno due messaggi: il primo è che la maggioranza rimane nel centro per una Europa forte e questo è cruciale per la stabilità. In altre parole, il centro tiene. Ma è anche vero che gli estremi a destra e a sinistra hanno ottenuto sostegno e perciò il risultato ottenuto comporta grandi responsabilità per i partiti al centro”, ha continuato. “Magari su singoli punti abbiamo divergenze, ma abbiamo tutti interesse nella stabilità e vogliamo una Europa forte ed efficace”, ha aggiunto von der Leyen. “Da domani contatteremo le grandi famiglie politiche della piattaforma, cioè S&d e Renew Europe, con cui abbiamo lavorato bene nei passati 5 anni. Ci basiamo su relazioni costruttive già avviate. Ho sempre detto di voler costruire una ampia maggioranza per una Europa forte e ho dimostrato nel primo mandato cosa può raggiungere un’Europa forte. Il mio obiettivo è continuare su questa strada con gli europeisti, a favore dell’Ucraina e dello stato di diritto. Da domani questo lavoro continua”, ha specificato von der Leyen. E rispetto alla sua corsa per il bis a Palazzo Berlaymont ha aggiunto: “So che c’è del duro lavoro davanti a me. Sono felice di affrontare questo lavoro, ma sono decisamente fiduciosa per quanto riguarda la mia corsa per il secondo mandato. Di sicuro si tratta di una scelta che è dei capi di Stato e di governo, ma sono fiduciosa di poter ottenere il sostegno al Consiglio europeo”, ha evidenziato. “Guardando al Parlamento, invece, per prima cosa contatteremo quelli con cui abbiamo lavorato bene, S&d e Re. E’ il primo passo, poi si parlerà dei successivi”, ha precisato a chi chiedeva se fosse disponibile a far entrare i Verdi nella maggioranza.

Sì perché l’altro punto da sottolineare della notte elettorale è l’apertura dei Verdi alla cooperazione con von der Leyen. “Come Verdi siamo amareggiati per i numeri, soprattutto per le perdite in Francia e Germania. Ma siamo felici che ci siano stati diversi risultati e che ci saranno nuovi ingressi”, ha dichiarato dal palco uno dei due candidati dei Verdi alla guida della Commissione, Bas Eickhout. “I Verdi avranno un ruolo costruttivo e responsabile. Le sfide europee sono troppo grandi per fare giochetti politici. Se guardate alle sfide, il futuro delle politiche climatiche, della sicurezza e della democrazia europea, è molto chiaro che abbiamo bisogno di una maggioranza stabile in questa aula per dare risposte ai cittadini e noi Verdi siamo pronti ad assumerci questa responsabilità. Ovviamente sulla base del programma potenziale, ma siamo pronti”, ha sottolineato. Poco prima di lui, il capo gruppo dei Verdi, Philippe Lamberts, era stato anche più preciso precisato: “Se vogliamo che la terra continui ad essere abitabile per gli umani, il Green deal deve potenziarsi e se vogliamo che la società sia più sicura per tutti le forze democratiche devono unirsi come mai prima. Per noi è importante il programma, non la persona. Per noi è fondamentale l’approfondimento del Green deal e il rafforzamento della democrazia europea. E spero che ciò sia al centro di quanto von der Leyen intenderà raggiungere, se il Consiglio la presenterà per il secondo mandato. E abbiamo bisogno di vedere l’impegno per sostenerla”.

Infine, i socialisti che, con il candidato di punta Nicolas Schmit, si confermano pronti alla maggioranza con Ppe, ma senza Ecr o Id. “Siamo aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento. Come secondo gruppo che mantiene più o meno il numero dei suoi membri in questo Parlamento, siamo pronti a negoziare un accordo per i prossimi anni per rendere l’Europa più forte, più democratica, più sociale, più forte economicamente e più sicura. Sono molto contento di vedere che le forze democratiche sembrano trovare il loro modo per unirsi e lavorare insieme. Quindi non c’è possibilità per noi socialdemocratici di cooperare con quanti vogliano smantellare e indebolire quest’Europa costruita in molti decenni”, ha sottolineato Schmit.

Tra luci e ombre l’ultimo atto del Parlamento Ue è sul Green Deal

Il Parlamento europeo il 25 aprile saluta baracca e burattini dopo cinque anni di lavoro non proprio facili. Al netto degli errori che sono stati commessi, va dato atto a Ursula von der Leyen a Roberta Metsola (e prima di lei al compianto David Sassoli) e a Charles Michel di essere incappati nel periodo peggiore degli ultimi decenni: una pandemia, due guerre e mezza non sono poca roba da gestire e, soprattutto, sono ostacoli lungo la via di una ricostruzione dell’Europa.

Si poteva fare meglio? Sì. Si poteva fare peggio? Anche. L’accusa che viene rivolta con maggiore insistenza a Commissione e Parlamento è di aver radicalizzato la lotta al cambiamento climatico e il contrasto al riscaldamento del pianeta. Il Green Deal, partito da presupposti nobilissimi, è andato in crisi quando è diventato la summa di provvedimenti estremi, poco in linea con la realtà di un’economia in crisi. Fatto salvo il concetto che la transizione ecologica è ineludibile, accettata la conseguenza che abbia costi molto alti da sostenere, il tutto si è inceppato quando da Frans Timmermans in giù è diventata una questione ideologica. E si è acceso lo scontro con governi e aziende: l’auto elettrica, le case green, il packaging, fino alla nuova Pac sono diventati motivi di scontro e non più di confronto. La marcia dei trattori su Bruxelles è un po’ il simbolo di un disagio latente, che ha finito per coinvolgere la pancia del popolo.

Uno studio di Copernicus racconta che l’Europa si è ‘inquinata’ più degli altri continenti. Persino più di Cina e India, che non sono proprio sensibilissime sull’argomento: e le varie Cop di questi anni ne sono la prova provata. Sarà per questo che gli ultimi atti dell’attuale Parlamento Ue saranno dedicati alla votazioni di quattro provvedimenti legati al Green Deal, per fare in modo che chi subentrerà ( o continuerà) dopo le elezioni dell’8-9 giugno abbia una base dalla quale partire. Si tratta del regolamento Ecodesign (Espr) e delle direttive Corporate social due diligence (Csddd), Ambient air quality and cleaner air for Europe e Packaging and packaging waste. Vedremo cosa ne uscirà, nella speranza che a vincere sia sempre il buonsenso.