Confindustria: Moda sotto attacco, serve visione strategica

Il fashion made in Italy è “sotto attacco”. La denuncia arriva da Luca Sburlati, presidente di Confindustria Moda che di fronte a un contesto globale sempre più complesso chiede risposte lungimiranti: “Serve una visione strategica di lungo periodo, anche fondata su pilastri Esg solidi e soprattutto condivisi”, commenta dalla presentazione della quarta edizione del Venice Sustainable Fashion Forum, che si terrà il 23 e 24 ottobre nel capoluogo veneto. La kermesse, per l’industriale, deve diventare il luogo in cui le imprese mettono a fattor comune idee e istanze, per arrivare a “regole e pratiche condivise su tre fronti decisivi”: la Responsabilità Estesa del Produttore, un quadro normativo nazionale che garantisca trasparenza e legalità nei contratti di filiera e un sistema di auditing armonizzato, capace di creare un linguaggio condiviso lungo tutte le supply chain. Insomma, la richiesta è quella di avere un luogo in cui si definiscano le politiche per l’evoluzione sostenibile del settore moda, con impegni concreti a favore delle imprese in una prospettiva europea e internazionale.

“È nostro dovere preservare e rafforzare quel ‘bello e ben fatto’ che rappresenta l’essenza e l’unicità del nostro Paese anche di fronte ad attacchi strumentali e non accettabili mentre ogni giorno mezzo milione di persone in Italia lavorano a creare prodotti unici”, denuncia Sburlati. L’obiettivo del forum è appunto quello di raccogliere le idee e le istanze di brand e imprese, per tradurle in norme e processi condivisi: il titolo – esplicativo – dell’edizione 2025 è appunto ‘Harmonizing Values’. Perché le complessità di scenario hanno trasformato la percezione del comparto moda sempre più intrecciato al concetto di responsabilità e attento alla dimensione sociale del lavoro. Si punta quindi a individuare strumenti per affrontare la fase di cambiamento senza compromettere la competitività delle imprese. Durante il Forum si discuteranno le norme condivise a livello europeo e si approfondirà il valore strategico della “nuova” sostenibilità, oggi più che mai fattore distintivo capace di differenziare la produzione di qualità da quella di massa. La sfida principale è realizzare un percorso armonico di trasparenza e tracciabilità lungo tutti i passaggi della filiera.

Quest’anno verrà presentata la quarta edizione dello studio ‘Just Fashion Transition 2025’, l’Osservatorio permanente sulla transizione sostenibile delle filiere chiave della moda, abbigliamento, calzature e pelletteria di TEHA. Tra le evidenze dello studio emerge che, pur essendo percepita come ostacolo alla competitività del settore, la ricetta europea per la transizione sostenibile della moda dimostra di rappresentare una leva efficace per favorire contemporaneamente sia la crescita economica che la decarbonizzazione: rispetto al periodo pre-Covid, i ricavi complessivi sono aumentati dell’11,4% mentre le emissioni si sono ridotte del 17%. La decarbonizzazione rappresenta una sfida decisiva per le filiere, specialmente in Italia, dove la pressione economica e le ridotte dimensioni delle imprese rendono gli investimenti addizionali richiesti non sostenibili in autonomia per circa il 58% delle aziende. Sul palco della Fondazione Giorgio Cini si alterneranno istituzioni, esperti, case history del mondo moda, start-up, ricercatori e protagonisti del nuovo Made in Italy, unico al mondo per qualità, creatività e know-how. E anche quest’anno il Forum si svolgerà a Venezia, città simbolo di eccellenza e al tempo stesso di un ecosistema fragile da proteggere, in un parallelismo con l’industry della moda italiana.

“Siamo partiti nel 2022, dopo un anno di studio e preparazione, con la prima edizione del Venice Sustainable Fashion Forum. Avevamo il vento in poppa: la sostenibilità e gli obiettivi ESG erano al centro dell’attenzione, mentre l’industria della Moda e del Lusso usciva con slancio ed entusiasmo dalla fase pandemica e da un biennio segnato da paura e incertezza”, ricorda Flavio Sciuccati, Partner & Director Global Fashion Unit TEHA. Oggi, quattro anni dopo, ammette, “ci ritroviamo in un contesto profondamente diverso, se non addirittura opposto”. Sciuccati parla di un contesto europeo in cui le politiche ESG sono “circondate da un clima di incertezza”. Nel settore Moda e Lusso, si registra una forte contrazione dei volumi nella fascia alta dei consumi, che colpisce direttamente il Made in Italy. A tutto questo si è aggiunto, quest’anno, un tema delicato: l’intervento della Procura di Milano nelle indagini sul caporalato nel settore Moda, con misure cautelari nei confronti di alcuni grandi marchi. “In questo contesto, il nostro Forum di Venezia – rivendica – rappresenta un’occasione fondamentale per discutere, approfondire e ribadire da un lato, la centralità dell’impegno condiviso tra brand e produttori verso una moda più etica e sostenibile; dall’altro, l’importanza strategica del sistema ‘Made in Italy’ e della sua manifattura come leva economica e culturale essenziale per il Paese”. In questa fase complessa, tra tensioni geopolitiche, cambiamenti normativi e dei consumi, Paola Carron, presidente Confindustria Veneto Est, sottolinea l’urgenza di “armonizzare gli standard di sostenibilità sociale ed economica oltre che ambientale, di trasparenza e valore, e la determinazione a evolvere verso una nuova competitività”. Il messaggio alle istituzioni nazionali ed europee è chiaro: “Solo insieme possiamo fare la differenza, attraverso la condivisione di responsabilità, visione industriale, competenze e investimenti lungo tutta la catena del valore, e mantenere la leadership mondiale in questo settore strategico del Made in Italy”.

MFW alle porte. Ma comparto annaspa e chiede aiuto

Milano si prepara ad aprire le porte alla Fashion Week e, con gli occhi del mondo puntati sulla Meneghina, il comparto moda torna a lanciare l’allarme al governo. La città si prepara a vivere un’edizione simbolica, la prima senza Giorgio Armani che ha contribuito a costruire l’identità del capoluogo lombardo come centro nevralgico dello stile e dell’imprenditoria. Ma i consumi stentano a decollare, i negozi continuano a chiudere e la crisi, da congiunturale, sembra essere diventata strutturale.

Neanche i saldi estivi hanno dato respiro ai commercianti, con un calo del 5% degli acquisti a luglio e del 3,9% ad agosto, che conferma il crollo già registrato nel primo semestre e quello a doppia cifra (-12%) sul 2019.

“Sul mondo della moda si sta abbattendo un uragano che travolge ogni anno 6.500 piccole e medie aziende del retail”, avverte Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio. Questo fenomeno, così potente, osserva, “sta indebolendo tutta la struttura della filiera della moda e demotiva l’apertura di nuovi negozi da parte di donne, giovani e imprenditori che vorrebbero iniziare l’esperienza nella vendita a contatto con il cliente”. Il Sistema Moda Italia chiede al governo di intervenire con un gruppo di lavoro sul commercio all’interno del Tavolo della Moda istituito al ministero delle Imprese e del Made in Italy. “Servono con urgenza provvedimenti che potrebbero finalmente rilanciare i consumi”, insiste Felloni, che propone detrazioni per il consumatore finale dalla propria denuncia dei redditi gli importi sugli acquisti di abbigliamento, calzature, accessori, articoli sportivi, tessuti e tessile per la casa effettuati esclusivamente presso i negozi di vicinato. “Poter detrarre anche parzialmente le imposte su questa tipologia di acquisti darebbe spazio ad una rinascita dei centri storici, alla riapertura di tante piccole attività che si sono perse in questi anni e ad assumere e formare nuovi collaboratori con indubbi vantaggi per l’economia, la socialità e la sicurezza”, spiega il presidente di Fmi. E, sotto i riflettori della fashion week di Milano il settore chiede anche al Governo l’istituzione di una Giornata nazionale della Moda italiana che rappresenterebbe un’occasione per raccontare la qualità, la tradizione e l’innovazione che distinguono il sistema, “rafforzando il senso di appartenenza e offrendo al mondo un’immagine coesa e autorevole del Made in Italy”.

Se la moda arranca, la Fashion Week di Milano, in programma dal 23 al 29 settembre, promette di rafforzare potentemente l’indotto turistico, con un contributo di circa 239 milioni di euro e un incremento del 12,3% sul 2024. Il 46% (quasi 110 milioni di euro) sarà destinato allo shopping, il 39% (più di 93 milioni) per ristorazione e alloggio, il 15% (35,8 milioni di euro) per i trasporti. La stima è del Centro Studi di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza. In aumento, +15% sullo scorso anno, gli arrivi di visitatori: oltre 149mila e 300, il 46% dall’estero, il 54% dal resto d’Italia. Con la Milano Fashion Week di febbraio, l’indotto sarà di 423,6 milioni di euro con un incremento del 7,1% in confronto al precedente anno, dovuto al maggior numero complessivo di visitatori: quasi 262mila (+6,9% sul 2024). La Milano Fashion Week dal 23 al 29 settembre ha un peso maggiore sull’indotto generato – il 56,4% – rispetto a quella di febbraio. La spesa pro capite media stimata per questa MFW di settembre è di 1.600 euro, in leggero calo, – 2,3%, rispetto al 2024. Più alta la spesa turistica pro capite dei visitatori esteri, 1.664 euro; minore la spesa turistica pro capite degli italiani: 1.535 euro. Mentre la previsione complessiva degli arrivi a Milano in questo mese di settembre è di oltre 793mila e 500, in crescita dello 0,09% sul settembre 2024 (dati definitivi). “Milano si conferma punto internazionale della moda e dell’attrattività, capace di attrarre visitatori, talenti e investimenti da tutto il mondo”, commenta Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano. La maggiore stima di spesa degli stranieri testimonia, rileva, “come l’indotto turistico continui a generare valore per il nostro territorio”.

Addio a Giorgio Armani, simbolo del made in Italy. Mattarella: “Maestro di stile e moda”

Addio a Giorgio Armani, simbolo della moda e del made in Italy. Lo stilista piacentino si è spento a 91 anni a Milano.

Grande icona dell’alta sartoria italiana, Armani ha saputo coniugare per oltre cinquant’anni eleganza e stile, creando nel 1975 un marchio basato sull’alta qualità riconosciuto e apprezzato ben presto in tutto il mondo grazie a collezioni di abiti, accessori, gioielli, profumi, cosmetici, occhiali, mobili.

Un genio italiano, imprenditore e visionario, capace di rivoluzionare il concetto di moda con una versione sobria e raffinata, fino a diventare punta di diamante del fashion system italiano. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ricorda come “maestro dello stile e della moda e simbolo del genio italiano nel mondo”, “nei lunghi anni della sua carriera ha ridefinito, a livello internazionale, i canoni dell’eleganza e del lusso. La sua sofisticata semplicità, la sua cura per la qualità e l’attenzione ai dettagli, hanno ispirato e influenzato generazioni di stilisti”.

“Ha saputo dare lustro alla moda italiana e ispirare il mondo intero”, scrive sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, rimarcando “eleganza, sobrietà e creatività” dello stilista, “un’icona, un lavoratore instancabile, un simbolo dell’Italia migliore”. “Ambasciatore del Made in Italy”, il ricordo del presidente del Senato, Ignazio La Russa.

Per il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, Armani “ha incarnato l’eleganza italiana a livello mondiale”, grazie a uno stile “innovativo e distintivo, una creatività raffinata e una visione senza tempo”. Grazie a lui, la moda si è trasformata “in un linguaggio universale di qualità, contribuendo a rendere il Made in Italy un simbolo di eccellenza globale”. “La sua visione ha reso il mondo più elegante e l’Italia più famosa”, dice la ministra del Turismo, Daniela Santanchè. Tommaso Foti, ministro per gli Affari Europei, lo ricorda come “fondatore della maison che porta il suo nome”, “ha contribuito in modo determinante a fare del Made in Italy un marchio di eccellenza riconosciuto e ammirato ovunque”. “Grande lavoratore, ambasciatore del nostro Paese nel mondo, simbolo della moda e dell’eleganza italiana”, dice la ministra del Lavoro Marina Calderone. “Con il suo genio creativo ha reso l’Italia sinonimo di stile, eleganza e classe in tutto il mondo”, aggiunge il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. “Ha trasformato un mestiere in un’arte”, lo piange Federmoda.

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In arrivo norma per tracciare sostenibilità nella moda

Il comparto moda è nel caos, travolto ogni mese da un nuovo scandalo ambientale o di sfruttamento del lavoro. Per tentare di porre un argine, Adolfo Urso annuncia una norma per certificare la sostenibilità e la legalità delle imprese del settore. “La moda è il volto dell’Italia nel mondo e, in quanto tale, va tutelata e valorizzata”, spiega il ministro al Tavolo nazionale per il settore, convocato al Mimit. Non permetterà, insiste, che “i comportamenti illeciti di pochi compromettano la reputazione dell’intero comparto, penalizzando tante aziende virtuose e, di conseguenza, il nostro Made in Italy, simbolo di eccellenza e qualità”.

Il provvedimento avrà l’obiettivo di certificare l’intera filiera che fa capo al titolare del brand, sulla base di verifiche preventive, in modo da escludere che quest’ultimo debba rispondere per comportamenti illeciti o opachi riconducibili ai fornitori o ai sub-fornitori lungo la catena.

Lo strumento dei protocolli contro il caporalato è sicuramente importante e necessario, ma non sufficiente”, ammette il ministro, precisando che la nuova norma offrirà una “soluzione strutturale che tuteli tutti”.

Il ministero ha già messo a punto il Piano Italia Moda, per consolidare la filiera delle Pmi e degli artigiani: “E’ il frutto di un percorso di ascolto con tutte le rappresentanze del comparto, nella convinzione che occorra sostenere la crescita e l’aggregazione per rafforzarne competitività, coesione e continuità”, sostiene Urso. Nella prossima Legge di Bilancio, verrà proposta una nuova misura a sostegno del design e della realizzazione dei nuovi campionari: un’edizione aggiornata del Credito d’Imposta, con una dotazione prevista di 250 milioni di euro. Tutto per tutelare un comparto che risentirà inevitabilmente del peso dei dazi annunciati da Donald Trump a partire dal primo agosto. Il governo promette di non abbandonare le trattative fino alla fine: “Occorre negoziare a oltranza, fino a trovare una soluzione davvero equa e sostenibile”, garantisce Urso, evidenziando come una mancata intesa “avrebbe gravi ripercussioni anche sul settore, simbolo di un Made in Italy a cui i consumatori americani non vogliono assolutamente rinunciare”. Sono ore decisive: “Noi non ci arrendiamo a chi già evoca misure di ritorsione – promette -. Occorre scongiurare la guerra commerciale”.

Inditex, Finanza etica boccia la Relazione di Sostenibilità

Troppe contraddizioni tra marketing e attività. Troppo “greenwashing“. Nell’assemblea annuale di Inditex, Fondazione Finanza Etica denuncia le storture del colosso spagnolo del fast fashion e vota contro la relazione Consolidata di Sostenibilità 2024-2025.

Inditex è proprietario, tra gli altri, di Zara, Bershka, Pull&Bear e Massimo Dutti e sarebbe per il Gruppo Banca Etica totalmente incoerente: da un lato predicando un’immagine di sostenibilità sociale e ambientale solida dell’azienda, dall’altro alimentando con la pratica l’emergenza climatica e mettendo sotto pressione i diritti dei lavoratori. Con la Banca Etica, anche Mandarine Gestion, società di gestione finanziaria francese specializzata in investimenti responsabili (5 miliardi di euro di capitale gestito), comunica che non approverà la Relazione.

Le due organizzazioni detengono complessivamente oltre 56mila azioni di Inditex e sono tra le realtà fondatrici di SfC-Shareholders for Change, una rete europea di investitori istituzionali impegnata a promuovere la due diligence sociale, ambientale e sui diritti umani attraverso l’azionariato attivo e il dialogo con le impres. SfC, fondata nel 2017, rappresenta oltre 45 miliardi di euro di asset in gestione e, nel complesso, riunisce investitori che detengono più di 110 mila azioni Inditex, a conferma che le preoccupazioni su clima e diritti non riguardano solo il mondo della finanza etica, ma coinvolgono anche investitori istituzionali responsabili, attenti a integrare criteri ambientali e sociali nelle proprie decisioni.

“Nel 2024, le emissioni di gas serra da trasporto e distribuzione di Inditex hanno superato 2,6 milioni di tonnellate di CO₂, quasi pari al 20% dell’impronta climatica complessiva del Gruppo Inditex”, denuncia Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica, intervenuto in assemblea. “È un dato che evidenzia la contraddizione tra l’impegno dichiarato sul clima e l’aumento costante del ricorso ai voli per alimentare il fast fashion. Altri competitor, come H&M, mantengono la quota delle proprie emissioni di gas serra derivanti dal trasporto aereo al di sotto dell’1% del totale delle delle proprie emissioni da trasporto e hanno ridotto del 32,5% le emissioni di CO₂ legate alla logistica tra il 2019 e il 2024. Lo scorso anno avevamo già sollevato queste preoccupazioni, ma non abbiamo ricevuto risposte concrete”.

Gli investitori hanno chiesto al Consiglio di Amministrazione di pubblicare un piano dettagliato per ridurre ed eliminare gradualmente il trasporto aereo, con obiettivi annuali chiari e di fornire dati trasparenti su emissioni, modalità di trasporto e uso di carburanti sostenibili, integrando questi indicatori nei criteri di remunerazione ESG del management.

Oltre alla questione climatica, Finanza Etica segnala continue tensioni sindacali aperte in Bangladesh, dove quasi 3 mila persone lavoratrici della filiera Inditex rischiano procedimenti penali legati alle proteste per il salario minimo del 2023. “Si tratta di un clima di tensione che non può essere ignorato”, tuona Meggiolaro. “Inditex ha la responsabilità di chiedere ai propri fornitori il ritiro di queste accuse e di garantire la libertà sindacale”. L’intervento degli azionisti si affianca alle mobilitazioni pacifiche promosse oggi in diverse città europee, tra cui Milano e Barcellona, da Fair e Setem, organizzazioni aderenti alla rete della Clean Clothes Campaign in Italia e in Spagna, che chiedono maggiore coerenza tra gli impegni ambientali e sociali e le pratiche effettive della multinazionale.

Dieci idee per decarbonizzare la moda

Decarbonizzare l’industria della moda in modo virtuoso. H&M Foundation raccoglie la sfida e premia dieci visionari con il Global Change Award 2025. Il riconoscimento non è solo di prestigio, perché ogni vincitore riceve una sovvenzione da 200mila euro e partecipa al Gca Changemaker Program di un anno, che offre supporto all’innovazione e crescita personale. Riciclo intelligente, pompe di calore per sostituire caldaie a gas e a gasolio, sistemi circolari che favoriscono un’integrazione capillare. Le idee vincitrici di quest’anno provengono da tutto il mondo e guardano a un obiettivo comune: dimezzare le emissioni di gas serra dell’industria su base decennale e raggiungere lo zero netto entro il 2050, in un modo che sia equo sia per le persone che per il pianeta. “Il Global Change Award va oltre le innovazioni specifiche”, spiega Annie Lindmark, Program Director presso H&M Foundation. “Si tratta di ripensare l’intero sistema moda. Un’innovazione da sola non risolverà il problema del settore: dobbiamo scuotere le fondamenta e rivoluzionare il modo in cui innoviamo. Ecco perché sosteniamo i talenti all’inizio del loro percorso. Questi innovatori non si limitano a risolvere i problemi, ma sfidano sistemi obsoleti e ci mostrano come potrebbe essere un nuovo futuro. È ora di smettere di modificare e iniziare a trasformare”. ‘DecoRpet’ è un progetto che viene dalla Cina e riguarda un processo di decolorazione a bassa temperatura che riduce il consumo di energia e fornisce Pet riciclato di alta qualità per la produzione di nuovi tessuti. Con ‘Thermal Cyclones’, progetto dal Regno Unito, pompe di calore industriali rivoluzionarie promettono di sostituire le caldaie tradizionali e di ridurre il consumo energetico di oltre il 75%. ‘Pulpatronics’, ancora dal Regno Unito, produce etichette cartacee RFID senza metallo e senza chip – riciclabili, economiche e realizzate con inchiostro a base di carbonio. Il futuro della tracciabilità sostenibile. ‘CircularFabrics’ viene dalla Germania ed è una tecnologia Nyloop® che recupera nylon di alta qualità da rifiuti tessili misti, chiudendo il cerchio di uno dei materiali più utilizzati nella moda. ‘A Blunt Story’ è un progetto indiano, una suola priva di plastica, realizzata con materiali biologici e riciclati, che rappresenta un netto distacco dalle calzature a base fossile. ‘Brilliant Dyes’ è dal Regno Unito la start-up è sfrutta la potenza dei cianobatteri, per creare coloranti biodegradabili con un metodo di estrazione a basso consumo energetico. Dal Bangladesh viene premiato il ‘Decarbonization Lab’, uno spazio dedicato alla ricerca e allo sviluppo, all’avanguardia per le basse emissioni, con particolare attenzione ai trattamenti tessili e alle tecniche di tintura per modernizzare le pratiche industriali obsolete. ‘Renasens’ è una tecnologia svedese che senza acqua e senza sostanze chimiche trasforma i rifiuti tessili misti in materie prime, senza depolimerizzazione e inquinamento. C’è poi una piattaforma per la diffusione del consumo consapevole, ‘Loom’, che mette in contatto gli utenti con i designer per riciclare gli abiti non indossati convertendoli in capi unici. Il Progetto ‘Jolly’ viene dal Ghana e si chiama ‘The Revival Circularity Lab’, un hub creativo nel mercato Kantamanto di Accra che trasforma gli scarti tessili in valore, dando potere agli artigiani e sviluppando la circolarità locale. “Per decarbonizzare veramente la moda, dobbiamo ripensare ogni parte della catena del valore, da come vengono prodotte le fibre a come vengono riutilizzati gli indumenti”, sostiene Karl-Johan Persson, Founder e Board Member di H&M Foundation. “Questi innovatori ci ricordano che la trasformazione inizia con l’immaginazione e l’azione. Le loro idee evidenziano modi concreti per sfidare lo status quo e portare l’industria verso un futuro a zero emissioni”. Il Global Change Award, dal 2015, ha sostenuto 56 innovazioni con una sovvenzione complessiva di 10 milioni di euro, in costante evoluzione per affrontare la sfida più grande del settore.

Raptus&Rose registra Made in Planet, il suo incontro di culture

Velluti devoré, broccati di Varanasi, crêpe di seta giapponesi, ikat uzbeki riprendono vita in forme nuove, più moderne, più occidentali e con tante storie da raccontare. Così nasce il Made in Planet ® di Raptus and Rose. Una commistione di tecniche autentiche da non dimenticare, con una catena del valore controllata, lavoratori che sono artigiani (e non operai) da tutto il mondo. E nessuno spreco. Neanche un lembo di tessuto si perde con gli abiti di questa realtà, nata nel 2011 dall’estro, la passione e l’esperienza della designer Silvia Bisconti, scomparsa un anno fa, nel marzo del 2024.

“Cos’è che contraddistingue davvero il Made in Italy?”, si chiede Giorgio Tollot, prototipista e progettista di Raptus&Rose. Lo incontriamo nell’allestimento temporaneo romano della maison bellunese. Esaltare le competenze regionali è la missione principale del Made in Planet ®. “In Italia abbiamo delle specificità produttive molto importanti – osserva Tollot parlando a GEA-, ma anche l’Utzbekistan ha una produzione incredibile di Ikat, così come gli indiani producono dei cotoni di grande pregio. La qualità del block print è meravigliosa”. “Poesia”: la descrive così quella tecnica di stampa su tessuto con blocchi di legno intagliati, imbevuti nel colore e utilizzati con precisione chirurgica.

Raptus and Rose si impegna a trovare, direttamente sul posto in cui nascono, singole realtà che non sfruttino la manodopera. “Ogni parte del mondo ha la sua tecnica particolare, la sua specificità, e il nostro Made in Planet ® le vuole preservare”, scandisce il prototipista. Del materiale acquistato e rimodellato non avanza nulla. Intorno a noi, ‘volteggiano’ appesi alle assi del soffitto dell’ex magazzino delle cererie di Trastevere alcuni cappottini in seta leggeri e luminosi. Sono ispirati a Jane Austen, la scrittrice inglese dà il nome al capo che nasce da un sari indiano. “Studiamo il cartamodello sul tessuto, che è lungo 5 metri, alto 1 metro e 10 – spiega il progettista -. La parte iniziale, che è molto ricamata, la usiamo per il corpino e le maniche, quella alta del bordo la usiamo per il collo, la parte bassa la usiamo, tutta arricciata, per la gonna e di quel sari non sprecheremo nulla”.

L’idea è quella di ibridare le culture, i materiali e le forme per rendere il Made in Planet ® indossabile e “tangibile”. Così, un design occidentale coesiste con un tessuto orientale e crea un nuovo oggetto che ne preserva l’eccellenza. Lo ‘European Kimono‘ nasce dagli haori e dai kimoni originali giapponesi, re-stilizzati: “Smontiamo completamente il capo e pratichiamo un restauro conservativo, come gli architetti”, racconta. Così si rende un kimono più indossabile: le maniche diventano meno ingombranti, spuntano le tasche e le pence. Gli avanzi vengono poi abbinati ad altri tessuti per creare delle storie nuove. Come l”Uzbekistan Coat‘, che usa un tessuto uzbeko, unito a un devoré per il corpetto e a una striscia di kimono per il cinturino. I fornitori sono tutti conosciuti al team di Raptus and Rose: “Noi gli parliamo fisicamente e vediamo come stanno, se hanno un posto di lavoro, una vita dignitosa e per noi il rapporto umano diventa un plus”. Questo è il ‘Made in Planet’: mantenere vive, senza sfruttarle, le eccellenze del mondo.

Moda, governo lavora a rilancio. Urso: 250 mln per imprese

Continua il lavoro del governo per il rilancio del comparto moda, un “asset strategico per il Made in Italy, con 100 miliardi circa di fatturato e un export atteso di 90 miliardi nel 2024“. Il ministro Adolfo Urso presiede un nuovo tavolo permanente sul settore, al Mimit, per un confronto con imprese, ministeri, sindacati ed enti locali che trovi un punto di caduta per affrontare la sfida della duplice transizione green e digitale. “La battaglia per la sostenibilità industriale si vince o si perde in Europa“, mette in chiaro Urso, al lavoro sull’intero fronte della revisione e della attuazione dei regolamenti europei, insieme al Mase.

Nella riunione il ministro annuncia che per il 2025 il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha destinato al settore 250 milioni di euro: 100 milioni per i Contratti di sviluppo, 100 milioni ai Mini contratti di sviluppo, 15 milioni per accompagnare la transizione ecologica e digitale, e 30,5 milioni per promuovere la sostenibilità nel settore moda. Una “cifra significativa”, spiega, messa a disposizione attraverso “strumenti concreti per dare alle aziende della moda la stabilità e la fiducia di cui hanno bisogno per tornare a crescere”. Nel corso dell’anno, poi, saranno destinate alle imprese di tutti i settori produttivi risorse per oltre 22 miliardi di euro. “Massimo sforzo” per il rilancio industriale, rivendica Urso, illustrando le misure messe in campo dal governo, che annoverano circa 9 miliardi per le misure fiscali Piano Transizione 4.0 e 5.0 e Ires premiale; 2,2 miliardi per il credito d’imposta nella ZES unica; oltre 7,5 miliardi tra contratti e mini contratti di sviluppo; 1,7 miliardi della Nuova Sabatini.

“Un impegno importante a fronte delle ristrettezze del Bilancio, a cui possono usufruire anche le imprese del comparto moda, di cui 3 miliardi dedicati esclusivamente alle PMI e 4 miliardi destinati esclusivamente alle imprese del Mezzogiorno”. Riguardo il tema del credito d’Imposta Ricerca e Sviluppo, Urso ha annunciato la presentazione di un emendamento al Dl Milleproroghe per migliorare la misura già predisposta in Legge di Bilancio “per dare una soluzione, per quanto sostenibile, a quanto accaduto nel passato, che pesa come un macigno anche sulle imprese della moda”. L’emendamento, tra l’altro, riapre i termini di adesione alla procedura di riversamento e prevede uno sconto in sostituzione del contributo – che avrebbe penalizzato imprese che devono riversare somme rilevanti – nei limiti di uno stanziamento complessivo di 250 milioni. Sull’occupazione, il ricorso delle aziende della moda alla cassa integrazione straordinaria nell’ultimo anno è stato particolarmente limitato. Secondo il monitoraggio dell’Inps per il 2024 e il 2025 per il settore della moda, su cui il governo ha stanziato circa 110 milioni di euro, si evince che sono stati erogati allo stato attuale solo 2,9 milioni per la CIG. Mimit e Ministero del Lavoro avvieranno un confronto con le Regioni affinché, nel prorogare la misura sulla cassa integrazione, si possa anche riperimetrare il raggio di azione.

Mentre le Regioni spingono per estendere gli ammortizzatori sociali, i sindacati di settore (Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil) avanzano una propria proposta in cinque punti: una politica industriale complessiva che valorizzi il comparto moda, con interventi a sostegno delle imprese e degli investimenti in Italia; una riforma e un rifinanziamento degli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori del settore; attenzione alle politiche di filiera e di sostenibilità, che considerino legalità, salute e sicurezza come elementi prioritari; impegno diretto e costante del Ministero delle Imprese e del Made in Italy sui singoli Tavoli di crisi; un Tavolo permanente per concordare eventuali azioni correttive, che a partire da casi di deindustrializzazione dei distretti, valuti atti concreti per contrastare il fenomeno.

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Imprese, ok in cdm al primo ddl sulle Pmi. Urso: Svolta strategica”

Via libera in consiglio dei ministri al primo disegno di legge annuale sulle Pmi, che introduce misure strategiche incentivando l’aggregazione, l’innovazione del sistema produttivo e l’accesso al credito.

Tra gli interventi principali, spiccano i ‘Mini Contratti di Sviluppo’ per il settore Moda, le Centrali consortili per coordinare le filiere produttive e nuovi incentivi fiscali per le reti d’impresa. Vengono promossi il ricambio generazionale con assunzioni agevolate di giovani, la tutela della concorrenza con norme contro le false recensioni online e il riordino della disciplina dei Confidi per semplificare l’accesso al credito.

Una svolta per la politica industriale del nostro Paese che valorizza il ruolo delle piccole e medie imprese, cuore pulsante dell’economia nazionale e dell’identità produttiva del Made in Italy, attraverso un sistema normativo mirato all’innovazione, alla competitività e alla crescita“, spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il ddl rappresenta la prima attuazione dell’art. 18 della Legge 180 del 2011, che aveva previsto l’adozione di una legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, “impegno disatteso da tutti i governi che ci hanno preceduto e che noi intendiamo rispettare puntualmente ogni anno, come stiamo facendo per la legge annuale sulla concorrenza, secondo una chiara visione strategica“, afferma Urso.

Nel dettaglio, vengono introdotte misure per incentivare forme di aggregazione tra imprese del settore Moda, per consentire alle Pmi del comparto di unire le forze e affrontare con maggiore efficacia le sfide del mercato globale, incrementando la capacità di investimento, di innovazione e la propria presenza sui mercati internazionali. A questo scopo sono destinati alle filiere del comparto Moda fino a 100 milioni di euro per i ‘Mini Contratti di Sviluppo’, finalizzati a sostenere programmi di investimento di importo non inferiore a 3 milioni di euro e non superiore a 20 milioni. Il disegno di legge introduce inoltre le ‘Centrali consortili’, nuovi enti giuridici che fungono da strutture di indirizzo e coordinamento per le micro, piccole e medie imprese già organizzate in consorzi di filiera. Questi enti mirano a rafforzare la competitività e l’innovazione delle imprese attraverso modelli di cooperazione efficienti e solidali. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy esercita la vigilanza esclusiva per garantire il rispetto delle finalità mutualistiche. La norma delega il Governo a disciplinare il funzionamento e la vigilanza delle Centrali consortili entro 12 mesi. Per favorire l’accesso al credito delle micro, piccole e media imprese, il disegno di legge attribuisce al Governo una delega per il riordino normativo della disciplina dei Confidi, a oltre vent’anni dall’emanazione della legge in materia. L’obiettivo dell’intervento è semplificare e riorganizzare le regole che disciplinano questo strumento, attraverso la revisione dei requisiti di iscrizione all’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico Bancario (TUB), l’ampliamento delle attività consentite, la promozione di processi di aggregazione tramite agevolazioni normative e l’estensione delle possibilità operative per i Confidi iscritti. Sono inoltre previste misure per ridurre i costi di istruttoria nella valutazione del merito creditizio delle imprese e interventi volti a favorire l’integrazione tra consorzi, consentendo loro di partecipare ad altri enti senza modificare il proprio oggetto sociale.

Sono inoltre introdotti incentivi fiscali per le imprese che aderiscono a un contratto di “rete soggetto”, consentendo la sospensione d’imposta sulla quota di utili destinata a investimenti previsti dal programma comune di rete. L’agevolazione, finanziata fino a 45 milioni di euro dal 2027 al 2029, riguarda gli utili realizzati tra il 2026 e il 2028, destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio dedicato all’affare.

Per incrementare l’occupazione giovanile, il Ddl contiene una disposizione sulla “staffetta generazionale” nelle imprese, che mira a liberare in anticipo nuovi posti di lavoro mediante un sistema di pensionamento flessibile, che consenta al lavoratore anziano una migliore conciliazione vita/lavoro e, al contempo, attui il trasferimento delle competenze professionali a favore di giovani lavoratori assunti in sua parziale sostituzione. Viene quindi introdotto, per le imprese fino a 50 dipendenti, un sistema di trasferimento generazionale con part-time incentivato per l’accompagnamento alla pensione e assunzioni agevolate di giovani under 35, garantendo così il passaggio di know-how. Il neoassunto potrà sostituire integralmente la posizione lavorativa del lavoratore anziano, una volta cessato il rapporto di lavoro di quest’ultimo.

Per contrastare il fenomeno delle false recensioni online nel mercato della ristorazione e del turismo e per garantire una concorrenza leale ed equa, il Ddl interviene prevedendo l’obbligo di verificare l’attendibilità della recensione, assicurandosi che questa sia realmente scritta da un consumatore che abbia effettivamente usufruito del servizio o acquistato il prodotto recensito. La disposizione definisce che il consumatore potrà rilasciare una recensione motivata entro 15 giorni dalla data di utilizzo del servizio. L’impresa interessata potrà richiederne la cancellazione nel caso in cui il giudizio risulti falso o ingannevole, o qualora il commento non dovesse più essere attuale trascorsi i due anni dalla sua pubblicazione o in ragione dell’adozione di misure idonee a superare le criticità che avevano dato origine al giudizio espresso. Infine, a tredici anni dal primo “Startup Act”, il Ddl delega al Governo l’adozione di un decreto legislativo per la redazione di un testo unico in materia di startup, incubatori e Pmi innovative. L’obiettivo è coordinare le norme vigenti, apportando modifiche per migliorarne la coerenza giuridica, logica e funzionale, e abrogare espressamente le disposizioni obsolete o prive di contenuto normativo. Viene consolidata la figura del Garante per questo comparto di imprese e ampliati i suoi compiti, con lo scopo di promuovere la cultura, la formazione e la crescita dell’ecosistema italiano dell’innovazione tecnologica per massimizzarne la competitività.

Comparto moda chiede tempi realistici per la transizione

Ripensare totalmente l’approccio alla sostenibilità, nell’ottica della ‘rigenerazione’ dell’intero settore moda. L’appello arriva dal Venice Sustainable Fashion Forum, che oggi apre i lavori della terza edizione.
Nel summit sono coinvolti Sistema Moda Italia, The European House – Ambrosetti e Confindustria Veneto Est – Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso. Gli artigiani, i designer, le imprese, l’indotto: tutti chiedono una rigenerazione guidata attraverso l’innovazione, l’economia circolare, il sostegno della finanza, le aggregazioni e, soprattutto, coinvolgendo l’intera filiera alle prese con un mutamento dei consumi senza precedenti.
Il titolo della terza edizione riassume gli intenti: ‘Leading Re-Generation’, appunto, guidare la ri-generazione. In altre parole, tracciare nuovi paradigmi nel processo di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Il traguardo è ambizioso, spiega Sergio Tamborini, presidente di Smi: “Rigenerare una delle industrie di maggior valore della nostra economia, grazie all’innovazione e a una visione di circolarità che coinvolga tutti gli attori del comparto”. Se la congiuntura economica non aiuta si addensano nuovi elementi di burocrazia su qualcosa che, osserva, “non dovrebbe mai mettere in discussione la crescita: la certezza del diritto”. Si riferisce al credito d’imposta sulla ricerca e l’innovazione, ma anche alla trasparenza garantita da contratti già esistenti, ora un onere a carico della filiera.
Chiede più “coesione” dell’intero settore Flavio Sciuccati di The European House – Ambrosetti. E’ necessaria, scandisce, per affrontare “questa forte complessità economica, insieme alla sfida europea della sostenibilità”. Per fare questo è imprescindibile che i tre elementi strategici del sistema collaborino strettamente tra di loro: “i grandi marchi, i piccoli marchi e l’intera filiera produttiva che rappresenta oggi sicuramente l’anello più debole e va sostenuta e preservata”.
I numeri del comparto sono impressionanti. Per fare un esempio, il Tessile-Moda, Calzature e Pelletteria, solo in Veneto, supera i 14,5 miliardi di export e 100mila addetti. “La transizione sostenibile è una via obbligata e un driver di crescita per il settore che, però, ha bisogno di tempo adeguato”, mette in guardia Leopoldo Destro, presidente Confindustria Veneto Est. Guai, quindi, a “confondere politiche ambientali e regolatorie autoreferenziali con politiche industriali. Questo approccio non ci aiuta”, avverte, assicurando di condividere gli obiettivi ambiziosi del Green Deal, ma senza ignorare i pilastri della transizione come la neutralità tecnologica. La transizione va invece “accompagnata, con norme realistiche e adeguati stimoli agli investimenti”.