Comparto moda chiede tempi realistici per la transizione

Ripensare totalmente l’approccio alla sostenibilità, nell’ottica della ‘rigenerazione’ dell’intero settore moda. L’appello arriva dal Venice Sustainable Fashion Forum, che oggi apre i lavori della terza edizione.
Nel summit sono coinvolti Sistema Moda Italia, The European House – Ambrosetti e Confindustria Veneto Est – Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso. Gli artigiani, i designer, le imprese, l’indotto: tutti chiedono una rigenerazione guidata attraverso l’innovazione, l’economia circolare, il sostegno della finanza, le aggregazioni e, soprattutto, coinvolgendo l’intera filiera alle prese con un mutamento dei consumi senza precedenti.
Il titolo della terza edizione riassume gli intenti: ‘Leading Re-Generation’, appunto, guidare la ri-generazione. In altre parole, tracciare nuovi paradigmi nel processo di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Il traguardo è ambizioso, spiega Sergio Tamborini, presidente di Smi: “Rigenerare una delle industrie di maggior valore della nostra economia, grazie all’innovazione e a una visione di circolarità che coinvolga tutti gli attori del comparto”. Se la congiuntura economica non aiuta si addensano nuovi elementi di burocrazia su qualcosa che, osserva, “non dovrebbe mai mettere in discussione la crescita: la certezza del diritto”. Si riferisce al credito d’imposta sulla ricerca e l’innovazione, ma anche alla trasparenza garantita da contratti già esistenti, ora un onere a carico della filiera.
Chiede più “coesione” dell’intero settore Flavio Sciuccati di The European House – Ambrosetti. E’ necessaria, scandisce, per affrontare “questa forte complessità economica, insieme alla sfida europea della sostenibilità”. Per fare questo è imprescindibile che i tre elementi strategici del sistema collaborino strettamente tra di loro: “i grandi marchi, i piccoli marchi e l’intera filiera produttiva che rappresenta oggi sicuramente l’anello più debole e va sostenuta e preservata”.
I numeri del comparto sono impressionanti. Per fare un esempio, il Tessile-Moda, Calzature e Pelletteria, solo in Veneto, supera i 14,5 miliardi di export e 100mila addetti. “La transizione sostenibile è una via obbligata e un driver di crescita per il settore che, però, ha bisogno di tempo adeguato”, mette in guardia Leopoldo Destro, presidente Confindustria Veneto Est. Guai, quindi, a “confondere politiche ambientali e regolatorie autoreferenziali con politiche industriali. Questo approccio non ci aiuta”, avverte, assicurando di condividere gli obiettivi ambiziosi del Green Deal, ma senza ignorare i pilastri della transizione come la neutralità tecnologica. La transizione va invece “accompagnata, con norme realistiche e adeguati stimoli agli investimenti”.

A Parigi sfila Kévin Germanier: il ‘Frankenstein’ dell’upcycling

Photo credit: AFP

 

Sulle passerelle di Parigi sfila un rivoluzionario dell’upcycling, lo stilista svizzero Kévin Germanier.

Maestro delle perle e del colore, il designer appartiene alla giovane generazione di stilisti che dalle Olimpiadi si stanno affermando nella nuova scena della moda parigina. Recupera, ricicla, ricuce, crea qualcosa di totalmente nuovo e inaspettato dagli scarti: “Nel mondo della moda ci piace che tutto sia ‘slick’ (immacolato), ma io mi vedo un po’ come Frankenstein, che sperimenta e armeggia con i suoi piccoli trucchi”, spiega il 32enne. Il suo stile è regressivo, giocoso e colorato. Pompon giganti, perline e padronanza dell’alta moda. È su questo nome in ascesa, amato da redattori e fashionisti, che la costumista delle Olimpiadi di Parigi di quest’estate, Daphné Bürki, ha puntato per la cerimonia di chiusura.

Durante i nove mesi di preparazione top-secret per il costume del ‘Voyageur d’oro‘, che è saltato dal tetto dello Stade de France con una tuta d’oro, Kévin Germanier dice di aver vissuto “l’esperienza di una vita”. Vogue lo ha definito “il costume più impressionante della cerimonia”. Gli utenti di Internet si sono scatenati su questa sagoma di una creatura volante, in parte vespa, in parte zanzara, in parte fuoco d’artificio. C

ome il resto della sua generazione, per convinzione ma anche per necessità, lo stilista ha fatto una religione dell’upcycling: l’utilizzo di scarti di tessuto, materiali di magazzino e altri articoli invenduti. Tutto è iniziato durante un corso di formazione a Hong Kong, con sacchetti di perle “troppo vicini alla finestra che si erano scoloriti al sole”, racconta Kévin Germanier. “L’upcycling non è andare in un negozio vintage e ricavare qualcosa da una maglietta, ma è ricavare qualcosa dalla spazzatura”, osserva.

Lo svizzero, nato a Granges nel Canton Vallese, è cresciuto con le gonne della madre e della nonna, notando già che “quando c’è un buco si cuce un fiore piuttosto che andare a comprarne uno nuovo”. Incoraggiato dalla famiglia, si è iscritto alla prestigiosa scuola Central Saint Martins di Londra. “Tutti i miei progetti erano neri, grigi e beige e, per la mia collezione di laurea, dato che non avevo nulla da perdere poiché sapevo già che mi aspettava un lavoro da Vuitton, mi sono detto: tutto deve brillare”, racconta. “È una gag”, dice ridendo. “È importante essere spiritosi e anticonformisti in questo settore”, insiste lo stilista, sottolineando che ”fa abiti con piume e paillettes. Non stiamo curando una malattia, quindi va tutto bene”. Parigino d’adozione, “molto vicino ai numeri come tutti gli svizzeri”, coltiva tuttavia la sua cultura imprenditoriale con metodo, e il successo lo ha portato nei guardaroba di Lady Gaga e Taylor Swift. “La moda è prima di tutto un business, ed è importante trovare il prodotto che andrà a ruba, quindi un profumo, una piccola borsa o un foulard”, scandisce. Il suo best-seller è una piccola borsa baguette multicolore con una tracolla di perle, molto pop. Assunto da LVMH per rovistare nelle scorte e riciclare i rifiuti attraverso un progetto “tenuto segreto”, l’ambizioso designer, che sogna un posto di direttore artistico da Dior, ripete che è entrando in questo tipo di casa “che si possono davvero cambiare le cose”. “Non so se sia il mio destino, ma finché creo – avverte Kévin Germanier -, farà parte del mio processo, e quando mi divertirò meno, smetterò”.

Moda, nuovo sostegno da 15 mln per transizione green

Dopo il pacchetto di aiuti presentato ad agosto, va dalla moratoria sui debiti, alla cassa integrazione, passando per una sanatoria sui crediti R&S e la promozione all’estero, con il sostegno all’economia circolare, Adolfo Urso cala un’altra carta buona per il comparto moda.
In un decreto interministeriale a doppia firma con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro delle Imprese e del Made in Italy dispone le modalità di attuazione per sostenere la transizione ecologica e digitale delle imprese del settore tessile, della moda e degli accessori nel Paese. Alla misura sono destinati 15 milioni di euro.

Le agevolazioni alle imprese beneficiarie – identificate con i codici Ateco – saranno concesse sotto forma di contributo a fondo perduto, per (al massimo) il 50% delle spese ammissibili e nel limite di 60mila euro, per l’acquisizione di prestazioni specialistiche. Potranno cioè essere finanziate con questi fondi le attività di formazione del personale dipendente dell’impresa; l’ implementazione di una o più tecnologie abilitanti finalizzate a favorire lo sviluppo dei processi aziendali o i prodotti innovativi (come cloud computing, big data e analytics, intelligenza artificiale, blockchain, robotica avanzata e collaborativa, manifattura additiva e stampa 3D, Internet of Things, realtà aumentata, soluzioni di manifattura avanzata, piattaforme digitali per condivisione di competenze, sistemi di tracciabilità digitale della filiera produttiva), l’ottenimento di certificazioni di sostenibilità ambientale e i servizi di analisi di Life Cycle Assessment (LCA).

L’industria italiana della moda, “ha bisogno di particolare attenzione“, spiega Urso, descrivendo il provvedimento come un “tassello importante” di un più ampio piano di sostegno al settore, ma anche per accelerare gli investimenti nella transizione e sviluppare le competenze richieste per affrontare queste sfide.

La misura sarà gestita da Invitalia che, per conto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, svolgerà l’istruttoria per l’ammissione alle agevolazioni. Con successivo provvedimento del Mimit saranno fissati i termini per la presentazione delle domande di agevolazione e fornite eventuali ulteriori specificazioni per la corretta attuazione dell’intervento.

Il comparto moda in crisi: Urso presenta pacchetto interventi

La moda è una delle punte di diamante del Made in Italy e, per evitare che la crisi congiunturale e gli sforzi per la doppia transizione si trasformino in zavorre, il Mimit corre ai ripari. Nel tavolo di settore al ministero, Adolfo Urso presenta il suo piano: un pacchetto di interventi che va dalla moratoria sui debiti, alla cassa integrazione, passando per una sanatoria sui crediti R&S e la promozione all’estero, con il sostegno all’economia circolare.

Al tavolo con il ministro, i rappresentanti dei dicasteri del Lavoro, dell’Economia, della Cultura, degli Affari Esteri, dell’Ambiente e Sicurezza Energetica. Ma anche esponenti della filiera, associazioni d’impresa e del mondo economico, rappresentanti sindacali e degli Enti locali. Questo perché al centro ci sono le principali sfide di settore, dal calo dei volumi produttivi, alla contrazione dei consumi e le incognite geopolitiche. Tutti vanno coinvolti e ascoltati.

Ci siamo impegnati ad assicurare insieme all’Abi la rimodulazione dei prestiti bancari, a garantire alle imprese del settore l’utilizzo a pieno delle risorse per gli ammortizzatori sociali e a introdurre una misura saldo e stralcio in merito all’annosa questione dei crediti di imposta“, informa Urso, ricordando il lavoro, insieme al ministero degli Esteri e all’Istituto del Commercio Estero, per promuovere sui mercati internazionali il settore della Moda e con i decreti attuativi al ddl Made in Italy stiamo sostenendo l’economia circolare.

Nello specifico, in tema di accesso al credito, su richiesta del Mimit è stata inviata una circolare esplicativa da parte dell’Abi agli istituti bancari con disposizioni per la ricalendarizzazione dei finanziamenti garantiti da Sace, Simest e Medicredito ottenuti dalle imprese durante la fase covid e a seguito della crisi per il conflitto ucraino.

Rispetto alle criticità emerse in relazione all’applicazione del Credito di Imposta R&S nel periodo 2015/2019 nel settore della Moda, si stanno studiando delle proposte normative. A riguardo, Urso ha sottolineato la volontà del Governo, in particolare del Mimit e del Mef, di individuare una soluzione alla problematica attraverso un apposito strumento normativo che potrebbe prevedere un ‘saldo e stralcio’, formula che consentirebbe a chi ha utilizzato questa misura di poter evitare ricorsi di natura legale.

Nella legge sul Made in Italy, poi, (il cui decreto attuativo è in fase di concertazione), si punta alla valorizzazione della filiera delle fibre tessili naturali e provenienti da processi da riciclo in cui si prevedono misure incentivanti a favore del comparto e per il settore conciario.

In materia di transizione, il ministero sta monitorando il Regolamento Ecodesign, entrato in vigore da poche settimane, che introduce requisiti minimi di ecoprogettazione per ogni tipologia di prodotto. E’ stata avviata un’interlocuzione con il Mef per realizzare uno strumento agevolativo tramite voucher già nella prossima Legge di Bilancio. Alla ripresa della pausa estiva il Ministero invierà un questionato alle imprese del settore per capire il quadro dei fabbisogni e delle necessità produttive derivanti dall’applicazione di questo regolamento al fine di sviluppare misure attuative.

Infine, in materia di ammortizzatori sociali, Urso ha precisato che sono state avviate interlocuzioni con il Ministero del Lavoro per venire incontro alle realtà in difficoltà. Alle imprese manifatturiere con più di 15 dipendenti viene data la possibilità di utilizzare a pieno le risorse per la cassa integrazione ordinaria (con poi possibile estensione a regime straordinario). Mentre per quelle con meno di 15 dipendenti, lo strumento utilizzato sarà erogato da un fondo gestito dalle associazioni artigiane che assicura una copertura di sei mesi.

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Dai geni ai jeans: allo studio varietà di cotone resistenti alla siccità

Dalle morbide T-shirt ai comodi jeans fino alle accoglienti lenzuola. Il cotone è la principale fibra tessile rinnovabile del mondo e la spina dorsale di un’industria globale che vale miliardi. Con l’intensificarsi dei cambiamenti climatici, i coltivatori di cotone si trovano ad affrontare sfide crescenti dovute alla siccità e al caldo. Tuttavia, una nuova ricerca offre la speranza di sviluppare varietà più resistenti, in grado di mantenere rese elevate anche in condizioni di stress idrico.

Un team interdisciplinare di ricercatori ha esaminato il modo in cui le diverse piante di cotone rispondono alla siccità a livello genetico in uno studio recentemente pubblicato sul Plant Biotechnology Journal. Hanno coltivato 22 varietà di cotone di montagna (Gossypium hirsutum L.) nella regione del basso deserto dell’Arizona, sottoponendo metà delle piante a condizioni di scarsità idrica. Analizzando i geni e i tratti fisici delle piante, gli scienziati hanno scoperto alcune affascinanti intuizioni sui meccanismi di gestione della siccità del cotone.

Due geni regolatori chiave svolgono un ruolo cruciale nell’aiutare le piante di cotone a gestire lo stress idrico mantenendo la produzione di fibre. Questi geni agiscono come direttori d’orchestra, coordinando l’attività di centinaia di altri geni coinvolti nella risposta alla siccità e nello sviluppo della fibra.

“Sembra che nel corso del tempo le piante di cotone abbiano evoluto questo meccanismo di regolazione che le aiuta a far fronte alle condizioni di siccità, pur continuando a produrre le fibre che sono così importanti dal punto di vista economico”, spiega Andrew Nelson, professore assistente presso il Boyce Thompson Institute.

Poiché il cambiamento climatico porta a siccità più frequenti e gravi in molte regioni produttrici di cotone, è fondamentale sviluppare varietà che possano prosperare con meno acqua. Questa ricerca fornisce preziose indicazioni e obiettivi genetici per guidare gli sforzi di selezione. Inoltre, la gamma di risposte alla siccità osservate tra i 22 tipi esaminati sottolinea quanto sia cruciale la diversità genetica per adattare le colture a condizioni mutevoli.

“In un mondo che si trova ad affrontare sfide ambientali crescenti – dicono i ricercatori – capire come le nostre piante più importanti rispondono agli stress a livello molecolare è più che mai vitale. Questo studio fa progredire le nostre conoscenze scientifiche e apre la strada a un’agricoltura più resiliente e sostenibile di fronte ai cambiamenti climatici”.

Imprese in difficoltà: Urso convoca tavolo moda 6 agosto

La crisi sfila anche in passerella e investe il comparto moda, uno degli asset portanti del Made in Italy, chiamato come gli altri a rispondere alle nuove esigenze delle transizioni green e digitale.

Che esista una difficoltà di mercato per molte imprese lo conferma il ministro Adolfo Urso: “Ci hanno chiesto alcune misure, come la moratoria di un anno dei mutui, la sospensione di alcuni pagamenti, l’allungamento del rimborso dei finanziamenti garantiti da Sace e da Simest e poi altri interventi sul credito di imposta per l’innovazione“, fa sapere dal Fashion & Luxury Talk di Rcs Academy.

Il confronto con il Mef è in corso e allo studio c’è un pacchetto di aiuti per le imprese in “questa fase temporanea, nella certezza che la moda italiana ha un grande futuro davanti a sé“, scandisce. Le misure che, con il collega Giancarlo Giorgetti, Urso sarà in condizione di realizzare e le altre in programma per la seconda parte della legislatura saranno discusse nel tavolo della moda convocato per il 6 agosto.

Come il ministro ricorda sui social, l’industria della moda italiana si è fatta largo nel mondo, diventando “sinonimo di perfezione” nei dettagli, nella ricerca, nella raffinatezza, nell’eleganza e nello stile. Molti marchi stranieri vengono realizzati in Italia perché “tutti ci riconoscono questa capacità di creazione“, rivendica l’inquilino di palazzo Piacentini.

La contrazione del mercato è iniziata con la pandemia, ma le guerre alle porte dell’Europa l’hanno esacerbata. Nonostante questo, l’industria fashion italiana è la prima in Europa e rappresenta il 50% del fatturato europeo, spesso realizzato da piccole e micro imprese, impiegando circa 600mila lavoratori.

La doppia transizione richiede comunque investimenti importanti in innovazione e ammodernamento. Una delle sfide del settore è l’integrazione dell’Ia, per ridurre sprechi e ottimizzare i processi di produzione, oltre che un evidente adeguamento delle competenze. Per il comparto, il governo ha già predisposto un ‘Fondo speciale‘ previsto dal Ddl Made in Italy, con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2023 e 10 milioni per il 2024. Il Piano Transizione 5.0 stanzia 13 miliardi a favore dei processi di digitalizzazione finalizzati alla sostenibilità green e di efficientamento energetico. Per formare nuove generazioni di lavoratori, è stato istituito il Liceo del Made in Italy e istituita la Fondazione imprese e competenze per ridurre il mismatch tra domanda e offerta.

Radici, ‘Chill-fit’ primo nylon tracciabile e con ‘poteri magici’

Il futuro della moda passa anche dal nylon sostenibile. Sembra incredibile, invece è la scommessa di Radici Group, che ogni anno regala al mondo novità avveniristiche. Quella di quest’anno si chiama Radilon Chill-fit: è un filato dalle caratteristiche “magiche”, giura Chiara Ferraris, chief communication officer del gruppo.

E’ un filato molto particolare, che punta l’occhio a una donna che vuole avere pochi capi nell’armadio, che possono essere utilizzati per molteplici occasioni e che quando li indossa devono farla stare bene tutto il giorno, garantirle un comfort e un benessere per molte ore“, spiega. La incontriamo tra i Fori dei mercati di Traiano a Roma, dove ogni anno si tengono gli stati generali della sostenibilità nella moda, il Phygital Sustainability Expo.

 

Perché parla di ‘poteri magici’?
Questo filato consente di avere una massima traspirabilità a contatto con la pelle, garantisce un estremo comfort perché facilita la traspirazione e assorbe, ha tutte le caratteristiche per dare benessere. E ha una funzione termoregolatrice, indossato, si ha immediatamente una sensazione di freschezza. Con il passare delle ore, continua ad abbassare un pochino la temperatura corporea. In una giornata può abbassarla anche di un grado.

Questo dà la possibilità di creare capi modulabili e componibili…
Esattamente. Ad esempio, una tutina da giorno può trasformarsi in un outfit completamente diverso per un cocktail o una serata particolare, estremamente versatile. Consigliamo ai nostri partner di utilizzarli per creare tessuti anche con caratteristiche diverse. Tra l’altro è anche leggermente più coprente, per cui può essere utilizzato anche con filature leggerissime per avere comunque però una buon consistenza e quindi, ancora una volta, migliorare il benessere. Ho, in pratica, un capo che è tecnico e quindi non si disfa, ma anche con un tessuto veramente leggero.

Come può un filato di nylon essere sostenibile, se è polimerico?
Qui stiamo parlando di polimeri ad altissime performance, sono fibre di valore, riciclabili e che possono provenire da riciclo. Noi in azienda facciamo entrambe le cose, produciamo la fibra vergine, se così possiamo chiamarla, da fonte fossile, dopodiché questa fibra la possiamo utilizzare durante tutta la sua vita come prodotto, come capo, e può essere riciclata a fine vita. Non ha neanche bisogno di un riciclo complicato, in azienda abbiamo i processi anche all’interno per poterla trasformare velocemente, è un riciclo termomeccanico, si alza leggermente la temperatura ma non ad alti gradi, e poi si estrude il prodotto. Con un bassissimo impatto ambientale si ricicla e da quel riciclo riusciamo a rigenerare un nuovo filo.

Altra caratteristica notevole è la tracciabilità. Come fate?
Presentiamo il primo caso di tracciabilità nel nylon, fisica e digitale insieme. Prendiamo un tracciante che inseriamo all’interno del nylon, come se fosse un ingrediente, per sempre connesso alla matrice polimerica, intrinsecamente è come se fosse un’anima che il filo si porta dietro. In questo modo, sappiamo che è stato prodotto in quello specifico stabilimento di Radici in Italia e questa informazione, man mano, potrà essere arricchita con le informazioni di tutti quelli che che lavoreranno il filo, del tessitore, del confezionista, del capo e il consumatore finale potrà sapere, in modo semplice e inquadrato in un QR code, qual è la tracciabilità di questo capo, quale percorso ha fatto. Ma in più, oltre a questa che potrebbe essere una tracciabilità digitale, in qualunque momento, anche dopo anni, noi dovessimo avere voglia di capire se un capo che non ha più l’etichetta, non ha più il QR code è arrivato davvero da Radici, con un semplicissimo scanner, appoggiandolo semplicemente sul capo, noi avremo l’informazione che è davvero dentro il nostro tracciante, proveniente da noi.

In questa direzione va la moda?
Questa è proprio la moda del futuro, sembra di stare nel futuro, ma oggi è attuale, questo oggi si può già iniziare a fare. Con la tracciabilità noi possiamo essere certi di dove un capo viene prodotto, per quello diventa una scelta super responsabile e consapevole. Noi a Radici Group, quest’anno, pubblichiamo il nostro ventesimo bilancio di sostenibilità, sono venti anni che dichiariamo tutti i nostri numeri, anche quando non se ne parlava, in giro non si sapeva cosa fosse, negli ultimi anni abbiamo visto una crescita di attenzione. Quando si fa il ventesimo bilancio di sostenibilità, si ha un’idea certa del proprio percorso, si può capire dove si è migliorato, dove c’è da migliorare, che cosa fare.

Tra i partner del G7 un progetto di moda sostenibile

Giacche in pelle d’uva, ricavate dagli scarti della produzione del vino, denim in cotone e gomma naturale, abiti tinti con polveri naturali da piante e arbusti del territorio, in collaborazione con laboratori artigianali specializzati.
Tra gli stand del Media Center del G7, nella fiera del Levante a Bari, spicca la pala di fico d’india di HavanaEco, capsule collection del Gruppo Toma, partner del vertice.

La collezione celebra la sostenibilità e l’artigianalità in un’edizione limitata di pezzi unici spiccatamente contemporanei e dettagliatissimi.
Siamo onorati di essere stati selezionati tra i partner di un evento così rilevante che mette la Puglia sotto i riflettori del mondo”, spiega il co-founder Sergio Toma.

Il progetto nasce nel 2022 come ricerca e valorizzazione del Made in Italy, del Made in Puglia e della sua tradizione manifatturiera. Il gruppo però è più che adulto e ha già compiuto 30 anni: “Un trentesimo compleanno ricco di soddisfazioni“, confessa Salvatore Toma altro co-founder e presidente di Confindustria Taranto.

Il lavoro è sulla sostenibilità “applicata e reale“, assicura, che “non può non tenere conto dell’imprescindibile apporto valoriale delle maestranze presenti sul nostro territorio. Dalla loro valorizzazione e da quella degli antichi processi artigiani siamo partiti per questo meraviglioso viaggio“.

Oltre a essere sostenibile e artigianale, la capsule è anche genderless, specchio di un mondo in piena trasformazione. I capi sono disegnati secondo le logiche dell’ecodesign, scegliendo materie prime certificate e innovative che vengono prodotte a partire da fibre derivanti dagli scarti di altre industrie.

A supporto della trasparenza e del consumo consapevole, “i capi HavanaECO sono corredati di passaporto digitale“, spiega Verdiana Toma, quarta generazione in azienda e sustainability manager. “Teniamo molto alla trasparenza anche nella comunicazione e attraverso il passaporto digitale divulghiamo i processi e le materie prime sottostanti al singolo articolo“, scandisce. Il DPP si arricchisce così di un “racconto emozionale dei prodotti e di una sezione ricca di consigli sul buon utilizzo degli stessi per educare il consumatore ad un consumo consapevole e sostenibile“.

Il guardaroba di Vivienne Westwood va all’asta per il clima e i diritti umani

Il guardaroba personale della stilista britannica Vivienne Westwood sta per essere messo all’asta a Londra, a favore di cause vicine al cuore della ‘regina del punk’. La vendita da Christie’s comprende più di 250 capi e accessori, la maggior parte dei quali sono stati indossati in passerella prima di tornare negli armadi della stilista.

La collezione comprende alcuni dei pezzi più iconici, con corsetti, tartan, abiti di taffetà fluttuanti, tacchi a spillo e T-shirt con messaggi a sfondo politico. La vendita online apre il 14 giugno e durerà fino al 28 giugno, mentre la vendita interna è prevista per il 25 giugno.

Tra gli oggetti messi all’asta ci sono carte da gioco progettate per attirare l’attenzione su questioni come il riscaldamento globale, la disuguaglianza sociale e i diritti umani. Dieci sono state firmate dalla designer, morto nel 2022 all’età di 81 anni, per raccogliere fondi per Greenpeace.

Il ricavato della vendita andrà anche ad associazioni come Amnesty International, Medici senza frontiere e alla fondazione della stilista, che collabora con le Ong per “creare una società migliore e fermare il cambiamento climatico”.

La responsabile del catalogo e coordinatrice della collezione Clementine Swallow spiega che le carte da gioco di Vivienne sono il catalizzatore di un’asta più ampia. Sebbene Vivienne Westwood “sapesse che non sarebbe stata in grado di vedere il progetto”, “voleva che il suo guardaroba personale fosse venduto per sostenere altri enti di beneficenza che erano importanti per lei”, aggiunge.

Il vedovo della stilista, Andreas Kronthaler, 58 anni, è stato molto coinvolto. “Ha assemblato personalmente tutti i lotti in abiti che lei avrebbe indossato”, dice Swallow. “Questi erano gli oggetti che lei aveva scelto, tra le migliaia di cose che aveva disegnato in 40 anni”, spiega, “e li considerava la quintessenza dei suoi disegni”.

La collezione comprende una serie di pezzi chiave che illustrano l’impatto culturale di Vivienne Westwood e l’ampia gamma di influenze che ha avuto nei quattro decenni della sua carriera. Il primo pezzo è un set di gonna e giacca della collezione autunno-inverno 1983, intitolata ‘Witches’, quando la stilista lavorava ancora con il suo primo marito e manager dei Sex Pistols, Malcolm McLaren.

Secondo Swallow, Westwood è stata influenzata dalla storia britannica ma ha dato ai modelli classici un tocco provocatorio, evocando un abito da ballo in taffetà con “fasce nere in stile bondage”. Molti capi presentano motivi politici e slogan che riflettono la sua attenzione per la giustizia sociale.

“Una parte importante dell’identità di Vivienne è l’attivismo”, “è davvero una di quelle stiliste che ha preso i suoi abiti e li ha usati come megafono per esprimere le sue idee e opinioni politiche”, secondo la direttrice del catalogo.

Tra gli altri pezzi scelti, il modello in tartan rosa di Vivienne Westwood e una giacca blu simile a quella indossata da Naomi Campbell quando, nel 1993, cadde in passerella mentre indossava tacchi alti 30 centimetri. Ci sono anche i primi esempi di corsetti elasticizzati della stilista, che sottolineano la sua abitudine di unire comfort e bellezza.

Anche la sostenibilità e la moda etica sono temi chiave. Forse il pezzo più costoso è un abito cucito a mano con intricate perline e pannelli d’oro, creato con artigiani del Kenya.
Tutti i materiali utilizzati per esporre gli articoli sono riciclati o riciclabili, compresi i cartelli di cartone e gli stand di compensato.

“È stata una grande lezione per noi”, dice Clementine Swallow, e dimostra che “è possibile realizzare collezioni che possono essere riciclate”.

Gli oggetti sono valutati tra le 200 e le 7.000 sterline, ma ci si aspetta che vengano venduti a un prezzo molto più alto.

Allarme plastica nei vestiti e l’esempio virtuoso di Gsk

Nonostante le indicazioni della Commissione europea, l’industria della moda non sembra aver recepito il principio dell’importanza del riciclo da fibra a fibra ed è ancora allarme plastica nei vestiti. Il 100% dei campioni in poliestere riciclato presentati a Milano Unica, la principale fiera di tessuti per abbigliamento in Italia, proviene dal riciclo di bottiglie in Pet e solo l’1% del materiale utilizzato per produrre abbigliamento viene riciclato per produrre nuovi abiti.

Un dato rimasto invariato dal 2017, quando la percentuale è stata isolata nel report della Ellen McArthur Foundation – A New Textiles Economy. Da qui la necessità di un intervento rapido per dar vita ad un reale modello di economia circolare nel settore moda. In occasione dell’Earth Day 2024, Gaia Segattini Knotwear – società benefit che produce capi realizzati con filati di alta qualità provenienti da giacenze produttive o rigenerati – ha svolto un lavoro di studio e raccolta dati che scatta una fotografia sullo stato di salute del comparto fashion. Dopo anni di crescita, la quota combinata di tutte le fibre riciclate è leggermente diminuita passando da circa l’8,5% del 2021 al 7,9% nel 2022. Ciò è dovuto principalmente a una leggera flessione della quota di mercato del poliestere riciclato – prodotto per il 99% da bottiglie di plastica.

E qui il tema ambientale diventa rilevante, perché il poliestere già riciclato è estremamente difficile da riciclare ancora, perché la fibra si accorcia e si sfilaccia molto più facilmente, rilasciando microfibre. Secondo uno studio della University of California Santa Barbara, una singola giacca in pile sintetico rilascia una media di 1,7 grammi di microfibre ad ogni lavaggio. Misurando meno di 5 millimetri di lunghezza, la maggior parte delle microfibre scivola oltre i filtri degli impianti di depurazione ed entra in laghi, fiumi e oceani, dove viene ingerito dagli animali marini, fino a entrare nell’alimentazione e nei polmoni umani.

La gran parte dei brand che si proclama sostenibile e dichiara di utilizzare filati riciclati ricorre proprio al poliestere riciclato: un pratica che secondo la Commissione Europea potrebbe indurre in errore i consumatori, che nella Strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari mette in guardia rispetto ai rischi derivanti dal downcycling delle bottiglie in Pet.

Un esempio virtuoso in Italia è rappresentato proprio dalla società marchigiana Gaia Segattini Knotwear, che produce capi di abbigliamento con l’avanzo di filati pregiati, rigenerati ed ecologici. Tra gli obiettivi che l’azienda si era prefissata per il 2022 c’era quello di aumentare la percentuale di filati di giacenza e rigenerati sul totale della produzione, riducendo di conseguenza l’utilizzo di filati vergine. Un traguardo ampiamente raggiunto: circa 36% della produzione è composta da filati riciclati (cresciuta del 28,51% nel 2022 rispetto al 2021). Inoltre, i filati provenienti da giacenze di magazzino e stock di GSK rappresentano oltre il 61% della produzione. “Molti brand continuano a mascherare la loro dipendenza dalle fibre sintetiche con il pretesto di impegnarsi ad aumentare la percentuale di materiali sostenibili – commenta Gaia Segattini, imprenditrice e divulgatrice. “Tra questi troviamo i sintetici riciclati, soprattutto poliestere e nylon. Ma va detto che le dichiarazioni ecologiche sul poliestere ricavato da bottiglie di polietilene tereftalato (PET) riciclate come principale strategia di sostenibilità, sono state oggetto di un crescente controllo nell’ultimo anno da parte delle autorità di regolamentazione e dei consumatori, preoccupati per le dichiarazioni ambientali ingannevoli. L’abbigliamento può essere di qualità senza inquinare, dobbiamo perseguire un modello virtuoso di economia circolare. Abbiamo questa grande responsabilità. È la nostra sfida di oggi e di domani”.