Una preghiera a ‘Pachamama’ apre la Cop16 a Cali. L’obiettivo? Far pace con la natura

Fare la pace con la natura. E’ l’appello che arriva da Cali, in Colombia, dove lunedì si aperta la Cop16, la conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. L’ambizione – che dovrà ora essere definita da azioni concrete da mettere in campo – è quella di liberare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere l’obiettivo di fermare la distruzione della biodiversità da parte dell’umanità entro il 2030.

PREGHIERA ALLA MADRE TERRA. Ad aprire i lavori è stata la ministra dell’Ambiente colombiana, Susana Muhamad, che ha assunto la presidenza di questa 16aesima Conferenza della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica (CBD), in una prima sessione plenaria aperta da una preghiera alla ‘Pachamama’, la Madre Terra, pronunciata dai membri di uno dei 115 popoli indigeni del Paese.

Questa Cop sulla biodiversità, la più grande mai organizzata con 23.000 partecipanti, si svolge sotto stretta sorveglianza a causa delle minacce dei guerriglieri in guerra con il governo colombiano. Circa 11.000 agenti di polizia e soldati stanno rafforzando la sicurezza a Cali, che è in stato di massima allerta e dove sono attesi 140 ministri e una dozzina di capi di Stato.

“NON C’E’ TEMPO DA PERDERE”. “Noi siamo natura”, ha dichiarato la ministra colombiana “ed è da questo senso profondo, quasi spirituale, di umanità che possiamo creare questo obiettivo comune, che dovrebbe essere importante quanto, se non più, della transizione energetica e della decarbonizzazione” dell’economia, trattate dalle Cop sul clima di più alto profilo (la prossima, la Cop29, si aprirà tra tre settimane in Azerbaigian), nonostante gli appelli a conciliare la crisi climatica con quella della natura. “Il pianeta non ha tempo da perdere” e “Cali 2024 potrebbe essere una luce in un mondo molto buio’” ha detto incoraggiando i delegati dei 196 Paesi membri (esclusi gli Stati Uniti) della CBD.

MANCANO LE STRATEGIE PER LA BIODIVERSITA’. Due anni fa, in occasione della Cop15, era stato adottato lo storico accordo “Kunming-Montreal”, una tabella di marcia volta a “fermare e invertire” entro il 2030 la distruzione di terre, oceani e specie viventi essenziali per l’umanità. I Paesi si erano impegnati a presentare una “strategia nazionale per la biodiversità” entro la Cop16, che riflettesse la loro parte di sforzi necessari per raggiungere i 23 obiettivi globali stabiliti: proteggere il 30% della terra e del mare, ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati, dimezzare l’uso di pesticidi e il tasso di introduzione di specie aliene invasive, mobilitare 200 miliardi di dollari all’anno per la natura, ecc.

Ad oggi, però, solo 34 Paesi hanno rispettato l’impegno di presentare strategie complete. E 107 hanno presentato “obiettivi nazionali”, cioè impegni su tutti o alcuni delle tappe da raggiungere.

LA BATTAGLIA FINANZIARIA. La Cop16 deve anche presentare i dettagli di un meccanismo di monitoraggio degli sforzi globali, con indicatori indiscutibili, per responsabilizzare i Paesi e preparare un rapporto ufficiale credibile sui progressi compiuti per la Cop17 del 2026. ACali si dovrà anche negoziare un sistema di ripartizione dei profitti realizzati dalle aziende dei Paesi ricchi, tra cui quelle cosmetiche e farmaceutiche, grazie ai dati genetici derivati da piante e animali conservati dai Paesi in via di sviluppo. Ma il vero nocciolo della battaglia, infatti, sarà finanziario: “Siamo tutti d’accordo che siamo sottofinanziati per questa missione, che abbiamo bisogno di altre fonti di finanziamento”, ha dichiarato la presidente della Cop16, esortando i Paesi sviluppati, che dovrebbero fornire 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, ad annunciare nuovi impegni.

I popoli indigeni dell’Amazzonia chiedono un “meccanismo di finanziamento diretto” per poter “continuare a conservare e proteggere questi territori”, ha spiegato Oswaldo Muca Castizo, presidente dell’Organizzazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia colombiana (OPIAC). Tanto più che, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), più di un quarto di tutte le specie è minacciato di estinzione.

Deforestazione

Ripristino natura in Africa? Mancano i semi per piantare nuovi alberi

Il vertice sul clima in Africa, che si è chiuso la scorsa settimana, ha messo sul piatto gli impegni per ripristinare 24 milioni di ettari di terreno degradato nel continente, attraverso la piantumazione di alberi, considerato obiettivo fondamentale a livello mondiale. C’è, però, un problema e non di poco conto: mancano i semi. Burkina Faso, Camerun, Ghana e Kenya hanno in programma di ripristinare un’enorme superficie entro il 2030, ma mentre diversi punti del piano sono pronti, resta da risolvere la questione più urgente, cioè come reperire e piantare abbastanza materiale da specie arboree autoctone come semi, piantine e talee.

Un nuovo studio ha rilevato che, nonostante la volontà politica a livello nazionale e l’importante sostegno internazionale per il ripristino della natura, i sistemi di semina – le relazioni politiche, ambientali, economiche e culturali a più livelli che fanno fiorire le specie arboree autoctone – non sono ancora del tutto pronti. In base ai risultati pubblicati su Diversity, anche molti dei settori pubblici e privati coinvolti nel ripristino non sono pienamente consapevoli delle risorse disponibili.

I quattro Paesi stanno facendo progressi sostanziali verso i loro obiettivi di riforestazione, ma rischiano di non raggiungere gli obiettivi prefissati”, spiega Chris Kettle, autore principale dello studio e ricercatore della CGIAR Initiative on Nature-Positive Solutions. “Tuttavia, questo problema può essere risolto. I nostri risultati hanno dimostrato che la domanda di materiale di specie arboree autoctone è forte, ma l’offerta è carente”, dice.

Non si tratta di una mancanza di foreste intatte da cui attingere materiale da piantare, perché è rimasta una diversità sufficiente per procurarsi in modo sostenibile almeno 100 specie arboree necessarie per un ripristino efficace. I problemi riguardano diversi aspetti. Intanto, le comunità che vivono più vicine a queste fonti di semi sono potenzialmente attori chiave, anche perché meglio di chiunque altro conoscono gli alberi autoctoni, ma il loro coinvolgimento non è strutturale, anche se potrebbe offrire posti di lavoro nelle aree rurali e “incentivi per la conservazione della biodiversità”.

Il secondo limite riguarda le ‘consuetudini’ in questo campo. Spesso i progetti di ripristino si basano su alberi non autoctoni, come il teak e il pino, coltivati per i loro prodotti legnosi o l’eucalipto, utile per la produzione di olio essenziale. In genere, però, questi alberi non favoriscono la flora e la fauna locali, e spesso comportano un’elevata richiesta di risorse idriche. Inoltre, non aiutano a ripristinare i paesaggi degradati e, anzi, rischiano di mettere in crisi gli ecosistemi. Cambiare queste pratiche, spiegano i ricercatori, è necessario per recuperare davvero gli spazi aperti.

“Lo studio evidenzia l’urgente necessità di investimenti nel settore delle sementi arboree, sia pubblici che privati, se si vuole che i sistemi di sementi soddisfino le richieste poste dagli impegni di ripristino”, chiarisce Fiona L. Giacomini, del Politecnico di Zurigo.

Legge natura, i verdi italiani festeggiano: “Abbiamo fermato i ladri di futuro”

Il Parlamento europeo dà il via libera alla legge sulla natura. Una “giornata storica”: la rivincita dei progressisti sui conservatori, una battaglia che gli ecologisti italiani rivendicano a gran voce. “L’offensiva di Meloni e della destra sovranista in Europa è stata respinta“, gioisce Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra. E’ in piazza Montecitorio con i colleghi di partito e brandisce cartelli che recitano ‘Abbiamo fermato i ladri di futuro’. La legge è “fondamentale per il futuro delle nuove generazioni“, afferma. E questa destra che “sparge fake news per difendere gli interessi dei cementificatori” oggi si ferma grazie a un’alleanza progressista, ecologista, che, è convinto, “può essere una speranza per il futuro dell’Europa“.

Non è un buon periodo per Giorgia Meloni, recrimina Nicola Fratoianni. Cita i guai giudiziari e le polemiche che in un modo o nell’altro coinvolgono i suoi compagni di partito, e i suoi componenti dell’esecutivo. Dal presidente del Senato Ignazio La Russa alla ministra del Turismo Daniela Santanché, passando per le gaffe del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. “Oggi un altro colpo a lei e ai ‘climafreghisti’ di tutta Europa”, scandisce. La bocciatura del Parlamento europeo rispetto alla mozione di rigetto della legge sulla natura è ottima, ma “annuncia il terreno del conflitto” dei prossimi anni, annuncia. La transizione e la conversione ecologica restano il punto di riferimento per chi si batte per la giustizia sociale e ambientale”.

Venerdì 7 luglio, a Roma, di questo si è parlato in un vertice congiunto con i Verdi tedeschi: “Si è costruita una importante alleanza del Parlamento europeo”, ribadisce Bonelli. Accusa il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, di “spargere bugie come il suo solito, dicendo che sarà un danno per gli agricoltori”. Segnala che, in Europa, la destra italiana “ha votato contro una legge che chiede di mettere in sicurezza i fiumi anche dal rischio idrogeologico“.
Una grandissima vittoria “per niente scontata“, spiega a Gea la capogruppo di Avs Luana Zanella. I Verdi tedeschi, racconta, erano “molto preoccupati” per l’esito della votazione. “Avevamo bisogno di una norma così articolata, che salvaguarda l’80% dei siti preziosi per la biodiversità, compresi quelli del mare profondo e per i siti all’interno delle città, alcuni dei quali sono vere e proprie oasi. Riforestando, rinaturalizzando, garantendo le praterie, contrastiamo anche il riscaldamento globale”, ricorda.

Gioiscono le associazioni ambientaliste, ma lanciano un monito all’esecutivo: “Per il nostro Paese apre una riflessione perché il Governo Meloni deve ripensare la propria posizione in vista dei negoziati del Consiglio con il Parlamento per l’adozione finale della legge”, osserva Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente. La legge che passa è “indebolita”, per il Wwf, che festeggia comunque il voto, contro una “assurda campagna di disinformazione senza precedenti volta a fermarlo, guidata da politici di destra e conservatori e dalle lobby dell’agrindustria e della pesca intensiva”.

In particolare, la posizione adottata dal Parlamento ha cancellato l’articolo che avrebbe ripristinato la natura nei terreni agricoli, comprese le torbiere, rinunciando a un elemento essenziale per aumentare la capacità dell’Europa di sequestrare il carbonio. Particolarmente grave è considerata la cancellazione delle azioni dedicate alla tutela degli impollinatori e un ulteriore fonte di indebolimento deriva dall’emendamento – approvato – sulla necessità di effettuare una valutazione dell’eventuale impatto sulla sicurezza alimentare europea della Legge, ritardandone l’implementazione.
“Senza natura non c’è cibo, senza natura l’essere umano non sopravvive sul pianeta. E fino ad oggi, anche in Europa, la natura è stata sacrificata, soffocata e distrutta“, fa eco l’eurodeputata di Europa Verde Eleonora Evi. Che si rivolge direttamente alle destre: “Se ne facciano una ragione, la Legge sul Ripristino della Natura è stata approvata dal Parlamento europeo, è sostenuta dalla maggior parte dei governi europei e soprattutto è richiesta a gran voce dalla scienza e dalle cittadine e dai cittadini”.

parlamento ue

C’è l’ok del Parlamento Ue alla legge sulla natura. Timmermans: “Troveremo un compromesso”

C’è chi la chiama legge storica e chi ne denuncia i limiti. Ad ogni modo, sembra certo che la proposta di Legge sul ripristino della natura, la prima in trent’anni di vita dell’Ue, avrà un futuro che prenderà forma dopo i negoziati interistituzionali. L’Europarlamento riunito in plenaria a Strasburgo ha adottato con 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astensioni il suo mandato politico sulla legge ed è pronto ad avviare i negoziati con gli Stati membri. Il primo via libera a Strasburgo è arrivato dopo un voto serratissimo e dopo che gli eurodeputati hanno bocciato (con 312 voti a favore, 324 contrari e 12 astenuti) la mozione per rigettare l’intero provvedimento.

La Legge è diventata nei mesi scorsi il simbolo di uno scontro politico nella storica maggioranza che nel 2019 ha sostenuto la Commissione a guida Ursula von der Leyen e l’anticipazione di come potrebbe cambiare l’equilibrio politico alle prossime elezioni di giugno 2024, con il Ppe spostato più a destra. Come previsto, il Partito popolare europeo (Ppe) ha votato a maggioranza contro il testo, con soli 21 eurodeputati dissidenti (nessun italiano) che hanno votato a favore e due astenuti. Il Ppe ha votato contro insieme alle destre dei Conservatori e riformisti (di cui fa parte la delegazione di Fratelli d’Italia) di cui soli 5 deputati hanno votato a favore e di Identità e Democrazia (di cui fa parte la Lega) che ha votato compatta contro. A sostenere la proposta i Socialdemocratici, i Verdi, la sinistra radicale e la maggioranza dei liberali di Renew Europe, di cui solo 20 eurodeputati (nessun italiano) ha votato contro.

Il testo adottato ricalca nei fatti la posizione negoziale che ha adattato il Consiglio Ue lo scorso 20 giugno, che a sua volta ha ammorbidito la proposta della Commissione Ue di giugno 2022. I deputati hanno sostenuto la proposta della Commissione di mettere in atto misure di ripristino entro il 2030 che coprano almeno il 20 per cento di tutte le aree terrestri e marittime dell’Unione europea, ma che la legge si applicherà solo quando la Commissione avrà fornito dati sulle condizioni necessarie per garantire la sicurezza alimentare a lungo termine e quando i paesi dell’Ue avranno quantificato l’area che deve essere ripristinata per raggiungere gli obiettivi di ripristino per ciascun tipo di habitat. Il Parlamento prevede inoltre la possibilità di posticipare gli obiettivi in ​​presenza di conseguenze socioeconomiche eccezionali.

Come nella posizione degli Stati membri Ue, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del regolamento, la Commissione dovrebbe valutare l’eventuale divario tra le esigenze finanziarie per il ripristino e i finanziamenti dell’UE disponibili e proporre eventualmente una soluzione con uno strumento finanziario dedicato. La Commissione europea “è pronta ad aiutare a trovare un compromesso” tra co-legislatori sulla legge sul ripristino della natura. “Dobbiamo lavorare insieme sul contenuto della proposta”, ha dichiarato il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, subito dopo il voto, dichiarandosi disponibile a lavorare a un compromesso anche con il Ppe. Riguardo al contenuto della proposta, ha assicurato “abbiamo preso in considerazione le grandi differenze dei vari Stati membri e permettiamo ai vari Paesi di prendere misure per aiutare il ripristino della natura. Quello che chiediamo agli Stati è di fare davvero uno sforzo per andare in questa direzione e credo che questo sia il modo giusto di andare avanti, trovare la giusta combinazione per il ripristino della natura e tutelare le attività economiche in queste aree da ripristinare”. La proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea nel quadro del suo Green Deal europeo a giugno 2022 combina un obiettivo generale per il ripristino a lungo termine della natura nelle zone terrestri e marine dell’Ue con obiettivi di ripristino vincolanti per habitat e specie specifici, andando a coprire almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Unione entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.

Con l’adozione del mandato negoziale da parte dell’Eurocamera, ora possono iniziare i negoziati tra Parlamento e Consiglio. Gli Stati membri Ue hanno adottato la loro posizione lo scorso 20 giugno: 20 Stati membri su 27 hanno sostenuto il mandato, con Italia, Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Svezia che hanno votato contro e Austria e Belgio che hanno deciso di astenersi. “Siamo delusi dall’esito del voto sulla Legge sul ripristino della natura, nonostante le obiezioni e le perplessità di tre commissioni parlamentari. Temiamo che questa legge sia controproducente e abbia conseguenze sociali ed economiche significative”, ha commentato in un tweet il Partito popolare europeo (Ppe) dopo l’adozione in plenaria e dopo aver trasformato il voto di oggi in uno scontro politico con i gruppi con cui ha costruito la maggioranza Ursula. In conferenza stampa dopo il voto il leader Ppe, Manfred Weber, ha avvertito del fatto che per il via libera definitivo, una volta che sarà trovato l’accordo, servirà anche l’ok del Ppe. “Il risultato finale ha bisogno di una maggioranza quindi è bene che ora tutti facciano attenzione al contenuto”, ha detto. Durante il negoziato interparlamentare il Ppe si era ritirato dai colloqui con gli altri gruppi. “La democrazia si è espressa e quindi il Ppe tornerà al tavolo dei negoziati e contribuirà al risultato finale. Bisogna guardare al contenuto uscito oggi ed è quello che dovrà essere difeso dal team negoziale del Parlamento”, ha assicurato.

La Bce sceglie anche la natura per le prossime banconote. Ma a decidere saranno i cittadini

Uccelli e fiumi sulle prossime banconote dell’euro. La Bce sceglie anche la natura per le possibili nuove immagini da apporre ai diversi tagli di prossima stampa. Sette i modelli proposti a tutti i cittadini dell’eurozona, che avranno tempo da oggi, 10 luglio, e fino al 31 agosto, per esprimersi e decidere che tipo di euro vorranno. “I fiumi europei attraversano i confini. Ci collegano gli uni agli altri e alla natura”, recita la spiegazione che accompagna la scelta del tema, che è anche un richiamo alla tutela del patrimonio verde d’Europa che si inquadra nella più ampia politica di Francoforte per la sostenibilità.

La Banca centrale europea ha iniziato un percorso di valutazione dei rischi per il settore bancario legato ai cambiamenti climatici e alle sue conseguenze. Tutto questo è sempre più avvertito come elemento reale di minaccia per la stabilita di prezzi e tenuta dell’eurozona. E’ stata la presidente in carica in persona, Christine Lagarde, ad assumersi la responsabilità di fare del clima un elemento centrale delle politiche monetarie dell’istituzione Ue, già a maggio 2021. Sulla scia del Green Deal europeo la Bce ha iniziato a investire in maniere crescente in green bond, esortando i governi degli Stati membri ad attuare in modo tempestivo ed efficiente i piani nazionali per la ripresa, in cui la parte delle riforme verdi gioca un ruolo predominante.

L’iniziativa della Bce dunque intende rispondere ad un’Europa che cambia anche nella sua agenda politica. Nell’invitare uomini e donne a partecipare al sondaggio sulla nuova veste grafica della banconote, Lagarde ricorda che “esiste un forte legame tra la nostra moneta unica e la nostra comune identità europea, e la nostra nuova serie di banconote dovrebbe sottolinearlo”. L’identità comune passa anche per la natura e la sua tutela. Lo dimostra una terza opzione proposta per le banconote di prossimo conio: ‘Valori europei rispecchiati nella natura’. Il tema, viene spiegato, “evidenzia il ruolo dei valori europei (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e diritti umani) quali elementi costitutivi dell’Europa e collega questi valori al nostro rispetto per la natura e alla salvaguardia dell’ambiente”.

E’ presto per dire se tutto questo finirà nei portafogli degli europei. La Bce sceglierà i temi per la cartamoneta, sulla base delle risposte ottenute, entro la fine del 2024. Quindi seguirà un concorso tra le opzioni più votate. L’emissione è prevista per il 2026.

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Legge sul ripristino della natura: Strasburgo mercoledì al voto

Dopo le tensioni degli ultimi mesi, il momento della verità è arrivato. L’Europarlamento riunito da lunedì a giovedì nell’ultima plenaria prima delle vacanze estive, discuterà martedì e voterà mercoledì (12 luglio) sulla proposta di regolamento della Commissione europea sul ripristino della natura, al centro di una vera battaglia politica del Partito popolare europeo (Ppe) in piena campagna elettorale per il 2024.

La mancata maggioranza nella commissione ambiente (Envi) lo scorso 27 giugno sulla prima legge rende l’iter procedurale di questo voto ancora più complesso di un via libera normale. La commissione Envi, non avendo trovato una maggioranza a sostegno della legge, è costretta in quanto commissione competente sul dossier a portare in plenaria un testo di rigetto del provvedimento. Se il rigetto venisse accolto dalla maggioranza semplice dell’Emiciclo, allora la prima lettura in Parlamento europeo sarebbe conclusa qui e spetterebbe al Consiglio Ue decidere se portare avanti il dossier per una seconda lettura oppure no. La Commissione europea è l’unica tra le tre istituzioni ad avere il potere di ritirare il testo, ma se il dossier fosse trascinato in seconda lettura all’Eurocamera e affossato di nuovo allora l’iter legislativo della legge sarebbe ufficialmente concluso.

Se il rigetto venisse invece bocciato, allora Strasburgo finirà a fare un estenuante voto emendamento per emendamento per “costruire” ex novo un testo nuovo. Una terza via è che venga subito accolta la proposta del gruppo dei liberali di Renew Europe di usare come posizione del Parlamento (da emendare) la posizione negoziale adottata dagli Stati membri al Consiglio Ue Ambiente lo scorso 20 giugno, già fortemente annacquata rispetto agli obiettivi originali della Commissione.

Una conta all’ultimo voto e all’ultimo eurodeputato, con S&D, Verdi, Renew e Sinistra decisi a votare pro-natura e quasi tutto il centro destra (Ppe, Id, Ecr) contro. Questo il quadro che si ipotizza, ma è difficile immaginare quale potrebbe essere il risultato dal momento che Ppe e S&D soprattutto, difficilmente voteranno compatti sulla rispettiva posizione. La normativa è da mesi ormai il bersaglio politico del principale gruppo – per numero di seggi, 177 in tutto – al Parlamento europeo, il Ppe, che ne chiede il ritiro dal momento che, a suo dire, potrebbe minacciare la produzione agricola e dunque la sicurezza alimentare in un momento delicato, come quello attuale, della guerra di Russia in Ucraina. Il Ppe ha denunciato nelle scorse settimane che gli obiettivi della legislazione “mettono a rischio la sicurezza dell’Ue” e che la valutazione d’impatto presentata dall’esecutivo comunitario non chiarisce nei fatti quali potrebbero essere le ricadute della strategia sulla produzione agricola e sul costo della vita. Per alcuni, una mossa politica in vista delle elezioni europee del 2024, per trovare consenso nell’elettorato agricolo. L’opposizione del Ppe ha provocato la bocciatura a maggio nelle commissione Agricoltura (Agri) e Pesca (Pesch).

La Legge sul ripristino della natura è stata proposta dalla Commissione Ue a giugno 2022 e prevede un obiettivo di ripristino degli ecosistemi del 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e in tutte le aree danneggiate dall’inquinamento o dallo sfruttamento intensivo (foreste, pascoli, ecc.) entro il 2050. Lo scorso 20 giugno gli Stati membri al Consiglio Ue Ambiente hanno dato via libera alla loro posizione politica per avviare il negoziato con l’Eurocamera, una volta che a sua volta avrà adottato una posizione. Su questo voto in Consiglio l’Italia ha deciso di votare contro insieme a Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Svezia (che tra l’altro è alla guida semestrale dell’Ue) mentre Austria e Belgio hanno deciso di astenersi.

Addio a Benedetto XVI. Il ‘Papa verde’ denunciò la Terra ferita per fame di energia

Ci sono molti modi di cercare Dio. Si dice che quando abbia preso possesso degli appartamenti di Castel Gandolfo, dopo la morte di Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI abbia fatto spostare il letto della stanza. Lo fece posizionare in modo che la prima cosa che vedesse al risveglio fossero i colli e il lago.
Il Papa bavarese, morto oggi dopo che nei gironi scorsi le sue condizioni si erano aggravate, aveva un rapporto strettissimo con la natura, con la montagna in particolare. I suoi discorsi sull’ambiente gli valsero il soprannome di ‘Papa verde’. A contatto con la natura, diceva, la persona ritrova la sua giusta dimensione, “si riscopre creatura, piccola ma al tempo stesso unica, ‘capace di Dio’ perché interiormente aperta all’Infinito”.
Con la natura, sosteneva Joseph Ratzinger, l’uomo “percepisce nel mondo l’impronta della bontà, della bellezza e della provvidenza divina e quasi naturalmente si apre alla lode e alla preghiera”.
L’1 luglio del 2007, nel discorso di saluto al nuovo ambasciatore d’Islanda presso la Santa Sede, pronunciò parole profetiche, denunciando la “fame di energia” dei Paesi industrializzati, che depaupera le risorse della Terra, determinando uno “sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, con l’illusione che esso sia a piacimento e a tempo indeterminato”.
“Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali?”, ammoniva nel Messaggio per la Giornata per la Pace 2010, dedicato all’ambiente, in coincidenza con la conferenza dell’Onu di Copenaghen. Sono tutte questioni, osservava il Pontefice, che hanno un “profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo”. In quella occasione, tra i primi, parlò di profughi ambientali: “persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare, spesso insieme ai loro beni, per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato”.
L’abuso ‘politico’ del pianeta e dell’ambiente, avvertiva Ratzinger, minaccia l’umanità tanto quanto le guerre e il terrorismo: “Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale (guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani), non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza, se non addirittura dall’abuso, nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito”.
Se si vuole coltivare la pace, è necessario custodire il Creato, confermava poi nell’enciclica ‘Caritas in Veritate’. Nella lettera individuò un legame stretto tra lo sviluppo umano integrale e i doveri del rapporto dell’uomo con la natura, il cui uso comporta, scriveva, una “comune responsabilità verso l’umanità intera e specialmente i poveri e le generazioni future”. E richiamava l’umanità a rivedere profondamente e in modo lungimirante il modello di sviluppo, riflettere sul senso dell’economia, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni: “Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo”.
Anche la Chiesa, era convinto, è chiamata a fare la sua parte dal momento che “ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso”.
tigri

Il Nepal ha raggiunto obiettivo contro estinzione tigri: triplicate in 12 anni

Il Nepal ha quasi triplicato la sua popolazione di tigri selvatiche in 12 anni, grazie agli sforzi del Paese himalayano per salvare i felini dall’estinzione. La deforestazione, l’invasione degli habitat da parte dell’uomo e il bracconaggio minacciano di cancellare le tigri in tutta l’Asia, ma nel 2010 il Nepal e altri 12 Paesi hanno sottoscritto un impegno per raddoppiarne la popolazione entro il 2022.

La repubblica himalayana è l’unico Paese ad aver raggiunto e superato questo obiettivo. L’ultima indagine condotta quest’anno ha contato 355 esemplari, rispetto ai circa 121 del 2009. “Siamo riusciti a raggiungere un obiettivo ambizioso, tutti coloro che sono coinvolti nella conservazione delle tigri devono essere ringraziati“, gioisce il primo ministro Sher Bahadur Deuba alla presentazione dei dati a Kathmandu.

Gli attivisti hanno contato gli esemplari utilizzando migliaia di telecamere sensibili al movimento installate in una vasta area delle pianure meridionali del Nepal, dove si aggirano i maestosi predatori e scrupolosamente esaminato moltissime immagini.

All’inizio del XX secolo c’erano più di 100mila tigri nel mondo, ma nel 2010 ne rimanevano solo 3.200, un record negativo storico. Il piano di conservazione del 2010, firmato tra gli altri dal Nepal, è sostenuto anche da alcune celebrità, tra cui l’attore statunitense Leonardo DiCaprio.

L’iniziativa ha iniziato a dare i suoi frutti rapidamente e nel 2016 il World Wildlife Fund e il Global Tiger Forum hanno annunciato che la popolazione di tigri selvatiche è aumentata per la prima volta in oltre un secolo. Gli sforzi di conservazione del Nepal, acclamati a livello internazionale, hanno però avuto un impatto negativo su alcune comunità che vivono in queste pianure. Secondo i dati del governo, nell’ultimo anno sono morte circa 16 persone in attacchi di tigri. Ghana Gurung, rappresentante nazionale del Wwf, considera i risultati ottenuti dal Nepal un punto di riferimento per la conservazione delle tigri nel mondo, ma non nasconde le preoccupazioni: “La sfida ora – confessa all’Afp – è quella di gestire il rapporto tigre-uomo, dobbiamo adottare un approccio integrato per ridurre al minimo i problemi“.

infografica

(Photo credits: Prakash MATHEMA / AFP)

Piante grasse

In Sudafrica piante grasse minacciate da siccità e traffico illegale

Il riscaldamento globale e i collezionisti stanno decimando le piante grasse in Sudafrica. L’allarme arriva dal South African National Biodiversity Institute (SANBI), ente pubblico di ricerca, secondo il quale le succulente che crescono nelle regioni semi-aride del Paese stanno vivendo un declino senza precedenti a seguito di un rapido aumento della domanda mondiale, spinta dall’Asia. “Negli ultimi tre anni, le piante confiscate ai trafficanti dalle forze dell’ordine sono aumentate ogni anno di oltre il 250%“, ha affermato l’istituto in una nota.

Più di 200 piante grasse sono state aggiunte alla ‘lista rossa’ delle specie minacciate dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), aggiornata la scorsa settimana. Sono particolarmente ricercate alcune specie uniche che crescono nel Karoo, un’ecoregione condivisa tra Sud Africa e Namibia che comprende alcune delle aree desertiche e semi-desertiche più ricche di biodiversità al mondo. “La maggior parte delle persone che li acquista non ha idea di infrangere la legge“, spiega Craig Hilton-Taylor dell’IUCN. “Ignoranti o ingenui, dicono a loro stessi semplicemente che questa pianta starà bene nella loro casa o nel loro giardino“, aggiunge.

Come spiega l’esperto, la raccolta illegale, la siccità a lungo termine legata ai cambiamenti climatici e il continuo degrado del suolo dovuto al pascolo eccessivo del bestiame e all’attività mineraria “creano insieme una tempesta devastante che sta causando una perdita di biodiversità senza precedenti nell’ecosistema del deserto, il più ricco del mondo“.

Il traffico illegale di piante, insieme a quello di animali selvatici e, ovviamente, alla droga, è uno dei più redditizi. Nemmeno due anni fa nelle Marche erano stati sequestrati quasi mille cactus a causa di un trafficante che le aveva importate illegalmente dal Cile e dell’Argentina. Se la propagazione di numerose succulente è relativamente semplice e quindi è possibile trasformarle in un prodotto commerciale, ci sono decine di piante grasse che, invece, possono crescere solo nel deserto del Sudafrica. Ed è proprio qui che i trafficanti agiscono, arginando la legge.

(Photo credits: RIJASOLO / AFP)

Fridays for Future

A Torino va in onda il futuro: giovani da tutto il mondo uniti per il clima

A Torino va in onda il futuro. Il Meeting europeo di Fridays for Future, con la partecipazione di attivisti extraeuropei dai molti Paesi colpiti più duramente dalle conseguenze della crisi climatica, e il Climate Social Camp rappresentano il punto di rilancio dell’azione per il clima dopo oltre due anni di interruzione degli eventi pubblici a causa della pandemia. Un momento chiave, che getterà le basi per i molti appuntamenti dell’autunno, a partire dal grande sciopero globale del 23 settembre. Cinque giorni di confronti, incontri, approfondimenti con un unico obiettivo: il futuro. Inutile aggiungere ‘sostenibile’, perché il futuro o sarà sostenibile o non sarà.

Da quando Greta Thunberg – che non sarà a Torino ma si collegherà dalla sua Svezia – iniziò a manifestare ogni venerdì di fronte al Parlamento svedese con il cartello ‘Skolstrejk For Klimatet’ (‘Sciopero della scuola per il clima’) sono passati quattro anni, ma paiono decenni per il precipitare degli eventi mondo. Intensificarsi della crisi climatica e delle sue ricadute, pandemia (che molto ha a che fare con il mutamento del clima), guerra… Era il 20 agosto 2018 e quel giorno partì l’onda, divenuta sempre più grande, dei giovani che in tutto il mondo chiedono alla politica, all’impresa e agli adulti tutti di ascoltare gli scienziati e agire per il clima e per preservare il futuro. Adottare tutte le scelte necessarie per un domani migliore, sotto ogni punto di vista.

Come sempre capita, arrivarono ironie, mediamente becere. Prima su di lei: ‘Chi la manovra?’ fu la più classica, come se – anche fosse manovrata da qualche interesse economico – gli interessi dei petrolieri e di chi ne fa le veci (in politica, nell’industria, nell’informazione) fossero invece nobili e non avessero prodotto danni devastanti. Poi sul movimento: ‘Ma cosa vogliono questi ragazzini, pensino a studiare’, detto normalmente da gente che ha costruito la propria fortuna con (o contro) il ’68. Poi sui contenuti: ‘Invece di protestare, dite cosa si dovrebbe fare, siate costruttivi’, che tra tutte mi è sempre sembrata la più comica, visto che fin dal primo minuto Greta e i ragazzi di Fridays for Future hanno chiesto chiaramente e semplicemente di ascoltare le indicazioni degli scienziati per elaborare al meglio (compito della politica) i piani per il futuro.

I fatti hanno dato ragione a questi ragazzi e prima ancora alla scienza e agli uomini che da almeno 40 anni stanno lottando contro l’ostilità di una (buona) parte della politica e dell’industria spiegando che senza scelte drastiche ma anche strategicamente convenienti abbiamo davanti prospettive molto complicate. Incendi, siccità, alluvioni, trombe d’aria, carestie, pandemie non sono ‘catastrofismo’, accusa con cui se la cavano normalmente molti critici, ma semplice cronaca. Occorre cambiare strategia, è evidente.

E un pezzo della (potenzialmente) bellissima storia futura viene scritto in questi giorni a Torino, tra Campus Einaudi (nuova sede dell’Università) e Parco Colletta, in uno scambio costante tra giovani attivisti e mondo dell’università, dell’informazione, dell’associazionismo e dell’attivismo non solo ambientale. Ascoltiamoli con entusiasmo, il futuro è lì.