Assovetro: “15 miliardi per net zero al 2050, servono strategie coraggiose e leader forti”

La spesa vale l’impresa, ma solo se tutti faranno la propria parte. Il vecchio adagio torna utilissimo per comprendere lo scenario che l’industria del vetro si trova ad affrontare da qui al 2050 per ottemperare a tutti i parametri scelti dall’Unione europea per raggiungere i target di decarbonizzazione che si è posta da qui al 2050. Il conto di Assovetro è salato: almeno 15 miliardi di euro per raggiungere il net zero.

Ecco perché l’associazione la definisce una “trasformazione radicale nel modo di produrre i manufatti e di utilizzare l’energia”, lanciando sette proposte per una transizione. Che però, avverte, “potrà avere successo senza mettere a rischio la competitività industriale solo con politiche e regolamenti governativi adeguati e calibrati, una chiara e condivisa programmazione degli interventi, incentivi per l’adozione di tecnologie pulite sia alla domanda che alla produzione, supporto alla ricerca e sviluppo e la realizzazione delle necessarie infrastrutture”. Del resto, parliamo della seconda manifattura d’Europa, all’interno della quale lavorano circa 29mila occupati diretti ad alta specializzazione. Su questi temi si è concentrato il convegno ‘La transizione ecologica del vetro’, che si è svolto oggi a Roma, per aprire una riflessione con tutti gli stakeholder e il mondo istituzionale non solo sulle strategie e le tecnologie che le industrie dovranno mettere in campo, ma anche sugli impatti organizzativi, sociali ed economici, di questo percorso di decarbonizzazione.

Siccome non siamo un settore energivoro consumiamo l’1,5% del metano nazionale e l’1% di elettricità nazionale, l’obiettivo è quello di ridurre significativamente i consumi energetici. Ma soprattutto è una missione”, dice il presidente di Assovetro, Marco Ravasi. Che torna spesso sul punto: “Quello del costo dell’energia, dell’elettricità oggi è veramente un tema. È anti-competitivo in Italia rispetto ad altri Paesi, come la Spagna che grazie alle emergenze rinnovabili ha un costo di 40 euro/MWh, la Francia ha il nucleare che noi per scelta non abbiamo e spende 50 euro, la Germania è messa male perché ne spende 70, e noi siamo messi peggio di quelli che sono messi male, spendiamo più di 90 euro/MWh”.

Diversi elementi che si ritrovano anche nello studio realizzato da Assovetro in collaborazione con Kpmg sugli scenari possibili di decarbonizzazione. Da qui nascono anche le sette proposte dell’associazione per rendere attuabili i target: sostegni economici agli investimenti rafforzando i contratti di sviluppo ambientali, il fondo per il sostegno alla transizione industriale, i crediti di imposta di Transizione 5.0; sostegni economici all’acquisto di vettori energetici ad emissioni zero; sostegni al cambiamento del processo produttivo del vetro anche attraverso le semplificazioni; riforma degli Eu Ets; rafforzamento dei sistemi di difesa commerciale dalle importazioni da paesi terzi che non applicano legislazioni ambientali avanzate; sviluppo delle infrastrutture di rete; e un piano di produzione di energia verde/vettori energetici decarbonizzati con quantitativi opzionabili a prezzi ‘fissati’.

Il report sulla transizione energetica che è stato qui presentato da Assovetro, cioè da una associazione che rappresenta una parte importante, significativa del nostro sistema industriale e produttivo, è pienamente in sintonia con il Libro verde del Made in Italy 2030”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, intervenendo al convegno.

Per il presidente di Federacciai e advisor di Confindustria con delega all’Autonomia strategica Ue, Piano Mattei e Competitività, Antonio Gozzi, “è chiaro che l’ipotesi migliore sarebbe un pezzo unico dell’energia europeo, almeno per gli energivori, ma dobbiamo essere realisti, questa ipotesi non esiste”, dunque “visto che gli altri Paesi europei stanno intervenendo pesantemente per sostenere la loro industria, dobbiamo approcciare una politica energetica nazionale che consenta all’industria italiana di tenere botta nella competizione internazionale”. Serve una “una macro strategia che ci consente di individuare soluzioni più efficaci in funzione delle tante variabili: spazi, costi, ed evoluzione tecnologica”, secondo Federico Boschi, capo dipartimento Energia del Mase.

Il punto di vista dell’Europa è cruciale in questo quadro. La Dg Clima della Commissione Ue sta “supportando gli elementi chiave della transizione come lo switch dalle energie fossili, l’elettrificazione e la Carbon Capture and Storage di Co2 – spiega il Policy Officer, Javier García Fernández -. In questo senso sta supportando 200 progetti di decarbonizzazione globalmente, di cui 11 nell’industria del Vetro. Di questi 11, cinque sono in Italia, per un totale di 19 milioni di euro”. Le rinnovabili, inoltre, potrebbero aiutare ma sostanzialmente non essere l’unica soluzione per abbassare i costi della decarbonizzazione. “In una prospettiva di lungo periodo potenzialmente i vantaggi dovremmo averli dal punto di vista della fonte, ma potrebbero esserci difficoltà nel realizzare impianti dal punto di vista autorizzativo e nel trovare il territorio”, avverte il direttore della divisione Energia di Arera, Massimo Ricci.

Del resto lo dice anche il vicepresidente Energia di Assovetro che “non esiste una sola medicina” per arrivare a dama sulla transizione. Anzi, “le strade sono tante e diverse”, anche se il vetro parte da un vantaggio: “Il perfetto riciclo che abbiamo ci consente di essere ancora più sostenibili per il rispetto dell’ambiente”.

Per l’associazione, ad ogni modo, non ci sono dubbi che “tireremo fuori le soluzioni per la decarbonizzazione – assicura Ravasi -. Il punto è sincronizzare gli interventi”. Ma soprattutto “davanti a una rivoluzione che è più della prima rivoluzione industriale, a una ridefinizione dei paradigmi, servono leader forti e grandissimo coraggio per non rifare gli errori già fatti a Bruxelles”.

Industria Net-Zero, Consiglio Ue include nucleare tra tecnologie strategiche

Da otto a dieci tecnologie strategiche chiave per raggiungere lo ‘zero netto’, ovvero zero nuove emissioni entro il 2050. Gli Stati membri hanno adottato la posizione del Consiglio Ue sul ‘Net-Zero Industry Act’, il regolamento proposto lo scorso 16 marzo dalla Commissione europea per sviluppare un’industria a emissioni zero come pilastro centrale del Piano industriale per il Green Deal. Una risposta ‘Made in Europe’ al massiccio piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa per dare una spinta agli investimenti nelle tecnologie pulite.

La proposta si compone di permessi accelerati, progetti strategici per la decarbonizzazione dell’industria europea entro il 2030 e un elenco di tecnologie chiave con cui realizzarla. Gli Stati membri al Consiglio Ue hanno mantenuto i target fissati dalla proposta della Commissione europea, ovvero il parametro indicativo di raggiungere il 40 per cento della produzione per coprire il fabbisogno dell’Ue in prodotti tecnologici strategici, come pannelli solari fotovoltaici, turbine eoliche, batterie e pompe di calore e un obiettivo specifico per la cattura e lo stoccaggio del carbonio della CO2, con una capacità annua di iniezione di almeno 50 milioni di tonnellate di CO2 da raggiungere entro il 2030.

Se gli obiettivi principali della proposta sono rimasti invariati, il Consiglio Ue cambia l’approccio sull’elenco delle tecnologie strategiche. La proposta della Commissione europea ha individuato otto tecnologie net-zero ‘strategiche’ (distinte dalle semplici tecnologie net-zero) a cui garantire tempi accelerati per le autorizzazioni e verso cui incanalare gli investimenti (nello specifico: tecnologie solari fotovoltaiche e termiche; eolico onshore e energie rinnovabili offshore; batterie e accumulatori; pompe di calore e geotermia; elettrolizzatori e celle a combustibile per l’idrogeno; biogas e biometano; cattura e stoccaggio del carbonio; tecnologie di rete).

La posizione del Consiglio Ue porta la lista da otto a dieci, includendo anche il nucleare e i combustibili alternativi sostenibili. Inoltre il mandato amplia l’elenco delle tecnologie net-zero non strategiche, includendo le soluzioni biotecnologiche per il clima e l’energia, ad altre tecnologie nucleari e alle tecnologie industriali trasformative per le industrie ad alta intensità energetica.

Secondo la posizione del Consiglio, le tecnologie strategiche a zero emissioni beneficeranno di procedure di autorizzazione snelle e realistiche e di un sostegno aggiuntivo agli investimenti, pur rispettando gli obblighi dell’Ue e internazionali. Inoltre, l’approccio generale prevede che gli Stati membri designino aree specifiche per accelerare la produzione senza emissioni – chiamate ‘aree di accelerazione net-zero’ – per identificare sinergie tra i progetti strategici o i loro cluster, per testare tecnologie innovative net-zero, facilitare i processi di concessione dei permessi.

Il testo adottato dal Consiglio rappresenta il mandato negoziale degli Stati membri per il negoziato con il Parlamento europeo, che ha adottato la sua posizione in plenaria lo scorso 21 novembre. A quanto apprende GEA il negoziato a tre tra Parlamento e Consiglio, mediato dalla Commissione europea, dovrebbe iniziare già la prossima settimana, il 12 dicembre, con l’idea di proseguire a gennaio e febbraio.

Servono 100 trilioni per arrivare al Net Zero nel 2050, Cina protagonista

Bank New York Mellon Investment Management, in collaborazione con Fathom Consulting, ha pubblicato recentemente una nuova ricerca, ‘Una guida per gli investitori verso lo zero netto entro il 2050’, che mostra che l’economia globale è significativamente in ritardo rispetto ai tempi previsti nel raggiungimento degli obiettivi zero netto del 2050, ma può colmare il divario con 100 trilioni di dollari di investimento ‘verde’. Secondo, invece, le stime dell’Ocse per avere almeno il 66% di probabilità di contenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia dei 2°C, saranno necessari investimenti per oltre 103.500 miliardi di dollari nel periodo che va dal 2016 al 2030, con un aumento di quelli per il clima di circa il 590% l’anno rispetto alle cifre attuali. Sebbene gli investimenti verdi siano in crescita, la ricerca di BNY Mellon evidenzia che saranno necessarie più azioni da parte di governi, asset allocator e società per facilitare la transizione verso lo zero netto. Questi 100 trilioni di dollari rappresentano circa il 15% dell’investimento globale totale nei prossimi 30 anni, o circa il 3% del prodotto interno lordo globale nello stesso periodo.

Le sole società dell’S&P 500 americano dovranno spendere circa 12 trilioni di dollari di investimenti verdi entro il 2050 per rimanere in linea. Detto così, sono cifre talmente alte, che non rendono l’idea della mole di investimenti per arrivare all’obiettivo del 2050. Tuttavia qualsiasi investimento sarà più veloce e più sostenuto, anche a livello pubblico, se il target sarà redditizio. In questo senso fa gioco un nuovo rapporto dell’Università di Oxford, in base al quale il passaggio dai combustibili fossili all’energia rinnovabile potrebbe far risparmiare al mondo ben 12.000 miliardi di dollari entro il 2050. Da dove arriva questa cifra? Il calcolo di Oxford è empirico e parte dal fatto che il costo della sola energia solare è crollato dell’80% dal 2010 e che le rinnovabili nel loro insieme sono state la fonte di energia più economica al mondo nel 2020.

In questa direzione è interessante notare come, nel 2022 siano stati investiti nel mondo 1,1 trilioni di dollari in tecnologie a basse emissioni di carbonio. Un numero record, oltre mille miliardi, che ormai ha eguagliato i fondi a sostegno di combustibili fossili. Quasi tutti i settori hanno raggiunto un nuovo picco, tra cui rinnovabili, stoccaggio di energia, trasporto elettrificato, calore elettrificato, cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), idrogeno e materiali sostenibili. Solo gli investimenti nell’energia nucleare sono rimasti sostanzialmente invariati. Tirano le rinnovabili, con 495 miliardi di dollari impegnati, +17% rispetto all’anno precedente. Ma il vero e proprio boom è legato al trasporto elettrificato, che include la spesa per i veicoli elettrici e le infrastrutture associate, avvicinatosi a 466 miliardi di dollari (+54% su base annua).

Se però andiamo a vedere quali Paesi hanno beneficiato maggiormente di investimenti, i dati di BNEF mostrano che è la Cina ad aver attratto più i fondi della transizione energetica con 546 miliardi di dollari, circa la metà del totale. Gli Stati Uniti sono al secondo posto con 141 miliardi, anche se l’intera Ue ha ricevuto 180 miliardi. A livello di singoli Paesi la Germania ha mantenuto il suo terzo posto mondiale, mentre il Regno Unito è sceso al quinto superato dalla Francia.

rinnovabili

Raggiungere net zero è la sfida più grande per le aziende

La più grande sfida mai affrontata dalle aziende”. Sembra il titolo di una campagna promozionale o di un libro, ma è in realtà la riflessione di 7 manager su 10 in merito alla gestione della transizione verso le zero emissioni nette. Lo rivela un nuovo studio commissionato da Castrol ‘The sharp end of sustainability’, che ha coinvolto oltre 2.860 dirigenti aziendali e professionisti in 14 mercati, per scoprire in che modo i settori automotive, industriale, manifatturiero e marittimo si stiano approcciando alla vera e propria transizione green. Per queste aziende, lo studio suggerisce che la sostenibilità sarà fondamentale per il successo commerciale: oltre tre quarti dei dirigenti (76%) e il 68% dei professionisti interpellati affermano che migliorare la sostenibilità dell’azienda sia fondamentale per rispondere alle esigenze dei clienti. Più in generale, il 71% dei dirigenti aziendali e il 62% degli operatori professionali ritengono che raggiungere quota zero emissioni “sarà la sfida più grande” che le rispettive aziende devono affrontare.

Mentre il mondo collabora alla creazione di un’economia più sostenibile, tutte le aziende, i nostri clienti e i nostri fornitori, hanno un ruolo da svolgere. Entrare in contatto con più organizzazioni, creare relazioni fra i settori e condividere competenze nelle nostre reti ci aiuterà a progredire tutti insieme”, ha commentato Rachel Bradley, direttrice globale della sostenibilità in Castrol (azienda del gruppo Bp che punta al net zero entro il 2050).

Lo studio ha individuato cinque priorità legate alla strategia sulla sostenibilità: efficienza, gestione dati, azioni anti spreco, partecipazione e condivisione dei temi, leadership. Quasi tre quarti (72%) degli esperti consultati, in particolare, afferma che il modo più efficace per ridurre le emissioni di CO2 è “migliorare l’efficienza energetica della propria organizzazione”, considerando quindi l’efficace manutenzione delle apparecchiature, i miglioramenti tecnici (inclusi upgrade e modifiche) e l’adozione di nuove tecnologie (secondo il 59% degli intervistati gli investimenti in innovazione saranno “un aspetto chiave di qualsiasi strategia mirata alla riduzione delle emissioni”).

Il 76% dei dirigenti aziendali ritiene poi che le proprie aziende “debbano migliorare nella gestione dei dati per individuare le aree su cui è opportuno concentrarsi per migliorare la sostenibilità”, mentre l’82% ritiene che “la propria organizzazione possa utilizzare meglio i dati a sua disposizione per il medesimo scopo”. Dai dati alla comunicazione interna: gli interpellati dallo studio Castrol spiegano che in media solo il 40% dei propri dipendenti comprenda la strategia di sostenibilità aziendale, mentre il 46% degli operatori professionali ritiene che la stessa “non venga effettivamente messa in atto dall’organizzazione”. Un ruolo fondamentale è costituito inoltre dalle cosiddette buone pratiche ecologiche: il 63% e il 61% dei manager ha imposto rispettivamente obiettivi di riduzione dei rifiuti e del consumo idrico. Quanto ai professionisti, la quota si abbassa, ma non di molto: il 58% considera importanti per la propria azienda” gli obiettivi di diminuzione rifiuti ma solo il 43% afferma che lo sono anche quelli di contrazione del consumo idrico.

Chiave di volta dell’intero studio sembra però essere il discorso sulla leadership: se il 64% dei manager abbiano affermato che la sostenibilità “è al centro di tutto ciò che fa la loro azienda”, dal lato dei professionisti emerge che l’assenza di leadership e visione “stia pregiudicando il processo”. Il mancato supporto alla sostenibilità da parte della dirigenza (indicato dal 48% degli operatori professionali), l’assenza di obiettivi chiari (48%), la mancanza di una strategia aziendale precisa per garantire la sostenibilità (48%) e la mancanza di visione da parte dei dirigenti (47%) sono risultati essere gli ostacoli principali al raggiungimento dei target di sostenibilità in azienda.