Enel, nei primi nove mesi del 2023 utile netto 5 mld (+65,2%): “Risultati solidi”

Nei primi nove mesi del 2023 il Gruppo Enel consolida la propria posizione con “risultati solidi. Il Consiglio di amministrazione, presieduto da Paolo Scaroni, approva infatti il resoconto intermedio di gestione al 30 settembre 2023, oltre al prospetto contabile riferito alla stessa data e la relazione, da cui risulta che la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della Società consente la distribuzione di un acconto sul dividendo per l’esercizio 2023 pari a 0,215 euro per azione, che verrà messo in pagamento a decorrere dal 24 gennaio 2024. Stando ai risultati, l’utile netto cresce del 65,2% arrivato a oltre 5 miliardi di euro: un aumento che riflette l’andamento positivo della gestione operativa ordinaria e la minore incidenza delle interessenze dei terzi sul risultato netto ordinario, che hanno più che compensato l’incremento degli oneri finanziari netti dovuto all’evoluzione dei tassi di interesse e all’aumento del debito medio del periodo, nonché il maggior onere fiscale da ricondurre ai migliori risultati.

L’Ebitda ordinario è 16,3 miliardi (+29,3%), mentre l’Ebitda 15,2 miliardi e l’Ebit 9,8 miliardi (+62,1%). I ricavi registrati sono 69.534 milioni di euro, in calo del 34,1%, attribuibile principalmente alla Generazione Termoelettrica e Trading per i minori volumi di energia prodotti in un regime di prezzi medi di vendita decrescenti – spiega Enel – in un contesto caratterizzato da una maggiore stabilità dei prezzi rispetto ai nove mesi del 2022, in particolare in Italia e Spagna, e per il differente perimetro di consolidamento, nonché ai Mercati Finali per le minori quantità vendute in un contesto di prezzi decrescenti e per la cessione, avvenuta nel 2022, di Celg Distribuição (Enel Goiás) in Brasile. Il decremento dei ricavi di Enel X è riferibile essenzialmente alla rilevazione, nel corso dei nove mesi del 2022, dei proventi derivanti dalla cessione parziale della partecipazione detenuta in Ufinet per 220 milioni di euro e dalla cessione di alcune partecipazioni di Enel X a Mooney Group per 67 milioni di euro, nonché ai minori ricavi registrati in Colombia e in Italia.

I ricavi di Enel Green Power, poi, risultano in aumento rispetto all’analogo periodo del 2022, prevalentemente per l’incremento delle quantità prodotte da fonte idroelettrica e solare in Italia, Spagna e America Latina e per i proventi per 98 milioni di euro derivanti dalle cessioni parziali delle partecipazioni detenute in alcune società, prevalentemente in Australia. La diminuzione dei ricavi per Enel Grids è principalmente riconducibile alla variazione di perimetro derivante dalla cessione, nel 2022, di alcune società in America Latina. Tali effetti sono stati sostanzialmente compensati dagli adeguamenti tariffari in Italia e in America Latina.

L’indebitamento finanziario netto è a 63.312 milioni di euro (60.068 milioni di euro a fine 2022, +5,4%), riconducibile principalmente ai positivi flussi di cassa generati dalla gestione operativa, dalla cessione di alcune società ritenute non più strategiche e dall’emissione di prestiti obbligazionari non convertibili subordinati ibridi perpetui, che hanno solo parzialmente compensato il fabbisogno generato dagli investimenti del periodo e il pagamento dei dividendi, nonché lo sfavorevole andamento dei tassi di cambio. Gli investimenti risultano 8,7 miliardi di euro (-5,9%), inoltre è stato deliberato un acconto sul dividendo 2023 pari a 0,215 euro per azione, in pagamento dal 24 gennaio 2024, in crescita del 7,5% rispetto all’acconto distribuito a gennaio 2023. Il Cda, peraltro, conferma la politica di acconto sui dividendi per l’esercizio 2023, prevista dal Piano Strategico 2023-2025. E ancora, alla luce della solida performance operativa registrata nei nove mesi del 2023, la guidance relativa all’esercizio 2023, fornita ai mercati finanziari in occasione della presentazione del Piano Strategico 2023-2025, è stata rivista al rialzo.

Le vendite di energia elettrica nei nove mesi del 2023, ancora, ammontano a 228,8 TWh, con un decremento di 13,5 TWh (-5,6%, -2% circa a parità di perimetro) rispetto all’analogo periodo dell’esercizio precedente. In particolare, si rilevano: (i) maggiori quantità vendute in Argentina (+0,6 TWh), Cile (+0,5 TWh), Perù (+0,3 TWh) e Colombia (+0,1 TWh) e (ii) minori quantità vendute in Italia (-7,7 TWh), Brasile (-5,6 TWh), Spagna (-0,6 TWh) e Romania (-1,2 TWh). Le vendite di gas naturale sono pari a 6,0 miliardi di metri cubi nei nove mesi del 2023, in diminuzione di 1,5 miliardi di metri cubi (-20,0%) rispetto all’analogo periodo dell’esercizio precedente. Nei nove mesi del 2023, la potenza efficiente installata netta totale del Gruppo Enel è pari a 82,9 GW, mentre l’energia netta prodotta è pari a 158,3 TWh.

Descalzi resta a Eni, Cattaneo-Scaroni alla guida di Enel e Cingolani ad Leonardo

Non è stato facile, ma alla fine le forze di maggioranza una quadra sulle nomine dei nuovi board delle società partecipate la trovano.

Si parte dall’unica certezza che ha accompagnato queste settimane di discussione: Claudio Descalzi resta amministratore delegato di Eni. Per proseguire il lavoro di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, non solo per liberare l’Italia della dipendenza russa, ma soprattutto per costruire quel progetto che la premier, Giorgia Meloni, ha chiamato ‘Piano Mattei‘, che nelle intenzione di Palazzo Chigi dovrebbe trasformare l’Italia nell’hub di riferimento per l’Europa, facendo leva sulla posizione geografica (e geopolitica) del nostro Paese rispetto all’area del Mediterraneo.

Alla presidenza del Cane a sei zampe, invece, arriva Giuseppe Zafarana, in uscita dalla Guardia di finanza, dove ha svolto il ruolo di comandante generale. Il Mef, titolare del 4,34% del capitale e per il tramite della Cassa depositi e prestiti (partecipata all’82,77% dal Mef) di un ulteriore 25,76%, comunica, poi, che il nuovo collegio sindacale di Eni sarà composto dagli effettivi Giulio Palazzo, Andrea Parolini e Marcella Caradonna e dai supplenti Giulia de Martino e Riccardo Bonuccelli. L’assemblea degli azionisti di Eni è convocata per il 10 maggio prossimo.

La vera sorpresa di questa partita è Enel. Flavio Cattaneo è infatti il nuovo ad, mentre Paolo Scaroni torna, ma nel ruolo di presidente. In vista dell’assemblea degli azionisti (10 maggio prossimo), il ministero dell’Economia, titolare del 23,59% del capitale, indica per il Consiglio di amministrazione i consiglieri Alessandro Zehenter, Johanna Arbib Perugia, Fiammetta Salmoni e Olga Cuccurullo.

Confermate, invece, le indiscrezioni sul board di Leonardo, che avrà come ad l’ex ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e come presidente Stefano Pontecorvo. Nella lista del Mef (titolare del 30,2% del capitale), per l’assemblea degli azionisti del 9 maggio, ci sono anche Elena Vasco, Enrica Giorgetti, Francesco Macrì, Trifone Altieri, Cristina Manara e Marcello Sala come consiglieri.

Nessuna ‘sorpresa’ nemmeno al timone di Poste Italiane, perché Matteo Del Fante resta amministratore delegato, ma con Silvia Rovere come presidente. Il dicastero di via XX Settembre, titolare del 29,26% del capitale e per il tramite di Cdp di un ulteriore 35%, nomina anche consiglieri Wanda Ternau, Matteo Petrella, Paolo Marchioni e Valentina Gemignani.

Le nomine dei nuovi vertici di Eni, Enel, Leonardo e Poste sono frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze. È un ottimo risultato del lavoro di squadra del governo“, commenta Meloni. Che ringrazia “chi ha servito l’Italia con passione in queste aziende“, mentre augura “ai prossimi amministratori buon lavoro. Il loro compito è quello di ottenere risultati economici solidi e duraturi nell’interesse della nazione che rappresentano in tutto il mondo“.

Resta ora da sciogliere il nodo di Terna. L’attuale ad, Stefano Donnarumma, per mesi dato in procinto di assumere la guida di Enel, al momento non si muove. Anche se i rumors indicano che al suo posto, nella società che gestisce la rete di trasmissione nazionale dell’energia, potrebbe arrivare Giuseppina Di Foggia, oggi ceo e vice presidente di Nokia Italia. Sarebbe la prima donna a capo di una società partecipata, un primato che Giorgia Meloni pare proprio voglia realizzare nella sua esperienza da presidente del Consiglio.

Paolo Scaroni

Scaroni: “Avremo bisogno di gas per altri 10 anni. Trivellare? L’Italia è un Paese contro tutto”

Paolo Scaroni è Deputy Chairman di Rothschild & Co, oltre che presidente del Milan. Ma per anni è stato amministratore delegato sia di Enel che di Eni: insomma, è una autorità nel mondo dell’energia.

Presidente, avremo gas abbastanza questo inverno o batteremo i denti?
“Ne avremo abbastanza se le modeste forniture dalla Russia – riceviamo ancora circa 20-25 milioni di metri cubi di gas al giorno – dovessero continuare ancora per qualche mese. Se dovessero interrompersi domani mattina avremmo qualche preoccupazione”.

Gli italiani stanno ‘scoprendo’ che cos’è il gas. Si stanno facendo programmi a breve-medio termine per arrivare all’indipendenza dalle forniture russe, ci stiamo però legando ad altri fornitori di gas, molti in Africa. Qual è la soluzione per diventare veramente indipendenti? Quella delle rinnovabili, del nucleare, dell’idrogeno?
“Cominciamo col dire che l’Italia per ragioni storiche è stato il Paese che ha inventato l’utilizzo ampio del gas, perché quando Mattei cercava il petrolio in pianura padana, nelle perforazioni trovava gas ed ebbe l’idea di usarlo come combustibile nelle fabbriche e non solo per la giovane repubblica italiana. Quindi gli italiani ora scoprono il gas ma in realtà siamo stati i precursori. Oggi rinunciare al gas russo, vuol dire utilizzare gas per molti anni che arriva da altri Paesi. È difficile immaginare una transizione energetica in quattro e quattrotto. Certo, oggi riceviamo gas dall’Algeria, dalla Libia, dall’Azerbaigian via tubo, quindi solo per noi, e poi possiamo acquistare gas liquido nel mondo, che viaggia come il petrolio. Però quest’ultimo è sul mercato mondiale e va a chi lo paga di più. A lungo termine, certo, rinnovabili e nucleare potranno giocare un ruolo importantissimo, però almeno per i prossimi dieci anni noi abbiamo bisogno di gas”.

Noi il gas ce l’abbiamo, non estratto, soprattutto nell’Adriatico. C’è lo stop di ambientalisti e di alcuni partiti probabilmente per salvaguardare la laguna di Venezia. Intanto i croati trivellano e lo fanno anche gli albanesi di fronte alla Puglia. È un po’ un controsenso all’italiana?
“Noi nel passato abbiamo estratto 15-20 miliardi di metri cubi all’anno e le ricordo che il consumo italiano è di circa 70 miliardi, quindi coprivamo circa il 20-25% del fabbisogno. Progressivamente siamo calati come risultato perché non abbiamo fatto nuove esplorazioni, non è stato possibile realizzare nuove piattaforme e così via. Certo, gli italiani sono contro lo sfruttamento degli idrocarburi in mare, ma in realtà siamo un Paese che è sempre contro tutto. Siamo un Paese dove è difficilissimo realizzare qualunque infrastruttura. E così avviene che, siccome il gas non ha passaporto, se un giacimento è tra le acque di interesse economico di due Paesi, il Paese che lo estrae se lo porta a casa. Se si volesse ripartire con un aumento della produzione in Italia di gas, dovremmo ripartire con le esplorazioni, e far tante cose che suscitano opposizione ma non dalla politica, dai nostri concittadini. Sono loro che si organizzano per bloccare qualunque cosa. Pensiamo solo che oggi riceviamo 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Azerbaigian, e meno male che li riceviamo altrimenti saremmo veramente in difficoltà , e quel tubo che ci collega alla Grecia – il famoso Tap – ha avuto opposizioni incredibili. Oggi però si va lì e non lo si vede nemmeno. Quindi da questo punto di vista siamo veramente un Paese curioso”.

Rigassificatori, l’Italia ne ha realizzato uno grande al largo delle coste venete nel 2008, poi stop. Abbiamo scoperto con questa crisi energetica che la Germania non ha rigassificatori. Com’è possibile che grandi Paesi europei come Italia e Germania non abbiano investito in rigassificatori?
“È possibile perché per decenni, Germania, Italia ma anche Austria, Repubblica Ceca e altri Paesi del centro Europa hanno considerato la Russia il loro Texas, ritenendolo un Paese affidabile, che rispettava i contratti e che aveva tutto il gas di cui avevamo bisogno. Tra l’altro, il gas russo era più competitivo di quello liquido. Spagna e Portogallo si sono dotati di impianti di rigassificazione perché non potevano accedere al gas russo.”

Le risposte alla crisi energetica dell’Unione Europea lasciano un po’ il tempo che trovano, manca la volontà di creare una politica energetica vera continentale?
“Quando penso all’Europa penso alla governance che ci siamo dati. Ce la siamo data noi quindi è inutile criticarla, ma abbiamo una governance così complicata, farraginosa, bloccata da veti, per cui qualunque decisione o azione rilevante a livello europeo richiede tempi non compatibili con le emergenze. Questo è un vero problema. Vorrei anche aprire il capitolo Nato, perché quando a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina l’Alleanza Atlantica ha deciso azioni fortissime – armi, sanzioni – a quel tavolo c’erano dei Paesi petroliferi, primo fra tutti la Norvegia, che è un grandissimo esportatore di gas. In quel momento era largamente prevedibile che la reazione della Russia sarebbe stata quella di tagliarci il gas e che i prezzi sarebbero quindi schizzati a livelli inimmaginabili. A quel tavolo c’era chi ci guadagnava – Norvegia, Stati Uniti, Canada – e chi perdeva enormemente. Ecco, quella poteva essere la sede e potrebbe essere ancora la sede per chiedere una distribuzione più equa, perché è strano che un’azione presa collettivamente veda qualcuno che ci guadagna enormemente e qualcuno che ci perde enormemente”.

È vero che la guerra in Ucraina ha determinato un aumento fortissimo del prezzo del gas, ma qualche sommovimento c’era già prima. Qualcosa si percepiva?
“No, direi che non è così. Quello che avveniva nel 2021 è stato un aumento dei prezzi e dei consumi di gas, una crescita fisiologica frutto di economie che uscivano dalla pandemia, di transizione dal carbone al gas, quindi da una domanda più forte che spingeva i prezzi al rialzo. Per darle un dato: in Cina, dove molte case sono riscaldate a carbone, si è deciso proprio per ragioni ambientali di trasformare il riscaldamento di 15 milioni di case da carbone a gas. Il mercato vedeva prezzi in salita, ma niente a che vedere con quello che è accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina. Una osservazione: quando l’Europa ha deciso di rinunciare al gas russo, ha rinunciato a 150 miliardi di metri cubi all’anno. Non è che sul mercato c’erano 150 miliardi di metri cubi pronti a soppiantare il gas russo.”

Il Ttf, il prezzo alla Borsa di Amsterdam, è al centro delle polemiche. C’è chi dice che è una fiera di paese, che bisogna riformarla, che si deve addirittura agganciarsi all’Henry Hub americano per determinare le bollette…
“Magari ci legassimo all’Henry Hub, il problema è che l’Henry Hub è il mercato del gas domestico americano, non del gas di importazione…”

Il prezzo sarebbe ovviamente più alto di quello russo, però inferiore a quello che vediamo attualmente sul Ttf…
“Noi non possiamo condizionare i prezzi di una merce che non abbiamo. Quello che potremmo teoricamente fare è fissare un tetto ai prezzi per il gas che ci arriva via tubo quindi Norvegia, innanzitutto, Azerbaigian, Libia e Algeria, perché questo gas norvegesi e algerini non possono che venderlo a noi dato che il gasdotto è collegato con noi, non hanno alternative. A questi Paesi, in particolare alla Norvegia nostra partner nella Nato, potremmo chiedere un prezzo calmierato. Per quanto riguarda il gas liquido parlare di price cap mi sembra francamente una stupidaggine: se noi fissiamo un tetto che non è del mercato mondiale, il gas non verrà da noi ma andrà da un’altra parte”.

Lei è stato amministratore delegato di Enel e di Eni, il futuro come vede?
“Due osservazioni. Ci stiamo incamminando verso un’Europa che avrà costi energetici superiori agli Stati Uniti e alla Cina, i due grandi competitor a livello mondiale. Quindi le nostre imprese che utilizzano molta energia soffriranno e magari delocalizzeranno la loro produzione andando alla ricerca di energia meno cara. Il consumatore europeo avrà meno soldi in tasca perché dovrà pagare di più per scaldarsi, quindi da questo punto di vista vedo un futuro un po’ grigio. Penso però che dalle crisi vengano fuori nuove idee e può darsi che sul terreno delle rinnovabili, che dobbiamo spingere al massimo, l’Europa possa prendere quella leadership che vuole avere senza fermarsi solo a pannelli solari e pale eoliche ma con nuovi prodotti e soluzioni, attraverso i quali possiamo ritornare alla testa della tecnologia mondiale. Ultima cosa, il mondo non fa che cambiare: oggi ci diciamo delle cose, magari fra 5 anni ci diremo il contrario. Se ci fossimo incontrati nel 2012, dieci anni fa, prima dell’operazione russa in Crimea, e mi aveste chiesto una valutazione sul fornitore Russia per il gas, avrei detto che è un buon fornitore come puntualità delle consegne, prezzi, tranquillità…”.

Ultimissima domanda. C’è l’ipotesi che lei potrebbe essere il nuovo amministratore delegato di Milano-Cortina 2026. Se la chiamasse Draghi ci andrebbe?
“No, perché un compito full time come lo immaginano Draghi, il Coni, il Cio, mi obbligherebbe a lasciare tante cose che faccio, prima di tutte il Milan, che è una avventura che non ho nessuna intenzione di lasciare. Proprio ieri sono stato rinnovato per tre anni come Presidente. Immaginate se posso lasciare il Milan che negli ultimi anni sta dando discrete soddisfazioni…”.