Barachini: “Sacrosanta una nuova legge sull’editoria. Per l’Ia serve approccio umanocentrico”

Un tempo si diceva intervista ‘a tutto tondo’. Alberto Barachini, sottosegretario all’Editoria e all’Informazione, davvero tocca tanti argomenti ai microfoni del #GeaTalk (guarda qui il video integrale). Innanzitutto sulla rielezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea: “Come esponente di Forza Italia sono estremamente soddisfatto del fatto che la coerenza dell’appartenenza al Partito popolare europeo ha portato a una buona continuità di governo europeo. La coerenza e anche la visione europeista del nostro movimento politico e del Ppe credo siano fondamentali anche per dare una centralità all’Italia“.

Restando sull’attualità, Barachini risponde anche (indirettamente) all’appello lanciato poche ore prima dal presidente dell’Autorità per Garanzie nelle Comunicazioni, Giacomo Lasorella, che alla presentazione della Relazione annuale 2024 di Agcom dice apertamente che serve una nuova legge sull’editoria. “Credo che sia sacrosanto e fa parte di una riflessione che molti di noi hanno fatto in questo periodo. Il sistema dell’editoria sta cambiando in maniera vorticosa e la legge è del 1987. Qualcosa sicuramente va rivisto“. Anche perché “il sistema nazionale dell’informazione italiana è fragile, quindi va tutelato e difeso nell’interesse nazionale e nell’interesse anche occupazionale del Paese“, ammette l’esponente di governo.

Oggigiorno tutto sta cambiando rapidamente sotto la spinta del web, dei social e adesso anche dell’Intelligenza artificiale, argomento di cui Barachini si occupa quasi quotidianamente. Al punto da aver creato una commissione, con a capo padre Paolo Benanti, che svolge lo stesso ruolo anche alle Nazioni Unite. Dal lavoro di questo nuovo organismo è stata prodotta una relazione che poggia le basi su tre pilastri: “Difesa del diritto d’autore, marcatura dei contenuti prodotti con l’Ia e, soprattutto, la nuova aggravante penale del cosiddetto deep fake“. Il testo è stato poi consegnato alla premier, Giorgia Meloni, che lo ha inserito nel dossier che ha centralizzato l’attenzione del G7 dei leader, alla presenza anche di Papa Francesco. “L’approccio umanocentrico prodotto nella nostra prima relazione è stato molto opportuno“, dice Barachini del lavoro svolto.

Il sottosegretario analizza diverse criticità di questa tecnologia. In fondo “siamo in presenza di un’innovazione della quale neanche gli stessi ingegneri conoscono l’evoluzione esatta“. Che porta anche qualche preoccupazione: “Abbiamo cercato di lavorare sul tema del cosiddetto ‘Registro di apprendimento dell’Ia – ricorda -, cioè chiedere alle società che sviluppano questa tecnologia di tenere un registro delle fonti. Si tratta di un tema molto delicato, perché i tecnici della commissione mi hanno detto che al momento, e probabilmente anche nel futuro, i sistemi di Intelligenza artificiale generativa sono talmente complessi che dalla risposta sarà quasi impossibile risalire alla fonte. Cioè, è talmente articolata l’interazione, la gestione delle fonti che lo stesso sistema non riconosce quali fonti che hanno generato un contenuto“.

Senza contare che, sul piano ambientale, l’Ia qualche problema lo crea. “Amazon, che sta investendo molto in Ia, ha fatto studi molto approfonditi sul consumo di energia elettrica e idrico, perché per raffreddare i server serve una mole di acqua incredibile. Quindi, la domanda è: il business che genererà sarà compatibile con l’esborso di risorse e i consumi che questo fenomeno richiede?“. Per Barachini “forse stiamo anche un po’ sopravvalutando l’Ia: pensiamo che possa fare cose straordinarie, poi quando gli chiediamo di fare delle cose molto semplici o facciamo degli esperimenti il contenuto è estremamente superficiale“. Ci sono anche aspetti positivi, però. Ad esempio per i Paesi sottosviluppati può essere una risorsa importante, a patto che “a livello internazionale si rifletta anche sulla capacità di sviluppo e, magari, sull’aiuto economico. Perché se queste tecnologie rimangono patrimonio solo di alcuni Paesi, invece che ridurre la povertà mondiale – avverte Barachini –, si rischia di ampliare il divario“.

Appello di Mattarella e altri 5 capi di Stato per il clima: “Non c’è tempo da perdere”

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato insieme ai suoi omologhi di Croazia (Zoran Milanović), Grecia (Katerina Sakellaropoulou), Malta (George Vella), Portogallo (Marcelo Rebelo de Sousa) e Slovenia ( Nataša Pirc Musar) un appello per la “crisi climatica i cui effetti “ sono visibili soprattutto nella nostra regione, il Mediterraneo, che è gravemente colpita e a rischio immediato non soltanto di scarsità di acqua ed elettricità, ma anche di inondazioni, diffuse ondate di calore, incendi e desertificazione”. I sei capi di Stato dei Paesi del Mediterraneo e membri del Gruppo Arraiolos “si impegnano a sostenere pienamente le iniziative di azione congiunta e fanno appello all’Unione Europea, agli altri paesi del Mediterraneo e alla comunità internazionale affinché mantengano questo tema in cima alla loro agenda politica”.

I fenomeni naturali estremi – si legge – stanno distruggendo l’ecosistema e minacciando la nostra vita quotidiana, il nostro stile di vita. Non c’è più tempo da perdere, non c’è più tempo per scendere a compromessi per ragioni politiche o economiche. È imperativo agire e prendere iniziative urgenti ed efficaci. Tutti i Paesi del Mediterraneo devono coordinarsi e reagire, impegnarsi in uno sforzo collettivo per arrestare e invertire gli effetti della crisi climatica. È dovere di tutti noi agire in questa direzione e adottare politiche concrete volte a questo sforzo. Sensibilizzare l’opinione pubblica, educare e ispirare in tutti l’etica della responsabilità ambientale. Non solo per il presente, ma anche per il futuro dei nostri figli e delle generazioni che verranno”.

E sul tema del cambiamento climatico si è soffermato anche Papa Francesco durante l’incontro con i giovani dell’Università cattolica di Lisbona. “Voi siete la generazione che può vincere questa sfida – ha detto -. Avete gli strumenti scientifici e tecnologici più avanzati. Ma per favore, non cadete nella trappola di visioni parziali. Non dimenticate che abbiamo bisogno di un’ecologia integrale, di ascoltare la sofferenza del Pianeta insieme a quella dei poveri, di mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati, il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità. Abbiamo bisogno di occuparci della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale. Non polarizzazioni, ma visioni d’insieme’‘. Secondo il Pontefice “dobbiamo riconoscere l’urgenza drammatica di prenderci cura della casa comune. Tuttavia ciò non può essere fatto senza una conversione del cuore e un cambiamento della visione antropologica dell’economia e della politica. Non ci si può accontentare di misure palliative o di ambigui compromessi. Le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Si tratta invece di farsi carico di quello che purtroppo continua a venire rinviato: la necessità di ridefinire progresso e evoluzione. Perché in nome del progresso si è fatto strada troppo regresso”. L’auspicio di Sua Santità è che la generazione dei giovani d’oggi diventi “di maestri di umanità e compassione, di nuove opportunità per il Pianeta e per i suoi abitanti. Maestri di speranza, che difendono la vita del Pianeta minacciata in questo momento per una grave distruzione ecologica”.

A 10 anni dall’elezione di Francesco nasce la prima Cer interreligiosa

A dieci anni dall’elezione al Soglio di Pietro del Papa più ecologista di sempre, nasce la prima comunità energetica interreligiosa d’Italia.

L’intesa è siglata tra la Pontificia Università Antonianum e il Centro Islamico Culturale D’Italia.

Il centro di riferimento del pensiero francescano nel mondo e l’ente che sovrintende la Grande Moschea di Roma diventeranno due strutture green, con energia rinnovabile da pannelli solari per l’auto e per l’etero consumo: l’eccesso di energia verrà infatti donato ai quartieri limitrofi, per chi ha più bisogno.

Un progetto condiviso di comunità energetica come primo esempio di collaborazione e sinergia tra le comunità di appartenenza: una prima opportunità concreta per l’Italia, innesco aperto alle nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto.

Sullo sfondo della chiamata a cui rispondono le due fedi, la costituzione apostolica di Francesco ‘Veritatis gaudium’, il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da Bergoglio e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, l’Enciclica ‘Fratelli Tutti‘.

Alla firma dell’accordo, c’erano John Puodziunas, economo generale dell’Ordine dei Frati Minori, l’Imam Nader Akkad, della Grande Moschea, Abdellah Redouane, Segretario Generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Massimo Fusarelli, ministro generale dei Frati Minori, Augustin Hernandez Vidales, rettore dell’Antonianum.

All’interno dell’intesa, c’è anche l’impegno a collaborare nella ricerca scientifica, nella realizzazione di conferenze e corsi di aggiornamento, nei programmi accademici, culturali, di sviluppo e di orientamento. Occorre “Unire intenti per fare sì che le idee accademiche confluiscano insieme per un cambio di paradigma – osserva il rettore dell’Antonianum, Hernandez Vidales –, desiderio auspicato dal Papa per il bene di tutto il mondo”.

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I 10 anni di pontificato di Francesco: il Papa attivista che lotta per il Pianeta

L’ecocidio come crimine contro contro l’umanità e il progetto di introdurre l’eco-peccato nel catechismo della Chiesa cattolica. La prima enciclica sulla cura del Creato, un Sinodo per l’Amazzonia. Un summit delle big oil in Vaticano, con i vertici di Eni, Chevron, Conoco, Exxon, Bp e Blackrock, per riflettere sul futuro del Pianeta. Gli incontri con Greta Thunberg e Bono Vox. Se Francesco è il Papa delle ‘prime volte’, tante, tantissime di queste riguardano l’ambiente. Si può dire che nei dieci anni di Pontificato, l’argentino “venuto dalla fine del mondo” sia stato il più potente attivista ambientalista dei giorni nostri.

A partire dalla scelta del nome, che già comunicava una volontà di riformare la Chiesa, spogliarla per quanto possibile, ‘uscire’ da Roma come fece il Santo d’Assisi, che con il Sultano Malik al-Kāmil iniziò il dialogo islamo-cristiano. “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! Per questo mi chiamo Francesco, come Francesco da Assisi”, spiegò Jorge Mario Bergoglio in conferenza stampa. “Uomo di povertà, uomo di pace. L’uomo che ama e custodisce il Creato”.

Nessuno poteva dirsi stupito, quando nel 2015 annunciò un’enciclica ambientale. Nella lettera, pubblicata il 24 maggio, Francesco metteva in evidenza come i cambiamenti climatici costituiscano una delle principali sfide per l’umanità, parlava della necessità di modificare stili di vita senza cedere al paradigma tecnocratico, chiedeva di considerare l’acqua potabile bene comune e diritto inalienabile per tutti. Invitava a provvedere con urgenza a politiche in grado di limitare l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti, sviluppando invece energia da fonti rinnovabili.

Cinque anni dopo, un sinodo pan-amazzonico a Roma, il cui lavoro è riassunto nell’esortazione apostolica Querida Amazonia. Qui Bergoglio riporta sogni e speranze per il polmone verde del mondo, in cui “ecologia sociale, culturale e naturale si fondono in tutt’uno”. E’ l’esempio perfetto della sua ecologia integrale.

Nel 2018, convocò i più grandi petrolieri tra le Mura Leonine, per parlare di impatto climatico, ruolo delle rinnovabili, rischi legati alle modifiche dell’ecosistema.

Il suo grido in difesa dell’ambiente è salito anche dal Palazzo di Vetro dell’Onu: “La crisi ecologica, insieme alla distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana“, aveva avvertito denunciando le “nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente dall’ambizione di guadagno e di potere“, che impongono, aveva detto, “una severa riflessione sull’uomo“.

In queste settimane buie per l’Europa e il mondo, a più riprese il Pontefice è tornato ad appellarsi contro la “follia della guerra” che può portare a una nuova catastrofe nucleare. L’uso delle armi nucleari, insiste Francesco, così come il loro semplice possesso, è “immorale”. Il disarmo è per il Papa un “obiettivo impegnativo e lungimirante” specialmente in un momento in cui l’umanità si trova a un “bivio”.

Subito dopo la sua elezione in Conclave, ancora per la prima volta nella storia, prima di presentarsi alla Loggia di san Pietro, Bergoglio aveva pregato nella Cappella Paolina, punto d’avvio della processione dei cardinali verso la clausura della Sistina. Una preghiera solitaria, come quella di San Francesco al Crocifisso di San Damiano. Nella scelta del nome e della sua missione, avrà pensato alle parole che il Santo rivelò di aver sentito dall’alto: “Francesco, và e ripara la mia Casa“.

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Il Papa per i popoli indigeni: Difendono la Terra, tuteliamoli

La crisi sociale e ambientale è “senza precedenti”. Per prendersi cura del Pianeta è essenziale “cambiare profondamente gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo”, ma anche riconoscere la dignità e i diritti dei popoli indigeni, perché per primi proteggono la Terra trovando soluzioni a sfide immense.

Papa Francesco riceve in Vaticano il Forum dei Popoli indigeni e lancia ancora una volta un appello ai governi di tutto il mondo perché i nativi siano tutelati, con le loro culture, lingue, tradizioni e spiritualità: “Ignorare le comunità indigene nella salvaguardia della terra è un grave errore, per non dire una grande ingiustizia. D’altra parte, valorizzare il loro patrimonio culturale e le loro tecniche ancestrali ci aiuterà a intraprendere la strada di una migliore gestione ambientale“, sottolinea.

Il Pontefice invita quindi tutti a imparare dal loro stile di vita, per capire che “non possiamo continuare a divorare avidamente le risorse naturali, perché la terra ci è stata affidata perché sia per noi una madre, capace di dare ciò che è necessario a tutti per vivere“.

Il tema del Forum, promosso dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, quest’anno è ‘La leadership dei popoli indigeni sulle questioni climatiche: soluzioni basate sulle comunità per migliorare la resilienza e la biodiversità’. Bisogna riconoscere il ruolo critico che queste popolazioni hanno nella protezione dell’ambiente, ribadisce Francesco. “Abbiamo urgente bisogno di azioni comuni, frutto di una collaborazione leale e costante, perché la sfida ambientale che stiamo affrontando e le sue radici umane hanno un impatto su ciascuno di noi“, osserva.

L’Ifad assiste le comunità in un processo di sviluppo autodeterminato, in particolare attraverso il Fondo di sostegno dedicato. Il Papa esorta a moltiplicare questi sforzi, accompagnandoli da un processo decisionale “decisivo e lungimirante” per realizzare una “giusta transizione“: “Oggi più che mai – afferma – sono in molti a chiedere un processo di riconversione delle strutture di potere consolidate che governano la società di cultura occidentale e, allo stesso tempo, trasformano le relazioni storiche segnate dal colonialismo, dall’esclusione e dalla discriminazione, dando vita a un rinnovato dialogo su come stiamo costruendo il futuro del pianeta“.

Papa a vescovi congolesi: Siete come foreste, polmoni che danno respiro alla Chiesa

“È stato bello per me trascorrere questi giorni nella vostra terra, che con la sua grande foresta rappresenta il ‘cuore verde’ dell’Africa, un polmone per il mondo intero. L’importanza di questo patrimonio ecologico ci ricorda che siamo chiamati a custodire la bellezza del creato e a difenderla dalle ferite causate dall’egoismo rapace“. Lo ha detto Papa Francesco nel suo discorso durante l’incontro con i vescovi della Cenco (Conferenza Episcopale Nazionale del Congo), al termine del quale si recherà in Sud Sudan per proseguire il suo viaggio in Africa, che si chiuderà il 5 febbraio. “Ma questa immensa distesa verde che è la vostra foresta – ha aggiunto il pontefice – è anche un’immagine che parla alla nostra vita cristiana: come Chiesa abbiamo bisogno di respirare l’aria pura del Vangelo, di scacciare l’aria inquinata della mondanità, di custodire il cuore giovane della fede. Così immagino la Chiesa africana e così vedo questa Chiesa congolese: una Chiesa giovane, dinamica, gioiosa, animata dall’anelito missionario, dall’annuncio che Dio ci ama e che Gesù è il Signore”.

Di fronte ai vescovi, il Santo Padre, ha ricordato che la “vostra” Chiesa “è presente nella storia concreta di questo popolo, radicata in modo capillare nella realtà, protagonista di carità; una comunità capace di attrarre e contagiare con il suo entusiasmo e perciò, proprio come le vostre foreste, con tanto “ossigeno”: grazie, perché siete un polmone che dà respiro alla Chiesa universale“.

In questi quattro giorni nella Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha ricordato più volte la piaga dello sfruttamento del continente africano. “Ampiamente depredato – aveva detto il 31 gennaio, all’arrivo a Kinshasa – non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono ‘straniero’ ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”.

E anche oggi ha parlato delle “tante forme di schiavitù e oppressione“, in un Paese in cui dunque, “sradicare le piante velenose dell’odio e dell’egoismo, del rancore e della violenza; demolire gli altari consacrati al denaro e alla corruzione; edificare una convivenza fondata sulla giustizia, sulla verità e sulla pace; e, infine, piantare semi di rinascita, perché il Congo di domani sia davvero quello che il Signore sogna: una terra benedetta e felice, mai più violentata, oppressa e insanguinata”. Ma, ha avvertito Francesco, “non si tratta di un’azione politica” perché “il compito dei vescovi e dei pastori non è questo”. Serve, invece, “annunciare la parola per risvegliare le coscienze, per denunciare il male, per rincuorare coloro che sono affranti e senza speranza”.

 

(Photo credit: Vatican News)

Papa: Giù le mani dall’Africa, non è miniera da saccheggiare

Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Nel primo giorno del suo viaggio che toccherà anche il Sud Sudan, Papa Francesco non poteva non denunciare il colonialismo economico che da secoli depreda il Continente.

Usa l’immagine del diamante, comunemente raro, ma che in Africa abbonda, dalle numerose facce “armonicamente disposte“, a simboleggiare il pluralismo, il carattere poliedrico, “ricchezza che va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione“; pietra che “nella sua trasparenza, rifrange in modo meraviglioso la luce che riceve“, che sorge dalla terra “genuina ma grezza, bisognosa di lavorazione“, che “dono della terra, richiama alla custodia del creato, alla protezione dell’ambiente“.

Il Continente africano, denuncia il Pontefice, soffre ancora di varie forme di sfruttamento. Dopo quello politico, quello economico, che è altrettanto schiavizzante. “Ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono ‘straniero’ ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”, le sue parole alle autorità nel giardino del Palais de la Nation a Kinshasa.

Eppure l’Africa, scandisce, merita spazio e attenzione: “Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino!”, tuona Bergoglio.

La Repubblica Democratica del Congo, ricorda, ospita uno dei più grandi polmoni verdi del mondo, che va preservato. Francesco richiama il mondo alla collaborazione “ampia e proficua“, che permetta di intervenire efficacemente, senza però imporre modelli esterni “più utili a chi aiuta che a chi viene aiutato“: “Tanti hanno chiesto all’Africa impegno e hanno offerto aiuti per contrastare i cambiamenti climatici e il coronavirus. Sono certamente opportunità da cogliere – afferma -, però c’è soprattutto bisogno di modelli sanitari e sociali che rispondano non solo alle urgenze del momento, ma contribuiscano a una effettiva crescita sociale: di strutture solide e di personale onesto e competente, per superare i gravi problemi che bloccano sul nascere lo sviluppo, come la fame e la malaria”.

Accanto a lui, il presidente della Repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi Tshilombo, denuncia le potenze straniere, “avide di minerali“, che agiscono nell’Est del Paese con “l’appoggio diretto e vigliacco del Rwanda” e nel “silenzio della comunità internazionale“.

 

Photo credit: Vatican Media

PAPA FRANCESCO

Clima, Papa Francesco: La cura della nostra casa comune richiede maggiore solidarietà

Clima, guerra, energia e alimentazione. Sono queste le priorità che Papa Francesco ha voluto sottolineare durante l’udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. Perché, secondo il Pontefice, uno degli ambiti in cui è “particolarmente urgente una maggiore solidarietà” è “la cura della nostra casa comune. Abbiamo costantemente davanti a noi gli effetti dei cambiamenti climatici e le gravi conseguenze che essi hanno sulla vita di intere popolazioni, sia per le devastazioni che talvolta producono, come accaduto in Pakistan nelle aree colpite dalle inondazioni, dove i focolai di malattie trasmesse dall’acqua stagnante continuano ad aumentare; sia in vaste aree dell’Oceano Pacifico, dove il riscaldamento globale provoca danni innumerevoli alla pesca, fondamento della vita quotidiana di intere popolazioni; sia in Somalia e nell’intero Corno d’Africa, dove la siccità sta causando una grave carestia; sia negli ultimi giorni negli Stati Uniti, dove le improvvise e intense gelate hanno provocato diversi morti”. E proprio in questa direzione nell’estate passata “la Santa Sede ha deciso di accedere alla Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, intendendo dare il proprio sostegno morale agli sforzi di tutti gli Stati per cooperare, in conformità con le loro responsabilità e rispettive capacità, a una risposta efficace e adeguata alle sfide poste dal cambiamento climatico. Si spera che i passi compiuti alla COP27, con l’adozione dello Sharm el-Sheikh Implementation Plan, anche se limitati, possano accrescere la presa di coscienza di tutta l’umanità verso una questione urgente che non può più essere elusa. Obiettivi incoraggianti sono stati, invece, concordati durante la recente Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (COP15), svoltasi a Montreal il mese scorso”.

Per Papa Francesco, appunto, “tanto bene si può fare insieme”, non solo sul contrasto ai cambiamenti climatici, ma anche nella riduzione della povertà, nell’aiuto ai migranti, per favorire il disarmo nucleare e nell’offrire aiuto umanitario. Perché “oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, con il suo strascico di morte e distruzione; con gli attacchi alle infrastrutture civili che portano le persone a perdere la vita non solo a causa degli ordigni e delle violenze, ma anche di fame e di freddo”. “Non dimentichiamo poi – ha aggiunto – che la guerra colpisce particolarmente le persone più fragili – i bambini, gli anziani, i disabili – e lacera indelebilmente le famiglie. Non posso che rinnovare quest’oggi il mio appello a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

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Papa a industriali: “La terra non reggerà impatto del capitalismo”

Cambiare il paradigma economico e fare di più, molto di più, per l’ambiente o “la terra non reggerà l’impatto del capitalismo. È la richiesta di Papa Francesco agli industriali italiani ricevuti in udienza, in Aula Paolo VI.

A una platea di circa 5mila industriali in giacca e cravatta, il papa ecologista domanda “creatività e innovazione“, salvaguardia del Creato come “obiettivo diretto e immediato“, per non lasciare alle prossime generazioni un Pianeta “troppo ferito, forse invivibile“.

Il momento non è semplice, ammette: “Anche il mondo dell’impresa sta soffrendo molto“, scandisce Francesco. Le imprese sono state piegate dalla pandemia prima e dalla guerra in Ucraina poi, “con la crisi energetica che ne sta derivando“: “In questa crisi soffre anche il buon imprenditore, che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sé le incertezze e i rischi“.

Un allarme che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, conferma e rilancia: “Oggi, a procurarci grande preoccupazione non sono solo gli effetti della spaventosa guerra in corso in Ucraina, i costi dell’energia e la perdurante bassa occupazione nel nostro Paese, ma l’onda di smarrimento, sfiducia e sofferenza sociale che esprime una parte troppo vasta della società italiana“.

Il presidente degli industriali parla di un Paese “smarrito, diviso, ingiusto con troppi dei suoi figli e con lo sguardo schiacciato sui bisogni del presente“.

Ma il Pontefice assicura che un nuovo modello economico è in costruzione e che l’attenzione è tutta all’uomo, alla dignità, al tentativo di “dare una risposta, insieme a tutti gli altri attori della società, convinti che la direzione verso cui andare è quella di garantire il lavoro, che è certamente la questione chiave“.

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La lettera di Dole al Papa: “La mela non è peccato, rettificare la Bibbia”

Crediamo che sia finalmente giunto il momento di affrontare una questione vecchia di migliaia di anni” e per questo “chiediamo umilmente l’assoluzione che solo voi potete offrire. Un piccolo gesto che può cambiare il mondo. Prendereste in considerazione la possibilità di rettificare la Bibbia?“. È con una lunga lettera pubblicata su una pagina pubblicitaria di alcuni quotidiani che Dole Sunshine Company si rivolge informalmente a Papa Francesco, per chiedere di intervenire perché “oggi, più che mai, nessun frutto dovrebbe rappresentare un peccato“.

Una missiva ironica, certo, che attraversa con disinvoltura più di 2mila anni di storia, durante i quali la frutta “è stata vilipesa e demonizzata, calunniata nell’arte e nella letteratura, simboleggiando la lussuria, la tentazione e la depravazione“. A partire dalla mela di Adamo ed Eva. Dole Sunshine Company rappresenta gli interessi di Dole Asia Holdings, Dole Worldwide Packaged Foods e Dole Asia Fresh, multinazionale nell’ambito dell’ortofrutta, nata alle Hawaii nel 1899 e ora presente in tutto il mondo. L’azienda da tempo punta sulla sostenibilità della filiera ed è protagonista di molte campagne dedicate all’alimentazione sana, accessibile ed equa. Una di queste è proprio la Dole Sunshine For All, esplicitata nel testo della lettera. La compagnia, in un viaggio semiotico che spazia dalla letteratura alla religione, dall’arte alla sociologia, chiede “un piccolo messaggio di sostegno al Papa“, invitandolo “a ripristinare la fedeltà del mondo nei confronti dei nostri amati frutti“.