Lite Meloni-Schlein su Fitto. La dem: “Stallo creato da Vdl e Ppe, allargano a destra”

Non si placa lo scontro a distanza tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Questa volta, il terreno è quello europeo e la posta in gioco è alta per tutti. La vicepresidenza della commissione europea di Raffaele Fitto è in stallo e la premier non accetta che il Paese non sia compatto nel supporto alla causa.

Non posso che augurarmi il massimo sostegno da parte del Sistema Italia, forze politiche comprese, alla conferma della vicepresidenza esecutiva della prossima Commissione per il Commissario italiano Raffaele Fitto”, mette in chiaro Meloni. Il ruolo di vicepresidente, ricorda, consentirà al ministro italiano, già dotato di un portafoglio “significativo” alla coesione e alle riforme, di “supervisionare altre politiche settoriali come quella dei trasporti, affidata al commissario greco Tzitzikostas”. A lui spetterà, tra l’altro, la redazione di un nuovo piano europeo per il settore caldissimo dell’automotive, che sta facendo tremare le vene ai polsi dell’intero Continente. La premier ce l’ha in particolare, con la segretaria dei Dem. Dal palco della chiusura della campagna elettorale del centrodestra per le Regionali in Umbria, la presidente del Consiglio si dice “basita”: “Da giorni chiedo alla segretaria del Partito Democratico quale sia la posizione ufficiale del Pd” su Fitto “e non riesco ad avere una risposta”, denuncia. “Non deve rispondere a me ma ai cittadini italiani, le persone serie fanno così”, ribadisce, invitando Schlein ad assumersi la “responsabilità delle proprie scelte.

Sorrido”, risponde la democratica oggi proprio da Perugia, perché, sostiene “questa cosa chiarisce molto bene chi è la presidente del Consiglio”. Racconta di aver telefonato lei alla premier per chiederle “perché è da una settimana che mi attribuisce cose che non ho mai fatto e che non ho mai detto” e di non aver ricevuto risposta. “Mi attribuisce cortei a cui non ho partecipato, assessorati regionali che non ho mai avuto, e posizioni su Fitto che non ho mai assunto”, assicura. Poi chiarisce la posizione del Pd su Fitto: “Non abbiamo mai messo in discussione un portafoglio di peso per l’Italia in quanto Paese fondatore”, chiosa. Lo stallo politico, secondo Schlein l’hanno creato i Popolari che in Parlamento stanno cercando di allargare “strutturalmente” la maggioranza alla destra nazionalista. Fa nomi e cognomi: il problema l’hanno creato “Manfred Weber e Ursula von der Leyen“. Si rivolge proprio alla presidente della Commissione europea, esortandola a “sbloccare questa situazione”. Perché, spiega, “Il problema non è mai stato Fitto e le sue deleghe, questo non l’abbiamo mai detto. Il nodo politico è l’allargamento della maggioranza a destra diversamente da chi ha votato von der Leyen a luglio“.

Intanto, il commissario uscente all’Economia, Paolo Gentiloni, ricorda a tutti che “il mondo non aspetta la Commissione europea” e che difficoltà e problemi vanno superati il prima possibile. Si dice convinto che ci siano le condizioni perché il nuovo esecutivo entri in funzione “come necessario” il primo dicembre. Le sfide sono tante: “Tutti siamo convinti che nel contesto che si è creato anche dopo le elezioni americane avere una Europa unita e salda sia importante e per questo mi auguro che non ci siano ritardi”, sostiene.

Dalla missione di Monaco di Baviera, il vicepremier e vicepresidente del partito Popolare europeo, Antonio Tajani, tratta con il capogruppo del Ppe Manfred Weber e “gli amici della Csu”, l’Unione Cristiano Sociale. “Di fronte alle sfide da affrontare, da migrazioni a competitività, occorre lavorare per soluzioni”, commenta il ministro degli Esteri italiano, ribadendo che è “necessario approvare la nuova Commissione nei tempi previsti”. I leader Ue avranno modo di cercare una soluzione vis-à-vis nei prossimi giorni, ospiti del G20 di Rio de Janeiro, in Brasile, il 18 e 19 novembre.

Ursula von der Leyen

Ue, la settimana lampo delle nomine. Ora la parola passa al Parlamento

La settimana dei top jobs, cioè le figure apicali dell’Ue, si aperta e chiusa con gli stessi nomi: Ursula von der Leyen presidente alla Commissione europea, l’ex premier portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas come Alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza. Una decisione lampo, con la maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali che ha tenuto in sede di Vertice tra i 27 capi di Stato e di governo, nonostante i voti fuori dal coro di Italia e Ungheria.

Ora la palla passa al Parlamento europeo, dove Ursula von der Leyen dovrà guadagnarsi il 18 luglio la soglia di almeno 361 consensi (720 sono i deputati europei). La candidata al bis può contare sulla somma aritmetica di 399 seggi ai quali, però, secondo alcune fonti diplomatiche, andranno tolti franchi tiratori e oppositori che, nel segreto del voto, non avalleranno von der Leyen pur essendo parte della maggioranza centrista o della stessa famiglia politiche. Le stime parlano di una cinquantina di seggi in bilico. Per questo motivo, da qui al 18 luglio, von der Leyen cercherà di ampliare la sua maggioranza e, con i Popolari che pongono un veto all’allargamento ai Verdi e chiedono un dialogo con i conservatori, un’ipotesi è che si riproponga quanto avvenuto già 2019 quando, come ha ricordato il vice premier Antonio Tajani, “Angela Merkel chiese il consenso dei Conservatori, perché senza di loro von der Leyen non sarebbe stata eletta. Non tutti i Conservatori la votarono, ma i polacchi sì. Bisogna tenere conto di tanti variabili, quando si vota a scrutinio segreto”.

E proprio sulla possibilità che i 24 deputati di Fratelli d’Italia vengano richiesti per appoggiare Ursula von der Leyen in Aula si è espressa la premier Giorgia Meloni, nel punto stampa dopo il Consiglio europeo. “Il tema non è Ursula von der Leyen. Il tema è quali sono le politiche che Ursula von der Leyen intende portare avanti. E su questo, come accade anche per gli altri nomi che sono stati fatti, non abbiamo risposte”, ha dichiarato Meloni. Ma “la presidente della Commissione europea prima di andare in Parlamento dovrà dire che cosa vuole fare e, quindi, io penso che la valutazione vada fatta a valle e non vada fatta a monte”, ha precisato. Da qui l’astensione di Meloni sul nome di von der Leyen, oltre al fatto che è della stessa famiglia politica, il Ppe, di cui fa parte Forza Italia. Un voto di “rispetto” delle sensibilità della sua maggioranza, ricambiata dal suo vice Antonio Tajani che da giorni auspica l’apertura ai conservatori e che ieri, dopo il pre vertice, ha sottolineato come nei popolari tutti abbiano compreso bene “che non si può fare qualcosa senza tenere conto dell’Italia”.

Allo stesso modo dei popolari, anche i Verdi hanno posto una linea rossa: quella dell’allargamento a Ecr e a Id, proponendosi come forza europeista, pragmatica e credibile cui guardare per estendere la coperta della maggioranza Ursula. Un’offerta ancora in piedi, apparsa in filigrana anche nel punto stampa con i neo eletti di Sinistra Italia, Ilaria Salis e Mimmo Lucano, dove alla domanda se voteranno o meno la fiducia a von der Leyen è intervenuto il segretario Nicola Fratoianni spiegando che la decisione verrà presa nel gruppo della sinistra, ma che ci sarà anche con un confronto con i Verdi con cui sono in Alleanza.

Intanto, la prossima tappa certa è quella del programma che von der Leyen dovrà presentare ai deputati per convincerli. In conferenza stampa, la presidente ha ricordato che le servirà il via libera degli europarlamentari “dopo che presenterò le linee politiche al Parlamento europeo per il prossimo mandato”. Appuntamento confermato nella sessione a Strasburgo del 16-19 luglio, la cui agenda verrà definita l’11 luglio. Nella stessa sessione, i neoparlamentari saranno chiamati a votare anche il loro presidente. O la loro presidente. Anche in questo caso, infatti, il Ppe propone un bis: quello dell’uscente Roberta Metsola.

Europee, Ppe si conferma primo partito. Von der Leyen vuole ampia maggioranza

In base all’ultima proiezione su dati reali del Parlamento europeo (alle 19.30 di lunedì 10 giugno), il Partito popolare europeo (Ppe) si conferma primo gruppo dell’Aula con 186 deputati. A seguire l’Alleanza progressista dei socialisti e democratici (S&d) con 135 seggi, i liberali di Renew Europe con 79, i riformisti e conservatori europei con 73, Identità e democrazia con 58, i Verdi con 53. Seguono poi gli eletti non affiliati ad alcun partito (55), i non iscritti 45 e la Sinistra con 36. L’Italia si conferma la presenza maggiore sia in Ecr, con 24 eletti, che nel gruppo S&d, dove i 21 deputati fanno del Pd il primo partito d’Europa.

Regge la maggioranza uscente composta da popolari, socialisti e liberali, che totalizzano 400 deputati, e che, fin da subito, si metteranno in contatto per iniziare un dialogo politico. La candidata popolare al bis alla Commissione, Ursula von der Leyen, vuole una maggioranza ampia. “Quello che i cittadini vogliono è un’Europa che produca risultati. A partire da domani inizierò a costruire un’ampia coalizione per un’Europa forte. Insieme ad altri costruiremo un bastione contro gli estremi di destra e di sinistra”, ha scritto su X.

Mentre socialisti, liberali e verdi sottolineano l’importanza della responsabilità e di una cooperazione tra le forze democratiche dell’Aula. “Desidero che formiamo una coalizione pro-europea il più consolidata possibile”, ha scandito la presidente del gruppo Renew Europe, Valerie Hayer. “La coalizione resterà così come l’abbiamo conosciuta nel mandato precedente, cioè composta da Ppe, S&d e RE? I Verdi vogliono unirsi a noi? Penso che vada innanzitutto considerato il programma per i prossimi anni, quale valore aggiunto vogliamo portare. Come presidente di RE ho a cuore le priorità del mondo liberale, centrista: l’Europa della difesa, un’Europa che sia più competitiva, lo stato di diritto, la preservazione delle ambizioni sul Patto verde che è stato la colonna vertebrale del nostro mandato. Dovremo trovarci su valori e priorità politiche fondamentali”, ha aggiunto.

Dal canto loro, i socialisti, hanno ribadito attraverso il loro candidato Nicolas Schmit di essere “aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento” ma di non dare alcuna “possibilità alla cooperazione con quanti vogliano smantellare e indebolire quest’Europa costruita in molti decenni”. I Verdi, che 5 anni fa bocciarono von der Leyen, ora si dicono responsabili e aperti ad una possibile collaborazione, in base al programma che sarà delineato.

Quello che è certo è che la costituzione dei gruppi politici sta prendendo avvio in queste ore, mentre già lunedì prossimo i capi di Stato e di governo si incontreranno informalmente a cena, a Bruxelles, per provare a trovare la quadra sui nomi apicali della prossima legislatura Ue.

Ue, De Meo (FI): “Draghi? Nome autorevole, ma prima capire risultato elezioni europee”

Il Partito popolare europeo non ha escluso riserve e critiche a Ursula von der Leyen che, in questa legislatura, anche in ragione di una maggioranza che in alcuni momenti si è sbilanciata troppo a sinistra, ha assunto delle posizioni che erano troppo appiattite su un vicepresidente, Timmermans, che ha fatto dell’ambientalismo una vera e propria religione”. Lo dice l’Eurodeputato di FI, Salvatore De Meo, al #GeaTalk. “Questi sono i rimproveri propositivi e costruttivi che abbiamo lanciato anche all’interno del Congresso di Bucarest, dove abbiamo definito un documento programmatico, di cui vorremmo che la nostra candidata, Ursula von der Leyen, tenga conto e metta sul tavolo per la composizione di una maggioranza che non può più commettere l’errore fatto in questa legislatura – aggiunge -. Su alcuni temi, vedi l’ambiente, non ci si può dividere e dobbiamo essere uniti”. Alla domanda, dunque, se Mario Draghi sia meglio alla Presidenza del Consiglio Ue, De Meo risponde: “Non possiamo fare nessun tipo di previsione, dobbiamo aspettare l’esito delle elezioni. Io non immagino nomi, se non quelli che stanno nel perimetro fisiologico delle regole attuali e che hanno visto i singoli gruppi politici, tra cui il Ppe, fare una procedura di individuazione del proprio candidato. Draghi è un nome autorevole, ma non credo che in questo momento si debba ricorrere al nome autorevole, ancor prima di aver capito quelle che sono le nostre risultanze elettorali”.

Energia, De Meo (FI): “Sì a nucleare nuova generazione senza dimenticare rinnovabili”

Io sono per il sì al nucleare“. Lo dice l’eurodeputato di FI, Salvatore De Meo, al #GeaTalk. “Non possiamo escludere che il nucleare di nuova generazione possa essere uno strumento per arrivare alla neutralità climatica – aggiunge -. Questa nostra predisposizione non intende assolutamente rinunciare all’obiettivo primario di raggiungere l’autonomia con le rinnovabili, ma sempre per il pragmatismo che ci caratterizza, nel rispetto della sicurezza e con l’impatto ambientale più contenuto e non paragonabile al vecchio nucleare di cui tutti abbiamo memoria all’indomani del referendum del 1987, oggi abbiamo il dovere di aprire gli orizzonti“. Inoltre, “le conclusioni del G7 Ambiente sono coerenti con il quadro della tassonomia energetica europea, che lascia i singoli Stati liberi di poter definire un piano energetico che faccia riferimento ad un mix di fonti che non possono essere evidentemente solo quello rinnovabili“.

Von der Leyen candidata Ppe alle elezioni europee: “Noi per un Green Deal pragmatico”

La strada verso la rielezione ora è ufficiale. Ursula von der Leyen, l’attuale presidente della Commissione Europea, è in corsa per succedere a se stessa per altri 5 anni anni alla guida dell’esecutivo dell’Unione, dopo la nomina arrivata al Congresso di Bucarest della sua famiglia politica europea – il Partito Popolare Europeo (Ppe) – come candidata comune alle elezioni di giugno. E la partita si gioca non solo sul piano delle alleanze post-elettorali a Bruxelles, ma anche sulla nuova visione di uno dei pilastri fondanti della Commissione da lei stessa guidata dal 2019 a oggi: il Green Deal europeo.

A differenza di altri, noi siamo per soluzioni pragmatiche e non ideologiche sul Green Deal“, ha rivendicato la ‘Spitzenkadidatin’ (candidata comune) del Ppe nel suo intervento di investitura. Nessuna sorpresa sulla nomina con 400 voti a favore e 89 contrari – considerato il fatto che von der Leyen era l’unica candidata in lizza e supportata dalla pressoché totalità dei leader dei partiti nazionali – ma ciò che ha più colpito a Bucarest è stata la veemenza e il vigore con cui la politica tedesca ha elencato le priorità della campagna elettorale del Ppe verso l’appuntamento alle urne di giugno.

Se da una parte von der Leyen si è implicitamente rifatta a una retorica ormai rodata dalla destra europea contro il suo stesso ex-braccio destro responsabile per l’Azione per il clima – il vicepresidente socialista della Commissione Ue fino ad agosto 2023, Frans Timmermans – dall’altra ha voluto rilanciare l’obiettivo dei popolari europei per la prossima legislatura: “Noi del Ppe sappiamo che non c’è economia competitiva senza protezione del clima e non c’è protezione del clima senza economia competitiva“, e allo stesso tempo “siamo stati i primi a progettare il Green Deal in modo sociale, industriale ed economico“.

Ad appoggiarla anche il vicepresidente del Ppe e vicepremier italiano, Antonio Tajani: “Dobbiamo proteggere le industrie e l’agricoltura, perché senza non abbiamo lavori per le giovani generazioni. Questo è il nostro impegno contro il cambiamento climatico“. Tajani si è definito “pragmatico” e “non un seguace della religione di Greta Thunberg e del commissario Timmermans“, calcando la mano sul fatto che “è possibile tracciare la strada per un futuro migliore e supportare allo stesso tempo industrie e agricoltura“. Parole simili a quelle scelte dal presidente dei popolari europei, Manfred Weber: “Come Ppe mostreremo che potremo portare insieme successo economico e responsabilità ambientale, siamo il partito dei protettori del clima“.

A proposito di economia e ambiente, inevitabile dopo l’ondata di proteste degli agricoltori che ha travolto i Paesi membri e l’Unione nel suo insieme il forte focus di von der Leyen sull’agricoltura europea: “Voglio essere molto chiara, il Ppe sarà sempre dalla parte dei nostri agricoltori“. Proprio i rappresentanti della categoria produttiva nel corso dell’ultimo mese “mi stanno spiegando le enormi sfide che stanno affrontando“, ha continuato la candidata dei popolari europei: “Si svegliano presto la mattina, lavorano duro per il cibo di qualità che noi mangiamo“, ma “i costi si alzano, i prezzi che ottengono per latte, carne e grano sono volatili e spesso imposti da altri nella catena alimentare” e “a volte sono costretti a venderli sotto i costi di produzione“. Tutto questo “è totalmente inaccettabile“, ha messo in chiaro con forza la presidente della Commissione Ue: “La nostra sicurezza alimentare dipende dalla sicurezza delle condizioni di vita dei nostri agricoltori, per questo dobbiamo riportare sostenibilità” al sistema alimentare. Da qui parte una campagna elettorale lunga 90 giorni, in vista delle europee del 6-9 giugno.

parlamento ue

C’è l’ok del Parlamento Ue alla legge sulla natura. Timmermans: “Troveremo un compromesso”

C’è chi la chiama legge storica e chi ne denuncia i limiti. Ad ogni modo, sembra certo che la proposta di Legge sul ripristino della natura, la prima in trent’anni di vita dell’Ue, avrà un futuro che prenderà forma dopo i negoziati interistituzionali. L’Europarlamento riunito in plenaria a Strasburgo ha adottato con 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astensioni il suo mandato politico sulla legge ed è pronto ad avviare i negoziati con gli Stati membri. Il primo via libera a Strasburgo è arrivato dopo un voto serratissimo e dopo che gli eurodeputati hanno bocciato (con 312 voti a favore, 324 contrari e 12 astenuti) la mozione per rigettare l’intero provvedimento.

La Legge è diventata nei mesi scorsi il simbolo di uno scontro politico nella storica maggioranza che nel 2019 ha sostenuto la Commissione a guida Ursula von der Leyen e l’anticipazione di come potrebbe cambiare l’equilibrio politico alle prossime elezioni di giugno 2024, con il Ppe spostato più a destra. Come previsto, il Partito popolare europeo (Ppe) ha votato a maggioranza contro il testo, con soli 21 eurodeputati dissidenti (nessun italiano) che hanno votato a favore e due astenuti. Il Ppe ha votato contro insieme alle destre dei Conservatori e riformisti (di cui fa parte la delegazione di Fratelli d’Italia) di cui soli 5 deputati hanno votato a favore e di Identità e Democrazia (di cui fa parte la Lega) che ha votato compatta contro. A sostenere la proposta i Socialdemocratici, i Verdi, la sinistra radicale e la maggioranza dei liberali di Renew Europe, di cui solo 20 eurodeputati (nessun italiano) ha votato contro.

Il testo adottato ricalca nei fatti la posizione negoziale che ha adattato il Consiglio Ue lo scorso 20 giugno, che a sua volta ha ammorbidito la proposta della Commissione Ue di giugno 2022. I deputati hanno sostenuto la proposta della Commissione di mettere in atto misure di ripristino entro il 2030 che coprano almeno il 20 per cento di tutte le aree terrestri e marittime dell’Unione europea, ma che la legge si applicherà solo quando la Commissione avrà fornito dati sulle condizioni necessarie per garantire la sicurezza alimentare a lungo termine e quando i paesi dell’Ue avranno quantificato l’area che deve essere ripristinata per raggiungere gli obiettivi di ripristino per ciascun tipo di habitat. Il Parlamento prevede inoltre la possibilità di posticipare gli obiettivi in ​​presenza di conseguenze socioeconomiche eccezionali.

Come nella posizione degli Stati membri Ue, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del regolamento, la Commissione dovrebbe valutare l’eventuale divario tra le esigenze finanziarie per il ripristino e i finanziamenti dell’UE disponibili e proporre eventualmente una soluzione con uno strumento finanziario dedicato. La Commissione europea “è pronta ad aiutare a trovare un compromesso” tra co-legislatori sulla legge sul ripristino della natura. “Dobbiamo lavorare insieme sul contenuto della proposta”, ha dichiarato il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, subito dopo il voto, dichiarandosi disponibile a lavorare a un compromesso anche con il Ppe. Riguardo al contenuto della proposta, ha assicurato “abbiamo preso in considerazione le grandi differenze dei vari Stati membri e permettiamo ai vari Paesi di prendere misure per aiutare il ripristino della natura. Quello che chiediamo agli Stati è di fare davvero uno sforzo per andare in questa direzione e credo che questo sia il modo giusto di andare avanti, trovare la giusta combinazione per il ripristino della natura e tutelare le attività economiche in queste aree da ripristinare”. La proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea nel quadro del suo Green Deal europeo a giugno 2022 combina un obiettivo generale per il ripristino a lungo termine della natura nelle zone terrestri e marine dell’Ue con obiettivi di ripristino vincolanti per habitat e specie specifici, andando a coprire almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Unione entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.

Con l’adozione del mandato negoziale da parte dell’Eurocamera, ora possono iniziare i negoziati tra Parlamento e Consiglio. Gli Stati membri Ue hanno adottato la loro posizione lo scorso 20 giugno: 20 Stati membri su 27 hanno sostenuto il mandato, con Italia, Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Svezia che hanno votato contro e Austria e Belgio che hanno deciso di astenersi. “Siamo delusi dall’esito del voto sulla Legge sul ripristino della natura, nonostante le obiezioni e le perplessità di tre commissioni parlamentari. Temiamo che questa legge sia controproducente e abbia conseguenze sociali ed economiche significative”, ha commentato in un tweet il Partito popolare europeo (Ppe) dopo l’adozione in plenaria e dopo aver trasformato il voto di oggi in uno scontro politico con i gruppi con cui ha costruito la maggioranza Ursula. In conferenza stampa dopo il voto il leader Ppe, Manfred Weber, ha avvertito del fatto che per il via libera definitivo, una volta che sarà trovato l’accordo, servirà anche l’ok del Ppe. “Il risultato finale ha bisogno di una maggioranza quindi è bene che ora tutti facciano attenzione al contenuto”, ha detto. Durante il negoziato interparlamentare il Ppe si era ritirato dai colloqui con gli altri gruppi. “La democrazia si è espressa e quindi il Ppe tornerà al tavolo dei negoziati e contribuirà al risultato finale. Bisogna guardare al contenuto uscito oggi ed è quello che dovrà essere difeso dal team negoziale del Parlamento”, ha assicurato.

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Von der Leyen: “Ue ora si liberi da dipendenza gas russo”

Dopo gli sforzi fatti per liberarsi dal carbone e bandire il petrolio russi, ora l’obiettivo dell’Unione Europea deve essere uno: “ Dobbiamo eliminare la dipendenza da tutte le fonti russe”. A dettare la linea, durante il congresso del Partito Popolare Europeo (Ppe) a Rotterdam, è la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Che ha chiaro in mente cosa bisogna fare: “Ora dobbiamo sciogliere anche il legame con il gas russo”. Tuttavia, il passo da compiere non è poi così semplice. “Serve coraggio per slegarci da Mosca”, sostiene la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, nel suo intervento a Rotterdam. Pensare di dover “mettere tutte le nostre forze a disposizione della difesa degli ucraini e della nostra stessa sicurezza dalle minacce esterne”, è qualcosa di molto delicato, aggiunge.

Affidarsi ai partner istituzionali come gli Stati Uniti e investire nelle risorse rinnovabili, secondo von der Leyen, potrebbero essere le azioni giuste da compiere per raggiungere l’indipendenza energetica. Andando oltre, le fonti pulite di energia sono anche indispensabili per la transizione energetica, nonché per il raggiungimento degli obiettivi della Ue. Su questo fronte, la presidente della commissione esprime una delle sue più grandi preoccupazioni: “Ho una nipotina di un anno, che nel 2030 sarà una bambina delle scuole elementari e nel 2050 forse avrà dei figli. Mi chiedo se ancora vivrà le stagioni dell’anno, o se mi chiederà perché non abbiamo fatto nulla quando ne avevamo la responsabilità. I nostri obiettivi non sono così distanti, dobbiamo agire”, le parole di von der Leyen, convinta che una modifica comportamentale da parte di tutti sia la sola via per uscire dall’emergenza climatica.