Se dalla casa al terziario la crescita Usa perde tutto il suo slancio

I recenti dati economici provenienti dagli Stati Uniti mostrano segnali di rallentamento della crescita, suggerendo che l’economia americana stia perdendo slancio dopo mesi di performance positive. A febbraio, l’indice dell’attività manifatturiera della Fed di Dallas ha subito un netto calo, scendendo di 22 punti a -8,3, rispetto al picco di 14,1 di gennaio. Un altro indicatore chiave, l’indice delle prospettive aziendali, è diminuito di 24 punti, registrando un valore di -5,2, mentre l’incertezza sulle prospettive future ha toccato il massimo dei sette mesi, salendo a 29,2. Il settore manifatturiero continua a mostrare debolezza, con l’indice di produzione che è sceso a -9,1, un segno evidente di difficoltà nella produzione statunitense. Tuttavia, i prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti sono aumentati, suggerendo una certa pressione sui costi.

A livello nazionale, il Chicago Fed National Activity Index è sceso a -0,03 a gennaio, in calo rispetto al dato rivisitato di dicembre (0,18), indicando una contrazione nell’attività economica complessiva. In particolare, la categoria dei consumi personali e abitazioni ha contribuito negativamente con -0,14, un ulteriore segno di rallentamento nei consumi.

Un altro dato significativo è arrivato la scorsa settimana dall’indice Pmi dei servizi, che a febbraio è sceso sotto la soglia di espansione, registrando 49,7 rispetto ai 52,9 di gennaio. Questa è la prima contrazione dell’attività del settore dei servizi in oltre due anni, un indicatore che evidenzia una perdita di slancio in un settore chiave per l’economia statunitense.

Anche le vendite di case esistenti hanno subito una flessione del 4,9% a gennaio, il calo più marcato in sette mesi, scendendo a un tasso annualizzato di 4,08 milioni. Questo segna un indebolimento nel mercato immobiliare, con un prezzo medio di vendita sceso dell’1,9% rispetto al mese precedente. L’aumento delle scorte di case invendute, che sono passate a 3,9 mesi di fornitura, aggiunge ulteriori preoccupazioni.

Il rallentamento però non sembra andare di pari passo con una discesa dei prezzi. Infatti anche l’inflazione preoccupa, con le aspettative dei consumatori riguardo all’andamento dei prezzi aumentate al 4,3% per il 2025, il valore più alto dal novembre 2023. A lungo termine, le aspettative di inflazione sono salite al 3,5%, il più grande aumento mese su mese dal maggio 2021. E questi rialzi hanno avuto impatti negativi sul sentiment dei consumatori, con un crollo del 19% nelle condizioni di acquisto di beni durevoli, in parte dovuto ai timori legati all’innalzamento dei prezzi causato dai dazi.

In mezzo a questo scenario incerto, il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, ha sottolineato nel suo blog come la politica economica degli Stati Uniti sia sempre più influenzata da un clima di incertezza. Le preoccupazioni per le politiche fiscali, commerciali e di immigrazione, insieme alle fluttuazioni dei mercati, stanno creando un ambiente di decisioni difficili per i responsabili politici. Un ritornello simile a quello degli altri banchieri centrali della Fed, i quali pur rimanendo ottimisti sulla posizione economica, hanno espresso cautela, facendo riferimento alla difficoltà di prevedere gli effetti di eventuali cambiamenti nelle politiche economiche. Il termine “incertezza” è ormai ricorrente nelle dichiarazioni ufficiali, e i verbali dell’ultimo incontro della Fed evidenziano preoccupazioni sulla portata e sull’impatto dei cambiamenti nelle politiche commerciali e fiscali.

La Fed dunque sembra voler stare ferma sui tassi in attesa di capire l’effetto che avranno le politiche di Donald Trump, a partire dai dazi. Wall Street ha capito l’antifona e da tre sedute zoppica.

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A San Valentino cuori pieni e tasche vuote: rincari in tutti i settori, spesa media 2 miliardi

Amore, ma quanto mi costi? Quest’anno, più del solito. Fiori, cioccolato, cene, gioielli: i rincari non danno tregua neanche agli amanti più creativi. Complici le crisi geopolitiche e il riscaldamento globale, i prezzi sono schizzati alle stelle praticamente in tutti i settori.

Secondo un rapporto pubblicato ieri da Climate Central, nell’ultimo anno i cambiamenti climatici hanno costantemente spinto le temperature oltre la soglia critica per il cacao dell’Africa occidentale, compromettendo i raccolti in una regione che rifornisce il mondo di cioccolato. Le precipitazioni insolite provocano poi un aumento dei parassiti che sta compromettendo la produzione e portando a un aumento dei prezzi senza precedenti. E’ una corsa al rialzo che in Italia porta a un aumento del 9,2% su base annua, secondo l’Istat.

Non va meglio per il settore dei fiori, che nel Bel Paese pare sia ancora la scelta prediletta per oltre un innamorato su due, il 54% secondo Coldiretti. Il trend 2025 è quello di andare “a caccia” di varietà più originali per differenziarsi e stupire, con un occhio alla sostenibilità. Invece delle tradizionali rose, ci si orienta così verso ranuncoli, tulipani, gigli, garofani, gerbere. I bouquet Made in Italy possono durare qualche giorno in più, perché non devono affrontare i tempi di viaggio: “L’ideale è acquistare direttamente dal produttore o nei mercati contadini di Campagna Amica per essere sicuri di mettere nel vaso un prodotto nazionale al 100%, che sostiene i territori e rispetta l’ambiente e l’occupazione, oppure scegliere prodotti certificati italiani”, suggerisce Coldiretti.
Tra i doni più gettonati, ci sono appunto i dolciumi (28%), ma anche l’abbigliamento (12%) e i gioielli (6%).

La spesa complessiva per celebrare il 14 febbraio sarà molto più alta degli altri anni. Il record dei rincari spetta ai gioielli i cui prezzi, in base agli ultimi dati ufficiali dell’Istat, aumentano del 17,3% su base annua. Chi deciderà di trascorrere fuori casa la festa degli innamorati dovrà mettere in conto pacchetti vacanza con aumenti in media del 13,5%, voli internazionali che segnano un +4,6% (+3,3% i nazionali), alberghi più cari del 3%.
Per i ristoranti le tariffe salgono in media del +3,1%, con la spesa complessiva per le cene romantiche che si attesterà attorno ai 300 milioni di euro, mentre per fiori e piante prezzi su in media del 2,3%.

Tra regali, viaggi e cene al ristorante la spesa degli italiani supererà insomma quota 2 miliardi di euro, prevede il Codacons, con un incremento medio pro capite del +7,5% rispetto al 2024.

Sale il prezzo della carne nel mondo: record per quella bovina in America

A dicembre l’indice dei prezzi alimentari della Fao ha registrato un leggero calo, attestandosi a 127 punti, con una diminuzione di 0,6 punti rispetto al mese precedente. Tale flessione è stata principalmente causata dal calo dei prezzi di zucchero, latticini, oli vegetali e cereali, che hanno più che compensato l’aumento dei prezzi della carne. Nonostante ciò, rispetto a un anno fa, l’indice è aumentato di 8 punti anche se rimane significativamente al di sotto del picco raggiunto a marzo 2022, con un calo di ben 33,2 punti. Per l’intero 2024, l’indice ha registrato una media di 122 punti, in discesa di 2,6 punti rispetto al valore medio del 2023.

Il mercato dei cereali ha mostrato una certa stabilità, con l’indice dei prezzi della Fao che ha registrato una media di 111,3 punti a dicembre, sostanzialmente invariato rispetto a novembre e inferiore di 11,5 punti annuali. I prezzi all’esportazione del grano sono rimasti stabili, sostenuti dalle pressioni al ribasso legate a una domanda internazionale debole e a raccolti abbondanti in Argentina e Australia. Tuttavia, la scarsità di colture invernali in Russia ha parzialmente sostenuto i prezzi. Il mercato del mais ha visto un aumento leggero dei prezzi, trainato dalle maggiori esportazioni e dalla crescente domanda proveniente dall’Ucraina.

Il mercato degli oli vegetali ha subito un leggero calo a dicembre, con l’indice che si è attestato a 163,3 punti, -0,9 punti mensili. Sebbene i prezzi dell’olio di palma siano aumentati a causa di scorte limitate nei paesi produttori del Sud-est asiatico, i prezzi degli altri oli, come quello di soia e di girasole, sono diminuiti, risentendo di una domanda più debole. Comunque, il bilancio annuale è positivo, con l’indice che ha segnato un aumento del 9,4% rispetto al 2023.

Nel settore lattiero-caseario, i prezzi hanno registrato una piccola flessione a dicembre, con l’indice che è sceso a 138,9 punti, segnando il primo calo dopo sette mesi di aumenti consecutivi. I prezzi del burro, in particolare, hanno subito un ridimensionamento significativo, dovuto alla debole domanda globale e all’aumento delle scorte accumulate. I prezzi del latte intero in polvere sono invece aumentati, grazie alla domanda robusta in Oceania e in Asia.

Meno 6,4 punti per i prezzi sono scesi di 6,4 punti su novembre, raggiungendo una media di 120 punti a dicembre. Il calo è stato causato dalla maggiore produzione di zucchero in Brasile e dalla debolezza del real brasiliano, che ha influito sui prezzi internazionali. Per l’intero anno 2024, l’indice dei prezzi dello zucchero ha registrato un -13,2% annuale, un riflesso delle esportazioni record dal Brasile e delle prospettive favorevoli per la stagione 2024/25.

A crescere è il mercato delle carni con l’indice dei prezzi della carne Fao che ha raggiunto 119 punti a dicembre. Il rialzo (+7,1% annuale) è stato principalmente determinato dai prezzi più elevati della carne bovina, sostenuti dalla forte domanda globale e da vincoli di produzione dovuti alle chiusure stagionali degli impianti di lavorazione nei principali paesi esportatori. La corsa della carne però è continuata anche a gennaio, tanto che negli Stati Uniti, i futures sul bestiame hanno raggiunto nuovi record a causa del freddo estremo previsto nelle Pianure Montuose, che potrebbe impattare negativamente sul mercato della carne bovina. Le basse temperature costringono il bestiame a consumare più energia, con ripercussioni sul tasso di conversione dei mangimi e sul peso delle carcasse, che potrebbe diminuire del 3% come già accaduto l’anno scorso. Inoltre la ‘mandria’ di bovini americana è la più piccola da decenni, a causa di anni di siccità nei pascoli, senza contare che le importazioni di bovini dal Messico sono state interrotte a novembre per un’infezione da verme della vite, aggravando ulteriormente la scarsità di offerta. Risultato finale: i futures sul bestiame a Chicago sono aumentati fino all’1,2%, raggiungendo il livello più alto dal 1964.

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Boom prezzi ortofrutta: il ‘carrello della spesa’ in un mese passa da +1% a +2,2%

A ottobre l’Inflazione risale a +0,9%, seppure in un quadro di stabilità congiunturale”, fa sapere l’Istat. “Gli andamenti settoriali appaiono, tuttavia, differenziati. Nel comparto alimentare – commenta l’istituto di statistica – la dinamica tendenziale dei prezzi risulta in accelerazione (+2,4% da +1,1% di settembre), con effetti che si manifestano sul ‘carrello della spesa’ (+2,2% da +1,0%). Al contrario, i prezzi dei Beni energetici accentuano il calo su base annua (-9,1% da -8,7%), nonostante l’aumento congiunturale della componente regolamentata. In decelerazione sono infine i prezzi dei servizi ricreativi e culturali (+3,6% da +4,0%) e dei trasporti (+2,8% da +2,4%)”, sottolinea l’Istat, che infine precisa: “A ottobre l’Inflazione di fondo – che esclude voci volatili come cibo ed energia – resta a +1,8%“, ben al di sotto del target Bce che ipotizza un ritorno al fatidico 2% entro il 2025 nell’intera eurozona.

Torna il caro-alimentare? Fra i prodotti “non lavorati, le spinte al rialzo (+2,7% mensile) si ripercuotono sulla crescita del tasso tendenziale (da +0,3% a +3,3%). In particolare – evidenzia l’istituto di statistica – invertono la tendenza portando su valori positivi sia i prezzi di frutta fresca o refrigerata (da -0,6% a +2,8% con un +4,2% da settembre) sia quelli dei vegetali freschi o refrigerati (da -2,2% a +8,8%, segnando un +8,7% congiunturale)“. Per Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, la “tendenza è estremamente preoccupante”, nel senso che “è molto grave la fotografia restituita dal confronto tra i prezzi alimentari alla produzione e al consumo”. Infatti, i prezzi al consumo dell’alimentare lavorato salgono dall’1,5% tendenziale di settembre al 2% di ottobre, mentre quelli alla produzione passano da un tendenziale di agosto del -0,2% ad un crollo di settembre del -1,5%. “Inaccettabile – prosegue Scordamaglia – che la forbice raggiunga i 3,5 punti percentuale: questo vuol dire che soprattutto una parte della distribuzione italiana continua ad aumentare i prezzi al consumatore e a pagare sempre meno chi produce, che non riesce quindi a compensare i propri costi di produzione aggravati anche dagli eventi climatici estremi a cui stiamo assistendo”.

Secondo Filiera Italia siamo di fronte a un fenomeno doppiamente grave che colpendo i consumatori più deboli consolida un crollo degli acquisti di beni alimentari di prima necessità mai visto prima, che negli ultimi due anni ha raggiunto il -8% a volume, ma che contemporaneamente mette a rischio l’esistenza stessa della filiera produttiva italiana. Scordamaglia chiede dunque che si faccia “chiarezza sulla ripartizione del valore lungo la filiera agroalimentare. Agiremo – anche denunciando per pratiche commerciali sleali – verso chi dovesse pensare di approfittare della propria posizione negoziale per mettere in difficoltà le fasi più deboli della filiera”.

Nel frattempo l’indice dei prezzi all’ingrosso, realizzato da Unioncamere e Bmti, ha mostrato tra i prodotti freschi, rialzi mensili per frutta e ortaggi, per le carni di bovino e di pollame e per le uova a settembre. Nel comparto ittico, invece, sono rimasti sostanzialmente stabili i prezzi all’ingrosso, ad eccezione dei crostacei freschi, trainati dai rincari di gamberi e scampi. Tra i prodotti lavorati, si è registrato un ulteriore rincaro per il burro e per i formaggi ed una sostanziale stabilità per l’olio di oliva e gli sfarinati di grano e riso. Nello specifico, per quanto riguarda il settore ortofrutticolo, sono stati due i fattori che hanno impresso aumenti ai prezzi. Da un lato, l’abbassamento delle temperature registrato dopo la prima decade di settembre ha determinando una maggiore richiesta di prodotti autunnali. Dall’altro, diverse coltivazioni estive sono state colpite dal prolungato caldo estivo.

Tra i rincari maggiori, si registra un +20% per pesche e nettarine e un +11% per le pere. Forte incremento rispetto al mese precedente per le zucchine: +74,8% rispetto allo scorso anno. Aumenti mensili consistenti anche per le melanzane (+65%) e per i pomodori da insalata (+37%). Tra le carni, aumentano quelle di pollo (+6,4% rispetto al mese precedente e +3,4% rispetto al 2023) e tacchino (+5,2% rispetto a settembre e +12,3% rispetto ad un anno fa), spinti da una domanda superiore alle disponibilità di prodotto. Cresce anche la carne di bovino adulto (+4,4% rispetto ad agosto). Il comparto bovino è alle prese con una minore disponibilità di capi da ristallo, legata anche ai minori arrivi dalla Francia, elemento che sta imprimendo tensioni al mercato. Tra i prodotti zootecnici, aumentano del 2,2% rispetto al mese precedente i prezzi delle uova allevate a terra, sostenuti da una domanda superiore all’offerta.

Effetto maltempo sull’ortofrutta: a settembre risale il ‘carrello della spesa’

Le inondazioni a settembre hanno messo in ginocchio il settore ortofrutticolo in quella che è la Fruit Valley italiana, ovvero l’Emilia Romagna. Secondo il monitoraggio della Coldiretti l’acqua che ha invaso i campi nella seconda metà del mese scorso ha inondato i terreni coltivati a ortaggi e gli alberi di mele, pere, kiwi, susine con impianti danneggiati nella zona del Faentino, nel Bagnacavallese e a Cotignola dove l’acqua è arrivata alla frutta, avendola ricoperta di fanghiglia. Si spiega così il rialzo dei prezzi del carrello della spesa, fotografato oggi dall’Istat.

“A settembre l’inflazione scende a +0,7%, il livello più basso registrato da inizio anno”, spiega l’istituto di statistica. Un calo che “si deve ancora all’evoluzione dei prezzi dei Beni energetici (-8,7% da -6,1% di agosto), ma risente anche del rallentamento su base tendenziale dei prezzi di alcune tipologie di servizi (ricreativi, culturali e per la cura della persona e di trasporto). Per contro, nel comparto alimentare – appunto – i prezzi aumentano lievemente il loro ritmo di crescita su base annua, contribuendo all’accelerazione dei prezzi del ‘carrello della spesa’ (+1% da +0,6%). Mentre l’inflazione di fondo, che esclude le voci volatili appunto come cibo ed energia, scende a +1,8% dal +1,9% registrato negli ultimi tre mesi”, conclude la sua analisi l’istituto di statistica.

Mese su mese il calo dei prezzi al consumo è dello 0,2%, una diminuzione congiunturale dovuta principalmente alla discesa dei “prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (-2,2%), dei Beni energetici regolamentati e non regolamentati (-1,1% entrambi) e dei Beni alimentari lavorati (-0,5%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dall’incremento dei prezzi dei Beni alimentari non lavorati (+1,4%) e dei Beni durevoli (+0,4%) e semidurevoli (+0,3%)” prosegue l’Istat. In particolare, proprio restando sugli alimentari., a settembre “i prezzi nel complesso mostrano un profilo tendenziale in accelerazione (da +0,8% a +1,1%; +0,2% rispetto al mese precedente)”.

E più in dettaglio, fra gli “alimentari lavorati il tasso di crescita su base annua dei prezzi si è stabilizzato a +1,5% (-0,5% il congiunturale). Nel settore degli alimentari non lavorati, le tensioni sui prezzi (+1,4% la crescita congiunturale) fanno risalire il tasso tendenziale su valori positivi (da -0,5% a +0,3%). Tale andamento è imputabile alla flessione meno marcata sia dei prezzi di frutta fresca e refrigerata (da -2,8% a -0,6% contro invece un +1,6% da agosto) sia di quelli dei Vegetali freschi o refrigerati diversi dalle patate (da -3,9% a -2,2%, però +5,5% il congiunturale), ma anche all’accelerazione dei prezzi della carne bovina (da +2,0% a +2,2%, registrando invece +0,3% sul mese)”, rivela Istat.

In netto calo infine i prezzi legati alle vacanze. Infatti “nel comparto dei servizi, il ritmo di crescita su base annua dei prezzi scende al +2,8% (da +3,2% con un -0,3% sul mese). A un maggiore livello di dettaglio, decelerano i prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,5% a +4,0%), soprattutto a causa di quelli dei Pacchetti vacanze (da +23,2% a +13,0% registrando un -15,8% sul mese), come anche i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +2,9% a +2,4% segnando un -2,2% da agosto), influenzati da quelli del Trasporto marittimo e per vie d’acqua interne (da -1,0% a -5,0%, con un ben -31,3% rispetto al mese precedente), del Trasporto aereo passeggeri (da -4,8% a -8,6%, evidenziando un -21,3% su agosto) e del Trasporto passeggeri su rotaia (da +6,1% a +4,3%; -0,3% il congiunturale)”, conclude l’istituto di statistica.

Cresce produzione globale arance, cala quella di succo d’arancia: prezzi sui massimi

Secondo il recente report del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), la produzione globale di arance per l’annata 2023/24 è stimata in aumento dell’1%, raggiungendo complessivamente 47,4 milioni di tonnellate. Tuttavia la produzione globale di succo d’arancia per il 2023/24 è stimata in calo del 3%, raggiungendo 1,5 milioni di tonnellate.

L’apparente contraddizione è spiegata dalla situazione brasiliana, stimata in leggero calo a 15,3 milioni di tonnellate. I rendimenti inferiori sono principalmente dovuti alle cattive condizioni meteorologiche che hanno contribuito alla siccità, oltre agli impatti negativi del ‘greening’ ovvero una malattia che non fa maturare l’agrume lasciandolo appunto verde. Di conseguenza l’Usda prevede una diminuzione dei consumi e della frutta destinata alla trasformazione a causa della riduzione delle forniture, settore dove il Brasile rappresenta oltre il 70% della produzione globale di succo d’arancia. Risultato finale: -9% a 1,1 milioni di tonnellate. Non potrà compensare il calo carioca nemmeno la produzione Usa di succo, prevista aumentare del 9% a 93.000 tonnellate grazie all’aumento delle arance disponibili per il mercato, soprattutto in Florida, così come quella messicana stimata in aumento dell’11%, arrivando a 155.000 tonnellate.

Nemmeno l’Europa può dare una mano al succo d’arancia. Per la Ue la produzione di arance dovrebbe diminuire del 2%, raggiungendo 5,5 milioni di tonnellate. Il clima instabile, con eccessive piogge seguite da condizioni di siccità e caldo, ha ostacolato le rese e influenzato negativamente le dimensioni dei frutti. Sia il consumo che le esportazioni sono stimati in calo a causa della minore offerta, mentre si prevede che l’aumento delle importazioni, principalmente dall’Egitto e dal Sud Africa, compenserà parzialmente la minore produzione. Paradossalmente nel Vecchio Continente Europa crescerà invece del 4% la produzione di succo, raggiungendo appena 50.000 tonnellate grazie alla disponibilità di arance che non soddisfano gli standard di calibro per il consumo fresco.

Ecco spiegato dunque il perché i prezzi del succo d’arancia – che oggi hanno aperto stabili a 4,3 dollari per libbra – restino sui massimi storici (raggiunti a fine maggio a quota 4,9 dollari), dopo aver visto triplicare le quotazioni lo scorso anno. Prezzi cresciuti del 35% anche nel 2024. Una corsa che, secondo una recente ricerca dalla società di analisi Mintec, sta spingendo addirittura i produttori europei a cercare “di ridurre al minimo l’esposizione al succo d’arancia riducendone l’uso nelle miscele, e alcuni hanno persino smesso di venderlo a causa della disponibilità limitata. Alcuni produttori di succhi stiano provando a sostituire il succo d’arancia con il succo di mandarino. Si prevede che il consumo globale di succo d’arancia per il resto dell’anno continuerà a diminuire, poiché la situazione dell’offerta appare sempre più sfavorevole e i prezzi al dettaglio aumenteranno, con la graduale eliminazione dei contratti più vecchi e più economici. Secondo gli operatori del mercato, la domanda dovrà diminuire ulteriormente affinché i prezzi si stabilizzino, sebbene il livello esatto di questo equilibrio rimanga incerto”, conclude Mintec.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Ue, l’andamento dei prezzi delle case negli ultimi anni

Tra il 2010 e il primo trimestre del 2024, i prezzi delle case sono aumentati del 49% e gli affitti del 24% nell’Ue. Lo riferisce un rapporto Eurostat diffuso oggi. Nell’infografica INTERATTIVA di GEA si prendono in considerazione Italia, Germania e Ue e, come si vede, l’Italia è quella che è cresciuta meno.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Inflazione, ad aprile rallenta a +0,1% mensile e +0,8% annuale

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dell’inflazione in Italia. Ad aprile, secondo quanto comunicato dall’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua (da +1,2% del mese precedente): la stima preliminare era +0,9%.

caro prezzi

INFOGRAFICA INTERATTIVA Inflazione, i prezzi al consumo per settori

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, gli indici dei prezzi al consumo per divisione di spesa. Secondo Istat, ad aprile la dinamica tendenziale dell’indice generale dei prezzi al consumo torna a +0,8% (come a inizio anno), principalmente a causa dell’ampliarsi della flessione dei prezzi della divisione di spesa Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (da -6,9% a -9%) e della decelerazione dei prezzi di Mobili, articoli e servizi per la casa (da +1,5% a +1,0%), di Altri beni e servizi (da +3,1% a +2,6%), di Trasporti (da +2,4% a +2,0%) e di Prodotti alimentari e bevande analcoliche (da +2,9% a +2,5%). Un sostegno all’inflazione si deve, invece, all’accelerazione su base tendenziale dei prezzi di altre divisioni, tra cui Bevande alcoliche e tabacchi (da +1,5% a +2,7%) e Servizi ricettivi e di ristorazione (da +4% a +4,4%).

Ennesimo record: il cacao arriva a 10 euro al kg. Pronta una raffica di rincari

Il prezzo del cacao ha toccato i 10mila dollari a tonnellata nella piazza finanziaria di New York. Più o meno 10 euro al kg. Infranto l’ennesimo record storico. In un anno le quotazioni sono salite del 250%. A livello nominale i futures un anno fa erano scambiati a 2.500 dollari e dieci anni fa il prezzo era attorno ai 650 dollari. In termini reali, adeguando dunque l’impatto cumulativo dell’inflazione, il cacao è comunque ancora scambiato ben al di sotto del picco raggiunto negli anni ’70. Il livello record stabilito 46 anni fa equivarrebbe infatti oggi a 27.000 dollari la tonnellata in termini nominali. Tuttavia l’impennata degli ultimi mesi resta storica.

Per comprendere la crisi, bisogna guardare alla sua genesi: anni di investimenti insufficienti nella coltivazione del cacao nell’Africa occidentale, che ospita circa il 75% della fornitura mondiale. A ciò vanno aggiunti maltempo e malattie. Nell’Africa occidentale, il cacao viene ancora coltivato prevalentemente da piccoli proprietari terrieri poveri. Guadagnano solo quanto basta per sopravvivere, così la maggior parte di loro non ha i mezzi per reinvestire nei propri appezzamenti, piantando nuovi alberi o investendo in fertilizzanti e pesticidi. I vecchi alberi di cacao comportano due problemi: rese inferiori e piante particolarmente vulnerabili alle intemperie e alle malattie.

Se l’offerta soffre, la domanda invece è più che in forma. Il risultato è dunque un brutale divario tra domanda e offerta. Anche tenendo conto dell’impatto frenante dei prezzi elevati sui consumi, il mercato si dirige verso un deficit compreso tra 300.000 e 500.000 tonnellate. Se confermato, si tratterebbe del deficit più grande degli ultimi 65 anni. L’attuale deficit sarebbe però un problema minore se la domanda globale di cacao non fosse raddoppiata negli ultimi 30 anni, poiché l’ascesa della classe media mondiale crea più consumatori. E ne stanno arrivando altre, poiché la domanda pro capite è ancora bassa in luoghi come la Cina. Il consumo annuo in Svizzera è di circa 12 kg, negli Usa sono 9 i chilogrammi mangiati, 6 kg in Germania, 1,5 Kg in Brasile, 1 in India e appunto appena 200 grammi in Cina.

Ovviamente a infiammare il rally ci ha pensato la finanza, quando ha odorato le potenziali criticità nell’offerta, facendo salire ancora di più i futures. Secondo Javier Blas, columnist di Bloomberg su energia e commodities, “una volta che i prezzi si svincolano dai fondamentali, è quasi impossibile fermare un mercato rialzista, finché qualcosa non si rompe. Preparatevi all’attuale impennata del cacao per avere ramificazioni più ampie rispetto all’inflazione del costo del vostro uovo di Pasqua. I mercati in disordine possono portare le imprese commerciali in difficoltà e persino al collasso. Questo è quello che è successo nei mercati europei dell’elettricità e del gas naturale nel 2022 – continua Blas – ed è successo anche nel mercato del cotone nel 2008 e di nuovo nel 2011″. Un segno di difficoltà – conclude l’opinionista di Bloomberg – è il calo della liquidità nel mercato finanziario del cacao da gennaio: il numero aggregato di contratti in essere, noti come open interest, nel mercato dei futures sul cacao di New York e Londra è diminuito del 35% circa negli ultimi tre mesi”.

A livello di economia reale, intanto, si sta assistendo a un aumento dei prezzi al dettaglio del cioccolato e alla contrazione dell’inflazione. Per Michele Buck, numero uno di Hershey, i rincari potrebbero essere solo all’inizio: “Utilizzeremo tutti gli strumenti a nostra disposizione, compresi i prezzi”. La crescita delle quotazioni del cacao registrata nell’ultimo anno ha determinato rincari generalizzati per le uova di Pasqua, con i marchi più noti che hanno aumentano i listini al pubblico tra il +16% e il +24% rispetto allo scorso anno, con punte in alcune catene commerciali del +40%, sottolinea il Codacons. Tuttavia il boom del nuovo ‘oro nero’ rischia di avere conseguenze negative sui prezzi al pubblico di una moltitudine di prodotti di largo consumo: dalle tavolette di cioccolata ai cioccolatini, dalle bevande al cacao alle merendine o ai biscotti farciti di cioccolato, passando per le creme spalmabili. Ma anche gelati, torte, pasticcini e altri prodotti freschi che utilizzano la materia prima cacao risentiranno della crisi in atto e subiranno un incremento di prezzo. Per chi capire gli effetti sulle tasche dei consumatori basti pensare che tre italiani su quattro consumano abitualmente prodotti a base di cioccolato – conclude il Codacons – con un consumo procapite di circa 2 kg e un giro d’affari che nel nostro Paese supera i 2 miliardi di euro annui.