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Boom prezzi ortofrutta: il ‘carrello della spesa’ in un mese passa da +1% a +2,2%

A ottobre l’Inflazione risale a +0,9%, seppure in un quadro di stabilità congiunturale”, fa sapere l’Istat. “Gli andamenti settoriali appaiono, tuttavia, differenziati. Nel comparto alimentare – commenta l’istituto di statistica – la dinamica tendenziale dei prezzi risulta in accelerazione (+2,4% da +1,1% di settembre), con effetti che si manifestano sul ‘carrello della spesa’ (+2,2% da +1,0%). Al contrario, i prezzi dei Beni energetici accentuano il calo su base annua (-9,1% da -8,7%), nonostante l’aumento congiunturale della componente regolamentata. In decelerazione sono infine i prezzi dei servizi ricreativi e culturali (+3,6% da +4,0%) e dei trasporti (+2,8% da +2,4%)”, sottolinea l’Istat, che infine precisa: “A ottobre l’Inflazione di fondo – che esclude voci volatili come cibo ed energia – resta a +1,8%“, ben al di sotto del target Bce che ipotizza un ritorno al fatidico 2% entro il 2025 nell’intera eurozona.

Torna il caro-alimentare? Fra i prodotti “non lavorati, le spinte al rialzo (+2,7% mensile) si ripercuotono sulla crescita del tasso tendenziale (da +0,3% a +3,3%). In particolare – evidenzia l’istituto di statistica – invertono la tendenza portando su valori positivi sia i prezzi di frutta fresca o refrigerata (da -0,6% a +2,8% con un +4,2% da settembre) sia quelli dei vegetali freschi o refrigerati (da -2,2% a +8,8%, segnando un +8,7% congiunturale)“. Per Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, la “tendenza è estremamente preoccupante”, nel senso che “è molto grave la fotografia restituita dal confronto tra i prezzi alimentari alla produzione e al consumo”. Infatti, i prezzi al consumo dell’alimentare lavorato salgono dall’1,5% tendenziale di settembre al 2% di ottobre, mentre quelli alla produzione passano da un tendenziale di agosto del -0,2% ad un crollo di settembre del -1,5%. “Inaccettabile – prosegue Scordamaglia – che la forbice raggiunga i 3,5 punti percentuale: questo vuol dire che soprattutto una parte della distribuzione italiana continua ad aumentare i prezzi al consumatore e a pagare sempre meno chi produce, che non riesce quindi a compensare i propri costi di produzione aggravati anche dagli eventi climatici estremi a cui stiamo assistendo”.

Secondo Filiera Italia siamo di fronte a un fenomeno doppiamente grave che colpendo i consumatori più deboli consolida un crollo degli acquisti di beni alimentari di prima necessità mai visto prima, che negli ultimi due anni ha raggiunto il -8% a volume, ma che contemporaneamente mette a rischio l’esistenza stessa della filiera produttiva italiana. Scordamaglia chiede dunque che si faccia “chiarezza sulla ripartizione del valore lungo la filiera agroalimentare. Agiremo – anche denunciando per pratiche commerciali sleali – verso chi dovesse pensare di approfittare della propria posizione negoziale per mettere in difficoltà le fasi più deboli della filiera”.

Nel frattempo l’indice dei prezzi all’ingrosso, realizzato da Unioncamere e Bmti, ha mostrato tra i prodotti freschi, rialzi mensili per frutta e ortaggi, per le carni di bovino e di pollame e per le uova a settembre. Nel comparto ittico, invece, sono rimasti sostanzialmente stabili i prezzi all’ingrosso, ad eccezione dei crostacei freschi, trainati dai rincari di gamberi e scampi. Tra i prodotti lavorati, si è registrato un ulteriore rincaro per il burro e per i formaggi ed una sostanziale stabilità per l’olio di oliva e gli sfarinati di grano e riso. Nello specifico, per quanto riguarda il settore ortofrutticolo, sono stati due i fattori che hanno impresso aumenti ai prezzi. Da un lato, l’abbassamento delle temperature registrato dopo la prima decade di settembre ha determinando una maggiore richiesta di prodotti autunnali. Dall’altro, diverse coltivazioni estive sono state colpite dal prolungato caldo estivo.

Tra i rincari maggiori, si registra un +20% per pesche e nettarine e un +11% per le pere. Forte incremento rispetto al mese precedente per le zucchine: +74,8% rispetto allo scorso anno. Aumenti mensili consistenti anche per le melanzane (+65%) e per i pomodori da insalata (+37%). Tra le carni, aumentano quelle di pollo (+6,4% rispetto al mese precedente e +3,4% rispetto al 2023) e tacchino (+5,2% rispetto a settembre e +12,3% rispetto ad un anno fa), spinti da una domanda superiore alle disponibilità di prodotto. Cresce anche la carne di bovino adulto (+4,4% rispetto ad agosto). Il comparto bovino è alle prese con una minore disponibilità di capi da ristallo, legata anche ai minori arrivi dalla Francia, elemento che sta imprimendo tensioni al mercato. Tra i prodotti zootecnici, aumentano del 2,2% rispetto al mese precedente i prezzi delle uova allevate a terra, sostenuti da una domanda superiore all’offerta.

Effetto maltempo sull’ortofrutta: a settembre risale il ‘carrello della spesa’

Le inondazioni a settembre hanno messo in ginocchio il settore ortofrutticolo in quella che è la Fruit Valley italiana, ovvero l’Emilia Romagna. Secondo il monitoraggio della Coldiretti l’acqua che ha invaso i campi nella seconda metà del mese scorso ha inondato i terreni coltivati a ortaggi e gli alberi di mele, pere, kiwi, susine con impianti danneggiati nella zona del Faentino, nel Bagnacavallese e a Cotignola dove l’acqua è arrivata alla frutta, avendola ricoperta di fanghiglia. Si spiega così il rialzo dei prezzi del carrello della spesa, fotografato oggi dall’Istat.

“A settembre l’inflazione scende a +0,7%, il livello più basso registrato da inizio anno”, spiega l’istituto di statistica. Un calo che “si deve ancora all’evoluzione dei prezzi dei Beni energetici (-8,7% da -6,1% di agosto), ma risente anche del rallentamento su base tendenziale dei prezzi di alcune tipologie di servizi (ricreativi, culturali e per la cura della persona e di trasporto). Per contro, nel comparto alimentare – appunto – i prezzi aumentano lievemente il loro ritmo di crescita su base annua, contribuendo all’accelerazione dei prezzi del ‘carrello della spesa’ (+1% da +0,6%). Mentre l’inflazione di fondo, che esclude le voci volatili appunto come cibo ed energia, scende a +1,8% dal +1,9% registrato negli ultimi tre mesi”, conclude la sua analisi l’istituto di statistica.

Mese su mese il calo dei prezzi al consumo è dello 0,2%, una diminuzione congiunturale dovuta principalmente alla discesa dei “prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (-2,2%), dei Beni energetici regolamentati e non regolamentati (-1,1% entrambi) e dei Beni alimentari lavorati (-0,5%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dall’incremento dei prezzi dei Beni alimentari non lavorati (+1,4%) e dei Beni durevoli (+0,4%) e semidurevoli (+0,3%)” prosegue l’Istat. In particolare, proprio restando sugli alimentari., a settembre “i prezzi nel complesso mostrano un profilo tendenziale in accelerazione (da +0,8% a +1,1%; +0,2% rispetto al mese precedente)”.

E più in dettaglio, fra gli “alimentari lavorati il tasso di crescita su base annua dei prezzi si è stabilizzato a +1,5% (-0,5% il congiunturale). Nel settore degli alimentari non lavorati, le tensioni sui prezzi (+1,4% la crescita congiunturale) fanno risalire il tasso tendenziale su valori positivi (da -0,5% a +0,3%). Tale andamento è imputabile alla flessione meno marcata sia dei prezzi di frutta fresca e refrigerata (da -2,8% a -0,6% contro invece un +1,6% da agosto) sia di quelli dei Vegetali freschi o refrigerati diversi dalle patate (da -3,9% a -2,2%, però +5,5% il congiunturale), ma anche all’accelerazione dei prezzi della carne bovina (da +2,0% a +2,2%, registrando invece +0,3% sul mese)”, rivela Istat.

In netto calo infine i prezzi legati alle vacanze. Infatti “nel comparto dei servizi, il ritmo di crescita su base annua dei prezzi scende al +2,8% (da +3,2% con un -0,3% sul mese). A un maggiore livello di dettaglio, decelerano i prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,5% a +4,0%), soprattutto a causa di quelli dei Pacchetti vacanze (da +23,2% a +13,0% registrando un -15,8% sul mese), come anche i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +2,9% a +2,4% segnando un -2,2% da agosto), influenzati da quelli del Trasporto marittimo e per vie d’acqua interne (da -1,0% a -5,0%, con un ben -31,3% rispetto al mese precedente), del Trasporto aereo passeggeri (da -4,8% a -8,6%, evidenziando un -21,3% su agosto) e del Trasporto passeggeri su rotaia (da +6,1% a +4,3%; -0,3% il congiunturale)”, conclude l’istituto di statistica.

Cresce produzione globale arance, cala quella di succo d’arancia: prezzi sui massimi

Secondo il recente report del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), la produzione globale di arance per l’annata 2023/24 è stimata in aumento dell’1%, raggiungendo complessivamente 47,4 milioni di tonnellate. Tuttavia la produzione globale di succo d’arancia per il 2023/24 è stimata in calo del 3%, raggiungendo 1,5 milioni di tonnellate.

L’apparente contraddizione è spiegata dalla situazione brasiliana, stimata in leggero calo a 15,3 milioni di tonnellate. I rendimenti inferiori sono principalmente dovuti alle cattive condizioni meteorologiche che hanno contribuito alla siccità, oltre agli impatti negativi del ‘greening’ ovvero una malattia che non fa maturare l’agrume lasciandolo appunto verde. Di conseguenza l’Usda prevede una diminuzione dei consumi e della frutta destinata alla trasformazione a causa della riduzione delle forniture, settore dove il Brasile rappresenta oltre il 70% della produzione globale di succo d’arancia. Risultato finale: -9% a 1,1 milioni di tonnellate. Non potrà compensare il calo carioca nemmeno la produzione Usa di succo, prevista aumentare del 9% a 93.000 tonnellate grazie all’aumento delle arance disponibili per il mercato, soprattutto in Florida, così come quella messicana stimata in aumento dell’11%, arrivando a 155.000 tonnellate.

Nemmeno l’Europa può dare una mano al succo d’arancia. Per la Ue la produzione di arance dovrebbe diminuire del 2%, raggiungendo 5,5 milioni di tonnellate. Il clima instabile, con eccessive piogge seguite da condizioni di siccità e caldo, ha ostacolato le rese e influenzato negativamente le dimensioni dei frutti. Sia il consumo che le esportazioni sono stimati in calo a causa della minore offerta, mentre si prevede che l’aumento delle importazioni, principalmente dall’Egitto e dal Sud Africa, compenserà parzialmente la minore produzione. Paradossalmente nel Vecchio Continente Europa crescerà invece del 4% la produzione di succo, raggiungendo appena 50.000 tonnellate grazie alla disponibilità di arance che non soddisfano gli standard di calibro per il consumo fresco.

Ecco spiegato dunque il perché i prezzi del succo d’arancia – che oggi hanno aperto stabili a 4,3 dollari per libbra – restino sui massimi storici (raggiunti a fine maggio a quota 4,9 dollari), dopo aver visto triplicare le quotazioni lo scorso anno. Prezzi cresciuti del 35% anche nel 2024. Una corsa che, secondo una recente ricerca dalla società di analisi Mintec, sta spingendo addirittura i produttori europei a cercare “di ridurre al minimo l’esposizione al succo d’arancia riducendone l’uso nelle miscele, e alcuni hanno persino smesso di venderlo a causa della disponibilità limitata. Alcuni produttori di succhi stiano provando a sostituire il succo d’arancia con il succo di mandarino. Si prevede che il consumo globale di succo d’arancia per il resto dell’anno continuerà a diminuire, poiché la situazione dell’offerta appare sempre più sfavorevole e i prezzi al dettaglio aumenteranno, con la graduale eliminazione dei contratti più vecchi e più economici. Secondo gli operatori del mercato, la domanda dovrà diminuire ulteriormente affinché i prezzi si stabilizzino, sebbene il livello esatto di questo equilibrio rimanga incerto”, conclude Mintec.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Ue, l’andamento dei prezzi delle case negli ultimi anni

Tra il 2010 e il primo trimestre del 2024, i prezzi delle case sono aumentati del 49% e gli affitti del 24% nell’Ue. Lo riferisce un rapporto Eurostat diffuso oggi. Nell’infografica INTERATTIVA di GEA si prendono in considerazione Italia, Germania e Ue e, come si vede, l’Italia è quella che è cresciuta meno.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Inflazione, ad aprile rallenta a +0,1% mensile e +0,8% annuale

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dell’inflazione in Italia. Ad aprile, secondo quanto comunicato dall’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua (da +1,2% del mese precedente): la stima preliminare era +0,9%.

caro prezzi

INFOGRAFICA INTERATTIVA Inflazione, i prezzi al consumo per settori

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, gli indici dei prezzi al consumo per divisione di spesa. Secondo Istat, ad aprile la dinamica tendenziale dell’indice generale dei prezzi al consumo torna a +0,8% (come a inizio anno), principalmente a causa dell’ampliarsi della flessione dei prezzi della divisione di spesa Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (da -6,9% a -9%) e della decelerazione dei prezzi di Mobili, articoli e servizi per la casa (da +1,5% a +1,0%), di Altri beni e servizi (da +3,1% a +2,6%), di Trasporti (da +2,4% a +2,0%) e di Prodotti alimentari e bevande analcoliche (da +2,9% a +2,5%). Un sostegno all’inflazione si deve, invece, all’accelerazione su base tendenziale dei prezzi di altre divisioni, tra cui Bevande alcoliche e tabacchi (da +1,5% a +2,7%) e Servizi ricettivi e di ristorazione (da +4% a +4,4%).

Ennesimo record: il cacao arriva a 10 euro al kg. Pronta una raffica di rincari

Il prezzo del cacao ha toccato i 10mila dollari a tonnellata nella piazza finanziaria di New York. Più o meno 10 euro al kg. Infranto l’ennesimo record storico. In un anno le quotazioni sono salite del 250%. A livello nominale i futures un anno fa erano scambiati a 2.500 dollari e dieci anni fa il prezzo era attorno ai 650 dollari. In termini reali, adeguando dunque l’impatto cumulativo dell’inflazione, il cacao è comunque ancora scambiato ben al di sotto del picco raggiunto negli anni ’70. Il livello record stabilito 46 anni fa equivarrebbe infatti oggi a 27.000 dollari la tonnellata in termini nominali. Tuttavia l’impennata degli ultimi mesi resta storica.

Per comprendere la crisi, bisogna guardare alla sua genesi: anni di investimenti insufficienti nella coltivazione del cacao nell’Africa occidentale, che ospita circa il 75% della fornitura mondiale. A ciò vanno aggiunti maltempo e malattie. Nell’Africa occidentale, il cacao viene ancora coltivato prevalentemente da piccoli proprietari terrieri poveri. Guadagnano solo quanto basta per sopravvivere, così la maggior parte di loro non ha i mezzi per reinvestire nei propri appezzamenti, piantando nuovi alberi o investendo in fertilizzanti e pesticidi. I vecchi alberi di cacao comportano due problemi: rese inferiori e piante particolarmente vulnerabili alle intemperie e alle malattie.

Se l’offerta soffre, la domanda invece è più che in forma. Il risultato è dunque un brutale divario tra domanda e offerta. Anche tenendo conto dell’impatto frenante dei prezzi elevati sui consumi, il mercato si dirige verso un deficit compreso tra 300.000 e 500.000 tonnellate. Se confermato, si tratterebbe del deficit più grande degli ultimi 65 anni. L’attuale deficit sarebbe però un problema minore se la domanda globale di cacao non fosse raddoppiata negli ultimi 30 anni, poiché l’ascesa della classe media mondiale crea più consumatori. E ne stanno arrivando altre, poiché la domanda pro capite è ancora bassa in luoghi come la Cina. Il consumo annuo in Svizzera è di circa 12 kg, negli Usa sono 9 i chilogrammi mangiati, 6 kg in Germania, 1,5 Kg in Brasile, 1 in India e appunto appena 200 grammi in Cina.

Ovviamente a infiammare il rally ci ha pensato la finanza, quando ha odorato le potenziali criticità nell’offerta, facendo salire ancora di più i futures. Secondo Javier Blas, columnist di Bloomberg su energia e commodities, “una volta che i prezzi si svincolano dai fondamentali, è quasi impossibile fermare un mercato rialzista, finché qualcosa non si rompe. Preparatevi all’attuale impennata del cacao per avere ramificazioni più ampie rispetto all’inflazione del costo del vostro uovo di Pasqua. I mercati in disordine possono portare le imprese commerciali in difficoltà e persino al collasso. Questo è quello che è successo nei mercati europei dell’elettricità e del gas naturale nel 2022 – continua Blas – ed è successo anche nel mercato del cotone nel 2008 e di nuovo nel 2011″. Un segno di difficoltà – conclude l’opinionista di Bloomberg – è il calo della liquidità nel mercato finanziario del cacao da gennaio: il numero aggregato di contratti in essere, noti come open interest, nel mercato dei futures sul cacao di New York e Londra è diminuito del 35% circa negli ultimi tre mesi”.

A livello di economia reale, intanto, si sta assistendo a un aumento dei prezzi al dettaglio del cioccolato e alla contrazione dell’inflazione. Per Michele Buck, numero uno di Hershey, i rincari potrebbero essere solo all’inizio: “Utilizzeremo tutti gli strumenti a nostra disposizione, compresi i prezzi”. La crescita delle quotazioni del cacao registrata nell’ultimo anno ha determinato rincari generalizzati per le uova di Pasqua, con i marchi più noti che hanno aumentano i listini al pubblico tra il +16% e il +24% rispetto allo scorso anno, con punte in alcune catene commerciali del +40%, sottolinea il Codacons. Tuttavia il boom del nuovo ‘oro nero’ rischia di avere conseguenze negative sui prezzi al pubblico di una moltitudine di prodotti di largo consumo: dalle tavolette di cioccolata ai cioccolatini, dalle bevande al cacao alle merendine o ai biscotti farciti di cioccolato, passando per le creme spalmabili. Ma anche gelati, torte, pasticcini e altri prodotti freschi che utilizzano la materia prima cacao risentiranno della crisi in atto e subiranno un incremento di prezzo. Per chi capire gli effetti sulle tasche dei consumatori basti pensare che tre italiani su quattro consumano abitualmente prodotti a base di cioccolato – conclude il Codacons – con un consumo procapite di circa 2 kg e un giro d’affari che nel nostro Paese supera i 2 miliardi di euro annui.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Carburanti, Mimit: Nuovo calo prezzi di benzina e diesel

Nella mappa INTERATTIVA di GEA vengono mostrati i prezzi medi del carburante regione per regione. Si può scegliere quale tipologia di carburante visualizzare e fare così un confronto tra le varie regioni. I dati sono quelli del Ministero delle imprese e del Made in Italy che vengono rilasciati ogni giorno. L’Alto Adige resta la zona più cara d’Italia con la benzina che comunque cala a 1,896 euro/litro, mentre i prezzi più bassi per la benzina sono nelle Marche, in discesa a 1,835 euro/litro.

agricoltura

I prezzi agricoli crollano ai livelli di 3 anni fa, ma gli alimentari costano il 23% in più

La speculazione esiste? Molti la evocano, pochi la misurano. Tuttavia, confrontando i dati diffusi dalla Fao oggi sui prezzi agricoli mondiali con i prezzi alimentari al consumo globali, non si può non notare che qualcosa non torna.

L’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso per il settimo mese consecutivo a 117,3 punti a febbraio, il livello più basso in tre anni, rispetto ai 118,2 rivisti al rialzo di gennaio. La diminuzione degli indici dei prezzi dei cereali e degli oli vegetali ha più che compensato gli aumenti di quelli dello zucchero, della carne e dei latticini. Negli ultimi tre anni l’indice PriceStats Daily World Food Inflation Index – realizzato da State Street – fa vedere invece che gli alimentari sono rincarati del 23%, passando da un punteggio di 133 del febbraio 2021 a quota 164 al termine dello scorso mese. Quello di State Street è un indice composito per Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Spagna, Grecia, Canada, Australia, Giappone, Corea del Sud, Russia, Sud Africa, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Uruguay, Turchia e Argentina. L’indice utilizza la componente alimentare e delle bevande analcoliche non destagionalizzata dell’inflazione di ciascun Paese, con ponderazioni basate sulla spesa per consumi finali delle famiglie del 2010, in dollari correnti, dalla Banca Mondiale.

Vedendo il grafico, il PriceStats Daily World Food Inflation Index, non sembra dare segni di inversione. Sale. Il contrario della traiettoria intrapresa dai prezzi agricoli globali. L’Indice Fao delle quotazioni cerealicole è diminuito del 5% a febbraio, raggiungendo un livello inferiore del 22,4% rispetto a quello di febbraio 2023. I prezzi all’esportazione del mais sono diminuiti maggiormente tra le aspettative di grandi raccolti in Sud America e i valori competitivi offerti dall’Ucraina, mentre quelli internazionali del grano sono diminuiti soprattutto grazie al forte ritmo delle esportazioni dalla Russia. Anche i prezzi internazionali del riso sono diminuiti dell’1,6% a febbraio. L’Indice Fao dei prezzi degli oli vegetali è calato invece dell’1,3% da gennaio, attestandosi all’11% al di sotto del valore di febbraio 2023. Quelli internazionali dell’olio di soia sono diminuiti notevolmente, sostenuti dalle prospettive di abbondanti produzioni di soia in Sud America, mentre le ampie disponibilità di esportazioni globali di oli di girasole e di colza hanno spinto i loro prezzi verso il basso. I prezzi mondiali dell’olio di palma sono aumentati marginalmente a febbraio a causa del calo stagionale della produzione.

L’indice Fao dei prezzi dello zucchero, al contrario, è aumentato del 3,2% a febbraio. L’aumento riflette le persistenti preoccupazioni sull’imminente produzione del Brasile dopo un periodo prolungato di precipitazioni inferiori alla media, nonché i previsti cali di produzione in Tailandia e India, due principali paesi esportatori. Anche l’indice dei prezzi della carne è aumentato dell’1,8% da gennaio, con le quotazioni della carne di pollame che sono aumentate maggiormente, seguite da quelle della carne bovina, colpite dalle forti piogge che hanno interrotto il trasporto del bestiame in Australia. Anche i prezzi della carne suina sono aumentati leggermente a causa della maggiore domanda da parte della Cina e della situazione di offerta limitata in Europa occidentale. I prezzi internazionali della carne ovina sono diminuiti in parte a causa della produzione record conseguente alla ricostituzione del gregge in Australia. In crescita anche l’Indice dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari, aumentato dell’1,1%, guidato dalla maggiore domanda di importazioni di burro da parte degli acquirenti asiatici. Anche i prezzi del latte in polvere e del formaggio sono aumentati marginalmente.

Guardando avanti, la Fao ha pubblicato un nuovo Brief sull’offerta e la domanda di cereali, alzando leggermente le sue previsioni per la produzione totale mondiale di cereali nel 2023 a 2.840 milioni di tonnellate. Caleranno i prezzi al consumo?

INFOGRAFICA INTERATTIVA Carburanti, Mimit: Prezzo benzina stabile, cala il diesel

Nella mappa INTERATTIVA di GEA vengono mostrati i prezzi medi del carburante regione per regione. Si può scegliere quale tipologia di carburante visualizzare e fare così un confronto tra le varie regioni. I dati sono quelli del Ministero delle imprese e del Made in Italy che vengono rilasciati ogni giorno. L’Alto Adige resta la zona più cara d’Italia con la benzina a 1,900 euro/litro, mentre i prezzi più bassi per la benzina sono nelle Marche (1,839 euro/litro).