Mattarella a Cipro il 26 e 27 febbraio, energia e Mediterraneo al centro dell’agenda

Quella di Sergio Mattarella, il 26 e 27 febbraio prossimi, sarà la prima visita di un presidente della Repubblica a Cipro. Tanti i temi che accompagnano il viaggio del capo dello Stato nel Paese che celebra nel 2024 i vent’anni dall’ingresso nell’Unione europea, ma anche – soprattutto – il cinquantesimo anniversario dalla guerra che nel 1974 sconvolse gli equilibri dell’isola, di cui ancora oggi si vedono gli strascichi.

Il programma è intenso, con diversi appuntamenti in agenda, per una due giorni utile ad acquisire il punto di vista di un partner europeo nella situazione geopolitica complessa che si vive oggi, sia nel Mediterraneo orientale quanto in Medio Oriente con le tensioni tra Israele e Palestina. Sullo sfondo restano le questioni storicamente aperte, la divisione tra le due comunità che convivono, quella turco-cipriota e quella dei greci-ciprioti, e il difficile rapporto con la Turchia, reso ancora più complicato dagli scontri sull’utilizzo della Zona economica esclusiva e dei giacimenti di gas offshore che sono stati scoperti negli ultimi anni.

L’Italia può vantare una forte presenza economica sul territorio, soprattutto grazie all’impegno di Eni, che dal 2013 è presente con sette licenze esplorative, grazie alle quali sono state possibili importanti scoperte nelle acque al largo di Cipro. L’ultima, in termini temporali, nel 2022, tramite il pozzo Zeus-1 perforato nel Blocco 6 (operato da Eni Cyprus, che ha il 50%, con TotalEnergies come partner) a 162 chilometri al largo della costa e 2.300 metri di profondità d’acqua, che ha volumi di gas tra i 56 e gli 85 miliardi di metri cubi. Mentre lo scorso 15 febbraio è stato completato il pozzo Cronos-2, nello stesso blocco, che ha una capacità stimata di oltre 4,2 milioni di metri cubi al giorno.

Sul tavolo restano aperti anche i dossier sui collegamenti per il trasporto del gas o quelli sulle infrastrutture per la liquefazione. Temi che sono sempre stati di primaria importanza, che dall’invasione russa in Ucraina hanno assunto un carattere prioritario, non solo per assicurare gli approvvigionamenti ma per garantire la sicurezza energetica del Vecchio continente.

Cipro, dunque, può diventare un prezioso alleato, sebbene la situazione non sia particolarmente felice per effetto della doppia crisi: quella scatenata dall’invasione decisa da Mosca in Ucraina (nel Paese è forte la presenza di investimenti russi) e la ripresa del conflitto mediorientale. Nicosia, infatti, è attiva nel tentativo di creare un corridoio umanitario con Gaza.

Cipro è impegnata in un programma di riforme annunciate dal presidente, Nikos Christodoulides, tra le quali quella di riattivare un dialogo costruttivo con Ankara. Mattarella, accompagnato dal vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, lo incontrerà al suo arrivo a Nicosia, lunedì 26 febbraio, al Palazzo Presidenziale. Il giorno successivo, martedì 27 febbraio, il capo dello Stato visiterà il Parlamento cipriota, accolto dalla presidente, Annita Demetriou. Nella mattinata Mattarella sarà anche nella buffer zone, la cosiddetta ‘linea verde‘, al quartier generale della forza Onu per il mantenimento della pace a Cipro, dove sarà ricevuto dal rappresentante speciale del segretario delle Nazioni Unite e capo della forza di peacekeeping a Cipro, Colin Steward, che nel contingente al suo comando può contare anche sulla presenza di quattro marescialli dell’Arma dei Carabinieri.

Mattarella, poi, sarà al Comitato per le persone scomparse, che si occupa di dare un nome e un’identità alle oltre duemila vittime della guerra tra le comunità turca e greca degli anni Settanta. Molto simbolica sarà anche la visita al vecchio aeroporto di Nicosia, che ha la caratteristica di essere rimasto esattamente come cinquant’anni fa, dopo il conflitto. A metà mattinata, poi, è previsto l’arrivo al porto di Limassol dove il presidente della Repubblica visiterà la fregata ‘Carlo Bergamini‘ della Marina Militare, accolto dal capo di stato maggiore, l’ammiraglio Enrico Credendino. Nel pomeriggio l’ultima tappa: Mattarella sarà infatti a Paphos, capoluogo del distretto di origine di Christodoulides, che lo accompagnerà al sito archeologico della Casa di Dioniso e dei mosaici romani.

Mattarella: “Giovani disorientati da mondo debole nel contrastare crisi ambientale sempre più minacciosa”

Guerre, ascolto, pace, lavoro, diritti, unità. Sono alcune delle parole chiave utilizzate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio consegnato agli italiani nell’ultimo giorno dell’anno, il nono tra il primo mandato e l’inizio del secondo. Dallo studio della sala della Vetrata, al Quirinale, con alle spalle l’albero di Natale e le bandiere italiana, europea e della Repubblica, il capo dello Stato guarda al 2024 ricordando che “non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo”.

Perché “sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”. Ma allo stesso tempo il presidente sottolinea: “Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana. La violenza. Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate”.

Il pensiero corre alle “devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla”. E alla “orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”.

Il monito di Mattarella è chiaro: “La guerra, ogni guerra, genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti”.

Il presidente della Repubblica lancia un messaggio semplice, ma potente. “È indispensabile – dice – fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace”. Mattarella aggiunge: “Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Ma “sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace”. E “per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi”.

Il capo dello Stato si rivolge, poi, come spesso accade, direttamente ai giovani, con i quali costruisce fin dal suo primo mandato un filo diretto. “L’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore, quello vero, è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete”.

Mattarella mette in luce che “rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento – continua – che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale”. Ma “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

Un passaggio importante del suo discorso, il presidente della Repubblica lo dedica all’importanza di “ascoltare”, a cui attribuisce anche il significato di “saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo. Mutamenti che possono recare effetti positivi sulle nostre vite. La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali. Adesso, con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali”.

Mattarella afferma: “Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile”. Per il capo dello Stato “viviamo un passaggio epocale. Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto” per “definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social”. Perché “la democrazia è fatta di esercizio di libertà” che “quanti esercitano pubbliche funzioni, a tutti i livelli, sono chiamati a garantire” e che sia “indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento”.

Mattarella, infine, ricorda, a tutti, che “la forza della Repubblica è la sua unità”, ma “non come risultato di un potere che si impone”. L’unità della Repubblica “è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace”. Valori che ha incontrato “nella composta pietà della gente di Cutro”, nella “operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano Romagna mia” o “negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà”.

Il presidente della Repubblica, prima di augurare buon anno alle italiane e agli italiani, lascia un ultimo messaggio: “Uniti siamo forti”.

 

 

Photo credit: sito Presidenza della Repubblica

Addio a Giorgio Napolitano, vide prima e più lontano di tanti su crisi climatica ed energia

E’ stato uno dei protagonisti della storia politica e istituzionale italiana. Giorgio Napolitano si è spento all’età di 98 anni, compiuti lo scorso 29 giugno. Napoletano, anzi, orgogliosamente napoletano, spostato per oltre 60 anni con Clio Maria Bittoni, con la quale due figli, Giovanni e Giulio, nella sua lunga vita ha ricoperto diversi incarichi di prestigio, ma rimarrà nella storia soprattutto per essere stato il primo presidente della Repubblica a essere eletto per due mandati consecutivi, nel maggio del 2006 (con 543 voti) e ad aprile 2013 (con 738 preferenze), sebbene il secondo sia arrivato per le condizioni di stallo totale delle forze politiche sul nome del possibile successore e fu interrotto dalle sue dimissioni dopo appena due anni, il 14 gennaio 2015.

Laureato in giurisprudenza nel 1947, iniziò la sua attività politica ben presto, nel 1945-46 nel movimento per i Consigli studenteschi di Facoltà, poi dal 1945 con l’iscrizione al Partito comunista italiano. Il suo esordio nelle istituzioni avvenne nel 1953, con l’elezione alla Camera dei deputati, di cui è stato membro sino al 1996, a parte il quinquennio 1989-1992 nel quale è stato eletto al Parlamento europeo, dove tornò nella legislatura 1999-2004. Di Montecitorio è stato anche presidente nell’undicesima legislatura, dal 1992 al 1994.

Nella sua carriera politica c’è anche l’esperienza come ministro dell’Interno e per il coordinamento della protezione civile nel Governo Prodi, dal maggio 1996 all’ottobre 1998. Nel settembre 2005 fu stato nominato senatore a vita dall’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, di cui un anno dopo diventò il successore al Quirinale.

Napolitano, figlio di un’epoca totalmente diversa, già rappresentante delle istituzioni negli anni del boom industriale ed economico, nel corso del suo mandato ha sempre dedicato un’attenzione particolare ai temi dell’ambiente, anche quando il dibattito pubblico non riteneva che il tema meritasse centralità o quantomeno priorità nell’impostazione delle politiche di sviluppo.

Fu tra i primi a denunciare i rischi di un cambiamento climatico che stava già mettendo a durissima prova i territori dell’Italia e dell’Europa. Uno dei discorsi più incisivi dell’ex presidente della Repubblica sull’argomento è dell’aprile 2007, a Riga, per la Conferenza ‘Vivere in Europa e il Mondo – Responsabilità per le nuove generazioni; interrelazioni tra la tutela dell’ambiente, l’uso delle risorse energetiche e lo sviluppo’. “L’impegno unilaterale assunto dall’Unione al Consiglio europeo dell’8-9 marzo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 20% entro il 2020, e di giungere al 30% qualora anche gli altri Paesi sviluppati ed i Pvs economicamente più avanzati facciano la loro parte, è un importante segnale lanciato al resto del mondo”, disse il capo dello Stato in Lettonia. Che elencò anche i target posti dal Vecchio continente: “Risparmiare il 20% del consumo di energia rispetto alle stime per il 2020”, “fare in modo che le energie rinnovabili coprano nel 2020 il 20% del consumo totale di energia” e “raggiungere entro la stessa data un livello minimo di bio-combustibili del 10% sul consumo totale dei trasporti, in tutti gli Stati membri”.

Napolitano vide lungo anche sull’energia. Nella stessa occasione aggiunse, nel suo intervento, che dall’analisi delle stime “relative all’aumento della domanda mondiale di energia – destinata a crescere, entro il 2030, di circa il 50% – si comprende quanto sia necessaria e stringente una forte azione unitaria dell’Unione europea”. Parole sentite più volte, anni dopo, da premier e ministri. All’epoca il presidente della Repubblica disse: “E’ stato calcolato che nel 2030 l’Europa sarà dipendente dall’estero per oltre l’80% del suo consumo di gas e per oltre il 90% del suo fabbisogno di petrolio. Aumenterà contemporaneamente anche la domanda di energia delle potenze emergenti come la Cina e l’India, che cercheranno nuovi contratti di approvvigionamento nelle regioni dell’Asia centrale, dell’Africa e del Medio Oriente. Parte della nostra sicurezza economica sarà quindi legata agli sviluppi e ad eventuali tensioni nei Paesi produttori. Si tratta di sfide che possiamo vincere solo uniti”. Oggi si può dire serenamente che aveva ragione da vendere.

E ancora, sempre nel 2007, nel mese di settembre, intervenendo alla Conferenza organizzato alla Fao dall’allora ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, disse senza troppi giri di parole: “Sono convinto che quello del cambiamento climatico e del futuro dell’ambiente sia uno dei più gravi e complessi problemi globali del nostro tempo” e “per influenzare intese e sforzi coordinati, che devono realizzarsi a livello mondiale innanzitutto, è essenziale che l’Europa parli con una sola voce”. Parole che, se trasferite ai giorni d’oggi, sono ancora di straordinaria attualità.

Nel 2013, poi, in un messaggio alla Conferenza nazionale ‘La natura dell’Italia’, Napolitano scriveva: “La difesa dell’ambiente e della biodiversità, la gestione sostenibile delle risorse naturali, la valorizzazione del paesaggio e del territorio rappresentano una sfida cui vanno date risposte urgenti nel nostro Paese, colpito anche di recente da eventi calamitosi riconducibili ad errori e carenze nella gestione di un territorio fragile e prezioso come quello italiano”.

La sua eredità politica è ancora “viva e vibrante”, locuzione che spesso e volentieri amava utilizzare nei suoi discorsi pubblici. Del resto, la lungimiranza è una dote che tutti, anche quelli che un tempo furono i suoi avversari, gli hanno sempre riconosciuto. Per l’Italia Napolitano, il ‘migliorista’, aggettivo che gli fu associato per la sua appartenenza alla corrente Pci che giudò per anni, con i consigli di Gerardo Chiaromonte e di Emanuele Macaluso, in particolare, è stato, e rimarrà, una figura di riferimento per l’Italia. Addio, Presidente.

Mattarella: “Mettere al sicuro il Pianeta, le rinnovabili sono la nuova frontiera economica”

Grandi sfide, globali. È questo il termine utilizzato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno. Più breve del solito, in una location inedita – l’ala neoclassica del Palazzo del Quirinale – in piedi e con le dita delle mani che si toccano le punte in molti passaggi cruciali.
Come quello dedicato alle “difficoltà del governare”. Un richiamo che coinvolge tutti, perché “nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari” e “quanto avvenuto le ha poste, tutte, in tempi diversi, di fronte alla necessità di misurarsi con le difficoltà del governare”. Per inciso, i temi sono tanti e Mattarella ne cita solo alcuni, chiamandoli appunto “fenomeni globali”, che già basterebbero da soli a far tremare le vene ai polsi: “Dalla pandemia alla guerra, dalla crisi energetica a quella alimentare, dai cambiamenti climatici ai fenomeni migratori”.

Il capo dello Stato è vicino ai suoi concittadini, lo ribadisce con tono deciso: “So bene quanti italiani affrontano questi mesi con grandi preoccupazioni. L’inflazione, i costi dell’energia, le difficoltà di tante famiglie e imprese, l’aumento della povertà e del bisogno”.
Per questo lascia un messaggio che ognuno può fare proprio: “La sfida è progettare il domani con coraggio”. Perché “pensare di rigettare il cambiamento, di rinunciare alla modernità non è soltanto un errore: è anche un’illusione”. Il cambiamento “va guidato, l’innovazione va interpretata per migliorare la nostra condizione di vita, ma non può essere rimossa”. In questo, dunque, assume un valore fondamentale “mettere al sicuro il Pianeta, e quindi il nostro futuro, il futuro dell’umanità”. E questo “significa affrontare anzitutto con concretezza la questione della transizione energetica.

Infatti, l’energia è ciò che permette alle nostre società di vivere e progredire. Il complesso lavoro che occorre per passare dalle fonti tradizionali, inquinanti e dannose per salute e ambiente, alle energie rinnovabili, rappresenta la nuova frontiera dei nostri sistemi economici”.
Senza dimenticare che il Pianeta ha bisogno immediato di cure, attenzione e politiche rigorose ma improntate alla visione prospettica. “Non è un caso – dice – se su questi temi, e in particolare per l’affermazione di una nuova cultura ecologista, registriamo la mobilitazione e la partecipazione da parte di tanti giovani”.
Ancora una volta, dunque, anche nel primo discorso del suo secondo “inaspettato” mandato, Mattarella prende per mano gli italiani. Guardando sempre al domani “con uno sguardo nuovo” e “con gli occhi dei giovani”. Del futuro.

La Costituzione da 75 anni bussola degli italiani. Dal 2022 introdotta la tutela ambientale

Settantacinque anni fa gli italiani scoprirono un nuovo modo di vivere la loro quotidianità. Era il 1° gennaio del 1948, infatti, quando entrò in vigore la Costituzione. L’Italia usciva da una guerra profonda e dolorosa, che aveva messo in ginocchio il Paese, la sua economia, il suo tessuto sociale. Nel suo discorso di fine anno, Sergio Mattarella ha dedicato ampio spazio alla Repubblica, con parole decise e visione prospettica. “La Costituzione resta la nostra bussola, il suo rispetto il nostro primario dovere; anche il mio”, ha detto sopra tutto il capo dello Stato.

Dalla firma in calce posta dall’allora capo dello Stato provvisorio, Enrico De Nicola, il 27 dicembre del 1947, ultimo atto dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea costituente, avvenuta il 22 dicembre dello stesso anno, sono stati svariati i tentativi di cambiare la Carta fondamentale della Repubblica. Ma in 75 anni sono state solo 16 le modifiche approvate, quasi sempre per aggiornarla ai tempi. Non a caso le ultime due riguardano temi che ormai sono parte integrante della vita di ogni italiano: l’11 febbraio del 2022 è stata introdotta la tutela dell’ambiente in Costituzione adeguando articoli 9 e 41, mentre lo scorso 7 novembre, con la modifica all’articolo 119, è stato aggiornato il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità.

Tutti segni (e segnali) che la Carta è davvero il faro da osservare durante le tempeste della storia. Che non è intoccabile, ma bisogna saperla ‘maneggiare’ con cura per evitare di stravolgere la vita del Paese. Non sempre, infatti, i tentativi di modificarla sono andati a buon fine, spesso per volontà popolare con i referendum bocciati (anche sonoramente) dagli elettori.
Ma questo fa parte della vita democratica del Paese. Come ricordato proprio dal capo dello Stato: “La Repubblica siamo tutti noi. Insieme. Lo Stato nelle sue articolazioni, le Regioni, i Comuni, le Province. Le istituzioni, il Governo, il Parlamento. Le donne e gli uomini che lavorano nella pubblica amministrazione. I corpi intermedi, le associazioni. La vitalità del terzo settore, la generosità del volontariato”, ha detto Mattarella. Ricordando che “la Repubblica, la nostra Patria, è costituita dalle donne e dagli uomini che si impegnano per le loro famiglie”.

Non solo: “La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune”, è “nel sacrificio di chi, indossando una divisa, rischia per garantire la sicurezza di tutti. In Italia come in tante missioni internazionali”. La Repubblica, ha aggiunto Mattarella, “è nella fatica di chi lavora e nell’ansia di chi cerca il lavoro. Nell’impegno di chi studia. Nello spirito di solidarietà di chi si cura del prossimo. Nell’iniziativa di chi fa impresa e crea occupazione”.
Un monito e uno sprone, perché la Repubblica vive della partecipazione di tutti”. Ed “è questo il senso della libertà garantita dalla nostra democrazia. È anzitutto questa la ragione per cui abbiamo fiducia”.
Nel 2023, nel futuro dell’Italia, nel 75esimo anno dall’entrata in vigore della Costituzione.

Mattarella: “Transizione energetica concreta per mettere al sicuro il Pianeta”

Un anno addietro, rivolgendomi a voi in questa occasione, definivo i sette anni precedenti come impegnativi e complessi.
Lo è stato anche l’anno trascorso, così denso di eventi politici e istituzionali di rilievo.

L’elezione del Presidente della Repubblica, con la scelta del Parlamento e dei delegati delle Regioni che, in modo per me inatteso, mi impegna per un secondo mandato.

Lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni politiche, tenutesi, per la prima volta, in autunno.

Il chiaro risultato elettorale ha consentito la veloce nascita del nuovo governo, guidato, per la prima volta, da una donna.

E’ questa una novità di grande significato sociale e culturale, che era da tempo matura nel nostro Paese, oggi divenuta realtà.

Nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari.

Quanto avvenuto le ha poste, tutte, in tempi diversi, di fronte alla necessità di misurarsi con le difficoltà del governare.

Riconoscere la complessità, esercitare la responsabilità delle scelte, confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali: dalla pandemia alla guerra, dalla crisi energetica a quella alimentare, dai cambiamenti climatici ai fenomeni migratori.

La concretezza della realtà ha così convocato ciascuno alla responsabilità.

Sollecita tutti ad applicarsi all’urgenza di problemi che attendono risposte.

La nostra democrazia si è dimostrata dunque, ancora una volta, una democrazia matura, compiuta, anche per questa esperienza, da tutti acquisita, di rappresentare e governare un grande Paese.

E’ questa consapevolezza, nel rispetto della dialettica tra maggioranza e opposizione, che induce a una comune visione del nostro sistema democratico, al rispetto di regole che non possono essere disattese, del ruolo di ciascuno nella vita politica della Repubblica.

Questo corrisponde allo spirito della Costituzione.

Domani, primo gennaio, sarà il settantacinquesimo anniversario della sua entrata in vigore.

La Costituzione resta la nostra bussola, il suo rispetto il nostro primario dovere; anche il mio.

Siamo in attesa di accogliere il nuovo anno ma anche in queste ore il pensiero non riesce a distogliersi dalla guerra che sta insanguinando il nostro Continente.

Il 2022 è stato l’anno della folle guerra scatenata dalla Federazione russa. La risposta dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente è stata un pieno sostegno al Paese aggredito e al popolo ucraino, il quale con coraggio sta difendendo la propria libertà e i propri diritti.

Se questo è stato l’anno della guerra, dobbiamo concentrare gli sforzi affinché il 2023 sia l’anno della fine delle ostilità, del silenzio delle armi, del fermarsi di questa disumana scia di sangue, di morti, di sofferenze.

La pace è parte fondativa dell’identità europea e, fin dall’inizio del conflitto, l’Europa cerca spiragli per raggiungerla nella giustizia e nella libertà.

Alla pace esorta costantemente Papa Francesco, cui rivolgo, con grande affetto, un saluto riconoscente, esprimendogli il sentito cordoglio dell’Italia per la morte del Papa emerito Benedetto XVI.

Si prova profonda tristezza per le tante vite umane perdute e perché, ogni giorno, vengono distrutte case, ospedali, scuole, teatri, trasformando città e paesi in un cumulo di rovine. Vengono bruciate, per armamenti, immani quantità di risorse finanziarie che, se destinate alla fame nel mondo, alla lotta alle malattie o alla povertà, sarebbero di sollievo per l’umanità.

Di questi ulteriori gravi danni, la responsabilità ricade interamente su chi ha aggredito e non su chi si difende o su chi lo aiuta a difendersi.

Pensiamoci: se l’aggressione avesse successo, altre la seguirebbero, con altre guerre, dai confini imprevedibili.

Non ci rassegniamo a questo presente.

Il futuro non può essere questo.

La speranza di pace è fondata anche sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia, di un oscurantismo fuori dal tempo e dalla ragione. Si basa soprattutto sulla forza della libertà. Sulla volontà di affermare la civiltà dei diritti.

Qualcosa che è radicato nel cuore delle donne e degli uomini. Ancor più forte nelle nuove generazioni.

Lo testimoniano le giovani dell’Iran, con il loro coraggio. Le donne afghane che lottano per la loro libertà. Quei ragazzi russi, che sfidano la repressione per dire il loro no alla guerra.

Gli ultimi anni sono stati duri. Ciò che abbiamo vissuto ha provocato o ha aggravato tensioni sociali, fratture, povertà.

Dal Covid – purtroppo non ancora sconfitto definitivamente – abbiamo tratto insegnamenti da non dimenticare.

Abbiamo compreso che la scienza, le istituzioni civili, la solidarietà concreta sono risorse preziose di una comunità, e tanto più sono efficaci quanto più sono capaci di integrarsi, di sostenersi a vicenda. Quanto più producono fiducia e responsabilità nelle persone.

Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive.

So bene quanti italiani affrontano questi mesi con grandi preoccupazioni. L’inflazione, i costi dell’energia, le difficoltà di tante famiglie e imprese, l’aumento della povertà e del bisogno.

La carenza di lavoro sottrae diritti e dignità: ancora troppo alto è il prezzo che paghiamo alla disoccupazione e alla precarietà.

Allarma soprattutto la condizione di tanti ragazzi in difficoltà. La povertà minorile, dall’inizio della crisi globale del 2008 a oggi, è quadruplicata.

Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese – tra Nord e Meridione, per le isole minori, per le zone interne – creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza.

Ci guida ancora la Costituzione, laddove prescrive che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ledono i diritti delle persone, la loro piena realizzazione. Senza distinzioni.

La Repubblica siamo tutti noi. Insieme.

Lo Stato nelle sue articolazioni, le Regioni, i Comuni, le Province. Le istituzioni, il Governo, il Parlamento. Le donne e gli uomini che lavorano nella pubblica amministrazione. I corpi intermedi, le associazioni. La vitalità del terzo settore, la generosità del volontariato.

La Repubblica – la nostra Patria – è costituita dalle donne e dagli uomini che si impegnano per le loro famiglie.

La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune.

La Repubblica è nel sacrificio di chi, indossando una divisa, rischia per garantire la sicurezza di tutti. In Italia come in tante missioni internazionali.

La Repubblica è nella fatica di chi lavora e nell’ansia di chi cerca il lavoro. Nell’impegno di chi studia. Nello spirito di solidarietà di chi si cura del prossimo. Nell’iniziativa di chi fa impresa e crea occupazione.

Rimuovere gli ostacoli è un impegno da condividere, che richiede unità di intenti, coesione, forza morale.

E’ grazie a tutto questo che l’Italia ha resistito e ha ottenuto risultati che inducono alla fiducia.

La nostra capacità di reagire alla crisi generata dalla pandemia è dimostrata dall’importante crescita economica che si è avuta nel 2021 e nel 2022.

Le nostre imprese, a ogni livello, sono state in grado, appena possibile, di ripartire con slancio: hanno avuto la forza di reagire e, spesso, di rinnovarsi.

Le esportazioni dei nostri prodotti hanno tenuto e sono anzi aumentate.

L’Italia è tornata in brevissimo tempo a essere meta di migliaia di turisti da ogni parte del mondo. La bellezza dei nostri luoghi e della nostra natura ha ripreso a esercitare una formidabile capacità attrattiva.

Dunque ci sono ragioni concrete che nutrono la nostra speranza ma è necessario uno sguardo d’orizzonte, una visione del futuro.

Pensiamo alle nuove tecnologie, ai risultati straordinari della ricerca scientifica, della medicina, alle nuove frontiere dello spazio, alle esplorazioni sottomarine. Scenari impensabili fino a pochi anni fa e ora davanti a noi.

Sfide globali, sempre.

Perché è la modernità, con il suo continuo cambiamento, a essere globale.

Ed è in questo scenario, per larghi verso inedito, che misuriamo il valore e l’attualità delle nostre scelte strategiche: l’Europa, la scelta occidentale, le nostre alleanze. La nostra primaria responsabilità nell’area che definiamo Mediterraneo allargato. Il nostro rapporto privilegiato con l’Africa.

Dobbiamo stare dentro il nostro tempo, non in quello passato, con intelligenza e passione.

Per farlo dobbiamo cambiare lo sguardo con cui interpretiamo la realtà. Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani.

Pensare di rigettare il cambiamento, di rinunciare alla modernità non è soltanto un errore: è anche un’illusione. Il cambiamento va guidato, l’innovazione va interpretata per migliorare la nostra condizione di vita, ma non può essere rimossa.

La sfida, piuttosto, è progettare il domani con coraggio.

Mettere al sicuro il pianeta, e quindi il nostro futuro, il futuro dell’umanità, significa affrontare anzitutto con concretezza la questione della transizione energetica.

L’energia è ciò che permette alle nostre società di vivere e progredire. Il complesso lavoro che occorre per passare dalle fonti tradizionali, inquinanti e dannose per salute e ambiente, alle energie rinnovabili, rappresenta la nuova frontiera dei nostri sistemi economici.

Non è un caso se su questi temi, e in particolare per l’affermazione di una nuova cultura ecologista, registriamo la mobilitazione e la partecipazione da parte di tanti giovani.

L’altro cambiamento che stiamo vivendo, e di cui probabilmente fatichiamo tuttora a comprendere la portata, riguarda la trasformazione digitale.

L’uso delle tecnologie digitali ha già modificato le nostre vite, le nostre abitudini e probabilmente i modi di pensare e vivere le relazioni interpersonali. Le nuove generazioni vivono già pienamente questa nuova dimensione.

La quantità e la qualità dei dati, la loro velocità possono essere elementi posti al servizio della crescita delle persone e delle comunità. Possono consentire di superare arretratezze e divari, semplificare la vita dei cittadini e modernizzare la nostra società.

Occorre compiere scelte adeguate, promuovendo una cultura digitale che garantisca le libertà dei cittadini.

Il terzo grande investimento sul futuro è quello sulla scuola, l’università, la ricerca scientifica. E’ lì che prepariamo i protagonisti del mondo di domani. Lì che formiamo le ragazze e i ragazzi che dovranno misurarsi con la complessità di quei fenomeni globali che richiederanno competenze adeguate, che oggi non sempre riusciamo a garantire.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza spinge l’Italia verso questi traguardi. Non possiamo permetterci di perdere questa occasione.

Lo dobbiamo ai nostri giovani e al loro futuro.

Parlando dei giovani vorrei – per un momento – rivolgermi direttamente a loro: siamo tutti colpiti dalla tragedia dei tanti morti sulle strade.

Troppi ragazzi perdono la vita di notte per incidenti d’auto, a causa della velocità, della leggerezza, del consumo di alcol o di stupefacenti. Quando guidate avete nelle vostre mani la vostra vita e quella degli altri. Non distruggetela per un momento di imprudenza. Non cancellate il vostro futuro.

Care concittadine e cari concittadini, guardiamo al domani con uno sguardo nuovo. Guardiamo al domani con gli occhi dei giovani.

Guardiamo i loro volti, raccogliamo le loro speranza. Facciamole nostre.

Facciamo sì che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra. Sfuggendo la pretesa di scegliere per loro, di condizionarne il percorso.

La Repubblica vive della partecipazione di tutti.

E’ questo il senso della libertà garantita dalla nostra democrazia.

E’ anzitutto questa la ragione per cui abbiamo fiducia.

Auguri, buon anno!

Sergio Mattarella

photo credit: www.quirinale.it