In Italia 40 dissalatori, in Spagna 800. Tota: “Meno di un miliardo per placare la siccità”
Photo credits: profilo Linkedin Acciona
E’ allerta rossa per la siccità al Sud, tanto che in Sicilia l’acqua arriva con la marina militare. Fra i rimedi che ogni anno vengono tirati in ballo di fronte a queste emergenze – oltre alla creazione di invasi e alla ristrutturazione della rete idrica che perde circa il 50% dell’acqua – c’è anche la dissalazione. Secondo i dati della fondazione Utilitatis però in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1 % delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna. Il Paese iberico è diventato negli anni punto di riferimento dei dissalatori. GEA ne ha parlato con Pietro Tota, Country manager per l’Italia della divisione ‘Agua’ di Acciona, il gruppo iberico leader mondiale nella dissalazione dell’acqua per osmosi inversa.
Tota, quanti dissalatori ci sono effettivamente in Italia?
“L’Italia ha da alcuni anni dissalatori ma molto piccoli, che non potremmo nemmeno chiamare dissalatori veri e propri. Si tratta solo di tentativi per risolvere problematiche legate a contingenze, che utilizzano o utilizzavano tecnologie vecchie, obsolete e molto energivore. Ad oggi ci sono tra Puglia, Toscana, Sardegna, Lazio e e Sicilia circa 40 impianti di dissalazione, di questi 40 l’acqua dissalata prodotta viene utilizzata per scopi industriali nel 71% dei casi, in agricoltura non viene usata, mentre la quota restante serve per usi potabili. Mediamente la capacità produttiva di questi impianti è sotto i 2000 metri cubi (mc) al giorno, molto piccoli dunque. Fanno eccezione alcuni impianti di recente realizzazione come quello di Saras, realizzato da Acciona a Cagliari che produce circa 12 mila metri cubi al giorno per usi industriali”.
Com’è invece la situazione in Spagna?
“In Spagna ci sono in totale quasi 800 impianti di dissalazione e circa 100 sono su larga scala come quello di Torrevieja–Alicante, realizzato da Acciona, che produce 240.000 metri cubi al giorno (attualmente il più grande d’Europa). In Spagna sono 30 anni che fanno dissalazione. I dissalatori in Spagna producono 5 milioni di metri cubi al giorno, in Italia invece la produzione massima è 17 milioni di metri cubi all’anno”.
Nel resto del mondo a che punto è la dissalazione?
“In Arabia Saudita quasi metà di acqua potabile è prodotta da impianti di dissalazione. E’ vero che là è una necessità per la scarsità dell’acqua. E’ vero anche però che in questi Paesi mediorientali, compreso Israele, hanno le raffinerie per cui l’energia elettrica per questi impianti non è un problema. E’ in generale un discorso sistemico loro hanno puntato, come l’Australia, sulla dissalazione come fonte di approvvigionamento idrico”.
Anche il governo italiano lo scorso anno ha deciso di accelerare sulla dissalazione, no?
“Certo, sono stati fatti vari tavoli di regia e si è creata una cabina di regia, si sono nominate commissioni, ma riteniamo che bisogna far entrare le utilities che costruiscono e gestiscono impianti di dissalazione nel mondo in queste cabine di regie. I gestori della risorsa idrica, penso ad Utilitalia, devono essere coinvolti. A questi tavoli ci sono invece politici, protezione civile, enti universitari che alla fine non sono poi operativi. I gestori invece sanno le necessità e le disponibilità, vanno coinvolti. Tutto ciò tuttavia non sta avvenendo”
Siete stati contattati in queste settimane?
“Con l’emergenza idrica in Sicilia ci hanno chiamato per rimettere in funzione i dissalatori di Porto Empedocle, Trapani e Agrigento. Ma come si è conclusa la vicenda? Hanno puntato sulle autobotti e trasporto con le navi cisterna che prendono acqua da fonti di approvvigionamento idrico di acqua potabile per trasferirle dove c’è necessità e rimandando la questione dissalazione a progetti futuri.
E’ una questione di costi?
“Guardi, prendiamo l’esempio delle isole Pelagie: a Lampedusa abbiamo realizzato mini dissalatori 10 anni anni fa e la tariffa di acqua pagata è scesa da 17 euro /mc (del trasporto con navi cisterna) a circa 3 euro/mc”.
Costi energetici?
“Attualmente i dissalatori sono una tecnologia estremamente matura. Pe dissalare un metro cubo di acqua si impiegano meno di 3 kw. Se consideriamo che un kw costa circa 20 centesimi, parliamo dunque di 60 centesimi. Il costo, compreso investimento e manutenzione, ormai è ben al di sotto dell’euro per metro cubo dell’acqua trattata. Sono dunque costi paradossalmente competitivi rispetto ad esempio all’uso delle bettoline”.
E allora cosa frena la dissalazione in Italia?
“Un discorso culturale… bisogna pensare alla dissalazione come fonte integrata nei sistemi idrici. La risorsa idrica di acqua dolce utilizziamola pure ma va anche preservata. A Barcellona ci sono tre potabilizzatori e due dissalatori sempre in funzione. E tutta l’acqua accumulata viene preservata”.
Restando nel Mediterraneo, come si comportano gli altri Paesi?
“La Grecia ha avuto un problema di fondi, tuttavia è più avanti dell’Italia. Cipro ormai è alimentata quasi al 100% dai dissalatori, a Malta ce ne sono tre”.
La siccità è un dramma soprattutto per l’agricoltura, in Spagna come viene usata l’acqua dissalata?
“A Torrevieja il 70% acqua prodotta viene usata per irrigazione, il 70% di 250mila metri cubi al giorno”.
Quanti dissalatori servirebbero in Italia per avvicinarsi alla Spagna?
“Circa 20 di medio-grandi dimensioni, soprattutto al Centro-Sud”.
Quanti soldi servirebbero? Il Pnrr ha aiutato o può aiutare?
“Con il Pnrr l’Acquedeotto pugliese farà un dissalatore, noi ne stiamo realizzando uno a Cefalù finanziato che genererà 40mila metri cubi al giorno, che non è proprio un dissalatore di acqua mare, bensì di acqua salmastra: prende l’acqua dalla sorgiva e la dissala. Il costo per Cefalù è di 35 milioni considerando anche le condotte di scarico e altre opere strutturali particolari. L’impianto in sé costa meno di 20 milioni”.
Con un miliardo di euro, insomma, si potrebbe risolvere il problema siccità in Italia?
“Forse anche meno, a patto di utilizzare lo strumento del project financing.”