Zoppas

Zoppas sposa la sostenibilità: “Saremo protagonisti della rivoluzione green”

“Il mondo sta vivendo una vera e propria rivoluzione sostenibile e noi vogliamo esserne protagonisti”. A raccontarlo a GEA è Gianfranco Zoppas, presidente dell’omonimo Gruppo. Due controllate, Irca Spa e Sipa Spa, presenza in 70 Paesi nel mondo, con un fatturato aggregato di oltre 800 milioni e 9.100 addetti nel 2021: questa la fisionomia del gruppo industriale di Treviso, fornitore globale per la progettazione, produzione e vendita sul mercato internazionale di resistenze e sistemi riscaldanti destinati al segmento domestico e a quello industriale. “La pandemia prima e l’attuale congiuntura economica dopo – spiega Zoppas – ci ha insegnato che l’essere globali è sicuramente un punto di forza, anche rispetto alla solidità della catena di fornitura. L’altro fattore chiave è l’innovazione, leitmotiv costante per tutte le aziende del Gruppo, che oggi interpretiamo sempre più all’insegna della sostenibilità, che per noi significa impegno ambientale, sociale, creativo, di responsabilità ed etica”.

EMISSIONI DI CO2: -30% ENTRO IL 2025. Tanti gli impegni presi in linea con gli obiettivi europei: arrivare al -30% di emissioni di C02 entro il 2025 con la svolta della carbon neutrality entro il 2050. “Abbiamo iniziato da un’analisi della Carbon Footprint (l’impronta di carbonio, l’indicatore utilizzato per misurare la quantità di CO2 emessa, ndr) – spiega Zoppas – e proseguito con la valutazione EcoVadis e l’adesione al CDP (Carbon Disclosure Project). A essere prima ridotte e poi azzerate saranno le emissioni derivanti da fonti di proprietà o controllate direttamente e le emissioni connesse con l’energia acquistata”. Non solo. Il Gruppo ha già avviato progetti con partner e fornitori “affinché condividano e applichino gli stessi principi di sostenibilità così da intervenire in modo deciso anche sulle emissioni connesse all’attività dell’azienda”.

Gianfranco Zoppas

OBIETTIVO TRANSIZIONE ECOLOGICA. Le direttrici strategiche dei prossimi anni danno la misura dell’approccio innovativo della realtà industriale di Vittorio Veneto. In primis, la transizione ecologica e su questo versante molto è già stato fatto anche per quanto riguarda il profilo delle controllate. Le aree Ricerca e Sviluppo e Sviluppo Nuovi Prodotti, spiega Zoppas, “hanno intrapreso un’attività di innovazione andando sempre più verso prodotti che permettono minori sprechi e maggiore riciclo e riuso. Vogliamo aiutare le persone a consumare meno e meglio, introducendo nuove soluzioni assolutamente non inquinanti finalizzate al risparmio di energia e acqua”. Sipa è impegnata a progettare e realizzare sistemi per la produzione di contenitori che utilizzano PET riciclato al 100% da scaglie di bottiglie lavate in un unico impianto. “Un sistema di economia circolare bottle-to-bottle – dice a GEA il presidente del Gruppo – che offre importanti vantaggi: utilizza meno materie prime (-10%), risparmia più energia (-30%), riduce (-79%) le emissioni di CO2 rispetto alla produzione di contenitori con materiale vergine, ha un basso TCO – Total Cost of Ownership (-15%) e riduce i costi di logistica (-20%) rispetto ad altre tecnologie tradizionali”.

IL FUTURO È NELLO SPAZIO. I piani di sviluppo di Zoppas nei prossimi 5 anni guardano in alto. “Siamo molto concentrati – spiega Zoppas – sulle opportunità della cosiddetta Space Economy. Zoppas Industries (IRCA) è da trent’anni fornitore qualificato e certificato dell’European Space Agency (ESA). Lo sviluppo futuro si giocherà sempre più sulle applicazioni industriali a maggior valore aggiunto. Molti satelliti (europei e non solo) sono equipaggiati con sistemi di controllo termico progettati e prodotti da IRCA. Tanta ricerca, dunque, e una grande attenzione per i mercati nuovi come quello per i sistemi di riscaldamento di seconda generazione per il settore ferroviario e per le auto”.

Un progetto per far diventare la pausa caffè sostenibile

Secondo uno studio dell’Iri, società esperta in ricerche di mercato, nell’anno del lockdown, il 2020, la vendita delle cialde per il caffè ha registrato un vero boom: +18% a valore rispetto all’anno precedente. Nel dettaglio, capsule e caffè macinato insieme hanno rappresentato l’85% delle vendite di caffè nella Gdo (grande distribuzione organizzata).

Chiaramente negli anni anche le macchinette per il caffè in casa hanno registrato un’impennata. Secondo una ricerca Euromonitor le vendite sono passate da 1,8 milioni di unità nel 2008 a 20,7 milioni nel 2018 negli Stati Uniti. Ora, quasi il 40% delle famiglie negli Stati Uniti ha una macchina per il caffè a cialde e quasi i due terzi delle famiglie nel Regno Unito. La conseguenza è che ogni anno nel mondo vengono prodotte circa 20 miliardi di capsule per il consumo in queste macchinette, vale a dire 39mila al secondo.

DIFFERENZA TRA CIALDE E CAPSULE

Va, innanzitutto, chiarita la differenza tra cialda e capsula. La prima è una sorta di filtro in cui è contenuto il caffè in polvere; le capsule, invece, sono piccoli contenitori in alluminio o plastica con all’interno il caffè. Il problema maggiore lo danno le capsule, perché le cialde stanno diventando sempre più compostabili. Le capsule restano invece legate a materiali che vanno riciclati.

L’IMPATTO AMBIENTALE DI CIALDE E CAPSULE

Il problema che si pone, dunque, è quello dell’impatto ambientale. Il produttore britannico di cialde di caffè compostabili Halo, lo scorso anno ha pubblicato una ricerca nella quale si spiega che tre quarti di capsule e cialde finiscono in discarica. Ecco dunque la corsa dei maggiori produttori di caffè in capsule verso una transizione verde. Nestlé, che produce 14 miliardi dei 20 miliardi di capsule consumate a livello globale ogni anno attraverso il suo marchio Nespresso, si sta concentrando su cialde di caffè in alluminio che possono essere riciclate in strutture specializzate.

LA SPERIMENTAZIONE DI NESTLÈ

Nonostante il crescente utilizzo delle capsule da caffè – riferisce Nestlé nel suo ‘Sustainable packaging commitment: road to 2025’ -, ad oggi in Italia non esiste un sistema strutturato per la raccolta e il riciclo, pertanto, insieme a Illycaffè e alle 3 aziende che gestiscono il riciclo dei rifiuti nella Regione Friuli Venezia Giulia, Nestlé e Nescafé Dolce Gusto hanno firmato l’avvio del primo progetto pilota in Italia per lo smaltimento delle capsule esauste di caffè in plastica. Il progetto, operativo a partire da luglio 2021, prevede la raccolta differenziata delle capsule, il loro trattamento presso un apposito impianto sperimentale di separazione di queste ultime dal loro contenuto, e il successivo avvio al recupero dei materiali separati. Insieme a Illycaffè, Nestlé sosterrà i costi di progettazione, realizzazione, e gestione dell’impianto sperimentale di separazione delle capsule, e quelli connessi alla gestione dei rifiuti. A novembre 2021 è inoltre partita una seconda fase che vede protagonisti i comuni di Trieste, Udine, Campoformido e Pasian di Prato“.

SEPARARE L’ALLUMINIO DAL CAFFE’ MACINATO

Secondo un servizio de Il Salvagente, le cialde però sono da preferire alle capsule perché hanno un minor impatto ambientale. “Al contrario di quanto avviene con le capsule, il materiale delle cialde – spiega Il Salvagente – è interamente compostabile, la carta filtro, una volta utilizzata può essere tranquillamente gettata nel cestino dell’umido e così avviata al compostaggio, proprio come i filtri di tisane e tè. E non serve neppure estrarre i fondi del caffè. Non solo, sempre sul versante ambientale, le cialde hanno dalla loro un volume decisamente minore di quello occupato dalle capsule il che equivale a un risparmio sensibile in fase di trasporto dell’alimento e di uso del packaging“. Per recuperare le capsule infatti, l’utente dovrebbe separare in casa l’alluminio del contenitore dal caffè. Ma non tutti lo fanno. Ancora più difficile invece separare la capsula di plastica dal suo contenuto: come riferiva lo studio di Halo in questo caso i 3/4 di queste capsule finiscono infatti nell’indifferenziato.

Andrea Orlando

Orlando: “Putin non cancella Greta, transizione verde continua”

Vladimir Putin non ha cancellato Greta Thunberg”, ovvero, la crisi energetica non può essere un alibi per frenare sulla transizione ecologica. È incisivo il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, dal palco della quarta Conferenza Nazionale dell’economia circolare. Confessa di vedere il rischio di una “interpretazione dei fatti che porti a una risposta reazionaria, l’idea che la transizione sia un lusso per i tempi di pace”. Il momento, invece, è convinto, deve essere uno “stimolo” per accelerare sul processo di transizione, “abbiamo dalla nostra il Pnrr”.

La transizione green è un passo importante per l’Italia, ma perché venga compresa a pieno, spiega Orlando, “occorre cambiare la narrazione”, far capire alla popolazione che “il processo non sarà un bagno di sangue”. A patto che viaggi parallela a un potenziamento della circolarità nell’economia, perché “Non c’è solo un problema di cambiare il mix energetico, ma c’è un problema di produrre in modo diverso e di avere necessità di produrre meno”. Nell’analisi della transizione non bisogna dimenticare il tema della coesione sociale e della questione salariale: “Siamo un paese che ha i salari bloccati da 30 anni e se non c’è una ripresa della dinamica salariale avremo una reazione sociale a qualunque cambiamento molto pericolosa“, avverte.

Secondo l’ultimo Rapporto del Circular Economy Network, infatti, tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità nel mondo è sceso dal 9,1% all’8,6%. Negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8% (superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate): sprechiamo quindi ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi. In più, in Italia, la crescita dei consumi è più veloce di quella della popolazione. “È evidente che questo crea un problema di prezzi e di accesso ai materiali, di qui la necessità di cambiare economia, aumentare la circolarità”, commenta il presidente del Cen, Edo Ronchi. Nel nostro Paese c’è un “perfetto accoppiamento tra Pil e import di materiali”, un modello, segnala Ronchi “Vulnerabile, altamente esposto alla volatilità dei prezzi e all’approvvigionamento. Dovremmo fare una riflessione specifica per avere più consapevolezza dell’importanza di aumentare la circolarità dell’economia”.

Molte materie prime mancano e, quando si trovano, i prezzi vanno alle stelle. Le responsabilità sono diverse: l’aumento della domanda, che è crescente; la crisi climatica, che diminuisce la capacità degli ecosistemi di offrire risorse; la pandemia, che ha imposto una lunga battuta d’arresto all’economia globale; il conflitto in Ucraina, che ha esasperato la fragilità energetica dell’Europa. La soluzione si chiama economia circolare. E anche se in Europa ancora non decolla, l’Italia è uno dei Paesi che “tiene”: nel quadro delle prime cinque economie europee si posiziona al primo posto per gli indicatori più importanti di circolarità, assieme alla Francia.

Buone notizie per l’Italia anche in tema di rifiuti: la percentuale di riciclo ha raggiunto quasi il 68%, è il dato più elevato dell’Unione europea. Al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%. Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020 nell’Ue 27 è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani; in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’Ue sono stati il 22,8%. Dopo la Germania, le migliori prestazioni sono quelle di Francia (18%) e Italia (20,1%).

Una transizione circolare, a ogni modo, è necessaria, in particolare nel nostro Paese, “vista la dipendenza totale dall’import delle materie prime critiche per il nostro sistema”, insiste Roberto Morabito, direttore del dipartimento sostenibilità sistemi produttivi e territoriali dell’Enea, che propone di puntare sull’eco-innovazione come motore principale dello sviluppo e chiede di sviluppare un programma nazionale di simbiosi industriale: “La Commissione europea – spiega – ci dice che un euro di investimento a supporto di Pmi produce 12 euro di vantaggi per le imprese in tema di risparmi, ma anche un notevole vantaggio per l’ambiente”.