INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio di gas: l’Italia cala al 95,9%

Nell’infografica interattiva di GEA si mostra l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Unione europea. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 26 novembre) quasi tutti i Paesi mostrano un trend negativo (stabili solo Portogallo, Spagna e Svezia). L’Italia scende al 95,93%: le riserve totali dell’Unione europea sono piene al 97,43%.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio di gas: Italia al 97,3%

Nell’infografica interattiva di GEA si mostra l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Unione europea. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 22 novembre) quasi tutti i paesi mostrano un trend negativo. Solo le riserve di gas di Polonia, Portogallo, Spagna e Svezia sono rimaste sostanzialmente stabili. L’Italia ha diminuito il proprio livello fino al 97,3%; le riserve totali del Unione Europea sono piene al 98,6%.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Lo stoccaggio di gas nell’Unione europea

Nell’infografica interattiva di GEA si mostra l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 21 novembre). Quasi tutti i paesi mostrano un trend negativo, causato dell’arrivo dei primi freddi: solo le riserve di Germania, Svezia, Spagna e Portogallo sono rimaste essenzialmente stabili. L’Italia ha diminuito il proprio livello fino al 97,63%; le riserve totali del Unione Europea sono piene al 98,88%.

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Il geologo: “Stoccare CO2 nel Mediterraneo? Si può fare, ma in Norvegia è più facile”

Nel Mare del Nord sono oggi in costruzione i 110 chilometri di pipeline che trasporteranno lontano dalla costa norvegese tonnellate di CO2 catturata dagli impianti industriali del Nord Europa. La pomperanno ad altissima pressione a 2.700 metri di profondità nella crosta terrestre, per immagazzinarla in un giacimento geologico naturale – un acquifero salino formatosi quasi 200 milioni di anni fa – che la intrappolerà in modo duraturo. La Norvegia investe da anni per stoccare anidride carbonica sotto i fondali del mare. Nel 2024 è previsto l’inizio dell’attività operazioni del progetto ‘Northern Lights’: promette di immagazzinare in modo sicuro un milione e mezzo di tonnellate di CO2 ogni anno, con la previsione di salire a 5 dopo metà secolo. Ma è possibile immaginare la stessa tecnologia nel Mar Mediterraneo? “Dal punto di vista geologico, sì, anche se con caratteristiche diverse”, come spiega a GEA Marco G. Malusà, professore di geologia stratigrafica e sedimentologica all’università di Milano-Bicocca. Più semplice, certo, nel Mare del Nord. In particolare per una questione numerica: i siti potenzialmente utilizzabili sono molti di più.

Quali condizioni devono esserci per poter stoccare CO2 sotto il fondale del mare?

“Dobbiamo immaginare i siti di stoccaggio come dei serbatoi costituiti da rocce porose e permeabili. Quando al di sopra di queste rocce è presente uno strato impermeabile si può creare una sorta di trappola: la CO2 iniettata sotto pressione non può più risalire verso la superficie. L’ideale, per questo tipo di tecnologia, è utilizzare pozzi petroliferi già esauriti, oppure acquiferi salini non adatti al consumo umano a causa dell’elevata percentuale di sali disciolti”.

Ci sono differenze tra iniettare gas in un vecchio giacimento o in un acquifero salino?

“Tecnicamente no. Il metodo è lo stesso. È vero però che utilizzare giacimenti esauriti di idrocarburi accelera i tempi, perché, semplicemente, sono più studiati. Il gas iniettato dovrà prendere il posto lasciato dagli idrocarburi estratti. Andrà pompato a una pressione leggermente maggiore rispetto alle condizioni che troverà in profondità. Ma non eccessiva, per non indurre fratturazioni indesiderate. Il vantaggio è che la “trappola” è già testata naturalmente per resistere a ere geologiche. Sono inoltre già state realizzate in passato indagini sismiche e geologiche, e sarà più semplice analizzare tutti i parametri del pozzo. È quindi possibile minimizzare i possibili rischi con appropriate strategie di monitoraggio”.

Quanto tempo servirebbe per valutare invece le caratteristiche geologiche di un acquifero salino?

“Bisogna in questo caso conoscere come è fatta la ‘trappola’, e accertarsi che non ci siano faglie che la mettano in comunicazione con i livelli permeabili sovrastanti. Un acquifero salino difficilmente sarà già studiato con questo livello di dettaglio, anche se non si parte da zero. In ogni caso parliamo di anni, non decenni”.

Il Mediterraneo è una zona molto sismica, a differenza del Mare del Nord. Questo può rendere un eventuale stoccaggio più rischioso?

“Ci sono faglie attive. Ma non bisogna immaginare che un terremoto al largo dell’Italia possa liberare CO2 immagazzinata in un eventuale giacimento. Il problema, semmai, è che proprio la presenza di faglie riconducibili a questa attività sismica è responsabile dello scarso numero di giacimenti e di siti adatti in area mediterranea. Nel Mare del Nord questo genere di attività tettonica si è sostanzialmente conclusa da svariati milioni di anni, da lì le faglie sono state sigillate da altri sedimenti e si sono creati serbatoi molto grandi dove poter estrarre o iniettare gas. Nel Mediterraneo la presenza di numerose faglie, spesso tuttora attive, non ha permesso invece di definire trappole grandi ed efficienti”.

Quanta CO2 si può immagazzinare in un giacimento o in un acquifero salino?

“Dipende da caso a caso. Ma la pressione fa ridurre notevolmente il volume della CO2. Per esempio, 1000 metri cubi di anidride carbonica al livello del suolo scendono a 20 metri cubi a 400 metri di profondità. A 800 metri il gas raggiunge lo stato supercritico (dove può essere denso come un liquido ma viscoso come un gas NdR) e si riduce a 3,8 metri cubi, a profondità superiori può raggiungere i 2,7 metri cubi di volume”.

Fattibilità tecnica a parte, lo stoccaggio di CO2 sotto gli oceani è per lei una buona soluzione su cui investire?

“Una transizione ecologica è necessaria. L’ideale sarebbe ridurre il più possibile le emissioni di gas serra. Ma ci sono settori industriali dove questo può avvenire molto difficilmente. Questo tipo di soluzione diventa allora un mezzo molto potente per il periodo di transizione che dovrà portarci a raggiungere la neutralità climatica”.

L’ambasciatore di Norvegia: “Nei fondali spazio per stoccare la Co2 dell’Ue per 75 anni”

Photo credits: profilo Facebook Ambasciata di Norvegia in Italia

Roma e Oslo come due poli di un hub che aiuteranno l’Europa a raggiungere l’indipendenza energetica. Per farlo, secondo Johan Vibe, ambasciatore della Norvegia in Italia, nel breve periodo non si può rinunciare al gas, anche se occorre spingere sulle rinnovabili, compensando con la cattura e stoccaggio della Co2. La questione è stata sollevata anche nel corso del recente viaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Oslo e Trondheim (10-13 maggio): “Durante la visita di Stato abbiamo organizzato un evento coinvolgendo imprese e centri di ricerca di entrambi i Paesi, con l’idea di poter avere uno scambio di idee sul tema“, racconta il diplomatico a GEA. L’Italia, riconosce, “ha fatto un grande lavoro per raggiungere l’indipendenza da Mosca, trovando altri fornitori e altre fonti di approvvigionamento“. Il punto fondamentale ora, è pensare a una “strategia parallela“, in cui in futuro le rinnovabili avranno un ruolo centrale sia per raggiungere la sicurezza energetica che per combattere il cambiamento climatico.

Nel Mare del Nord la transizione è già in corso. Come?

“Abbiamo aumentato le esportazioni di gas per aiutare l’Europa ma abbiamo anche accelerato gli investimenti in altre tecnologie, in questo modo la Norvegia sarà un hub energetico per l’Europa del Nord anche nel futuro. Le tecnologie sviluppate sono diverse, una è l’idrogeno blu. Il sogno è passare all’idrogeno verde, in futuro, ma intanto si può usare l’idrogeno blu, che viene dal gas, stoccando la Co2”.

Su cattura e stoccaggio della Co2 la Norvegia è all’avanguardia, farà da apripista? Come aiuterà l’Europa?

“Nei fondali della Norvegia c’è spazio per stoccare tutta la Co2 dell’Unione europea per 75 anni. Ieri si è fatto un accordo importante con un impianto energetico danese che vuole utilizzare la CCS (Carbon Capture and Storage) catturando la Co2 dall’impianto, liquefacendola e portandola in Norvegia per essere stoccata. Siamo in procinto di stringere accordi simili per altri impianti in Norvegia, abbiamo un accordo per il termovalorizzazione di Londra e per altre produzioni industriali. Lavoriamo a gasdotti che in futuro esporteranno idrogeno e ad altri condotti che importeranno Co2 in Norvegia. In Italia si è lavorato sul tema, a Ravenna, ma anche in paesi come l’Algeria. L’importante è trovare terreni adeguati”.

Sulle rinnovabili, il Paese è all’avanguardia nell’eolico. Aiuterà a produrre idrogeno verde?

“Sì. Soprattutto l’off-shore wind galleggiante è una tecnologia importante, perché le acque sono profonde. In futuro l’elettricità prodotta con l’eolico sarà esportabile e servirà anche per produrre idrogeno verde. Abbiamo calcolato che dovremo duplicare l’elettrificazione del Paese”.

A che punto sono invece i parchi eolici on-shore e perché c’è stato uno stop politico?

“Come in vari Paesi, c’è stato un dibattito complicato, perché secondo alcune persone rovina il paesaggio. Poi c’è stata una discussione sui diritti della popolazione indigena Sami, che pascola le renne in alcuni terreni dove sono oggi dei parchi eolici. Pensiamo comunque che l’investimento nell’offshore sarà migliore, nel Mare del Nord il vento è molto forte. Il governo ha presentato un Piano per installare una capacità di 30 GW offshore nei prossimi anni”.

Siete d’accordo con la strategia europea di stoppare la produzione di auto a motore endotermico a partire dal 2035? Non credete che potrebbe crearsi una dipendenza dalla Cina?

“Siamo completamente d’accordo. In Norvegia l’80% dei veicoli venduti è elettrico. Abbiamo fatto investimenti per produrre batterie e la Svezia ha fatto lo stesso, l’Europa deve fare uno sforzo in questo senso”.

Tornando all’indipendenza energetica, continuerete a esportare gas a stretto giro?

“Il gas sarà importante ancora per altri anni. Meglio del carbone. In questo momento stiamo producendo al massimo possibile, ma per fortuna il prezzo si è abbassato e anche gli stoccaggi dell’Europa vanno abbastanza bene, speriamo non ci saranno grossi problemi nell’inverno prossimo, dobbiamo però accelerare molto sulle rinnovabili. L’Italia ha una grande opportunità con il Piano Mattei e la cooperazione con il Nord Africa”.

Sulle rinnovabili, sulla costruzione delle infrastrutture, quanto può essere profonda la partnership tra Italia e Norvegia?

“L’Italia è stata molto importante per noi per lo sviluppo della piattaforma continentale quando abbiamo scoperto il petrolio. Ma anche per la conversione nelle rinnovabili, Fincantieri e Saipem collaborano molto con le aziende norvegesi”.

Gas, già due mesi fa Goldman Sachs aveva previsto il prezzo sotto i 100 euro/MWh

Era il 2 novembre quando la banca d’affari americana Goldman Sachs aveva previsto che i prezzi del gas naturale in Europa sarebbero scesi “di circa il 30% nei prossimi mesi”. Quel giorno il Ttf olandese quotava 132,8 euro/Mwh, oggi è sceso fino a quota 90 per poi risalire a 93-94, comunque segnando l’ennesimo calo di oltre il 4%.
Quasi due mesi fa – come riportava Gea – Goldman Sachs aveva infatti ipotizzato una discesa del Ttf a 85 euro nel primo trimestre del 2023. Ci siamo vicini. Secondo la banca d’affari statunitense il raffreddamento dei prezzi derivava da diversi fattori: “Lo stoccaggio del gas in Europa è sostanzialmente pieno per questa stagione invernale; le temperature di questo autunno sono state più miti del previsto ritardando così l’inizio di un periodo di intenso utilizzo; e c’è un eccesso di offerta di gas naturale liquefatto (Gnl)”.

In vista dell’estate, quando bisognerà comunque riempire le scorte, Goldman Sachs il 16 novembre ha rivisto al ribasso i target price basandosi più o meno sulle stesse considerazioni che l’avevano portata a ipotizzare un prezzo a 85 euro/Mwh per inizio 2023: “La combinazione di clima mite, risparmi da parte dei consumatori e minori importazioni di Gnl da parte della Cina (lasciando più offerta all’Europa) hanno contribuito a creare un buffer di stoccaggio che ha permesso all’Europa nordoccidentale di essere molto più protetta dagli eventi della stagione fredda. Questo consente, in vista dell’estate 2023, di bilanciarsi a livelli di domanda più elevati rispetto a quelli precedentemente previsti. Nello specifico, la domanda di gas europea nordoccidentale può essere mediamente di circa 22 milioni di metri cubi al giorno superiore alle nostre precedenti aspettative per l’estate senza compromettere l’obiettivo di riempire al 90% gli stoccaggi a fine ottobre 2023″, continuava nella sua analisi la banca d’affari americana. Dunque “ipotizzando una sensibilità alla domanda che vale 2,4 euro per milione di metro cubo”, Goldman Sachs rivedeva la previsione del prezzo Ttf per l’estate 2023 a 180 euro/MWh, 55 euro in meno rispetto alle precedenti stime di 250 euro per megawattora.

E 180 euro è proprio il valore sopra il quale scatterebbe il famoso price cap, deciso dai ministri dell’Energia della Ue a maggioranza. Probabilmente quindi non dovrebbe entrare in funzione, considerando il boom di rilasci autorizzativi per impianti rinnovabili in tutto il Vecchio Continente, che ridurranno il consumo di gas per produzione di energia elettrica, e la ripresa del nucleare francese, alle prese con lunghe manutenzioni che riguardano metà delle centrali transalpine.
Per uscire dal tunnel serviranno comunque anni, dato che un prezzo a 180 euro per megawattora rappresenta pur sempre il 900% in più rispetto alla media del prezzo industriale del gas fino al 2020. E la media del prezzo in Italia del gas, che secondo i dati forniti dal Gme è oggi sceso a 95,148 euro/Mwh sulla scia del crollo del Ttf olandese, rimane ancora alta. Il prezzo medio di dicembre, che sarà utilizzato da Arera per deliberare ai primi di gennaio la bolletta di questo mese, è superiore del 42% a quello di novembre: 129,7 euro/Mwh di dicembre contro i 91 euro per megawattora di novembre.

Rigassificatore

Gas, i consumi Ue tra agosto e novembre scendono del 20,1%. Italia stop a -15%

Da gennaio a oggi le esportazioni di gas di Gazprom verso i Paesi extra Csi (l’ex Unione Sovietica) sono state pari a 97,8 miliardi di metri cubi, in calo del 45,1% (di 80,2 miliardi di metri cubi) rispetto allo stesso periodo del 2021. In particolare, quelle verso l’Europa sono crollate di oltre l’80%: a novembre la Ue ha importato 1,86 miliardi di metri cubi rispetto ai 10,09 miliardi del novembre 2021. E con meno gas sono precipitati i consumi di metano nell’Unione: -20,1% nel periodo agosto-novembre, rispetto al consumo medio negli stessi mesi tra il 2017 e il 2021, come ha certificato Eurostat.

L’utilizzo di gas è diminuito nella maggior parte degli Stati membri. In 18 Paesi è sceso oltre l’obiettivo del 15% – fissato dal regolamento Ue 2022/1369 del Consiglio sul coordinamento le misure di riduzione della domanda di gas, parte del piano REPowerEU per porre fine alla dipendenza dell’Ue dai combustibili fossili russi – e in alcuni con un margine superiore al 40%. I consumi sono diminuiti maggiormente in Finlandia (-52,7%), Lettonia (-43,2%) e Lituania (-41,6%). Sei Stati membri invece, pur riducendo la propria domanda di gas, non hanno ancora raggiunto l’obiettivo del 15%. Al contrario, i consumi sono aumentati a Malta (+7,1%) e in Slovacchia (+2,6%). L’Italia si colloca attorno a un -15%, in linea con gli obiettivi del regolamento Ue, compiendo uno sforzo superiore ad altri Stati visto che il metano è necessario per produrre quasi metà dell’energia elettrica nella penisola.

L’uso di gas è stato inferiore alla media degli ultimi anni già da inizio anno. Osservando i dati mensili da gennaio a novembre, rivela Eurostat, i consumi sono stati costantemente al di sotto della media 2017-2021 dei rispettivi mesi di quegli anni. Tra gennaio e luglio 2022, il consumo di gas naturale nella Ue è variato tra 1 938 petajoule (PJ) a gennaio, un mese stagionalmente più freddo con un consumo più elevato, e 785 PJ a luglio, indicando una diminuzione mensile complessiva, anche prima dell’obiettivo europeo del 15%. Questo calo è stato maggiore a maggio (-12,9% rispetto alla media di maggio del periodo 2017-2021 di 956 PJ) quando sono stati consumati 833 PJ, per poi diminuire del 7,1% a giugno (775 PJ vs 833 PJ). La riduzione è balzata al 13,9% in agosto, 14,2% in settembre, 24,2% in ottobre e 23,6% in novembre.

Il riempimento degli stoccaggi per oltre il 95% e la riduzione appunto del 23-24 per cento dei consumi a ottobre e novembre hanno permesso al prezzo del gas di scendere ad Amsterdam fin sotto i 100 euro per megawattora, una soglia psicologica che il Ttf ha testato anche in queste ore, considerando che un clima più mite e ventoso in gran parte d’Europa ha permesso di utilizzare più rinnovabili (oltre che il carbone) per produrre energia elettrica. Il prezzo del metano che ovviamente influisce sulle bollette di aziende e famiglie rimane tuttavia ancora fuori media a confronto con gli ultimi decenni. Per questo, altro risvolto della medaglia dei minori consumi di gas, la produzione industriale europea è in contrazione da vari mesi e i consumi sono in calo. Per questo la Bce ha avvisato di un Pil negativo in questo trimestre e nei primi mesi del 2023. Meno gas, più recessione.

Gas, risparmiato il 10% stoccaggi: due settimane in più assicurate

Secondo gli ultimi dati forniti da Gie (Gas Infrastructure Europe) Agsi (Aggregated Gas Storage Inventory) il tasso di riempimento degli stoccaggi al 19 novembre nell’Unione Europea è al 95,17%. Lo stesso giorno di un anno fa la percentuale era al 75,57%. Il tasso di riempimento dell‘Italia è leggermente sotto la media Ue al 94,42%. Un anno fa la percentuale era però all’82,92%.

In pratica, fermandoci al caso italiano, abbiamo risparmiato finora circa il 10% delle scorte di gas stipate nei siti dove un tempo si estraeva metano, gran parte dei quali si trovano in Lombardia o comunque nella pianura padana. In parte merito del clima, più mite di altri anni, in parte per una riduzione forzata dei consumi, soprattutto da parte del mondo industriale, che inevitabilmente genereranno un calo dell’attività produttiva.

A ottobre, primo mese del nuovo anno termico, i consumi di gas naturale in Italia si attestano a 4.339 milioni di mc (-23,2%)”, sintetizzava pochi giorni fa il Gme. La frenata della domanda è proseguita anche a novembre, basta considerare che l’accessione dei riscaldamenti in alcune città è scattata solo pochi giorni fa, un mese dopo il tradizionale avvio degli scorsi anni.

Ora, visto che gennaio generalmente mangia 10 miliardi di metri cubi, febbraio 7,7, marzo 7,3 e aprile 5,3, il risparmio di gas non appare granché. Più o meno parliamo di un mancato utilizzo di oltre 2 miliardi di metri cubi di gas. Tuttavia, visti anche i prezzi – il Ttf con consegna a dicembre è scambiato a 113,7 euro/Mwh in calo dell’1,5% – si può ipotizzare che proprio grazie a questo tesoretto di metano, che allunga le scorte di un paio di settimane, non andremo incontro all’incubo razionamento. Anche in Italia, nonostante il balzo a quota 108,4 euro, il valore medio del gas di novembre (78,4 euro) resta ancora sotto la media di 80,7 di ottobre. Siamo in linea con le quotazioni di un anno fa e il boom di luglio/agosto sembra un lontano brutto ricordo.

Il mercato dunque è convinto che questo inverno è al sicuro e che le scorte non arriveranno a zero a inizio primavera. “Con gli stoccaggi che abbiamo, con tutti i meccanismi messi a punto, con distinzioni tra gasivori e altri, con una graduatoria di interrompibilità temporanea a fronte di indennizzo, vedo questo inverno con fiducia. Si può superare. La preoccupazione maggiore è per il 2023. Dovremmo ricostituire tutte le riserve e gli stoccaggi e non avremo più il gas russo“, avvertiva stamattina il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervenendo all’evento ‘Direzione Nord’ al Palazzo delle Stelline di Milano. Questi oltre due miliardi di metri cubi di gas risparmiati comunque sono fondamentali. Proprio grazie a questa base di stoccaggio più elevata del previsto, “la domanda di gas europea nordoccidentale può essere mediamente di circa 22 milioni di metri cubi al giorno superiore alle nostre precedenti aspettative per l’estate senza compromettere l’obiettivo di riempire al 90% gli stoccaggi a fine ottobre 2023“, scriveva pochi giorni fa Goldman Sachs. Una analisi in base alla quale, “ipotizzando una sensibilità alla domanda che vale 2,4 euro per milione di metro cubo“, la banca d’affari americana ha rivisto al ribasso la previsione del prezzo Ttf per l’estate 2023 a 180 euro/MWh, 55 euro in meno rispetto alle precedenti stime. E questo significa che il gas, sulla carta, costerà sempre caro ma non mancherà.

La Norvegia si candida a ‘cimitero’ della CO2 europea

Sulle coste ghiacciate del Mare del Nord, un ‘cimitero’ in costruzione sta suscitando le speranze degli esperti di clima: presto il sito ospiterà una piccola parte della CO2 emessa dall’industria europea, evitando così che finisca nell’atmosfera. Considerata a lungo una soluzione tecnicamente complicata e costosa di utilità marginale, la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) è ora in voga in un pianeta che sta lottando per ridurre le proprie emissioni nonostante l’emergenza climatica.

Nella città di Øygarden, su un’isola vicino a Bergen (Norvegia occidentale), un terminale attualmente in costruzione riceverà tra qualche anno tonnellate di CO2 liquefatta, che verrà trasportata dal Vecchio Continente via nave dopo essere stata catturata alla fine delle ciminiere delle fabbriche. Da lì, il carbonio sarà iniettato tramite una conduttura in cavità geologiche a 2.600 metri di profondità. L’ambizione è che rimanga lì a tempo indeterminato.

Si tratta della “prima infrastruttura di trasporto e stoccaggio ad accesso libero al mondo, che consente a qualsiasi emettitore che abbia catturato le proprie emissioni di CO2 di prenderle in carico, trasportarle e stoccarle in modo permanente e in totale sicurezza“, sottolinea il direttore del progetto Sverre Overå. In quanto maggior produttore di idrocarburi dell’Europa occidentale, si ritiene che la Norvegia abbia anche il maggior potenziale di stoccaggio di CO2 del continente, in particolare nei suoi giacimenti petroliferi esauriti.

ACCORDI COMMERCIALI

Il terminal Øygarden fa parte del piano ‘Langskip’, il nome norvegese delle navi vichinghe. Oslo ha finanziato l’80% dell’infrastruttura mettendo sul piatto 1,7 miliardi di euro per sviluppare la CCS nel Paese. Due siti nella regione di Oslo, un cementificio e un impianto di termovalorizzazione, dovrebbero infine inviarvi la loro CO2. Ma la particolarità del progetto sta nel suo aspetto commerciale, in quanto offre anche agli industriali stranieri la possibilità di inviare la propria anidride carbonica. A tal fine, i giganti dell’energia Equinor, TotalEnergies e Shell hanno creato una partnership, denominata Northern Lights, che sarà il primo servizio di trasporto e stoccaggio transfrontaliero di CO2 al mondo quando entrerà in funzione nel 2024. Negli ultimi giorni sono state raggiunte due importanti pietre miliari per la CCS in Norvegia. Lunedì scorso, i partner dell’aurora boreale hanno annunciato un primo accordo commerciale transfrontaliero che prevede il trasporto e il sequestro di 800.000 tonnellate di CO2 catturate nell’impianto olandese del produttore di fertilizzanti Yara, a partire dal 2025, tramite speciali imbarcazioni. Il giorno successivo, Equinor ha presentato un progetto con la tedesca Wintershall Dea per la costruzione di un gasdotto di 900 chilometri per il trasporto di CO2 dalla Germania alla Norvegia per lo stoccaggio. Un progetto simile con il Belgio è già in cantiere.

NESSUNA SOLUZIONE MIRACOLOSA

Tuttavia, la CCS non è una soluzione miracolosa al riscaldamento globale. Nella sua prima fase, Northern Lights sarà in grado di trattare 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una capacità che sarà poi aumentata a 5-6 milioni di tonnellate. A titolo di confronto, l’Unione Europea ha emesso 3,7 miliardi di tonnellate di gas serra nel 2020, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente. Ma sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che l’Agenzia internazionale dell’energia ritengono che questo strumento sia necessario per contenere l’aumento della temperatura. Gli ambientalisti non sono unanimi nel sostenere la tecnologia. Alcuni temono che venga utilizzato come motivo per prolungare lo sfruttamento dei combustibili fossili, che distolga investimenti preziosi dalle energie rinnovabili o che si verifichino perdite. “Siamo sempre stati contrari alla CCS, ma la mancanza di azioni sulla crisi climatica rende sempre più difficile mantenere questa posizione“, afferma Halvard Raavand, rappresentante di Greenpeace Norvegia. “Il denaro pubblico sarebbe meglio investito in soluzioni che sappiamo essere efficaci e che potrebbero anche ridurre le bollette per le persone normali, come l’isolamento delle case o i pannelli solari“, spiega.

Rigassificatore

In Italia raggiunto 80% di stoccaggi gas, centrati gli obiettivi Ue

Riserve sotterranee di gas piene all’80% della capacità. L’Italia ha raggiunto con due mesi di anticipo il target richiesto dall’Unione europea di riempire gli stoccaggi di gas (almeno) all’80% della propria capacità entro il primo novembre 2022, per arrivare poi al 90% a partire dall’inverno 2023. L’obiettivo? Prepararsi a livello nazionale a uno scenario di completa interruzione delle forniture di gas da parte della Russia, tenendo piene le riserve e presentando misure di risparmio della domanda. Lo scenario è ormai più che realistico date le tensioni con Mosca per la guerra in Ucraina.

Ad annunciare il raggiungimento del target è stato il premier Mario Draghi dal palco del Meeting di Rimini, assicurando che il Paese “è in linea con l’obiettivo di raggiungere il 90% entro ottobre”. Il governo – ha riferito il premier ormai dimissionario – ha già predisposto i necessari piani di risparmio del gas, con intensità (dei tagli) crescente a seconda della quantità di gas che potrebbe venire eventualmente a mancare. L’annuncio di Draghi ha anticipato i numeri che compariranno domani sulla piattaforma indipendente europea (Gas Infrastructure Europe – AGSI+) che certifica il dato con due giorni di ritardo e segna oggi i livelli ancora al 79,92% della capacità di riempimento. A livello complessivo in Unione europea il livello di riempimento è pari al 77,74%.

A livello comunitario Italia e Germania – che sono i principali importatori di gas in Ue – sono anche i Paesi insieme a Francia, Paesi Bassi e Austria a concentrare la maggior parte della capacità di stoccaggio in tutta l’Unione europea. L’Italia ha una capacità di riempimento di 197,7 terawattora (TWh), in Ue seconda solo alla Germania (245,3 TWh). Non tutti gli Stati membri Ue dispongono di impianti di stoccaggio del gas, sono 18 su 27 i Paesi a disporne: Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna e Svezia e rappresentano circa il 27 per cento del consumo annuale di gas dell’UE.

Un terzo degli Stati membri (Irlanda, Lussemburgo, Slovenia, Grecia, Cipro, Lituania e Finlandia) non dispone di proprie capacità di stoccaggio e dovrà fare affidamento sulle strutture degli altri, in caso di chiusura dei rubinetti del gas da parte di Mosca. Il gruppo europeo di coordinamento sul gas (che fa capo alla Commissione Europea) sta lavorando per rafforzare la cooperazione regionale tra Stati membri attraverso delle task force, con Bruxelles che continua a esortare i governi a siglare accordi di solidarietà bilaterale in vista di tagli improvvisi alle forniture da parte del Cremlino (al momento in Ue ce ne sono solo sei, di cui uno tra Italia e Slovenia).