Le ‘donne della transizione’ rompono il soffitto di cristallo

La parità di genere, quella vera, è ancora lontana. Ma negli ultimi anni la società civile ha fatto comunque dei passi avanti notevoli, così come la politica e il mondo dell’impresa. Dalle istituzioni alle grandi aziende, oggigiorno ci sono molte più donne ai posti di vertice rispetto a un passato anche recente, ma il percorso è lungo. E chissà se il processo che dovrà portare al compimento delle transizioni, ecologica, energetica e digitale, possa dare quella spinta che serve per frantumare definitivamente il soffitto di cristallo. Non solo perché Greta Thunberg è diventata ormai un simbolo mondiale dell’attivismo per il clima e la decarbonizzazione.

La riflessione emerge se, con santa pazienza, si prova a scorrere negli elenchi di Camera, Senato, Palazzo Chigi, management delle imprese chi sono attualmente i vertici. L’esempio più concreto è sicuramente quello del governo, dove Giorgia Meloni è entrata a far parte della storia del Paese come prima donna presidente del Consiglio. Nelle sue mani passano tutti i dossier più importanti, compresi quelli del Green Deal ovviamente. Oltre alla premier, tra le ‘donne della transizione‘ c’è di sicuro Vannia Gava, che per la seconda volta ricopre il ruolo di vice ministro dell’Ambiente, dicastero al quale da questa legislatura viene affiancata anche la delega alla Sicurezza energetica.

In Parlamento, invece, Chiara Braga, capogruppo del Partito democratico alla Camera, e Luana Zanella, presidente dei deputati di Avs, portano avanti la bandiera dell’ambientalismo nelle istituzioni. Tra i banchi di Montecitorio siede anche Elly Schlein, prima segretaria del Pd, sempre in prima linea sulle battaglie per il clima.

In Europa, poi, entra di fatto e di diritto nel pantheon la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Non foss’altro perché, anche nel suo caso, la responsabilità dei temi passa comunque tutta dalle sue mani. Nella squadra di Bruxelles, poi, ci sono la vicepresidente esecutiva, Margrethe Vestager, che si occupa di Digitale, Kadri Simson, che ha il compito di gestire la delega all’Energia, e Iliana Ivanova, commissaria a Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù.

Nel mondo economico e finanziario è Christine Lagarde, attuale presidente della Banca centrale europea ed ex direttrice del Fondo monetario internazionale, il volto più conosciuto sul palcoscenico mondiale. Mentre sta iniziando a ritagliarsi il suo spazio anche Nadia Calvino, nominata lo scorso 1 gennaio presidente della Banca europea per gli investimenti: prima donna a ricoprire questo ruolo dalla fondazione della Bei, nel 1958.

Tornando in Italia, la situazione inizia a cambiare anche nei board delle principali società partecipate. Sebbene la strada sia ancora faticosamente lunga, visto che la prima e unica donna (della storia) a capo di una delle più grandi aziende italiane è l’amministratrice delegata e direttrice generale di Terna, Giuseppina Di Foggia, nominata il 9 maggio di un anno fa. Nel gruppo Eni, invece, Rita Marino è presidente di Plenitude, mentre tra i manager figurano Chiara Ficeti per l’Energy Management, Giorgia Molajoni per Digital, Information Technology & Communication, Giovanna Bianchi Health, Safety, Environment and Quality e Simona Napoli Internal Audit.

Rimanendo nel campo energetico, Francesca Gostinelli è Head of Enel X Global Retail, Silvia Fiori direttrice della funzione Audit di Enel, Elisabetta Colacchia è Head of People and Organization, Margherita Mezzacapo, Marina Lombardi e Donata Susca rispettivamente responsabili di Audit, Innovazione e Health, Safety, Environment and Quality di Enel Green Power & Thermal Generation, la business line di Enel che si occupa della generazione di energia elettrica.

Spostando l’obiettivo verso la parte più economica, Silvia Maria Rovere è presidentessa di Poste Italiane dal maggio 2023, Alessandra Ricci è amministratrice delegata e direttrice generale di Sace, che molto spesso investe in progetti relativi alla transizione ecologica e la sostenibilità. Altro nome di rilievo è quello di Silvia Massaro, presidentessa di Sace Srv, la società specializzata nel recupero dei crediti e gestione del patrimonio informativo. Regina Corradini D’Arienzo, inoltre, è ad e dg di Simest e Alessandra Bruni presidentessa di Enav.

Spostando l’attenzione sul mondo associazionistico, le donne con ruoli apicali diventano ancora di meno. Perché tra le grandi sigle ricoprono incarichi di vertice Annamaria Barrile, direttrice generale di Confagricoltura, Maria Letizia Gardoni, presidentessa di Coldiretti Bio, Maria Grazia Mammuccini, presidentessa di FederBio, Barbara Nappini e Serena Milano, rispettivamente presidentessa e direttrice generale Slow Food Italia, e Nicoletta Maffini, presidentessa di AssoBio. Infine, c’è molto da rivedere nel mondo sindacale, se solo Daniela Piras ha un incarico di vertice come segretaria generale della Uiltec.

Ue, Ceccardi: “Assicurare la sicurezza farmaceutica con una transizione più sostenibile”

Negli ultimi cinque anni la strategia sul Green deal ha riformato e colpito diversi settori, tra cui anche quello farmaceutico”. Così la deputata europea della Lega, Susanna Ceccardi, membro della commissione commissione per gli Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, a margine del convegno ‘Europa in salute. Sfide e opportunità per il futuro‘, promosso mercoledì 6 marzo a Roma da Eli Lilly, con il patrocinio di Parlamento e Commissione europea, Regione Lazio, Farmindustria e Sif.

Credo che la sostenibilità sia assolutamente giusta, ma la transizione debba essere fatta considerando anche la sostenibilità economica e sociale dei provvedimenti, che a volte è stata messa in secondo piano nei provvedimenti – aggiunge -. Si parla di aziende che danno moltissimi posti di lavoro in Europa, che ci garantiscono di stare sul mercato in maniera concorrenziale ma anche di preservare la nostra sicurezza farmaceutica”. Per questi motivi “credo che la direzione della Commissione Ue che si rinnoverà dopo le elezioni europee dell’8 e 9 giugno prossimi, debba essere più centrata a proteggere posti di lavoro e competitività delle nostre imprese”, sottolinea ancora Ceccardi.

Che prosegue la riflessione: “Dopo la pandemia il mondo è cambiato e anche l’Europa ha capito che, oltre alla sicurezza energetica e la sicurezza alimentare, è importante investire sulla sicurezza farmaceutica, del Continente e dei cittadini europei”. Per l’eurodeputata italiana “senza una strategia chiara e condivisa, mettiamo a rischio ogni giorno milioni di vite. Sulla proprietà intellettuale, ultimamente, si è concentrato il lavoro della Commissione europea e credo che le istanze che vengono dalle aziende, italiane ed europee, per un aiuto maggiore nel preservarla, sia una richiesta assolutamente giusta. In questo modo – conclude – si permettono maggiori investimenti e anche maggiore competitività delle nostre imprese”.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio del gas: Italia cala a 57,39%, media Ue a 62,78%

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA si mostra l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 28 febbraio), l’Italia cala al 57,39% e la media Ue scende a quota 62,78%. Francia e Croazia restano nelle ultime posizioni mentre in testa c’è sempre il Portogallo, in aumento a 96,15%.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio del gas, Italia cala a quota 66,3% e media Ue a 71,13%

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA si mostra l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 29 gennaio), l’Italia cala al 66,3% di riempimento, mentre la media Ue si attesta a 71,13%. Nelle ultime due posizioni Ue, Belgio (60,58%) e Croazia (53,69%) mentre il Portogallo resta in testa, in aumento a 101,79%.

Patto di stabilità, Giorgetti: “E’ un compromesso, vittoria italiana sul Pnrr”. Opposizioni all’attacco

La riforma del Patto di stabilità e crescita europeo continua a infiammare lo scontro politico in Italia. Come richiesto dalle opposizioni, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si presenta in commissione Bilancio alla Camera per una informativa sulla legge di Bilancio 2024. Ma, a dispetto delle indiscrezioni della vigilia, non si sottrae (sarebbe stato forse difficile fare il contrario) alle domande sull’accordo raggiunto solo pochi giorni fa in Ecofin, dopo un negoziato difficile, durato mesi, dal quale il nostro Paese non sembra essere uscito senza ‘graffi’.

Il responsabile del Mef ricorda che si tratta di un compromesso, senza il quale “dal 1 gennaio sarebbero tornate in vigore le vecchie regole scritte col Fiscal Compact”. Quindi, “da questo punto di vista è stato fatto un passo avanti”. Poi, però, ammette che rispetto alla proposta originaria della Commissione Ue può essere visto anche come un passo indietro, ma “la valutazione la faremo tra qualche tempo”, quando si saranno dispiegati gli effetti. Anche se, chiarisce, “il 2024 non sarà toccato dalle nuove regole”, perché il nuovo Patto “non può che partire dal 2025”.

Alle critiche ricevute risponde a tono: “Abbiamo ottenuto che le spese del Pnrr siano ritenute leggibili a livello europeo, questo è il successo italiano che trovate in qualche modo nel Patto di stabilità”. Ma, avverte Giorgetti, la clausola di allungamento del Patto da 4 a 7 anni è per coloro “che rispettano il Piano in tutto: negli investimenti ma anche nelle riforme“.

Il passaggio che accende lo scontro con le opposizioni, però, è quello sulle misure varate in questi ultimi anni, anche a causa della crisi economica provocata dalla pandemia e che ha imposto interventi drastici e non convenzionali. Quello che Giorgetti lamenta è una mancata visione d’insieme dei suoi predecessori: “Un concetto deve essere chiaro, il dibattito è viziato dall’allucinazione psichedelica che abbiamo vissuto negli ultimi quattro anni in cui abbiamo pensato che gli scostamenti, debito e deficit si potessero fare senza tornare a un sistema di regole”. Parla di disciplina il responsabile del Mef, poi affonda il colpo: “Ci siamo assuefatti a questo ‘Lsd’ preso in questi anni“.

Parole che scatenano la rabbia degli avversari politici. “La premier Giorgia Meloni si renda conto delle parole pronunciate oggi in audizione da Giorgetti”, tuona il presidente dei senatori M5S, Stefano Patuanelli. Per il ministro dell’Economia “la sospensione del Patto di stabilità è stata solo un’allucinazione collettiva e non un’occasione per cambiare in modo strutturale le regole verso una maggiore integrazione e solidarietà europee”, commenta la capogruppo Pd alla Camera, Chiara Braga. Che aggiunge: “Ora dà lezioni contro il debito e accetta il Patto di stabilità dopo aver messo l’Italia nelle condizioni di non contare nulla e di far pagare al Paese a breve il prezzo di un compromesso che è passato sulla testa del governo e della Meloni“.

La partita ovviamente non si esaurirà qui. L’impressione è che lo scontro sia solo l’inizio di una lunga campagna elettorale che porterà alle europee del giugno prossimo. In attesa, ovviamente, di vedere che effetti avrà il nuovo Patto di stabilità sull’Italia.

Imballaggi, Giansanti (Confagricoltura): “Successo Italia, agroalimentare ne uscirà rafforzato”

Un grande successo del sistema Italia e va, da parte di Confagricoltura, un ringraziamento a tutti i nostri parlamentari“. Così il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, parlando del Parlamento europeo, che in sessione plenaria a Strasburgo ha adottato con 426 sì, 125 no e 74 astenuti (su 625 votanti) il mandato negoziale sulla proposta di regolamento sugli Imballaggi e sui rifiuti da imballaggio. “Il sistema dell’agroalimentare italiano ne uscirà sicuramente rafforzato, il nostro grande Made in Italy continuerà a correre rispetto a tutte quelle dinamiche volute dalla Commissione che, al contrario, ci volevano far tornare indietro – aggiunge -. Il modello italiano del riciclo risulta vincente e soprattutto andremo adesso a vincere le ulteriori sfide di un mercato che sempre più chiede Made in Italy nel mondo“, conclude.

Giansanti (Confagricoltura): “Bene Ue su fitosanitari, scelta politica nella giusta direzione”

Come Confagricoltura plaudiamo al rigetto della misura della riduzione dei prodotti fitosanitari“. Lo dichiara il presidente di Massimiliano Giansanti, commentando il voto del Parlamento europeo riunito in sessione plenaria a Strasburgo. “Tutti noi siamo consapevoli degli effetti del cambiamento climatico, ma noi agricoltori, più di altri, ahimè, ne siamo le vittime – spiega -. E senza i mezzi, gli strumenti e le medicine delle piante, difficilmente avremmo potuto curare le nostre piante che si ammalano sempre di più. Quindi, questa scelta politica va nella giusta direzione, era quello che come Confagricoltura avevamo chiesto, dunque siamo grati a tutti quei parlamentari che hanno voluto garantire un futuro all’agricoltura, ma soprattutto ai prodotti sani, naturali che i cittadini ci chiedono“, conclude.

Meloni: “Su governace Ue passi avanti, ma insufficienti. Escludere le transizioni”

Zagabria, Europa. Forse di quella con la visione che Giorgia Meloni sente più vicina alla sua. Dalla Croazia, al termine dell’incontro bilaterale con il primo ministro della Repubblica croata, Andrej Plenković, la premier torna a lanciare messaggi alle istituzioni continentali, mentre la partita del negoziato sulla nuova governance è più o meno alla metà del tempo regolamentare. Parole decisamente chiare, quelle della presidente del Consiglio: “Mi pare che dei passi avanti si facciano, ma per per quello che riguarda l’Italia sono ancora insufficienti, quindi bisogna lavorare molto di più”.

Meloni spinge sul fatto che “il ritorno ai vecchi parametri, che scatterebbero molto presto, sarebbe esiziale per la nostra economia”. Tradotto, se dal 1 gennaio del prossimo anno si ritornasse ai vincoli pre-pandemia del Patto di stabilità e crescita, il tetto del 3% del rapporto tra Deficit e Pil difficilmente verrà raggiunto. Molto probabilmente, non solo dal nostro Paese. Ma questo Meloni non può saperlo, né può dirlo. Il capo del governo italiano si ‘limita’ a ricordare che “il tema delle nuove regole della governance è fondamentale per l’agenda strategica Ue”, perché “se pensiamo di poter rafforzare la nostra competitività, il nostro ruolo strategico senza adeguare le regole alle strategie che ci diamo, rischiamo di sembrare miopi”.

La premier ribadisce un concetto già espresso molte volte: “Siamo impegnati a portare avanti delle transizioni che sono scelte strategiche per rafforzare la competitività del continente: penso alla transizione verde e alla transizione digitale, così come, all’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina, ci siamo resi conto del fatto che anche il tema difesa necessitava di un rafforzamento”. Ergo: “E’ evidente che gli investimenti fatti su queste materie devono essere presi in considerazione nel momento in cui si discute la governance, altrimenti è come se indicassimo una strategia e contemporaneamente la facessimo pagare alle nazioni virtuose nel realizzarla. Questo sarebbe miope”.

Intanto, a proposito di transizione energetica, dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica arrivano buone notizie. Perché c’è il via libera ad uno stanziamento di 502 milioni di euro per promuovere, nel triennio 2024-2026, la ricerca e lo sviluppo di tecnologie energetiche innovative a zero emissioni di carbonio. Questo è il target che si pone il decreto firmato dal ministro, Gilberto Pichetto, che fissa le linee di attività e le modalità attuative del programma internazionale ‘Mission Innovation‘ a cui l’Italia aderisce insieme ad altri 24 Paesi. “Il nostro impegno per sostenere la transizione energetica del Paese si rafforza ulteriormente con un consistente aumento di risorse pubbliche dedicate al sostegno della ricerca e dell’innovazione di tecnologie pulite per contenere le emissioni climalteranti”, commenta il responsabile del Mase. Che poi conclude: “Andiamo avanti su questa strada con convinzione e pragmatismo per arrivare con ancora maggiore determinazione al negoziato della Cop 28 di Dubai”.

Ue, Parlamento e Consiglio cercano l’accordo sulle case green. Ma la strada è in salita

Nuova direttiva case green, Parlamento e Consiglio ci riprovano. E’ previsto per oggi un nuovo incontro tra i negoziatori di Parlamento e Consiglio Ue, mediato dalla Commissione europea (in gergo si chiama ‘trilogo’) per raggiungere un accordo politico sulla revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (Energy Performance of Building Directive) proposta dall’Esecutivo comunitario a dicembre 2021 per alzare gli standard energetici del parco immobiliare dell’Ue.

Sarà un incontro in cui i due negoziatori tenteranno di raggiungere un accordo politico, ma a Bruxelles sono in molti a pensare che difficilmente si possa arrivare già adesso a chiudere il compromesso. Ad ogni modo, Commissione europea e entrambi i co-legislatori incalzano a trovare un’intesa politica prima della fine dell’anno.

A dicembre 2021 la Commissione europea ha proposto di introdurre standard minimi obbligatori di prestazione energetica per il parco immobiliare dell’Ue da introdurre gradualmente dal 2027, portando gli Stati a individuare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni e a ristrutturarlo passando dalla classe energetica più bassa “G” al grado “F” entro il 2027 per gli edifici non residenziali e entro il 2030 per gli edifici residenziali.

L’edilizia è responsabile del 40% dei consumi energetici d’Europa e del 36% dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico. La Commissione propone un intervento per arrivare al 2050 con un parco immobiliare europeo a zero emissioni nette, sia sugli edifici vecchi e che su quelli ancora da costruire. Sulla proposta della Commissione europea, gli Stati membri al Consiglio Ue hanno concordato la loro posizione negoziale a ottobre scorso mentre l’Europarlamento ha concordato il mandato in plenaria a marzo. Entrambe le istituzioni hanno apportato modifiche sostanziali alla proposta della Commissione europea, e ora stanno cercando di trovare un terreno comune.

Il nodo politico resta ancorato all’articolo 9 che riguarda gli standard minimi di rendimento energetico degli edifici, su Parlamento e Consiglio hanno posizioni diverse.

Nella sua posizione l’Europarlamento ha rafforzato i target di efficienza rispetto alla proposta originaria della Commissione, garantendo però più flessibilità agli Stati membri per raggiungerli attraverso i piani nazionali. Le case dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica ‘E’ entro il 2030 e ‘D’ entro il 2033 (la Commissione Ue proponeva di raggiungere la classe “F” entro il primo gennaio 2030 e la classe “E” entro il primo gennaio 2033). Gli edifici non residenziali e pubblici dovrebbero raggiungere le stesse classi rispettivamente entro il 2027 e il 2030 (la Commissione ha proposto ‘F’ ed ‘E’). Il testo adottato prevede che tutti i nuovi edifici siano a emissioni zero dal 2028 (la Commissione proponeva il 2030) e tutti i nuovi edifici dovranno disporre di impianti solari entro il 2028.

Gli Stati membri, come spesso accade, nella loro posizione hanno di fatto annacquato in molte parti la proposta dell’esecutivo comunitario, chiedendo maggiore flessibilità anche nel negoziato con l’Eurocamera. Per gli edifici residenziali esistenti gli Stati membri vogliono fissare norme minime di prestazione energetica “sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050”. Fissando solo due ‘tappe’ intermedie: che il consumo medio di energia primaria sia entro il 2033 equivalente alla classe di prestazione energetica D ed entro il 2040, a un valore “determinato a livello nazionale derivato da un graduale calo del consumo medio di energia primaria dal 2033 al 2050”.

Piano Mattei, un mese al ‘D-Day’. Meloni: “In dirittura d’arrivo norma sulla governance”

Manca un mese al ‘D-day‘. Le lancette dell’orologio corrono veloci verso l’appuntamento del 5-6 novembre, quando a Roma si riunirà il vertice Italia-Africa: è quella la data indicata dalla premier, Giorgia Meloni, per la presentazione ufficiale del Piano Mattei a cui sta lavorando il suo governo da mesi e che dovrebbe portare il nostro Paese a diventare l’hub europeo del gas, ma anche di rinnovabili e idrogeno verde.

Al momento si conoscono le linee guida: un approccio non predatorio verso il continente africano, con accordi bilaterali da chiudere con i Paesi africani con alto potenziale energetico, per uno sviluppo delle infrastrutture da lasciare per l’80% sui territori di origine, con investimenti che creino lavoro e benessere per i cittadini dell’Africa, evitando così che fame, carestie e cambiamenti climatici impongano esodi di massa. In cambio, l’Italia diverrebbe la porta d’ingresso di una parte consistente degli approvvigionamenti di energia per il Nord Europa.

Un progetto ambizioso, sul quale la diplomazia è a lavoro su più tavoli. Quelli con i governi degli Stati africani e quelli con i partner Ue. C’è, però, una novità. A confermarla è la stessa Meloni, a margine dei lavori del summit della Comunità politica europea a Granada: “Siamo in dirittura d’arrivo con una norma sulla governance di questo nostro Piano”. La premier non si sbilancia, ma non è difficile ipotizzare che possa essere creata una cabina di regia apposita, che gestisca i vari negoziati sotto la guida della stessa presidente del Consiglio. I testi, comunque, saranno portati anche in Parlamento e all’attenzione delle istituzioni europee. Perché “per essere efficace” il Piano Mattei ha bisogno “di un’Europa che ci creda nel suo complesso. Da soli non possiamo risolvere tutti i problemi del continente”.

Dalle indiscrezioni circolate in questi mesi, non è escluso che il progetto possa includere anche un capitolo dedicato al reperimento delle materie prime critiche, di cui alcune zone dell’Africa sono ricche. Per i dettagli, però, toccherà attendere ancora qualche settimana, mentre Meloni e il suo governo continuano a tessere la tela del Piano Mattei.