Altroconsumo: “Il consumo moderato di vino non è esente da rischi, è giusto informare”

Le bottiglie di vino vendute in Irlanda tra qualche anno cambieranno etichetta per fare spazio a un’avvertenza sui rischi legati al consumo di alcol, simile a quella già presente sui pacchetti delle sigarette. L’abuso di alcol in Irlanda è una vera emergenza, con circa il 70% degli uomini e il 34% delle donne definiti “bevitori a rischio” (fonte: Alcohol Action Ireland). Stando alle indagini compiute dalla Commissione europea, l’alcol è direttamente collegato alla contrazione di gravi malattie, compresi diversi tipi di tumore. Così, insieme agli ingredienti e ai valori nutrizionali – obbligatoriamente presenti sui prodotti alcolici del mercato unico europeo – l’Irlanda ha deciso di inserire in etichetta anche avvertenze sanitarie, in modo da scoraggiare il consumo di alcol in gravidanza e, più in generale, nella vita di tutti i giorni. Si tratta di una misura destinata a essere applicata unicamente entro i confini di questo paese che però ha destato allarme tra i produttori di vino italiani. Per Coldiretti la nuova etichettatura potrebbe costituire un pericoloso precedente, mentre l’Associazione degli agricoltori teme che questo tipo di avvertenze potrebbe compromettere il mercato di esportazione del vino italiano che vanta un fatturato di circa 8 miliardi di euro l’anno.

La questione è oggetto di acceso dibattito. In Italia e in tutta l’Unione Europea le etichette dei vini contengono già una serie di informazioni utili a garantire la salute dei consumatori. “Su ogni vino deve essere specificata la categoria”, spiega Federico Cavallo di Altroconsumo. “Sulle bottiglie DOC (Denominazione di Origine Controllata) e DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) le etichette devono indicare se si tratta di un vino spumante o liquoroso”. Altre indicazioni obbligatorie sono la quantità espressa in centilitri, la gradazione alcolica e cioè il cosiddetto ‘titolo alcolometrico’, la percentuale di alcol calcolata su 100 ml di vino. Sulle etichette apposte sui vini italiani ed europei, inoltre, ci sono anche avvertimenti su alcuni rischi per la salute. “Viene segnalata la presenza di solfiti e di altre sostanze potenzialmente allergiche, come latte e uova”. Talvolta, infatti, la lavorazione dei vini prevede l’impiego di albumine e caseine che servono a eliminare le impurità, ma che poi vengono rimosse. Insieme a tutte queste informazioni, nelle etichette incollate sulle bottiglie di vino oggi troviamo anche l’annata (che è obbligatorio specificare sulle DOC e le DOCG), gli eventuali dati relativi all’importatore e, negli spumanti, il tenore di zucchero, indicato con scritte come ‘Brut’, ‘Dry’ o ‘Extradry’. Esistono poi diciture facoltative destinate a fornire ulteriori dettagli sul vino: ne sono un esempio le parole ‘riserva’ oppure ‘superiore’ e ‘classico’.

Le etichette del vino messe in commercio in Europa contengono, insomma, una buona quantità di informazioni. Perché, allora, Paesi come l’Irlanda sentono l’urgenza di aggiungerne altre? Il consumo di alcol è davvero dannoso per la nostra salute? “L’iniziativa irlandese nasce per rispondere a una specifica esigenza locale di contrasto ai fenomeni di abuso. In linea generale, da tempo sappiamo che l’uso di alcol è correlato allo sviluppo di malattie, come dimostrano numerosi studi condotti sulla popolazione mondiale, e che questi rischi aumentano in modo proporzionale all’utilizzo. È quindi comprensibile che, specie là dove ci sono più problemi legati agli eccessi, ci si interroghi su come sensibilizzare le persone sui rischi correlati”, puntualizza il rappresentante di Altroconsumo. “Non conoscendo nel dettaglio la realtà irlandese, è giusto lasciare a decisori e consumatori di quel Paese valutare se la proposta sia adeguata o meno, rispetto al contesto che vivono e agli scopi che si propone”.

Altri paesi potrebbero decidere di inserire qualche avvertenza sulle etichette degli alcolici, ma questo è oggetto di dibattito all’interno della Ue. “L’efficacia di ogni strumento spesso dipende da molti fattori legati anche agli specifici contesti nazionali”, prosegue Federico Cavallo. “La cosa più importante, se vogliamo fare un buon servizio ai consumatori, è quindi portare avanti il confronto nel merito, con ragionevolezza ed equilibrio da parte di tutti gli attori coinvolti, evitando quindi eccessive semplificazioni, contrapposizioni strumentali o facili scorciatoie, le quali rischiano di confondere, anziché chiarire, il messaggio che arriva alle persone. In questo caso, quindi, dobbiamo tutti lavorare affinché la discussione sui ‘mezzi’ non rischi di far perdere di vista i ‘fini’”.

Alla fine quello che conta davvero è la salute dei consumatori. Bere alcol fa male anche se assunto in piccole quantità? “Il rischio zero non esiste e non si può pensare a usi totalmente esenti da danni”. Il cosiddetto ‘consumo moderato’, catalogato come 2 unità alcoliche (2 bicchieri di vino o due lattine di birra) al giorno per gli uomini e una per le donne e gli anziani pare sempre correlato a un rischio, seppure catalogato come ‘basso’. “Esattamente: per esempio, se in passato si diceva che uno o due bicchieri non fanno male, i dati di oggi ci dicono che anche se il pericolo di contrarre malattie non è elevato, tuttavia permane. L’importante, ripeto, è conoscere queste informazioni a prescindere dal fatto che siano o non siano richiamate in qualche etichetta, e farne uso libero e consapevole nelle proprie scelte quotidiane”.

Dati che sembrano in qualche modo scontrarsi con l’opinione popolare che vuole, per esempio, che il vino rosso aiuti a mantenere bassi i livelli di colesterolo ‘cattivo’: è noto il cosiddetto ‘paradosso francese’, che vede i cittadini d’Oltralpe mantenere buoni tassi di colesterolo nel sangue nonostante l’elevato uso di burro e grassi in cucina e questo, si dice, grazie a un parallelo consumo di vino rosso. “In realtà non si può considerare un solo aspetto alla volta, magari attribuendogli supposti benefici per via di credenze consolidate: la buona salute è il risultato generale di molti comportamenti virtuosi”, specifica Cavallo. “Il ‘paradosso’, infatti, si risolve quando si osserva che chi fa un uso moderato di alcol spesso ha un comportamento moderato anche su altri fronti, come quello della tavola o del fumo, e questo ha delle ricadute positive sullo stato di salute, a prescindere da quanto si beve. La chiave del benessere risiede in uno stile di vita sano ed equilibrato in tutti i suoi aspetti, consumo di alcol compreso”.

Fondamentale è essere pienamente consapevoli delle proprie scelte. “Certamente. Come per le sigarette, le informazioni al consumatore sono importanti ma – bene ribadirlo – ancora più importante è la consapevolezza e il comportamento individuale. Per questo, serve innanzitutto una buona educazione all’informazione e al consumo responsabile: in primis a vantaggio dei più giovani, spesso esposti a una gran mole di messaggi pubblicitari, ma anche a beneficio di tutti noi”.

vino atacama

Argea: “Sperimentiamo vino biosimbiotico contro siccità. Etichette? Mossa politica”

Contenitori alternativi al vetro. Impianti fotovoltaici. Laghi di raccolta acqua e vino biosimbiotico. Il settore enologico sta affrontando grandi sfide dettate dall’aumento dei prezzi delle materie prime, dalla crisi energetica e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Non da ultimo, a preoccupare i produttori italiani è l’iniziativa dell’Irlanda di apporre sulle etichette di vino i messaggi di allerta per il rischio sulla salute, i cosiddetti health warning, parificando di fatto il vino alle sigarette. “Il 2022 è stato un anno difficile, dopo la pandemia abbiamo affrontato difficoltà dovute all’incremento dei costi dei materiali. Molti produttori sono stati colpiti dalla crisi energetica… La sfida è cercare di seguire le abitudini di consumo e le richieste di alcuni mercati che sono considerati più evoluti che anticipano un po’ le tendenze del mercato, anche in termini di sostenibilità”, ha spiegato a GEA Massimo Romani, amministratore delegato di Argea, gruppo nato a settembre dall’unione di Botter e Mondo del Vino con l’obiettivo di competere sui mercati esteri e portare la qualità dell’Italia nel mondo.

Come sta proseguendo la vostra avventura?

“Argea è una nuova realtà nata dall’unione delle parole arte e gea (terra): arte della terra. Abbiamo presentato il gruppo il 29 settembre del 2022 ma abbiamo una lunga storia perché nasciamo dall’unione di Botter e Mondo del Vino, con quasi 100 anni di storia. Abbiamo ora 600 dipendenti diretti, oltre a tutta la filiera. Lavoriamo su 9 cantine in 6 regioni italiane. Abbiamo chiuso il 2021 a 420 milioni di euro di cui il 95% di export. Il 2022 è stato un anno difficile, ma siamo comunque riusciti a produrre una crescita rispetto al 2021, stiamo chiudendo ora i conti. Certo, ci sono le prime avvisaglie di attenzione sul mercato a inizio del 2023 ma crediamo poi si vada a stabilizzare”.

Crisi energetica, cambiamenti climatici, aumento dei prezzi.. come il settore può sopravvivere?

“Seguendo le abitudini di consumo e le richieste di alcuni mercati che sono considerati più evoluti che anticipano un po’ le tendenze del mercato: ovvero, sostenibilità. Dal canto nostro, stiamo cercando di studiare soluzioni alternative, ad esempio contenitori alternativi rispetto al classico vetro, che da un lato danno maggiore sostenibilità ambientale e dall’altro offrono un’economicità maggiore del prodotto, in modo da renderci più competitivi come richiede il mercato. Penso a contenitori in pit, a contenitori con carta, allo sviluppo del concetto di bag-in-box, che si usa molto nei mercati nordici, trasferito però sulle bottiglie. A questo si accompagna tutta una serie di studi che vanno ben sperimentati per capire l’impatto organolettico sulla nostra materia prima che è nobile e che va trattata di conseguenza. Tradotto: siamo ben consapevoli della tradizione ma stiamo cercando di capire cosa si può fare per renderci più sostenibili nel medio periodo e anche più competitivi“.

La crisi dei materiali ed energetica ha infatti costretto a ripensare alle fonti di approvvigionamento, rendendo forse sempre più indispensabile una transizione ecologica ed energetica .. nel vostro settore come è attuabile?

Stiamo portando avanti un importante progetto di transizione energetica, ed ecologica, per aumentare la nostra produzione da fonti rinnovabili. Ad esempio, su tutta la parte in cantina, e degli impianti di imbottigliamento e su tutti i magazzini logistici stiamo attivando processi a 360 gradi di produzione di energia da fotovoltaico. Abbiamo un piano rilevante sulla riduzione degli sprechi, sia come educazione sia come investimenti in tecnologie che consumano meno. Questa attenzione la portiamo in tutti gli aspetti della filiera cercando di firmare protocolli con i nostri fornitori che sono spesso anche nostri partner”.

Che cosa chiedete alle istituzioni?

“Un loro aiuto in buona parte è già presente. Ma se in tutto questo percorso, il Pnrr e i progetti del Mase ci aiutassero negli investimenti e ad accelerare questa fase di transizione, potremmo diventare meno sensibili alle oscillazioni di elettricità e gas. E se questo fosse ripetuto su tutti i player della filiera (dal vetro al cartone fino allo scaffale) aiuterebbe in modo concreto un passaggio che oggi è diventato cruciale e a cui gli imprenditori, da anni, stanno lavorando”.

Anche perché gli effetti del riscaldamento globale sono già in atto. Penso alla forte siccità che sta colpendo l’Italia, soprattutto al Nord.

Il cambiamento climatico è una realtà, non è più un messaggio che qualcuno cercava di far passare. Sono anni, 2022 incluso, che rischiamo di avere vendemmie povere. Per fortuna l’anno scorso a inizio agosto ha iniziato a piovere e ci siamo salvati. Le produzioni sono state in linea con gli anni precedenti. Noi siamo presenti in Veneto e in Piemonte (al confine tra Langhe e Roero) e siamo molto preoccupati. A livello di gruppo abbiamo iniziato a lavorare su due fronti: dove c’è la possibilità abbiamo lavorato sulle infrastrutture, come ad esempio in Emilia Romagna dove abbiamo la cantina Podere Dal Nespoli a 300 metri di altitudine. Qui abbiamo lavorato per mettere in funzione laghi di raccolta che ci servono per il sistema di irrigazione. E poi abbiamo lavorato in vigna dove, sulle nostre tenute, una 50ina di ettari, abbiamo creato il primo distretto biosimbiotico in Italia”.

Come funziona?

Vengono inseriti microrganismi in simbiosi con la pianta che la rendono più resiliente agli stress che arrivano dall’ambiente in cui vive, in particolare la siccità e gli sbalzi termici. E questo ci sta portando ad avere una vite molto più resistente rispetto a quella che arriva da sistemi più tradizionali. Sono fasi sperimentali: abbiamo prodotto le prime 18mila bottiglie la scorsa vendemmia, ma è una dimostrazione del fatto che la pianta può sopravvivere in condizioni meno gentili. Si dovrebbe fare di più, perché ora è una realtà con cui dobbiamo fare in conti, tutto il sistema ha bisogno di studiare sistema di iniziative in questo senso perché se non si agisce rischiamo di avere meno produzione, soprattutto in alcune aree”.

E’ possibile che la vendemmia venga anticipata?

“In alcune aree geografiche molto votate alla viticoltura, ma non in Italia, abbiamo visto ad anticipi già di vendemmia nell’ordine delle due tre settimane. Questo però ha provocato diversità nel gusto e nel profilo organolettico del prodotto. Qui ci avventuriamo in un territorio molto complesso di cui non abbiamo risposte”.

Anche perché l’Italia ha proprio una tradizione vinicola molto forte e qui mi connetto al famoso tema dell’Earth Warning dalle famose etichette. Quali rischi possono esserci per l’export italiano? E davvero il vino è dannoso alla salute?

“Ritengo che la situazione sia un po’ scappata di mano. Il vino rientra nell’elenco di tutti gli alimenti che sono stati di volta in volta attaccati, dalle carni rosse ai salumi. In realtà quello che studi anche a livello incrociato, sostenuti dalle varie associazioni, hanno sempre dimostrato è che questi alimenti e bevande consumati in moderazione non danno problemi alla salute. Non sono un medico, ma è chiaro che tutto va fatto con un certo tipo di moderazione. Io credo che sia più un tema commerciale e politico, poi non dubito che magari qualche Paese abbia problemi ben più alti del nostro in termini di consumo. Ma cercare di ridurre l’abuso con questo sistema non gestito rischia di penalizzare di volta in volta l’export di tutti gli Stati dell’Unione europea a seconda del cibo o della bevanda di cui si parla. Allo stesso tempo, al momento non la vedo come una cosa che possa danneggiare in maniera sostanziale almeno nel breve periodo il settore. Ma ricordiamoci che il settore del vino in Italia vale circa 15 miliardi di euro di cui 8 di export, con una quantità di addetti importante e una tradizione oserei dire millenaria. E questo va tutelato”.

Scordamaglia (Filiera Italia): “Etichette vino? Si rischia di dare spallata alla dieta mediterranea”

Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, oltre al ben noto ‘Conosci te stesso’, campeggiava anche un altro invito, quello alla moderazione: ‘Nulla di eccessivo’. Suggerimento fatto proprio anche dai latini con l’oraziano ‘Est modus in rebus’, ‘C’è una misura nelle cose’. Ed è proprio questo richiamo ad evitare gli eccessi e le decisioni estreme che ora viene rivolto alla Commissione europea che il 12 gennaio scorso ha deciso di consentire all’Irlanda di etichettare con l’alert ‘Nuoce alla salute’ le bottiglie di alcolici, vino compreso. I produttori italiani sono in allarme; l’export di vino nostrano infatti nel 2022 ha raggiunto un valore di otto miliardi di euro, per un volume di 21,5 milioni di ettolitri. Mentre l’export italiano in Irlanda vale 42 milioni di euro, per un volume di 120.000 ettolitri. Alla luce della decisione di etichettare il vino come pericoloso per la salute, ci potranno essere ripercussioni per il nostro export?

Al di là delle esportazionispiega a GEA Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia, la fondazione nata per sostenere e valorizzare il cibo 100% italiano – preoccupa l’effetto domino che potrà verificarsi in ogni Paese. Se passa il principio che nei confronti del vino è necessario approvare una decisione simile, in maniera criminalizzante, senza distinguere tra uso e abuso, tra consumo consapevole e leggerezza, sarà un vero problema per i nostri prodotti certificati di origine protetta e di qualità. Questa decisione legittima un fenomeno che può estendersi a tutti i Paesi in aperta violazione delle leggi sugli scambi nel mercato interno”.

Ma non è solo l’aspetto economico a preoccupare. Scordamaglia sottolinea anche l’importante valore culturale e alimentare rappresentato dal vino. “Se prendesse piede questo convincimento, che il vino ‘nuoce alla salute’, – prosegue – si andrebbe a caratterizzare in maniera negativa un prodotto che in Italia è comparso nel 4.100 avanti Cristo in Sicilia e che da allora ha caratterizzato la storia della nostra civiltà e di tutte quelle del Mediterraneo. Inoltre il consumo consapevole di vino ha contribuito a portare noi e i giapponesi ad essere i popoli più longevi al mondo. Demonizzare il vino potrebbe quindi dare una spallata alla dieta mediterranea, vista da tutti come una dieta sana ed equilibrata”.

Scordamaglia, sul lato procedurale, parla dunque di un “comportamento pilatesco della Commissione europea – spiega – che ora rende difficile forme di ricorso”; ma il settore valuta comunque un ricorso alla Corte di Giustizia per contestare il via libera alle etichette concesso dall’Ue all’Irlanda. “Abbiamo assistito a un gravissimo comportamento deciso a tavolino dalla Commissione – conclude il presidente di Filiera Italia – che viola un principio del mercato comunitario. La battaglia sarà dura, ma non ci arrendiamo all’idea di demonizzare un prodotto che sta alla base di una civiltà millenaria e ci rappresenta nel mondo”.

Capaldo (Feudi S.Gregorio): “L’effetto Irlanda non c’è. Sul vetro dinamiche speculative”

Il settore vitivinicolo è una delle eccellenze che rendono grande il Made in Italy in tutto il mondo. Era impensabile che la scelta dell’Irlanda, di esporre sulle etichette dei prodotti alcolici avvisi sui rischi per la salute simili a quelli che compaiono sui pacchetti di sigarette, non provocasse uno scossone. Anche a livello politico. Infatti la polemica ha occupato, e occupa, grande spazio nel dibattito nazionale ed europeo. Soprattutto perché la legge ha avuto l’avallo dell’Ue. Per capire l’impatto che ha avuto sulle aziende del nostro Paese, GEA ha chiesto ad Antonio Capaldo, presidente dei Feudi San Gregorio, società che dal 1986 produce vino in terra irpina per poi esportarlo in tutto il mondo.

Presidente, vede ripercussioni sul settore per la scelta irlandese?

“No, sostanzialmente. Almeno non per noi. Il tema è serio, perché per noi il vino è parte della nostra cultura e quindi bisogna fare attenzione ad assimilarlo ad altri prodotti alcolici che hanno delle caratteristiche oggettivamente diverse, dunque demonizzarlo. Ma è vero, allo stesso tempo, che chi beve vino di qualità e lo associa ad esperienze di qualità, sa anche di doverlo consumare con moderazione. Di conseguenza, l’impatto sul business io non lo vedo. Vedo positivamente, invece, che il sistema vino si sia mosso in maniera forte, anche a livello istituzionale, sul tema. Anche se alla fine non si può cambiare una legge già definita: ho trovato eccessivo portarla così tanto in Italia, nel senso che quello che ci interessa è fa arrivare la discussione dove ci sono dei rischi. In Italia rischia invece di essere controproducente, perché è una tematica che non aggiunge e non toglie, perché gli italiani già lo sanno”.

Allarghiamo il discorso. Quali sono le criticità che riscontra il settore, visto dalla sua angolatura?

La problematica principiale è legata all’approvvigionamento e ai costi di alcune materie, come vetro, carta, tappi. Devo ammettere, però, che complessivamente il settore ha dimostrato una maggiore resilienza alle dinamiche inflazionistiche. Cioè, la domanda finora ha mantenuto una maggiore resistenza, quindi quasi tutti i produttori hanno aumentato un pochino i prezzi per confrontarsi con l’inflazione sulle materie prime, ma la domanda per il momento ha tenuto. Ma cosa sta succedendo: i prezzi quando vanno al consumo o nelle carte dei vini dei ristoranti aumentano in una maniera ancora superiore, di solito con un certo ritardo temporale. Nel senso che, ad esempio, a noi aumenta il prezzo bottiglia e dopo sei mesi aumenta il prezzo listino, magari dopo un anno questo vino finisce nel ristorante ad un prezzo più alto. Quindi, il pieno impatto non è ancora chiaro. E finché l’Italia, per di più, vive questo boom turistico, il mercato interno, soprattutto nelle grandi città e nelle località turistiche, sta tenendo malgrado gli aumenti importanti che ha subito la ristorazione. E’ chiaro poi che il futuro è incerto, quindi l’aiuto che servirebbe è un supporto sulla supply chain di questi materiali. Ma il problema parte da lontano”.

Allora proviamo a rimettere insieme i pezzi.

“Ripeto, quello del vino può essere considerato ‘fortunato’. Ma l’Italia ha abbandonato una serie di settori strategici, come il vetro. Di vetrerie oggi nel nostro Paese ce ne sono poche, quasi tutte sono fuori e i principali player del vetro hanno un capitale straniero. Ma questo vale anche per tantissimi altri fattori, per cui le nostre filiere dipendono da dinamiche che non sono controllabili. Quindi, oggi il vino sta meglio di altri settori, gli amenti di prezzo non hanno comportato un calo della domanda significativo e al momento i principali mercati per l’export, come Usa, Canada e Giappone, non vivono una fase di crisi. L’unica che vive una fase difficile è l’Inghilterra, ma lo leggiamo da tutti i giornali. Quindi, al momento direi che cose specifiche non servono, ma l’importante è che tutti ci battiamo, principalmente il governo, per cercare di fare in modo che la dinamica inflazionistica diventi recessiva. Perché non è ancora quel momento”.

C’era un problema sul reperimento delle bottiglie.

“‘La nottata non è passata’. E poi c’è anche un altro detto: ‘La notte è sempre più buia prima dell’alba’. Perché ci sono stati ulteriori rincari, tra l’altro sempre più scollegati dal prezzo dell’energia, quindi ci sono dinamiche speculative sul mercato. E’ indiscutibile, perché l’energia è andata in giù in molti Paesi, compresa l’Italia, quindi non si spiega perché ci siano questi rincari. Oggi si dice che sia legata al reperimento delle materie prime ma la dinamica ha portato a più che un raddoppio del prezzo del vetro in due anni. Anche se devo dire che quasi tutte le vetrerie nell’ultimo mese segnalano di prevedere un miglioramento dal secondo semestre di quest’anno, dovuto all’incremento del numero di forni attivi nella produzione”.

Quali sono i fattori che hanno portato a questi rincari?

“Oltre al problema dell’energia, delle materie prime e del fatto che in Ucraina c’erano alcuni forni molto importanti, in questo periodo più di una vetreria aveva programmato ristrutturazioni dei forni, dunque sono rimasti chiusi nel 2020 e 2021. Si è creata, così, quasi una ‘tempesta perfetta’. In compenso, abbiamo però già visto un segnale positivo sul legno; su quest’ultimo c’è stato un problema legato alla filiera per la guerra, perché gran parte del materiale arrivava dall’Ucraina e dalla Russia. Non siamo tornati ai livelli pre-crisi, ma si vedono segnali incoraggianti. Così come se ne vedono ancora sulla carta. Sul vetro invece no, solo parole”.

Export da 8 mld di euro nel 2022 per il vino italiano: incertezze all’orizzonte

Calano le importazioni, crescono i valori. Si potrebbe fotografare così il mercato mondiale del vino nel 2022 secondo i dati presentati da Nomisma Wine Monitor. L’Italia registra un record dell’export a 8 miliardi di euro e percentuali che si allineano al trend generale: crescita del 16% in Usa, del 32,7% nel Regno Unito, del 21,7% in Canada, del 25,3% in Giappone e del 9,6% in Corea. Risultati leggermente al di sotto della media in Germania (-11,9%) e in Cina (-7,2%). Dati positivi registrano anche i mercati enoici di Usa, in crescita del 18% tra gennaio e novembre 2022, Gran Bretagna (+28,4%), Canada (+16,2%), Giappone (+22,5%) e Corea del Sud (+19,2%).

Negativi i dati che provengono dalla Germania, con un calo del 4,4%, e soprattutto della Cina, che non riesce a rialzarsi ormai dal lontano gennaio 2018. Grazie ai Mondiali di calcio maschile conclusi pochi mesi fa, il Qatar rientra tra i 7 mercati del vino mondiale in grande espansione, con un incremento del 209%, insieme all’Australia (238%), Francia (215%), Italia (163%), Thailandia (146%), Vietnam (120%), India (113%), Angola (112%), Malesia (99%) e Filippine (92%). La guerra ha influenzato il mercato sulle importazioni di vino in Ucraina e in Russia, che ha continuato ad importare soprattutto da Spagna e Georgia. La crisi della Cina, acuita dalle politiche riguardanti la gestione della pandemia di Covid-19, ha prodotto un generale calo delle importazioni, in primis dall’Australia. I dati migliori li registrano Usa e Cile, con un incremento del 14,2% e del 12,8%. La Francia occupa la terza posizione del podio, tallonata dall’Italia che, nonostante gli 8 miliardi di vino esportato vede aumentare la forbice con i cugini d’Oltralpe.

I FATTORI DI RISCHIO NEL 2023. Le previsioni per il 2023 sono all’insegna dell’incertezza. E proprio il rallentamento economico globale rappresenta la principale minaccia che incombe sulle prospettive di crescita del settore vinicolo nell’anno appena iniziato. Un rallentamento temuto da mesi, anche se le previsioni di dicembre della Banca d’Italia stimavano un PIL a +0,4% sul 2022 (rispetto ad una variazione negativa (-0,2%) ipotizzata ad ottobre dal Fondo Monetario Internazionale). D’altra parte, se le quotazioni del gas e del petrolio dovessero assestarsi, anche l’inflazione dovrebbe ridursi, portando minori restrizioni nella politica monetaria delle Banche Centrali. Tutte condizioni che, unite agli investimenti realizzati grazie alle risorse del Pnrr, fornirebbero lo slancio necessario alla ripresa dei consumi, vino compreso. “Questo scenario incerto – spiega Denis Pantini, responsabile Wine Monitorporterà inevitabilmente il consumatore a compiere delle scelte. Pertanto, per decifrare le sue intenzioni contro il ‘caro vita’, abbiamo realizzato in dicembre una survey dalla quale è emerso che quasi un italiano su due farà meno acquisti di prodotti non indispensabili (46%), mentre molti altri si sposteranno su canali più economici. Ma c’è anche un 16% che non farà nessun cambiamento nella spesa alimentare. Il dato positivo è che questa quota, a giugno 2022, era ferma al 9%: ciò significa che il clima generale di fiducia è migliorato negli ultimi sei mesi. Ma c’è un altro aspetto che deve infondere ottimismo al settore vitivinicolo: tra i tagli al carrello della spesa, il vino è solo al sesto posto”.

Etichettatura degli alcolici: la posizione del Parlamento Ue

La Commissione “non prende minimamente in considerazione la posizione del Parlamento Europeo”. L’accusa dell’eurodeputato del Pd Paolo De Castro contro l’esecutivo comunitario sul via libera all’etichettatura dell’Irlanda a proposito degli avvisi sui rischi del consumo di alcol per la salute è particolarmente dura e parte dal voto dello scorso anno del Parlamento Ue sulla strategia anti-cancro, di cui proprio De Castro è stato firmatario di quattro emendamenti insieme al connazionale Herbert Dorfmann (Ppe). Era il 16 febbraio del 2022 quando l’Eurocamera approvava “a larghissima maggioranza una risoluzione che esclude categoricamente l’introduzione di sistemi di etichettatura sanitari, come quelli presenti sui pacchetti di sigarette”, è l’affondo dell’eurodeputato del Partito Democratico.

Ma cosa è previsto esattamente nella risoluzione del Parlamento Ue a proposito dell’etichettatura non solo del vino, ma anche di birra e altri alcolici? Prima di tutto va ricordato che gli eurodeputati fanno esplicitamente riferimento allo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che “riconosce che il livello più sicuro di consumo di alcool non esiste per quanto riguarda la prevenzione oncologica”. Allo stesso tempo non viene negata la necessità di lottare contro il “consumo dannoso di alcool”, con l’aperto sostegno all’obiettivo della Commissione di fissare come asticella minima la riduzione del “10% entro il 2025”. Allo stesso tempo esecutivo Ue e Stati membri sono incoraggiati a “promuovere azioni tese a ridurre e prevenire i danni provocati dall’alcool nel quadro della revisione della strategia europea sull’alcool”.

Analizzando specificamente la questione delle etichette, è messa nero su bianco dal Parlamento Ue la “necessità di offrire ai consumatori informazioni appropriate migliorando l’etichettatura delle bevande alcoliche”, ma non si fa effettivamente nessun riferimento a questioni di tipo sanitario, almeno sul piano degli effetti che il consumo di bevande alcoliche ha sull’organismo. Nel testo compare invece “l’inclusione di informazioni su un consumo moderato e responsabile di alcool” (il classico ‘bevi responsabilmente’ delle pubblicità) e “degli ingredienti e delle informazioni nutrizionali”, come qualsiasi altro cibo commercializzato. Rimane centrale invece l’impegno contro l’abuso e a “tutela dei minori dall’esposizione alla comunicazione commerciale sul consumo” di bevande alcoliche: “La pubblicità non dovrebbe rivolgersi espressamente ai minori e non dovrebbe incoraggiare il consumo di alcool”, precisano gli eurodeputati.

In merito alla possibile divergenza dell’Irlanda sull’etichettatura delle bottiglie – su cui l’Italia sta spingendo con Spagna e Francia per promuovere invece ‘un’etichetta salutista’ che assomigli a un bugiardino per i medicinali, con i pro e i contro dell’assunzione di alcol – un anno fa gli eurodeputati chiedevano al gabinetto von der Leyen e ai 27 governi Ue di “adottare sistemi europei di etichettatura armonizzati e obbligatori sulla parte anteriore delle confezioni, sviluppati sulla base di dati scientifici solidi e indipendenti”, con l’obiettivo di “incoraggiare e aiutare i consumatori a prendere decisioni informate, sane e sostenibili”. A questo proposito può essere utile citare ancora il testo della risoluzione approvata dal Parlamento Ue il 16 febbraio dello scorso anno: “L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato l’etanolo e l’acetaldeide da metabolismo dell’etanolo contenuti nelle bevande alcoliche come cancerogeni per l’essere umano” e soprattutto “in Europa circa il 10% di tutti i casi di cancro negli uomini e il 3% nelle donne sono riconducibili al consumo di alcool”.

Irlanda notifica a Wto etichette allarmistiche su vino. Tajani scrive a Dombrowskis

Dopo aver ottenuto il via libera della Commissione europea, l’Irlanda notifica il piano di introdurre etichette allarmistiche su tutte le bevande alcoliche anche all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Una iniziativa che sarebbe un pericoloso precedente per il settore del vino e che ha già fatto saltare sulla sedia molti dei Paesi europei produttori, Italia, Francia e Spagna in testa. I tre hanno prodotto un documento congiunto che sta raccogliendo adesioni tra i 27 per bloccare l’iniziativa, anche perché l’Europarlamento ha espresso parere negativo prima dell’ok della Commissione.

Proporrò all’Irlanda una mediazione che può aiutarli a rendere più chiara la loro etichetta e soprattutto garantire corretta informazione“, assicura il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. La scorsa settimana, il ministro ha incontrato l’omologo irlandese ma la questione, spiega, è sul piano della salute. Orazio Schillaci parlerà quindi con il collega di Dublino e sta già attivando il confronto con la comunità scientifica. “Eccessi e abusi vanno combattuti, ma un uso moderato garantisce, come la la scienza afferma, benessere“, ricorda Lollobrigida. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, scrive una lettera al vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrowskis, in cui spiega che l‘Italia resta disponibile a “individuare soluzioni” sulla questione, ma si riserva di “assumere tutte le iniziative ritenute opportune in sede europea e internazionale a tutela della libertà degli scambi“. Il rischio, avverte, è che si crei una “distorsione” negli scambi internazionali, “equivalente a una restrizione quantitativa“. In altre parole, per Tajani, il provvedimento, oltre a essere criticabile sotto il profilo del diritto europeo, “potrebbe innescare una reazione a catena che finirebbe con il danneggiare l’insieme dell’Unione“.

Sul piede di guerra il Comité Européen des Enterprises Vins, il Comitato europeo delle imprese del Vino: “L’Irlanda ha deciso di non modificare una sola virgola del progetto notificato al Wto nonostante il fatto che non meno di 13 Stati membri – Croazia, Repubblica ceca, Danimarca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Spagna – abbiano espresso commenti critici sul disegno di legge irlandese durante il processo di consultazione dell’Ue“, spiega Ignacio Sánchez Recarte, Segretario Generale del Cev. Il “blitz” irlandese sulle etichette, fa sapere Coldiretti, è un danno enorme per l’Italia, principale produttore ed esportatore mondiale, con oltre 14 miliardi di fatturato in un settore che dà lavoro dal campo alla tavola a 1,3 milioni di persone. Il periodo per la presentazione delle opposizioni scade tra 90 giorni. “Viene realizzato all’estero più della metà del fatturato del Vino italiano per un totale di 8 miliardi nel 2022 che – sostiene Coldiretti – potrebbero essere messi a rischio dal diffondersi di ingiustificati allarmi in etichetta mirati a contenere i consumi di un prodotto presente sulle tavole da migliaia di anni e che fa parte a pieno titolo della dieta mediterranea”.

Vino, ok a risoluzione contro la norma su etichettatura dell’Irlanda

Oltre i colori politici, la parola d’ordine è unanimità. Contro la norma irlandese, avallata dalla Commissione Ue, che vorrebbe etichette sulle bottiglie di vino come per i pacchetti delle sigarette, la commissione Agricoltura della Camera mostra un volto dell’Italia che mancava da mesi. Perché sulla risoluzione presentata dalla vice presidente Maria Cristina Caretta (FdI) convergono i voti di tutte le forze politiche sull’impegno al governoad adoperarsi in tutti i tavoli europei di competenza per scongiurare l’introduzione della normativa, valutando, se del caso, la sussistenza dei presupposti per promuovere un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea, anche in coordinamento con altri Paesi europei che condividono il medesimo posizionamento italiano“.

Non solo, perché i deputati chiedono che l’esecutivo si attivi “in tutti i tavoli internazionali di competenza, con riferimento all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) per scongiurare l’introduzione della normativa” e adotti “iniziative, anche in coordinamento con altri Paesi europei produttori ed esportatori di vino, presso le competenti sedi europee, con la finalità di scongiurare che la normativa irlandese diventi un precedente a danno delle produzioni vinicole nazionali, andando, tra le altre, oltre il perimetro tracciato dal Parlamento europeo nel voto espresso sulla risoluzione in premessa“.

Nessuna obiezione da parte delle opposizioni, che per una volta si fondono con la maggioranza per dire ‘no‘ a messaggi del tipo ‘nuoce gravemente alla salute‘ sulle bottiglie di uno dei prodotti d’eccellenza del Made in Italy nel mondo. “La commissione ha fatto una cosa importante, perché tutti i partiti, all’unanimità, hanno votato una decisione forte: quella di dare mandato al governo di utilizzare tutti gli strumenti per contrastare questa introduzione in etichetta dell’indicazione del rischio per la salute“, dice a GEA il presidente della commissione Agricoltura, Mirco Carloni. Sottolineando che “non è certamente il prodotto a significare il problema quanto l’abuso“, perché “l’Italia, che è il maggior produttore di vino, ha il minor numero di alcolizzati, mentre l’Irlanda, che ne è il minor produttore, ha invece il più alto numero di alcolizzati“. Per l’esponente della Lega ci sono eccome “le condizioni per adire alla Corte di giustizia” e “a livello internazionale – continua – la questione è esperibile anche dinanzi gli organi di soluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio“.

Carloni parte da un presupposto: “Credo che un’azione come quella di iscrivere in etichetta che il vino fa male alla salute è un atto ostile verso l’Italia, che dobbiamo bloccare in tutti i modi“. Da qui parte il ragionamento per la risoluzione votata all’unanimità dalla sua commissione. Che riceve il plauso delle associazioni di categoria, come Assobirra: “Esprimo il mio sincero plauso alla risoluzione approvata all’unanimità che supporta l’azione governativa per ripristinare una corretta applicazione del diritto dell’Ue in materia di etichettatura delle bevande alcoliche“, dichiara infatti il presidente, Alfredo Pratolongo. Che ricorda come la priorità sia quella di tutelare il comparto vinicolo e birrario. Due prodotti che sono, per dirla con le parole di Carloni, “elemento di identità culturale dell’Italia“.

Vino, a Bruxelles va in scena il ‘fiasco della discordia’ dell’Irlanda

L’Irlanda, in Europa, mostra il ‘fiasco della discordia‘. La decisione di inserire in etichetta anche sui vini indicazioni di rischio per la salute, col beneplacito della Commissione Ue ma non dell’Europarlamento, ha fatto saltare sulla sedia l’Italia per prima. Ora però anche Francia e Spagna, altri due grandi produttori, sentono la minaccia della scure sulle esportazioni e si allineano a Roma.

Abbiamo predisposto un documento di lavoro che verrà sottoscritto anche da altre nazioni”, fa sapere Francesco Lollobrigida da Bruxelles, dove incontra l’omologo irlandese in occasione dell’Agrifish. Discute della questione anche con i ministri di Grecia e Portogallo, per avere una posizione comune che sia sempre più “tesa a informare correttamente, senza danneggiare le produzioni guardando a un aspetto solo della produzione”. All’irlandese Charlie McConalogue, Lollobrigida regala una bottiglia di vino italiano: “Ho avuto modo di riscontrare che non c’è ostilità da parte dell’Irlanda nei nostri confronti, che capisce cosa significa il vino per noi e il vino in generale“, racconta a margine dell’incontro. “Abbiamo avuto modo di spiegare le nostre ragioni su quello che deve essere un sistema di informazione corretto da fornire ai cittadini in cui spiegare che gli eccessi di alcol – sostiene -, come di qualsiasi cosa, portano danni ma che non devono essere confusi e diventare uno stigma per alcune produzioni che, se assunte in maniera moderata e con parsimonia, possono essere fattori di benessere”.

Quello che chiede Roma è un’etichetta che non specifichi ‘il vino danneggia la salute’ ma, ribadisce il ministro: “Un’etichetta che specifica sia quello che il vino fa, eventualmente, in termini di danni, se bevuto in eccesso, e anche quello che fa di positivo“. Esattamente come accade, afferma, “per il bugiardino dei medicinali“. E’ la differenza che corre “tra uno stigma e un’etichetta che informa in maniera più idonea la persona“.

Per spiegare le proprie ragioni, il Parlamento italiano ha iniziato le audizioni in commissione Agricoltura alla Camera. Le associazioni di categoria sono tutte sul piede di guerra e stigmatizzano il comportamento della Commissione europea: “E’ grave la mancanza di reazione, la riteniamo inaccettabile”, tuona Confagricoltura, che lamenta un “ostacolo al commercio interno” e “un precedente, che possiamo definire inquietante“. Si valuterà quindi un ricorso alla corte di Giustizia con l’organizzazione mondiale del commercio. “E’ importante coordinarsi con gli altri Stati per prendere una decisione contro i comportamenti unilaterali che vanno a compromettere il mercato unico“, precisa la responsabile del Settore vitivinicolo e olivicolo, Palma Esposito. “Attaccando il Vino, esempio emblematico di qualità, si attacca la distintività e qualità del nostro settore agroalimentare“, le fa eco Luigi Scordamaglia, di Coldiretti. L’approccio adottato dalla Commissione è “incomprensibile e strabico“, scandisce, perché che “da un lato si attacca il vino e dall’altra non ci sono indicazioni specifiche sui prodotti iper-processati. Si usano due pesi e due misure e si avvalla questo attacco e tentativo di omologare l’alimentazione e i prodotti di qualità“.

Il professore Mariano Bizzarri, patologo clinico alla Sapienza di Roma, porta ai deputati studi del proprio laboratorio e articoli internazionali che attribuiscono al vino “valore nutraceutico“, non solo nutritivo, ma anche curativo: “Fornisce all’organismo energia, vitamine, elementi essenziali e questo non può essere messo in discussione“, afferma. Un’assunzione regolare e moderata, ricorda, “svolge un ruolo importante nell’ambito della prevenzione di patologie croniche e degenerative, le patologie cardiovascolari, le patologie legate alle capacità cognitive e della memoria, nel trattamento delle patologie metaboliche come il diabete e infine nell’ambito dei tumori“. Nel dettaglio, “riduce il rischio di morte cardiaca del 40%” e “nei forti fumatori, l’uso moderato riduce l’incidenza del tumore al polmone del 60%“. “E’ utile come terapia anticancro – assicura il professore -. Abbiamo dimostrato che in base alla concentrazione dei diversi cultivar rispetto al controllo la capacità di proliferare del tumore si riduce in funzione delle concentrazioni delle componenti del Vino. Per concentrazioni elevate la crescita va a zero“. Parla persino della ‘ebbrezza dei due bicchieri nel lavoro’: “Una quantità moderata di vino amplifica le capacità di connessioni e di lavoro del cervello“. Ma per capire questo, ricorda, “bastava leggere Baudelaire o Sartre“.

 

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Vino

Vino, Lollobrigida promette battaglia: “Etichettatura Irlanda inaccettabile”

Qualunque iniziativa che preveda uno “stigma” sugli effetti del vino per la salute umana è “inaccettabile“. Sulla decisione dell’Irlanda di etichettare le bottiglie di vino con fini legati alla difesa della salute Francesco Lollobrigida è tranchant.

Lunedì a Bruxelles, durante l’Agrifish, incontrerà l’omologo irlandese Charlie McConalogue: “Gli esporrò le nostre ragioni, fiducioso di trovare punti di condivisione e superare le divisioni sulle vedute“, fa sapere. Poi affonda: “Lo aiuterò regalandogli una bottiglia di vino in modo che possa constatare che non abbiamo alcuna intenzione di danneggiargli la salute“.

La battaglia in Europa è annunciata: “Non accetteremo mai sistemi di etichettatura degli alimenti che, come il Nutriscore, producono effetti discriminatori verso le eccellenze alimentari alterando il mercato e condizionando le persone“, assicura. Per il governo Meloni è in discussione la tutela della qualità dei prodotti italiani. L’impressione è che chi propone questo sistema di etichettatura, ribadisce Lollobrigida, “nasconda dietro l’alto richiamo alla tutela della salute umana un più pratico intento a impedire ai prodotti di eccellenza italiani, quale è il vino, di affermarsi sul proprio mercato”.

Il complesso di obblighi per la creazione di una etichettatura specifica per i prodotti destinati al mercato irlandese potrebbe per il ministro di Fratelli d’Italia portare le nostre aziende ad abbandonare quel mercato o a dissuadere gli operatori nel farvi ingresso. Ma le restrizioni che impediscono direttamente o indirettamente gli scambi presenti o potenziali all’interno dell’Unione europea sono, ricorda, “vietate dai trattati dell’Unione“. E’ per questo motivo che il 12 gennaio l’Italia ha inviato una lettera al commissario europeo del mercato interno Thierry Breton denunciando gli effetti distorsivi che l’iniziativa irlandese avrebbe per il mercato.

Ma l’intenzione del ministro dell’Agricoltura è “ristabilire la verità“, rivendica. Perché la misura irlandese, afferma, non è giustificata da nessuna evidenza scientifica. E’ vero, invece, che i rischi di salute per i consumatori dipendono dalle modalità di consumo, dal regime alimentare, dallo stile di vita. Da qui, l’intenzione di promuovere una serie di studi insieme al ministro della Salute Orazio Schillaci sugli effetti del consumo degli alimenti. Non solo: è stato aperto un canale diplomatico con i ministri dell’Agricoltura di Francia e Spagna, “danneggiati anche loro da questo tipo di indicazione“, per promuovere azioni condivise allo scopo di ribadire la necessità di lavorare sulla distinzione tra abuso e consumo responsabile di alcol.

Non può passare una norma del genere. Posso dirlo? Una norma del genere mette in discussione l’Europa, gli Stati uniti d’Europa. In America non succederebbe mai“, tuona il governatore Veneto Luca Zaia. La sua è tra le Regioni che esportano di più. “I Paesi che vogliono imporre questa norma sono quelli del Nord, che non hanno agricoltura e quindi devono inventarsi qualcosa. È uno scontro che va avanti da decenni“, lamenta. Da Bruxelles “ne arriva una al giorno“. Il riferimento è “ai grilli, agli insetti, alle larve… che poi: anche questi faranno male in dosi eccessive, no? Lo scriveranno sulle etichette? Di questo passo mi aspetto la stretta anche sui formaggi: anche di questi siamo tra i maggiori produttori mondiali“. Dal Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, governatore e presidente della Conferenza delle Regioni, assicura l’impegno dei territori: “Siamo i primi produttori al mondo di vino. E’ una nostra eccellenza e intendiamo difenderla per evitare danni alla produzione e all’immagine internazionale delle nostre aziende. Pensare di ridurre il consumo di alcolici attraverso etichette-allarmistiche è “superficiale e sbagliato“, spiega. Così, insiste, “si mette in discussione la stessa qualità dei nostri vini, che è fatta di ricerca, cultura e passione”.