Vino, Lollobrigida promette barricate in Ue: “Le bugie nuocciono alla salute”

“Non tollerabile”. Così il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida definisce il via libera della Commissione europea alla decisione dell’Irlanda di etichettare come pericolose per la salute le bevande alcoliche (quindi anche il prezioso vino Made in Italy), sottolineando che stigmatizzare il vino serve a indirizzare il consumatore verso altri prodotti, magari iper-processati, come le bevande ad alta presenza di zuccheri, oppure a convincere che tra un vino da 13-14 vino e i distillati a 60-70 gradi non ci sia differenza, a difendere le loro produzioni dalle espansioni del buon vino”. E, senza mezzi termini, dichiara: “Sono le bugie che nuocciono gravemente alla salute”.

Il ministro si esprime anche in merito al cibo sintetico, prendendo parte proprio all’evento organizzato dalla Coldiretti contro questa ‘minaccia’ che Lollobrigida non fatica a definire “barbarie, non è progresso”.
Per poi proseguire: “Non ci convincerà mai nessuno che un prodotto iper-processato sia davvero utile alla salute dell’uomo e all’economia della nostra nazione” e promettendo barricate in Europa per difendere questa posizione. “In Europa ci siamo trovati che per tanti anni alcuni paesi facevano gli interessi per le proprie filiere e altri, come l’Italia, che facevano l’interesse per un utopico modello europeo che non esisteva, ce ne siamo accorti con le politiche energetiche e con la fase iniziale del Covid. L’Europa va ricostruita”, insiste.

L’agroalimentare italiano è sotto attacco, denuncia Coldiretti. Aggredito, appunto, dalle prime richieste di autorizzazione alla messa in commercio di carne, pesce e latte sintetici, dalla minaccia delle etichette allarmistiche sul vino, dal semaforo del Nutriscore che boccia le eccellenze del nostro Paese, dalla difesa delle denominazioni più tipiche con l’attesa sentenza sul Prosek, una “palese imitazione del Prosecco che è il vino più venduto a livello mondiale”.
Nel 2023 potrebbero essere già presentate le prime richieste di via libera all’arrivo sulle tavole in Europa per la carne prodotta in laboratorio come novel food dopo il via libera della Fda negli Stati Uniti. Una “minaccia letale” per Ettore Prandini, sia per l’agricoltura italiana, sia per la salute dei consumatori e la biodiversità del pianeta, contro la quale sono state già raccolte quasi 400mila firme. È stata invece rinviata almeno all’autunno 2023 la presentazione della proposta di regolamento a conferma delle perplessità sull’etichetta a colori manifestate dall’Italia e da altri Paesi. Il Nutriscore è infatti un sistema di etichettatura “fuorviante, discriminatorio e incompleto”, denuncia Coldiretti, che “finisce paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta”.
I sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia senza tenere conto delle porzioni, escludendo paradossalmente dalla dieta l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine.

Zaia: Le rinnovabili sono il futuro, ma vanno tutelati paesaggio e turismo

Dal futuro dell’energia al turismo, passando per agroalimentare, Pnrr e inflazione. E’ a tutto campo l’intervista concessa dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, a GEA nella quale analizza la situazione attuale del suo territorio e dello sviluppo del Paese.

Presidente, “I pessimisti non fanno fortuna” è il suo nuovo libro però con guerra e bollette alle stelle è difficile non essere pessimisti. Si parla di possibile recessione, qual è la temperatura delle aziende venete?

Lo scrivo anche nel libro che parlare di ottimismo in questo momento storico non è facile. Stiamo vivendo le conseguenze di due cigni neri, come il matematico libanese Nassim Nicholas Taleb definisce gli eventi eccezionali ed imprevedibili dalle grandi ripercussioni sulla vita umana. Con una grave pandemia non ancora conclusa, da alcuni mesi ci dobbiamo misurare con una terribile guerra alle porte d’Europa, le cui conseguenze non sono solo umanitarie ma anche economiche e finanziarie toccando direttamente le tasche e la vita della gente. Ma nel bagaglio di memoria del nostro popolo ci sono altre e numerose esperienze che sembravano insormontabili e sono state sempre superate anche quando sembrava impossibile: due cigni neri non sono il black out dell’umanità. Gli stessi dati ci disegnano per il Veneto un tessuto produttivo che sta affrontando grandi difficoltà ma ancora sano. Nonostante le dinamiche negative, che frenano la vitalità produttiva a causa dell’aumento della bolletta energetica, infatti, i bollettini di dicembre delineavano una crescita del Pil veneto del 3,4%, prevedendo un sostanziale equilibrio nell’anno appena iniziato.

Per ridurre le bollette si punta sempre di più sulle rinnovabili. In estate la sua Regione ha approvato una legge per il fotovoltaico a terra. Prevede un aumento di impianti solari o eolici in Veneto?

La legge approvata è una norma di buon senso, come la ho definita appena varata. Ha lo scopo di condurre la nostra Regione verso la transizione energetica, raggiungendo l’obiettivo di decarbonizzazione fissato entro il 2050. Per farlo, va a determinare quali sono le aree idonee e non per l’installazione di impianti fotovoltaici, specificando in modo approfondito quali sono gli indicatori necessari per distinguere un’area destinabile all’installazione da un’altra; questo con l’obbiettivo di produrre energia rinnovabile ma senza stravolgere il paesaggio che contraddistingue il Veneto e i nostri preziosi terreni agricoli. Ritengo che le energie rinnovabili sono il futuro e soprattutto una necessità imprescindibile ma la sfida si gioca non solo sui numeri delle installazioni ma anche sulla capacità di darsi regole equilibrate in modo da conciliare lo sviluppo con l’evidente necessità di tutela della bellezza del territorio; non solo dal punto di vista ambientale ma anche come patrimonio che contribuisce a fare del Veneto la regione più turistica d’Italia con 70 milioni di presenze all’anno.

Altro tema legato alle rinnovabili è quello legato alla siccità. Si parla da tempo del piano invasi. A che punto siamo?

Una rete appropriata di invasi è fondamentale per disporre di un serbatoio che sia una vera riserva idrica. Per farla puntiamo sullo sfruttamento di un sistema di microinvasi, approfittando di cave non più in attività oltre che di quelli già esistenti. Questa estate ci siamo trovati di fronte a difficoltà oggettive con il cuneo salino che ha risalito i fiumi, arrivando come nel caso di Caorle, a minacciare le riserve di acqua potabile. La stessa situazione ne Po’ e nell’Adige può configurarsi una gravissima minaccia per l’irrigazione della produzione agricola. La soluzione della rete di invasi è quindi fondamentale, affiancata ad altre azioni anche affidate al singolo. La dispersione idrica è enorme, arrivando in alcuni casi al 70%. Le riserve sono indispensabili e strategiche ma anche le accortezze che ognuno può prendere sono più che utili.

Il Pnrr. Secondo lei va sempre cambiato come sostiene anche il governo?

Torno a citare il Cigno nero di Nassim Nicholas Taleb. La guerra in Ucraina ha cambiato la storia e, purtroppo, anche la vita di tutti i giorni. Pensavamo che il covid fosse stato un punto estremo nella nostra vita ma, invece, ci siamo visti costretti a misurarci con le ripercussioni di un conflitto che ci coinvolge estremamente da vicino. La ripresa dalla pandemia è stata ragionata con una visione che oggi dovrà essere ricalibrata sulle esigenze che si sono sommate di conseguenza ai nuovi scenari internazionali”.

Sempre restando in ambito Pnrr, secondo lei si riuscirà a spendere tutti gli oltre 200 miliardi o c’è il rischio di aumentare il debito pubblico e di non utilizzare le risorse?

Duecentotrenta miliardi di euro sono un’occasione irripetibile. Sarebbe poco piacevole, nelle condizioni di questo paese, ritrovarsi che non si riescono a pendere. Come Veneto abbiamo presentato 16 progetti per un valore di oltre 7 miliardi di euro. Siamo certi del fatto nostro e stiamo parlando un quadro che potrebbe creare 110.000 posti di lavoro.

Fra 3 anni ci sono le Olimpiadi di Milano-Cortina. Come procedono le opere?

Di pochi giorni fa è la notizia che la variante di Longarone è stata inserita in un elenco di opere Anas per le quali a gennaio partiranno gli appalti. È un ulteriore passo avanti verso le Olimpiadi invernali 2026 di Milano-Cortina perché l’arteria è un nodo centrale dell’infrastrutturazione olimpica in Veneto. Si tratta di un investimento di quasi 400 milioni di euro, una struttura viaria che accoglierà, poco dopo l’uscita dall’A27, nel miglior modo possibile squadre, atleti, sportivi e turisti diretti a Cortina e provenienti dalla pianura via gomma. Un’opera che resterà in eredità dopo i Giochi, facilitando e rendendo più sicuro l’accesso alle nostre montagne. È prevista anche la variante di Cortina che qualora non dovesse essere pronta per l’evento olimpico resterà comunque come opera successiva, senza contare numerose altre opere che giorno dopo giorno prenderanno forma. Realizzeremo poi la nuova pista bob, dimettendo quella vecchia risalente al 1928, recupereremo il trampolino e faremo il villaggio olimpico, che rimarrà in eredità al territorio.

Ogni tanto spuntano polemiche ambientalistiche sui Giochi invernali. Lei però ribatte dicendo che saranno Olimpiadi sostenibili. In che senso?

I giochi olimpici, a Cortina, si svolgeranno in un ambiente Patrimonio dell’Umanità Unesco. Questo ci impone un’attenzione particolare al territorio che per definizione è unico e di valore. Questo significa che quindi qualsiasi intervento dovrà essere improntato con il mantenimento dell’ambiente, anche perché oltre a quello green c’è pure un interesse turistico nella tutela del paesaggio. Per comprendere sostenibilità finanziaria e ambientale, è stato condotto uno studio specifico. È stato dato particolare risalto alle opere per più consono inserimento dell’opera nell’ambiente boschivo della zona. Verranno piantate molte essenze, mirate al recupero di un ciclo delle piante che dovranno essere abbattute o a quelle che già erano giunte al limite della vita utile. Per gli spostamenti saranno prediletti mezzi a basso impatto ambientale.

Oltre ai rincari energetici ci sono quelli alimentari. Lei è un sostenitore, anche quando era ministro dell’Agricoltura, dell’indipendenza alimentare. Cosa intende? Il governo ha creato un fondo per la sovranità alimentare, sta andando nella giusta direzione?

Ero ministro a via XX Settembre, quando parlai io per la prima volta di ‘Sovranità alimentare’. Trovo inconcepibile che, fino ad oggi, un paese come il nostro non abbia mai compiutamente e approfonditamente guardato in faccia la materia. In un momento storico dove la guerra in Ucraina sta mettendo in difficoltà le grandi produzioni e la catena attraverso la quale arrivano agli utenti è necessario dare una risposta. Non ricercare la via per l’indipendenza alimentare significa dover essere sempre dipendenti dagli altri totalmente”.

Rimanendo in ambito agro-alimentare, non si può non sottolineare comunque il record storico di fatturato del vino, in particolare del Prosecco. È una tendenza che continuerà? Quali conseguenze potrà avere anche nel turismo?

Il Prosecco è per noi l’emblema di una viticoltura eroica. Il fatturato raggiunto possiamo definirlo un traguardo storico per la nostra terra che si accompagna ad altre grandi realtà enologiche come, ad esempio, l’Amarone. Sono immagini di un successo produttivo che si configura non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi. Quando nel mondo si parla di bollicine si associano subito al Prosecco in tutti i continenti. Certamente, il settore enologico è anche un grande richiamo turistico per la nostra regione, confermato anche dal riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità Unesco delle Colline del Prosecco. Un territorio simbolo della nostra storia e della nostra cultura rurale, vero anello di congiunzione tra un altro patrimonio Unesco come le Dolomiti e la pianura con le città d’arte e il litorale, di grandissimo richiamo, con Venezia e la sua Laguna. Dove si mangia e si beve ci si torna; se poi anche l’arte e il paesaggio sono vere eccellenze…

Ultima domanda: la Regione Veneto ha creato la fondazione Venezia capitale mondiale della sostenibilità. Lei l’ha definita “un nuovo rinascimento”. Dopo pandemia, guerra e crisi energetica, può nascere veramente un nuovo mondo sostenibile?

Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità è un progetto innovativo che coinvolge le istituzioni amministrative e culturali attorno a un piano condiviso di rilancio della città e del suo territorio per fare di Venezia un modello che guarda al futuro. È un momento importante per la storia del Veneto che si consacra un modello internazionale di sinergia tra enti pubblici, istituzioni accademiche e forze imprenditoriali a beneficio del territorio e della sua gente. Il lavoro svolto fino ad ora conferma che in tutta questa emergenza pandemica non abbiamo mai smesso di pensare al domani della nostra regione, anzi. Noi crediamo in questo processo perché la Regione assegna la massima importanza al futuro di Venezia come Capitale Mondiale della Sostenibilità e l’obbiettivo. La sostenibilità è l’unico futuro plausibile per la città più bella del mondo ma anche più fragile. Per preservarla e valorizzarla servirà fare un grande lavoro di squadra, e la squadra c’è ed è ai massimi livelli.

Energia rinnovabile dagli scarti del vino: Ecomondo incorona ‘Legàmi di vite’

Scarti della vinificazione che diventano elettricità rinnovabile in Emilia Romagna, un progetto per promuovere l’agricoltura biologica, l’agroecologia, la tutela della biodiversità nelle Colline Metallifere, una tecnologia di accumulo dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. Il Premio Sviluppo Sostenibile 2022, istituito per il dodicesimo anno dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e dall’Italian Exhibition Group con il patrocinio del Mite, ha messo sul podio le aziende italiane leader della green economy e lo ha fatto nell’ambito di Ecomondo, che si svolge a Rimini. “Il Premio -ha dichiarato Edo Ronchi, presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile – è nato per far conoscere e promuovere le migliori pratiche e migliori innovazioni nei vari settori della green economy. Ogni anno abbiamo visto crescere il numero delle aziende che vi hanno partecipato e la qualità dei progetti: un buon segno di vitalità delle nostre imprese e delle start up che stanno facendo della sostenibilità la loro cifra”. Anche quest’anno sono state premiate quelle realtà imprenditoriali che si sono particolarmente distinte per eco-innovazione, efficacia dei risultati ambientali, positivi risultati economici e occupazionali, nonché della loro potenziale di diffusione.

Nell’ambito della sezione ‘Economia circolare’- in collaborazione con il Circular Economy Network – il primo premio è andato a Caviro Extra Spa di Faenza, per il progetto ‘Legàmi di vite’, con il quale ha raggruppato importanti aziende vitivinicole dell’Emilia Romagna per la gestione e la valorizzazione circolare dei sottoprodotti e degli scarti della vinificazione per produrre elettricità rinnovabile, biometano e ammendanti compostati. Con il bio-LNG prodotto si alimentano così i mezzi impiegati per il trasporto del vino e dei sottoprodotti. I risultati? Si risparmiano risorse ed energia, si riduce la Co2, viene prodotta energia rinnovabile attraverso buone pratiche agricole e di gestione dei suoli. La principale innovazione è l’integrazione di filiera, fra imprese, nella gestione integrata e circolare, dei sottoprodotti e degli scarti.

Il principale punto di forza di ‘Legàmi di vite’ risiede nel fatto che, per la prima volta, le aziende partecipanti, concorrenti sul mercato, hanno scelto di fare sistema per creare insieme un modello di business sostenibile”, spiega Carlo Dalmonte presidente del Gruppo Caviro. “Esistono Legàmi indissolubili – continua Dalmonte – possibili solo grazie ai 600 dipendenti e ai 12.000 soci viticoltori che ogni giorno contribuiscono con impegno e passione al nostro modello virtuoso di Economia Circolare”. Le imprese coinvolte quotano oltre il 25% del fatturato italiano del mondo vino e oltre il 21% del fatturato sull’export. L’ambizioso progetto prevede investimenti in economia circolare per oltre 90 milioni di euro di cui il 40%, circa 36 milioni di euro, sostenuti da finanziamenti pubblici a quota capitale e l’impatto occupazionale di questi interventi è di circa 70 unità lavorative annue.

Primo premio nella sezione ‘Capitale naturale’, invece, a Il Drago Aps di Marsiliana di Massa Marittima , per il progetto di associazione, nel distretto delle Colline Metallifere toscane, delle aziende di produzione, di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli. Il merito è di aver coinvolto anche il mondo della ricerca, della formazione, per promuovere, sostenere e diffondere l’agricoltura biologica e l’agroecologia, le produzioni locali di qualità, i consumi a filiera corta, la tutela della biodiversità, la valorizzazione sostenibile del territorio. Coinvolgendo in particolare 35 agricoltori e 8 trasformatori, questo progetto, grazie a una innovativa azione integrata territoriale, ha consentito di raggiungere rilevanti risultati ambientali, buoni risultati economici e la diffusione di buone pratiche.

Va, infine, alla milanese Energy Dome il gradino più alto del podio come start up per il clima. L’azienda ha sviluppato il progetto CO2 Battery: una tecnologia di accumulo di energia elettrica, generata da fonti rinnovabili discontinue, che sfrutta le proprietà della CO2 con un processo termodinamico innovativo che, nell’impianto dimostrativo realizzato in Sardegna, ha raggiunto buoni livelli di efficienza con costi contenuti. La tecnologia di CO2 Battery consentirebbe, qualora la sua industrializzazione ne confermasse le performance, di differenziare e facilitare anche l’approvvigionamento e ridurre i costi delle materie prime utilizzate nelle batterie di accumulo.

vino atacama

I vigneti di Atacama, il gusto del deserto in un bicchiere di vino

Nel mezzo del deserto di Atacama, nell’estremo nord del Cile, Hector Espindola, 71 anni, cura il suo vigneto, che sopravvive a quasi 3.000 metri di altitudine in un’oasi verde a Toconao, vicino a un torrente nato dallo scioglimento delle nevi andine. In questo paesaggio, uno dei maggiormente aridi del mondo, si trovano i vigneti più alti del Cile, lontani dalla grande area vinicola del centro, 1.500 km a sud, che fa di questo Paese uno dei primi 10 esportatori di vino mondiali. Oltre all’altitudine, quest’area deve fare i conti con temperature sotto lo zero di notte e con un’estrema radiazione solare di giorno.

Nella sua piccola tenuta di Toconao, a circa 40 chilometri da San Pedro de Atacama, Espindola coltiva moscato e un “vitigno di campagna” (criollo) a 2.475 metri di altitudine, all’ombra di alberi di mele cotogne, pere e fichi, che irriga con l’acqua di un vicino torrente. Il flusso gli permette di irrigare “ogni tre o quattro giorni per inondazione” durante la notte, spiega ad Afp. “Vedo che, irrigando in questo modo, produco un po’ di più ogni anno. Ma bisogna stare attenti perché qui il caldo e il clima sono questioni serie“, insiste.

Il viticoltore porta il suo raccolto alla cooperativa Ayllu, che dal 2017 riunisce 18 piccoli viticoltori della zona, la maggior parte dei quali sono membri del popolo indigeno di Atacama e che fino ad allora lavoravano individualmente nelle loro tenute di poche centinaia di metri quadrati. Tra questi c’è Cecilia Cruz, 67 anni, che vanta il vigneto più alto del Paese, a 3.600 metri di altitudine, a Socaire. Produce syrah e pinot nero all’ombra dei filari. “Mi sento molto speciale ad avere questo vigneto qui e a produrre vino a questa altitudine“, dice, in piedi in mezzo alle piantagioni, dove alcuni grappoli d’uva sono ancora appesi ad asciugare dopo la vendemmia. Spera di sviluppare ulteriormente la sua produzione in modo che i suoi tre figli abbiano “un futuro“.

IL GUSTO DEL DESERTO

Nel 2021, la cooperativa ha ricevuto 16 tonnellate di uva che hanno permesso la produzione di 12.000 bottiglie. La vendemmia è stata migliore nel 2022 con oltre 20 tonnellate che dovrebbero dare 15.000 bottiglie. Una goccia nel mare (circa l’1%) della produzione nazionale cilena, ma un territorio unico che l’enologo Fabian Muñoz, 24 anni, sta cercando di valorizzare creando blend specifici. “Non vogliamo perdere questo know-how, questo sapore di deserto, di roccia vulcanica e, naturalmente, il sapore dell’uva, che è diverso. Vogliamo che il consumatore dica a se stesso quando assaggia un vino Ayllu: ‘Wow! Assaggio il deserto di Atacama’“. La chimica Carolina Vicencio, 32 anni, che lavora presso la cooperativa, spiega che l’altitudine e la minore pressione atmosferica, così come l’escursione termica molto ampia tra il giorno e la notte, rendono la buccia dell’uva più spessa. “Questo genera più molecole di tannino nella buccia dell’uva, che danno una certa amarezza al vino (…) C’è anche la maggiore salinità della terra (…) che porta un tocco di mineralità in bocca“, spiega.

Nel suo vigneto ai piedi delle Ande, Samuel Varas, 43 anni, ha finalmente piantato il malbec dopo aver testato diversi vitigni. Con il suo partner agronomo, si è reso conto che l’elevata quantità di boro nel terreno stava uccidendo le sue colture. “Ci siamo resi conto di due cose: che c’era un vitigno, il malbec, che si adattava e che quelli che crescevano meglio erano quelli sotto i carrubi“, spiega. Così hanno sostituito tutto con il malbec, hanno ombreggiato l’intero vigneto e lo hanno dotato di un sistema di irrigazione a goccia per sfruttare al massimo i miseri 20 litri d’acqua al secondo che ricevono dallo scioglimento della neve sulle Ande. Grazie a questi cambiamenti, negli ultimi tre anni hanno raddoppiato la produzione annuale, consegnando alla cooperativa 500 kg di uva nell’ultima vendemmia.

(Photo by MARTIN BERNETTI / AFP)