Addio a Fulco Pratesi: una vita spesa per l’ambiente

(Photo credit: Wwf)

Il mondo dell’attivismo ambientale piange Fulco Pratesi. Architetto, giornalista, autore, disegnatore, fondatore del Wwf Italia di cui è stato a lungo presidente, aveva 90 anni, la maggior parte dei quali passata a difendere la natura e progettare un futuro più verde. Era sposato dal 1960 con Fabrizia de Ferrariis Salzano e lascia quattro figli e sei nipoti.

Nel 1965 abbandona la professione di architetto per dedicarsi alla conservazione della natura e l’anno successivo fonda il Wwf Italia, ne diventa vicepresidente nel 1970 e poi presidente dal 1979 al1992e dal 1998 al 2007. Dal 1975 al 1980 è anche presidente della Lipu. È stato membro della Consulta per la Difesa del Mare e del Consiglio Nazionale dell’Ambiente. Dall’aprile 1992 al marzo 1994 è stato deputato nel Parlamento italiano nel gruppo dei Verdi. Giornalista specializzato in argomenti ecologici e naturalistici, ha diretto, dal 1979e per molti anni, la rivista per ragazzi L’Orsa. Collaboratore storico del Corriere della Sera su natura e animali, in passato ha scritto anche per L’Espresso oltre a numerose riviste del settore: celebre la sua rubrica mensile Ecologia domestica su La Nuova Ecologia. Il suo era un impegno a 360 gradi: proverbiali le sue battaglie contro la caccia (per impedire ai cacciatori di entrare nei fondi privati), che lo portarono a ricevere insulti e minacce. Ma anche per la salvaguardia delle creature marine, dai cetacei alla foca monaca, dalle reti spadare. Aveva una grande passione per i piccoli uccelli e per gli ambienti di palude, considerati malsani dai più e invece visti da Fulco, giustamente, come ecosistemi ricchissimi di biodiversità. “Se considereremo la natura e il nostro Pianeta come un posto da conquistare e dominare, allora sarà la nostra fine”, ha ripetuto nell’ultima intervista. Il suo ultimo articolo, dedicato a Federico II, è pubblicato in questi giorni su Panda.

“Oggi – dice Luciano Di Tizio, presidente del Wwf Italia – sento, insieme a tutto il popolo del Wwf, un vuoto immenso: abbiamo perso un padre e una insostituibile fonte di saggezza. Lo salutiamo commossi e infinitamente tristi, ma anche con una certezza: il Wwf continuerà ogni giorno a onorare la sua memoria, perseguendo con convinzione i suoi stessi ideali. Fulco sarà sempre con noi”.

Tanti i messaggi di cordoglio per la sua scomparsa, soprattutto da parte del mondo dell’associazionismo e del volontariato ambientale, ma anche della politica. “Con Fulco Pratesi – dice il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichettoscompare una figura di riferimento per l’ambientalismo italiano: lungo tutta la sua vita, da fondatore del Wwf Italia e negli incarichi istituzionali, così come da giornalista e divulgatore, ha saputo trasmettere la sua autentica passione per la natura. Rivolgo un pensiero di cordoglio e vicinanza ai suoi familiari”. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, lo ricorda come “un infaticabile propulsore di valori, idee e iniziative, non ultime le leggi per la protezione della fauna e per l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali, ma per l’intera nazione, che perde un interprete autentico dell’articolo 9 della Costituzione, laddove annoverando il paesaggio tra gli elementi del nostro patrimonio culturale sancisce quell’indispensabile armonia nel rapporto tra uomo e natura necessaria allo sviluppo sostenibile del Paese”. Per la segretaria del Pd, Elly Schlein, la scomparsa di Pratesi è “una perdita per tutte e tutti quelli che ogni giorno lavorano per difendere  il pianeta in cui viviamo”. 

“La sua passione e il suo impegno fino alla fine dei suoi giorni hanno rappresentato un insegnamento per tante generazioni di persone impegnate nella difesa dell’ambiente”, dice Ivan Novelli, presidente di Greenpeace Italia. “Ci lascia una figura fondamentale dell’attivismo ambientalista italiano che ha trasmesso a generazioni i valori di rispetto della natura, contribuendo a mettere queste tematiche all’attenzione dell’agenda politica. Il mio pensiero va agli amici della grande famiglia del WWF”, commenta il presidente generale del Cai Antonio Montani.

La camera ardente sarà aperta dalle 11.00 alle 18.00 di mercoledì 5 marzo presso la sede del Wwf Italia in Via Po 25/c a Roma. Le esequie si svolgeranno giovedì 6 marzo alle ore 10.30 presso la Chiesa Parrocchiale di San Roberto Bellarmino in Piazza Ungheria.

Allarme Wwf: “In 50 anni vertebrati selvatici calati del 73%, soprattutto in acqua dolce”

(Photo credit: © naturepl.com – Eric Baccega – WWF)

In 50 anni, dal 1970 al 2020, le diverse popolazioni di animali selvatici hanno perso in media il 73% dei loro individui, soprattutto a causa delle azioni umane. Lo rivela il ‘Living Planet Report (Lpr) 2024’ del Wwf, pubblicato pochi giorni prima dell’avvio della COP16 sulla Biodiversità in Colombia. Le conclusioni del rapporto, tuttavia, non significano che più di due terzi del numero di animali selvatici del pianeta siano scomparsi, ma che la dimensione delle diverse popolazioni (gruppi di animali della stessa specie che condividono un abitante comune) è diminuito in media del 73% negli ultimi cinquant’anni. Nella precedente edizione del report, nel 2022, il trend era del 68%.

Il Living Planet Index (LPI), fornito dalla ZSL (Zoological Society of London), si basa sui trend di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) in tutto il mondo, in un indice stabilito e aggiornato ogni due anni dalla Zoological Society di Londra (ZSL) a partire dal 1998.

L’indice è diventato un riferimento internazionale per tastare il polso degli ecosistemi naturali e analizzarne le conseguenze sulla salute umana, sull’alimentazione o sui cambiamenti climatici, nonostante le ripetute critiche degli scienziati contro il metodo di calcolo, accusato di esagerare notevolmente l’entità del declino. “Restiamo fiduciosi nella solidità” dell’indice, ha risposto Andrew Terry della ZSL, sottolineando l’uso complementare di una “serie di indicatori sui rischi di estinzione, sulla biodiversità e sulla salute degli ecosistemi per ampliare il quadro più ampio”. Ma “non si tratta solo di fauna selvatica, ma anche di ecosistemi essenziali che sostengono la vita umana”, ha avvertito Daudi Sumba, curatore capo del Wwf, durante una presentazione online.

La nuova edizione del rapporto ribadisce la necessità di affrontare congiuntamente le crisi “interconnesse” del clima e della distruzione della natura. E sottolinea la crescente minaccia di “punti critici” in alcuni ecosistemi. “I cambiamenti potrebbero essere irreversibili, con conseguenze devastanti per l’umanità”, ha avvertito Sumba, citando l’esempio dell’Amazzonia, che rischia di passare dal ruolo di “serbatoio di carbonio a emettitore di carbonio, accelerando così il riscaldamento globale. Altro esempio: la perdita dei coralli altererebbe la rigenerazione delle specie ittiche vittime della pesca eccessiva e, a sua volta, priverebbe l’umanità di preziose risorse alimentari”.

Nel dettaglio, il calo più forte si osserva nelle popolazioni delle specie di acqua dolce (-85%), seguite da quelle terrestri (-69%) e marine (-56%). “Abbiamo svuotato gli oceani del 40% della loro biomassa”, ricorda Yann Laurans del WWF Francia. Continente per continente, il calo ha raggiunto il 95% in America Latina e Caraibi, seguiti da Africa (-76%), Asia e Pacifico (-60%). La riduzione è “meno spettacolare in Europa e Asia centrale (-35%) e Nord America (-39%), ma solo perché in queste regioni gli impatti su larga scala sulla natura erano già visibili prima del 1970: alcune popolazioni si sono stabilizzate o addirittura si sono espanse grazie agli sforzi di conservazione e alla reintroduzione delle specie”, spiega il rapporto.

Il bisonte europeo, scomparso allo stato selvatico nel 1927, contava 6.800 individui nel 2020 grazie alla “riproduzione su larga scala” e alla reintroduzione riuscita, principalmente in aree protette. “Il quadro delineato è incredibilmente preoccupante”, ha affermato Kirsten Schuijt, direttore esecutivo del Wwf. “Ma la buona notizia è che non siamo ancora al punto di non ritorno”, ha aggiunto, citando gli sforzi in corso sulla scia dell’accordo sul clima di Parigi o dell’accordo di Kunming-Montreal. Quest’ultimo fissa una ventina di obiettivi di conservazione della natura che gli stati di tutto il mondo dovranno raggiungere entro il 2030.

siccità

Italia ad alto rischio siccità: in Sardegna e in Sicilia è allarme rosso

Il cambiamento climatico ha aumentato la probabilità di siccità estrema in Sardegna e Sicilia del 50%. Lo rivela uno studio di World Weather Attribution, una collaborazione internazionale che analizza e comunica la possibile influenza dei cambiamenti climatici sugli eventi meteorologici estremi, come tempeste, precipitazioni estreme, ondate di calore e siccità. Secondo i ricercatori, i cambiamenti climatici causati dall’uomo hanno aumentato la probabilità che la siccità provochi carenze idriche e perdite agricole devastanti, pari a circa il 50%, nelle isole maggiori e situazioni simili “peggioreranno con ogni frazione di grado di riscaldamento in più, evidenziando l’urgente necessità di ridurre le emissioni a zero”.

“La Sardegna e la Sicilia – dice Mariam Zachariah, ricercatrice presso il Grantham Institute – Climate Change and the Environment, dell’ Imperial College di Londra – stanno diventando sempre più aride a causa dei cambiamenti climatici. Il caldo torrido e prolungato colpisce le isole con maggiore frequenza, facendo evaporare l’acqua dai terreni, dalle piante e dai bacini idrici. Per gli agricoltori e le città che hanno sopportato mesi di restrizioni idriche, questo studio è una conferma: il cambiamento climatico sta intensificando la siccità”.

Per il Wwf, questo scenario “conferma la necessità di rimuovere molto rapidamente le cause del riscaldamento globale, in particolare l’uso dei combustibili fossili. In questo, i Paesi a maggior rischio devono fungere da esempio e stimolo, come accade per le piccole isole del Pacifico. È anche urgente rendere operativo il Piano nazionale di Adattamento e darsi priorità d’azione e finanziamenti adeguati, altrimenti saremo condannati a far fronte di continuo a emergenze, con il rischio, già annunciato dal Ministro della Protezione Civile, che i cittadini non possano più godere di alcun aiuto in occasione di eventi estremi. È ormai reale il pericolo che il cambiamento climatico mini le basi stesse dell’economia e della competitività italiana, a cominciare dal turismo e dall’agricoltura”.

Lo studio di World Weather Attribution avverte che siccità simili peggioreranno con ogni frazione di grado di riscaldamento in più, evidenziando l’urgente necessità di ridurre le emissioni a zero. In base al sistema di classificazione del monitoraggio della siccità degli Stati Uniti, le siccità su entrambe le isole sono classificate come “estreme”. Tuttavia, in un mondo più freddo di 1,3°C, senza cambiamenti climatici causati principalmente dalla combustione di combustibili fossili, sarebbero state meno intense e classificate come siccità “gravi”, secondo l’analisi. Se il mondo raggiungerà i 2°C di riscaldamento, cosa che potrebbe accadere già nel 2050, le siccità in Sardegna e Sicilia diventeranno ancora più intense e frequenti.

Lo studio evidenzia, inoltre, come l’invecchiamento delle infrastrutture idriche stia aggravando la carenza d’acqua. Una gestione efficace dell’acqua contribuirà a ridurre l’impatto delle future siccità, in particolare quando l’afflusso estivo di turisti aggiungerà ulteriore pressione ai bacini idrici durante i mesi più secchi dell’anno, affermano i ricercatori.

Ecco perché, dice il Wwf, “a partire dalla prossima legge finanziaria, quindi, ci aspettiamo misure per finanziare un’economia a carbonio zero, capace di aiutare cittadini e imprese nel percorso della transizione energetica, insieme all’identificazione delle misure prioritarie e dei finanziamenti per attuare un serio piano di adattamento”.

Allarme Wwf per la Giornata Mondiale degli Oceani: “Mediterraneo sempre più bollente, record nel 2023”

Triste primato per il Mar Mediterraneo, ormai vero e proprio hotspot del cambiamento climatico, riscaldato sempre più rapidamente e sempre più salato. A causa dell’assorbimento del calore in eccesso provocato dal surriscaldamento globale, gli oceani stanno subendo un costante aumento della temperatura sin dagli anni ’70.  Nel periodo 2011-2020 la temperatura ha subito un aumento medio dello 0,88°C rispetto al periodo 1850-1900. Le proiezioni indicano che questa tendenza continuerà. Nell’aprile 2023, infatti, la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto un nuovo record di 21,1°C. I segnali dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo, tangibili e impressionanti, sono descritti nel nuovo report del Wwf ‘Il respiro degli oceani’ lanciato in vista della Giornata Mondiale degli Oceani che si celebra l’8 giugno in tutto il mondo. Si apre così la fase della campagna Our Nature del Wwf in difesa degli oceani che vedrà la GenerAzioneMare attiva per tutta l’estate con volontari, ricercatori, velisti, pescatori, sub e apneisti impegnati nella difesa collettiva del nostro Capitale Blu con un fitto calendario di eventi che verrà lanciato nei prossimi giorni.

Il cambiamento climatico ha già avuto impatti significativi e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi marini in tutta la sua estensione, generando conseguenze rilevanti su settori economici cruciali come la pesca e il turismo, oltre che sulla nostra salute e alimentazione. L’impatto più rilevante è però sul ruolo chiave che hanno gli oceani per la termoregolazione del clima globale (con il sistema  di correnti oceaniche, noto come ‘Nastro Trasportatore’ o ‘Circolazione Termoalina’ che trasporta le acque calde dalle regioni tropicali verso le latitudini più elevate, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso i tropici in un ciclo continuo), la produzione di ossigeno (50% dell’ossigeno generato sul nostro Pianeta, in gran parte attribuibile al fitoplancton marino) e l’assorbimento di anidride carbonica (ogni anno circa un quarto dell’anidride carbonica che viene emessa, corrispondente ad almeno il 30% di tutte le emissioni di CO₂ generate dalle attività umane in tutto il mondo). Sotto il peso degli effetti del cambiamento climatico globale il ‘respiro’ degli oceani è sempre più in affanno: è necessaria un’azione urgente per abbattere ulteriori emissioni di gas serra e per aumentare la resilienza dell’ecosistema marino agli impatti del cambiamento climatico, proteggendo la biodiversità.

Nel report vengono descritte 6 case history che riguardano il Mare Nostrum: tropicalizzazione del Mediterraneo orientale, aumento delle specie aliene invasive, proliferazione di meduse, perdita delle praterie di Posidonia oceanica, scomparsa delle gorgonie, mortalità di massa della Pinna nobilis. Eppure, è proprio nella difesa della biodiversità la nostra salvezza contro gli effetti del cambiamento climatico: le specie marine a tutti i livelli della catena alimentare contribuiscono allo stoccaggio naturale a lungo termine del ‘carbonio blu’, trasferendolo dalla superficie alle profondità oceaniche e ai sedimenti. Questo concetto è noto come “Fish carbon”, che rappresenta le interazioni del carbonio tra tutti i vertebrati marini che contribuiscono al sequestro del carbonio negli oceani, tra cui tartarughe, uccelli marini, mammiferi come balene e delfini e pesci come squali, tonni e sardine.

Le praterie di Posidonia, oltre a fungere da habitat essenziale per numerose specie marine, sequestrano circa 5.7 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Si stima che le praterie di Posidonia abbiano immagazzinato tra l’11% e il 42% delle emissioni totali di CO2 dei Paesi mediterranei dall’epoca della Rivoluzione Industriale. Il fitoplancton, nonostante la sua dimensione microscopica, sintetizza sostanze organiche e genera ossigeno attraverso la fotosintesi, contribuendo a produrre oltre il 50% dell’ossigeno terrestre e a catturare circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40% di quella prodotta. Questo valore equivale a quello di quattro foreste amazzoniche. Ogni balena può immagazzinare circa 33 tonnellate di CO2, una cifra sorprendente se confrontata con la modesta capacità di stoccaggio di carbonio di un albero medio, che si attesta a meno di 50 kg all’anno. Le specie di squali che effettuano migrazioni verticali e orizzontali, come le verdesche (Prionace glauca) e le mante, svolgono un ruolo fondamentale nel trasporto di nutrienti e nel controllo della produzione primaria del fitoplancton. Grazie alle sue migrazioni orizzontali e verticali, anche il tonno rosso contribuisce a fertilizzare il mare con i propri scarti, aumentando la biomassa del fitoplancton e quindi il sequestro di carbonio e la produzione di ossigeno.

Il Wwf indica nel report diverse soluzioni concrete per contrastare gli impatti del cambiamento climatico, a cominciare dall’abbattimento delle emissioni climalteranti e dalla transizione energetica. È indispensabile, inoltre, proteggere il prezioso scrigno di biodiversità nonché scudo contro il cambiamento climatico che è il Mar Mediterraneo, prima fra tutte la protezione efficace del 30% del suo spazio marittimo entro il 2030. Questo richiede l’istituzione di una rete efficace e coerente di Amp (Aree Marine Protette) e altre misure di protezione spaziale, di cui il 10% deve essere strettamente protetto. Questa sfida è particolarmente impegnativa considerando che attualmente solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e meno del 2% è protetto in modo veramente efficace, mentre la superficie totale delle aree a protezione integrale rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo.

Inoltre, proteggere i corridoi ecologici vitali per la sopravvivenza di numerose specie migratorie come le balene, favorire lo sviluppo di una pesca più sostenibile, e pianificare l’utilizzo dello spazio marittimo rispettando l’ecosistema marino, sotto la guida della Direttiva Europea. L’Italia purtroppo è ancora in procedura di infrazione per non avere implementato un piano di gestione dello spazio marittimo. Inoltre, mentre l’Unione Europea si impegna nella decarbonizzazione, l’Italia ha concesso deroghe per l’estrazione petrolifera e deve ancora definire le aree adatte per lo sviluppo delle energie rinnovabili offshore, evidenziando una carenza di prospettiva a lungo termine sia per l’ambiente che per gli aspetti socioeconomici correlati.

foreste

Il 19 maggio è l’Overshoot day italiano: esaurite tutte le risorse annuali a disposizione

Se tutta l’umanità consumasse come gli italiani, il 19 maggio 2024 avremmo “esaurito” tutte le risorse naturali del Pianeta e inizieremmo a consumare le risorse “previste” per il 2025. Il 19 maggio è l’Overshoot day italiano, come segnala il Global Footprint Network, che ogni anno misura la domanda di risorse e servizi da parte di una popolazione (in questo caso gli italiani) e l’offerta di risorse e servizi da parte dei loro ecosistemi. Come spiega il Wwf, anche quest’anno per l’Italia il consumo di risorse naturali supera la capacità del nostro Paese di generarne nuove: siamo in deficit ecologico, in altre parole spendiamo più delle risorse che abbiamo e immettiamo in atmosfera più CO2 della capacità che hanno gli ecosistemi di assorbirla. Oggi per soddisfare i consumi annui degli italiani sarebbero necessarie più di 4 Italie. E per il Wwf “è necessario invertire questo trend”.

La data dell’Overshoot day varia a seconda del Paese, e anche di anno in anno, poiché i comportamenti e le politiche di sfruttamento delle risorse naturali non sono uguali per tutti. I dati dimostrano che ogni anno l’Overshoot Day si verifica sempre più precocemente, segnalando l’aumento della pressione sui sistemi naturali del Pianeta. E quest’anno, a livello globale, sarà il 25 luglio. In Italia, spiega il Wwf, “non siamo ai livelli di Qatar e Lussemburgo – che già a febbraio facevano toccare il fondo alle risorse del Pianeta – né di Emirati Arabi, Stati Uniti e Canada (seguiti anche da paesi europei come Danimarca e Belgio) che hanno esaurito le risorse già a marzo”. Siamo comunque molto alti nella classifica dei Paesi che consumano più rapidamente le proprie risorse.

Con 4 ettari globali (gha) pro capite, l’impronta ecologica di ciascuno dei 60 milioni di abitanti dell’Italia è notevolmente superiore alla biocapacità che ha disponibile (pari a 1 gha). L’Italia ha in generale una impronta più bassa della media europea (4,5 gha procapite) e leggermente inferiore a quella di Francia e Germania (rispettivamente 4,3 e 4,5 gha pro capite) ma superiore all’impronta della Spagna (3,9 gha pro capite). L’impronta dell’Italia è determinata principalmente dai trasporti e dal consumo alimentare. Concentrarsi su questi due ambiti legati alle attività quotidiane, dice il Wwf, “offrirebbe quindi le maggiori possibilità di invertire la tendenza e ridurre l’impronta degli italiani”.

“Investire in energie rinnovabili, adottare pratiche di produzione e consumo responsabili e promuovere la conservazione ambientale – dice Eva Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf Italia – sono alcune delle vie che possiamo intraprendere per ridurre la nostra impronta ecologica e garantire un futuro sostenibile alla nostra e alle future generazioni. Agire troppo lentamente e lasciare che il cambiamento climatico prenda il sopravvento, distruggerà buona parte delle capacità rigenerative del Pianeta. Serve agire rapidamente, invece, lasciando così all’umanità più opzioni, più biocapacità e una porzione maggiore di risorse naturali”.

Ponte sullo Stretto, via libera alla relazione sul progetto finale. Salvini: “In funzione nel 2032”

Il Ponte sullo Stretto prende corpo. Con il via libera del Consiglio di amministrazione della Stretto di Messina spa alla Relazione del progettista di aggiornamento al progetto definitivo del 2011, può completarsi l’iter ministeriale, con l’invio al Mit (che dovrà indire la Conferenza dei servizi) e al ministero dell’Ambiente della documentazione completa, per poi arrivare alla tappa finale del Cipess, che avrà il compito di approvare il progetto finale e il piano economico-finanziario, che si stima possa arrivare già alla metà del 2024.

Il Cda, inoltre, ha approvato l’aggiornamento della documentazione ambientale, in particolare lo Studio di impatto ambientale (Sia), lo Studio di incidenza ambientale (Sinca) e la Relazione di ottemperanza e della relazione paesaggistica; l’analisi costi-benefici, che ha evidenziato come il progetto sia in grado di generare un Valore attuale netto economico (Vane) ampiamente positivo con un Saggio di rendimento interno del 4,5% superiore al livello minimo previsto dalla normativa vigente (3%); l’aggiornamento del Piano degli espropri e il programma di opere anticipate.

È un grande risultato ottenuto in pochi mesi grazie all’impegno del governo, in particolare del ministro Salvini, e al lavoro del Contraente generale Eurolink, della società Stretto di Messina e dei nostri altri contraenti ed esperti nelle diverse discipline ingegneristiche legate al Ponte“, commenta l’amministratore delegato della Sdm, Pietro Ciucci. “Si conferma un progetto straordinario, tecnicamente all’avanguardia e di riferimento a livello internazionale. Dopo i molti ponti ‘Messina Style’ costruiti nel mondo, è il momento di realizzarlo nello Stretto di Messina“.

Intanto, il ministero di Porta Pia è già al lavoro. Il vicepremier, Matteo Salvini, ha subito convocato l’incontro istituzionale per presentare la relazione del progettista, al quale hanno preso parte, oltre a Ciucci e al presidente della Stretto di Messina spa, Giuseppe Recchi, anche i presidenti della Regione Siciliana, Renato Schifani, della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, e i sindaci di Villa San Giovanni, Giuseppina Caminiti, e Messina, Federico Basile. Poche parole in apertura di confronto: “Per me è una grande soddisfazione, vi ringrazio“, viene riferito da fonti del Mit. Sulle tempistiche è ancora Salvini, ma al question time del Senato, a confermare le date: “L’intenzione è aprire i cantieri entro quest’anno e aprire al traffico stradale e ferroviario entro il 2032“.

Il tema ‘Ponte’ resta comunque caldo nel dibattito pubblico. Tra le prime reazioni c’è quella del Wwf, contraria all’opera, che definisce l’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina “una fuga in avanti che ricade sulle spalle del Paese, visto che ad oggi il Governo ha immobilizzato sino al 2032 ingenti risorse senza avere stime credibili sull’entità dei costi finali dell’opera, sulla sua redditività dal punto di vista economico-finanziario, sulle pesantissime ricadute sull’ambiente e il territorio“. Nei giorni scorsi, invece, i leader di Pd, Europa verde e Sinistra italiana, Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, avevano annunciato di aver presentato un esposto in Procura per la poca trasparenza sull’infrastruttura. In particolare per il mancato accesso alla documentazione, negata – denunciano – anche ai parlamentari. “Attendiamo ora di esaminare i documenti per una valutazione approfondita, inclusa un’analisi costi-benefici che evidenzi l’impatto positivo del progetto“, commenta Bonelli. Accusa, però, che fonti della società Stretto di Messina hanno più volte respinto al mittente, spiegando che non c’è stato alcun diniego ma solo un rinvio per aspettare che l’iter interno fosse completato, come prescrive la legge. Ma che una volta approvato tutto sarebbe stato pubblico. Cosa che, dopo il via libera del Cda, dovrebbe avvenire a stretto giro di posta.

 

Photo credit: ministero delle Infrastrutture e dei trasporti

Piano Mattei, Meloni rivede leader africani in 16 bilaterali. Ambientalisti su barricate

Dopo il vertice Italia-Africa, Giorgia Meloni rivede alcuni capi di Stato e di Governo del continente, per ascoltare le singole esigenze. Nel summit di ieri al Senato, il presidente della commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, ha denunciato una mancanza di coinvolgimento dei Paesi africani nella stesura del Piano Mattei.

L’ossatura del progetto c’è, ma “nulla è definito“, assicura la premier. Il piano conta su una dotazione iniziale di 5,5 miliardi e si articola su cinque pilastri (istruzione e formazione; salute; agricoltura; acqua; energia), ma il continente è immenso e le esigenze molto diverse. Nelle prossime settimane partiranno le prime missioni operative in una serie di Paesi pilota.

Il Piano “non è certo un punto di arrivo ma di confronto, con tutti i vertici del continente africano, per fare sempre di più“, conferma il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato. Le guerre in corso e la crisi nel Mar Rosso, ricorda, hanno ricadute strategiche ed economiche sui Paesi africani ma anche sull’Europa: “Sicurezza e prosperità dei due continenti sono strettamente legati, proprio per questo è fondamentale investire risorse in Africa in settori chiave“, scandisce.

La prima ministra approfitta della presenza dei leader e in due giorni organizza sedici bilaterali. Colloqui che, spiega Palazzo Chigi, “sono l’occasione per avere uno scambio di idee sul rilancio delle relazioni con il continente africano, anche alla luce della presidenza italiana del G7“.

La premier incontra il presidente di turno dell’Unione africana, Azali Assoumani, che, a differenza di Faki, considera il vertice un “successo, sia nella forma che nel contenuto“: “Il Piano Mattei nessuno può contestarlo, bisogna pubblicarlo perché tutti possano vederlo. E’ un piano molto buono, ora bisogna renderlo concreto e non si può fare in un giorno o in un anno“, ha spiegato nella conferenza stampa dopo il vertice Italia-Africa.

A un anno dalla sua visita a Tripoli, Meloni incontra il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdulhamid Dabaiba e fa il punto sulla cooperazione in ambito migratorio, anche alla luce della collaborazione instaurata con la Tunisia a livello di Ministri degli Interni. L’incontro serve anche a verificare le opportunità di rafforzare il partenariato in atto in ambito energetico, che la Libia “desidera estendere alle fonti rinnovabili“, fanno sapere fonti interne. Il Governo libico si dice pronto a cooperare per l’attuazione del Piano, dove avrebbe particolare interesse ai settori della formazione e dell’energia. Nell’ambito del processo politico, Meloni ribadisce il sostegno agli sforzi del Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU, Abdoulaye Bathily, per sbloccare l’impasse e favorire un accordo politico di ampio respiro che possa spianare la strada verso le elezioni.

A margine del vertice, la premier incontra il Presidente tunisino Kais Saied. Tra Roma e Tunisi c’è un partenariato che abbraccia tutti i settori della cooperazione bilaterale. Con il Piano Mattei, in Tunisia, verranno potenziate le stazioni di depurazione delle acque non convenzionali per irrigare un’area di otto mila ettari e si creerà un centro di formazione dedicato al settore agroalimentare.

Tra i colloqui, c’è anche il Capo del Governo del Regno del Marocco, Aziz Akhannouch. A quasi vent’anni di distanza dall’ultimo incontro a livello Capi di Governo tra le due nazioni, il colloquio registra il sostegno marocchino al Piano Mattei per l’Africa e al progetto italiano di realizzare un centro di eccellenza per la formazione professionale sul tema delle energie rinnovabili. Trapela dal bilaterale anche la volontà di approfondire la collaborazione in ambito economico ed energetico, attraverso l’organizzazione di un “business forum” in Marocco. Gli altri incontri di Meloni sono con il presidente kenyota, William Samoei Ruto, quello del Mozambico, Filipe Jacinto Nyusi, e il presidente del Senegal, Macky Sall, il presidente dello Zimbabwe, Emmerson Dambudzo Mnangagwa. I lavori hanno permesso anche dei brevi incontri con il primo ministro di Sao Tome e Principe, Patrice Trovoada, e il presidente della Repubblica Centrafricana, Faustin-Archange Touadera. I colloqui proseguono con il primo ministro etiope, Abiy Ahmed Ali, vicepresidente della Costa d’Avorio, Tiémoko Meyliet Kone, il presidente dell’Eritrea, Isaias Aferweki, della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, e della Repubblica del Congo, Denis Sassou-N’Guesso, oltre che il presidente della Banca Africana di Sviluppo, Akinwumi Adesina.

Mentre la premier tesse i dettagli del piano con i singoli Paesi, però, le associazioni ambientaliste salgono sulle barricate. Nel capitolo energia, che è il più importante, le fonti rinnovabili diventano secondarie, lamentano. “Protagonista è ancora il gas, insieme ai disegni Eni sui biocarburanti. È una visione miope sul futuro energetico del Paese e sul concetto di transizione ecologica“, scrivono Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente, e Wwf Italia.

L’unico obiettivo del Piano, per gli ecologisti, è quello di trasformare l’Italia in un “hub energetico del gas“, attraverso una cooperazione che passa dall’Africa e “dalle fonti inquinanti, aumentando la dipendenza energetica del Paese“. Una scelta che definiscono “insensata e anacronistica“, di più: “neocoloniale“, come è stato sottolineato in una lettera aperta della società civile africana.
Il Piano sembra lontano dagli impegni di Dubai, dove si è sancito l’impegno a una ‘transition away from fossil fuels’ cioè la fuoriuscita da gas, petrolio e carbone: “l’Italia dovrà dire in che modo intende procedere in tal senso“. Le associazioni chiedono un incontro all’esecutivo per un confronto sul tema e per presentare il “vero piano energetico green e sostenibile che serve al Paese”.

Il Wwf celebra la Giornata degli Elefanti. In Sud-Est Asia e Cina ne restano solo 8-11mila esemplari

Photo credit: WWF @Cede Prudente

In occasione della Giornata mondiale dell’elefante, che si celebra ogni anno il 12 agosto, il Wwf lancia l’Alleanza per gli elefanti asiatici (Asian Elephant Alliance, AEA) per garantire un futuro a questa specie in cui la perdita e la frammentazione degli habitat siano finalmente ridotte e dove persone ed elefanti possano vivere fianco a fianco in modo sostenibile. La Giornata mondiale dell’elefante è stata istituita in Thailandia poco più di dieci anni fa proprio con lo scopo di far conoscere questi pachidermi a livello globale e con l’obiettivo di ottenere il sostegno necessario per risolvere le minacce che la specie sta affrontando. Solo con uno sforzo collettivo che possa mettere insieme governi, settore privato, società civile e cittadini si potranno sostenere le azioni di conservazione necessarie per salvare gli elefanti.

L’Asian Elephant Alliance proprio nasce nello spirito della Giornata mondiale dell’elefante, che è quello dell’azione collettiva – ha dichiarato Natalie Phaholyothin, ceo del Wwf-Thailandia -. Dobbiamo riconoscere che le sfide per la conservazione degli elefanti nella nostra regione non possono essere risolte lavorando autonomamente“.

Gli elefanti asiatici sono minacciati a livello globale, ma lo sono particolarmente nel Sud-est asiatico e in Cina, con una popolazione ridotta a solo 8.000-11.000 individui distribuiti in otto Paesi dell’area: Cambogia, Cina meridionale, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. La perdita e la frammentazione dell’habitat, il conflitto con la specie umana, il bracconaggio e l’isolamento delle piccole popolazioni hanno provocato un forte declino in tutta la regione.

Gli elefanti asiatici sono fisicamente grandi e occupano uno spazio enorme anche nell’immaginario culturale e nell’identità della regione – ha dichiarato Lan Mercado, direttore regionale del Wwf Asia-Pacifico -. Dobbiamo lavorare per invertire il trend negativo, gestendo allo stesso tempo il conflitto derivante l dalle interazioni con le persone, per permettere alle comunità locali che hanno vissuto al loro fianco di mitigare i conflitti e non soffrire in modo sproporzionato. Abbiamo bisogno di alleati degli elefanti“.

Per arrestare questo allarmante declino della popolazione in queste regioni e creare una coesistenza sostenibile con l’uomo, il Wwf intende collaborare con i principali attori che possono influenzare positivamente il futuro dei pachidermi nel Sud-est asiatico e in Cina. L’obiettivo dell’iniziativa regionale è quello di collaborare per replicare modelli di conservazione di successo che vadano a beneficio sia degli elefanti che delle persone. Un esempio è l’approccio dei ‘paesaggi viventi’ sperimentato nel Sabah, in Malesia, dove un’azienda agricola privata collabora con il Wwf e il governo locale per garantire la connettività degli habitat e la presenza di abbondanti fonti di cibo per gli elefanti del Borneo. Questo progetto ha come diretta conseguenza una minore perdita di raccolti per le comunità locali e per l’azienda, e un miglioramento degli habitat per gli elefanti e gli altri animali selvatici.

Appello del Wwf al governo: “Serve volontà politica per un’alimentazione sostenibile”

(Photocredit: Wwf)

“E’ necessario essere consapevoli, a tutti i livelli, che l’attuale sistema alimentare è la prima causa della perdita di biodiversità, anche in Italia, uno dei Paesi europei con maggior ricchezza floristica e faunistica, ma anche che la salute delle persone dipende direttamente dalle condizioni di salute dell’ambiente. Grande influenza su questo binomio uomo-ambiente ce l’ha quello che scegliamo – e siamo messi in grado di selezionare – per la nostra tavola”. Lo dice il Wwf alla vigilia del vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari, che si svolgerà a Roma dal 24 al 26 luglio.

Per questa occasione l’associazione ambientalista ha pubblicato il documento di approfondimento ’10 regole d’oro per un sistema alimentare di valore: come costruire in Italia un futuro sostenibile per le persone e l’ambiente’. Si tratta di una serie di raccomandazioni rivolte al governo sulla base degli aspetti di criticità del nostro sistema alimentare, che propone delle soluzioni “non impossibili, ma al contrario indispensabili per evitare l’escalation di impatti e problematiche su ambiente e società, su cui la scienza ci sta avvisando da decenni”.

Si va, ad esempio, dall’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici che “impoveriscono i suoli, fanno strage di biodiversità e causano problemi alla salute dei cittadini” agli sprechi alimentari, dagli allevamenti intensivi “che provocano inquinamento e dipendenza dal mercato globale delle commodity che causano deforestazione, pesca eccessiva che sta depauperando il Mediterraneo”. Ma si parla anche dello spettro di nuove diseguaglianze sociali (soprattutto nelle zone più colpite da gravi fenomeni climatici), della Politica agricola comunitaria, di dipendenza dai combustibili fossili e di “scarsa programmazione di politiche del cibo a livello nazionale, urbano e metropolitano”.

Il settore, spiega Eva Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf, “necessita di una transizione all’insegna della sostenibilità e dell’ecologia per invertire la rotta e restituire al cibo il suo valore intrinseco che sia in grado di tutelare biodiversità e clima, tanto quanto i diritti di lavoratrici e lavoratori, fino alla salute e sicurezza dei cittadini”. L’organizzazione si appella alla “volontà politica” per tutelare il mercato e gli agricoltori e rendere più sostenibile “la governance del cibo”.

Una reale transizione, dice Alessi, “è possibile, dal campo e dal mare fino alla tavola. Senza un vero cambiamento le future generazioni erediteranno un pianeta gravemente danneggiato in cui gran parte della popolazione soffrirà sempre più di malnutrizione e malattie prevenibili”

Allarme del Wwf: a rischio metà delle specie di squali nel Mediterraneo

(Photocredit: Wwf Italia)

Oltre la metà delle specie di squali presenti nel Mediterraneo sono a rischio: si tratta della percentuale più alta rispetto al resto degli oceani. A lanciare l’allarme è il Wwf in occasione della Giornata mondiale degli squali che si svolge il 14 luglio. L’organizzazione lancia, quindi, un appello a tutti i Paesi del bacino affinché “mettano in atto le misure vincolanti emanate dalla Commissione Generale della Fao per la pesca nel Mediterraneo e dalla Cites, recentemente adottate e che potrebbero migliorare la gestione della pesca e del commercio di squali e razze “e aiutare il recupero delle 42 specie appartenenti a questo gruppo e ancora minacciate.

Ma quale è il ruolo degli squali nel Mediterraneo? Con le temperature del mare in salita, spiega il Wwf, popolazioni sane di squali e razze svolgono anche un ruolo ‘insospettabile’ e importante nel mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, aumentando con la loro presenza e attività il sequestro del carbonio e supportando la biodiversità marina.

Si stima, spiega Giulia Prato, responsabile Mare del Wwf Italia, “che la cattura degli squali impedisca di ‘stoccare’ negli oceani fino a 5 milioni di tonnellate di carbonio. Popolazioni sane di squali e razze possono quindi contribuire, come accade anche per le grandi balene, al fondamentale ciclo del carbonio ‘blu’ del nostro oceano e contribuire a mitigare l’impatto del cambiamento climatico”.

E se da un lato il Wwf plaude alle recenti misure volte a garantire una pesca più sostenibile di squali e razze nel Mediterraneo e a proibire presto la pesca ricreativa di 39 specie, dall’altro mette in guardia rispetto alla loro efficacia, che potrebbe essere pericolosamente compromessa dalla lenta attuazione a livello nazionale. Alcune specie a rischio critico di estinzione come la Vaccarella, l’Aquila di mare e la Rinottera, infatti, rimangono ancora prive di protezione in Mediterraneo e di misure di gestione. “Ritardare le azioni di gestione – spiega l’organizzazione – mette in costante rischio le specie minacciate di squali e razze e compromette la sostenibilità a lungo termine delle attività di pesca e dell’intero ecosistema marino”.

Il Wwf chiede, quindi, alle istituzioni italiane di sviluppare un Piano d’Azione Nazionale (Npoa) per la salvaguardia e gestione di squali e razze, attraverso l’istituzione di un tavolo interministeriale di coordinamento e in consultazione con gli esperti della comunità scientifica, i pescatori e le organizzazioni della società civile. Un piano di questo tipo, infatti, “permetterebbe di rispondere agli impegni presi in modo armonico, migliorando la raccolta dati a livello nazionale, prevedendo misure di mitigazione e gestione delle catture accidentali sulla base delle migliori conoscenze scientifiche e di protezione degli habitat essenziali e delle specie a rischio”.

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