L’inflazione cala ancora a dicembre: +0,6 su base annua. Carrello della spesa rallenta a +5,3%

Nel mese di dicembre 2023, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, aumenti dello 0,2% su base mensile e dello 0,6% su base annua (da +0,7% del mese precedente), confermando la stima preliminare. In media, nel 2023 i prezzi al consumo registrano una crescita del 5,7% (+8,1% nel 2022). Al netto degli energetici e degli alimentari freschi (l’Inflazione di fondo), i prezzi al consumo crescono del 5,1% (+3,8% nell’anno precedente) e al netto dei soli energetici del 5,3% (+4,1% nel 2022).

Il rallentamento su base tendenziale dell’inflazione, spiega Istat, è dovuto per lo più ai prezzi dei beni energetici regolamentati (che accentuano la loro flessione da -34,9% a -41,6%), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,6% a +3,6%) e degli alimentari lavorati (da +5,8% a +4,9%); un sostegno alla dinamica dell’inflazione invece deriva dall’attenuarsi del calo dei prezzi degli energetici non regolamentati (da -22,5% a -21,1%) e dall’accelerazione di quelli degli alimentari non lavorati (da +5,6% a +7,0%).

L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto, per lo più, alla crescita dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,4% anche a causa di fattori stagionali), dei beni alimentari non lavorati (+0,7%) e dei beni non durevoli (+0,5%); gli effetti di questi aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi degli energetici, sia regolamentati (-3,2%) sia non regolamentati (-2,1%).

A dicembre, secondo quanto comunica l’Istat, i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona – il cosiddetto ‘carrello della spesa’ – rallentano lievemente su base tendenziale da +5,4% a +5,3%, come anche quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +4,6% a +4,4%).

Complessivamente, nel 2023 i prezzi dei beni energetici non regolamentati aumentano in media d’anno del 7,5% (da +44,7% nel 2022), con una decelerazione della dinamica tendenziale nei quattro i trimestri del 2023, arrivando a -20,4% nell’ultimo trimestre, dal +38,6% del primo. In rallentamento quasi tutte le componenti: i prezzi dell’energia elettrica mercato libero (che frenano da +132,1% a +1,8%), quelli del Gasolio per riscaldamento (da +38,4% a -8,2%), degli altri carburanti (da +33,3% a -11,1%), del gasolio per mezzi di trasporto (da +22,1% a -2,0%), quelli della Benzina (da +11,8% a +1,9%) e quelli dei combustibili solidi (da +12,2% a +11,5%); i prezzi del gas di città e gas naturale mercato libero, prodotto introdotto nel paniere dei prezzi al consumo nel 2022, registrano una variazione in media d’anno nel 2023 pari a +6,7%”.

“Nel 2023 i prezzi dei Beni alimentari accelerano del 9,8% (da +8,8% nel 2022), per effetto principalmente di quelli degli Alimentari lavorati (da +8,5% a +10,9%), nonostante il progressivo rallentamento evidenziato dal secondo trimestre (+12,9%, da +15,2% del primo trimestre, finendo a +6,0% del quarto)”, sottolinea l’istituto di statistica. “Gli alimentari non lavorati, invece, ridimensionano la loro variazione media annua, da +9,1% nel 2022 a +8,1%, grazie alla decelerazione osservata nell’ultimo trimestre (+5,9%, dal +9,1% raggiunto nel terzo trimestre)”.

Svolta in Corea del Sud: stop al commercio di carne di cane

Svolta in Corea del Sud: il Parlamento ha approvato una legge che vieta il commercio di carne di cane, una pratica tradizionale che gli attivisti descrivono da tempo come una vergogna per il Paese. L’Assemblea nazionale sudcoreana ha votato a favore della legge (208 favorevoli, 0 contrari), che entrerà in vigore dopo un periodo di grazia di tre anni. L’allevamento, la vendita e la macellazione di cani da consumo saranno puniti con una pena detentiva fino a tre anni e una multa di 30 milioni di won (20.800 euro). JungAh Chae, direttore esecutivo di Humane Society International/Korea, ha accolto con favore l’adozione del testo: “Oggi i nostri legislatori hanno agito con decisione per rendere questo testo una realtà. Sono lieta che la Corea del Sud possa ora chiudere questo misero capitolo della sua storia e guardare a un futuro” che rispetti i cani, ha aggiunto.

La carne di cane è stata a lungo parte integrante della cucina sudcoreana, con un milione di esemplari uccisi ogni anno per il cibo, ma il consumo è diminuito drasticamente negli ultimi anni, poiché sempre più coreani adottano animali domestici. Tra i giovani cittadini, mangiare carne di cane è ormai un vero e proprio tabù e gli attivisti per i diritti degli animali hanno aumentato la pressione sul governo affinché legiferasse in materia.

Il sostegno ufficiale al divieto è cresciuto sotto l’egida del Presidente Yoon Suk Yeol, un dichiarato amante degli animali che ha adottato diversi cani e gatti randagi insieme alla First Lady Kim Keon Hee, a sua volta critica sul consumo di carne di cane.

In un nuovo sondaggio pubblicato lunedì dal think tank Animal Welfare Awareness, Research and Education di Seoul, nove persone su dieci in Corea del Sud avevano già dichiarato di non aspettarsi di mangiare carne di cane in futuro. I precedenti tentativi di divieto avevano incontrato la dura opposizione degli allevatori di cani da consumo. Il disegno di legge mira a offrire un risarcimento per consentire alle aziende di ritirarsi dal commercio. Secondo i dati ufficiali, circa 1.100 allevamenti di cani allevano centinaia di migliaia di esemplari ogni anno, che vengono serviti nei ristoranti di tutto il Paese.

In Corea, la carne di cane viene generalmente consumata come prelibatezza estiva, poiché si ritiene che la carne rossa grassa – invariabilmente bollita per renderla più tenera – aumenti l’energia per aiutare a sopportare il caldo. La legge sulla protezione degli animali in vigore in Corea del Sud mirava principalmente a prevenire la crudele macellazione di cani e gatti, ma non ne vietava il consumo. Tuttavia, le autorità hanno usato la legge e altre norme igieniche per reprimere gli allevamenti di cani e i ristoranti in vista di eventi internazionali come le Olimpiadi di Pyeongchang del 2018.

Stop alla carne coltivata, ultimo passaggio alla Camera. Ma è scontro con l’opposizione

L’ultimo step. Dopo il via libera del Senato, ora manca solo il passaggio nell’aula di Montecitorio per approvare in via definitiva il disegno di legge che vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati, nonché il divieto della denominazione di carne per quei prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. In poche parole, quello che due scuole di pensiero chiama, rispettivamente, carne sintetica (i contrari) o carne coltivata (i favorevoli). Il ddl è firmato dal ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che sin dal primo momento in cui il tema è balzato agli onori delle cronache per la discussione aperta a Bruxelles, si era schierato decisamente dalla parte del no. Soprattutto per difendere la qualità dei prodotti italiani e dei produttori. Da questo assunto prende corpo il provvedimento.

Tesi che non ha mai convinto una parte consistente delle opposizioni. Ad esempio i Cinquestelle, che invece sono molto d’accordo con questa nuova tecnica, al punto che il garante e co-fondatore del Movimento, Beppe Grillo, tramite il suo blog, diffuse nel marzo scorso un post per raccontare l’esperienza della società californiana Good Meat, che ha ricevuto il via libera della Food and drug administration per vendere il suo prodotto a base di pollo coltivato in laboratorio. Da allora la posizione del M5S non è mai cambiata: “Un provvedimento ideologico, che non porta alcun vantaggio all’Italia o agli italiani, se non ad alcune specifiche categorie“, commenta infatti la deputata Carmen Di Lauro, bocciando il ddl del governo e della maggioranza in discussione alla Camera. “Pur di difendere gli interessi di allevatori e produttori di carne, il governo se ne infischia della salute degli esseri umani, dell’ambiente, del benessere animale e del progresso scientifico“, rincara la dose la parlamentare pentastellata. Che è in buona compagnia, perché dal Pd è il capogruppo in commissione Agricoltura di Montecitorio, Stefano Vaccari, intervenendo in aula durante la discussione generale sul ddl, ad accusare l’esecutivo di aver varato “un provvedimento nato per dare fiato alla propaganda piuttosto che per intervenire su un tema complesso che avrebbe richiesto equilibrio, responsabilità e assonanza con le indicazioni dell’Unione europea“. Non è da meno Eleonora Evi, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputata di Avs: “Oscurantista, retrogrado, ideologico, dannoso e potenzialmente un salasso per i cittadini italiani: questa è, a mio avviso, la descrizione di questo ddl che non smentisce l’azione repressiva e punitiva che questo governo ha dimostrato finora“.

La maggioranza, però, non si scompone e tira dritto. “Il governo sta dimostrando grande coraggio nel difendere i prodotti di qualità e questo disegno di legge sulla Carne sintetica lo dimostra. Con questo provvedimento salvaguardiamo il prodotto d’eccellenza italiano e, allo stesso tempo, il valore del lavoro di agricoltori e allevatori“, replica alle accuse la vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Augusta Montaruli. “La carne coltivata è pericolosa“, commenta in aula il vicepresidente di Noi moderati, Pino Bicchielli. Che aggiunge: “Gli esperimenti sulla carne coltivata sono un grande business, e vengono spesso giustificati col tema della sostenibilità ambientale, ma per Coldiretti viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali e, soprattutto, non ci sono garanzie sulle conseguenze dell’assunzione da parte del corpo umano di prodotti sostanzialmente chimici“. L’ultima parola spetta comunque all’aula di Montecitorio. Anche se non sono in vista ‘sorprese’ dell’ultimo secondo.

Frutta e verdura sempre più care: la risposta potrebbe arrivare dagli agromercati

Il cibo costa troppo e nel carrello finisce sempre meno. Causa caro-prezzi, gli italiani devono rivedere le proprie scelte nutrizionali quotidiane, e la risposta, in Italia come in Europa, sembra essere nei mercati agricoli all’ingrosso. Perché è qui che si determina il prezzo di ciò che poi finisce sugli scaffali, ed è qui che si può ad avere un prezzo ‘giusto’, a riprova di inflazione. Il ragionamento è stato lanciato in Parlamento europeo, con un evento apposito – ‘Mercati all’ingrosso, centro dell’agroalimentare europeo’ – organizzato dal capo delegazione di Forza Italia, Salvatore De Meo. “I mercati all’ingrosso sono il luogo fisico dove i prodotti acquisiscono un valore aggiunto nel confezionamento, nel controllo della qualità, nella tracciabilità e nella formazione trasparente del prezzo nell’interesse dei produttori e del consumatore finale”.
A dare una prima idea del problema è Herbert Dorfmann (Svp/Ppe), membro della commissione Agricoltura. “Soprattutto nel settore dell’ortofrutta la situazione sta diventando allarmante”, denuncia. “Se vado al supermercato, sulla mela che pago 2,99 euro, se va bene l’agricoltore prende 30 centesimi. Questo margine non è soddisfacente”. In pratica c’è una situazione per cui “da una parte c’è un consumatore che mangia meno, perché il prodotto costa troppo, e dall’altra parte c’è un produttore in difficoltà perché guadagna poco”.

In Italia il caro-prezzi intanto incide. “Il 22% degli italiani non compra prodotti di ortofrutta perché non ce la fa. Vuol dire che 2,6 milioni di italiani non mangiano”, denuncia Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia – Coldiretti. Anche lui, come De Meo, chiede maggiore attenzione e coinvolgimento per i mercati agroalimentari all’ingrosso. “Senza di essi non si riesce a capire il prezzo di produzione. Vogliamo quindi un prezzo più equo e più trasparente”. Scordamaglia chiede però l’intervento della politica per cambiare un modello che penalizza il ‘made in’. “Sull’ortofrutta pesa il costo della logistica”, sottolinea. “Abbiamo il costo più elevato in Europa: 1,12 euro a chilometro”. Il suggerimento del presidente di Filiera Italia – Coldiretti è dunque quello di fare uso de i fondi del Piano per la ripresa (Pnrr) per interventi sulla logistica, oltre che per favorire “contratti di filiera che includano i mercati all’ingrosso”.

Anche perché, dati alla mano, questi mercati tornano utili come ‘ammortizzatori’ dell’inflazione all’interno della filiera. Secondo un’analisi Ambrosetti diffusa per l’occasione , “a fronte di una crescente pressione sui costi operativi, i mercati hanno ammortizzato l’inflazione il 53,1% delle volte nell’ultimo anno”, tra febbraio 2022 e febbraio 2023. Più nello specifico i mercati agroalimentari all’ingrosso hanno contrastato il rialzo dell’inflazione “per almeno un mese in tutti i prodotti”. Indicazioni chiare, dunque.

Un impegno alla politica, italiana ed europea, arriva anche da Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. Nel settore primario, quello agricolo, “ci attendono sfide epocali, non impossibili ma difficili”. Nello specifico “per i produttori si tratta di produrre di più senza compromettere la biodiversità e la natura, senza influire sui costi”. Un compito che spetterà a chi deve prendere le decisioni per il funzionamento di sistema produttivo ed economico. Che passa anche per il rispetto del Green Deal. “La produzione di energia da fonti rinnovabili nella aziende agricole diventa fondamentale. Il mio modello di distribuzione dovrà avvenire con il minor impatto ambientale” possibile. Vuol dire permessi semplici e veloci, poca burocrazia, normativa a misura di azienda.

In tema di agenda verde e sostenibile europea, Matteo Bartolini, vicepresidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, un’idea ce l’ha. “Il tema della logistica dovrebbe aiutarci a comunicare la volontà di raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo, invogliando e incentivare i consumatori a consumare a livello locale”. In questo modo “si tiene vivo e aperto il negozietto di prossimità”. E si tiene basso il prezzo di prodotti alimentari, soprattutto frutta e verdura, sempre meno a portata di famiglie.

L’olio d’oliva vale oro: ora costa 8.900 dollari alla tonnellata. La colpa? Della siccità

I prezzi globali dell’olio d’oliva hanno superato gli 8.900 dollari per tonnellata questo mese, spinti dal forte calo della produzione e da un clima estremamente secco in gran parte del Mediterraneo. Il prezzo medio nel mese di agosto è stato del 130% più alto rispetto all’anno precedente, con prezzi che hanno rapidamente superato il precedente record di 6.242 dollari a tonnellata stabilito nel 1996, senza evidenziare alcun segno di allentamento. A scriverlo in un report è il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense. La domanda di olio d’oliva è aumentata dal 2020 perché i consumatori cucinavano a casa più spesso durante e dopo la pandemia. La guerra in Ucraina, che ha creato una carenza globale di olio di girasole, ha spinto la domanda di olio d’oliva ancora più in alto. D’altra parte la produzione è crollata specie in Spagna e Italia, con punte di -50, 60%, a causa della siccità e di eventi climatici estremi.

Proprio le preoccupazioni più recenti sulle forniture in Spagna (che vale il 45% delle esportazioni globali) hanno fatto salire i prezzi alle stelle poiché il mercato tenta di razionare le forniture verso la fine della campagna. Di conseguenza, si prevede che il consumo sarà stabile o in calo nel 2022/23 per ogni singolo paese ad eccezione della Turchia, dove il il governo ha recentemente vietato le esportazioni di olio d’oliva sfuso nel tentativo di garantire le forniture interne e alleviare la pressione sui prezzi anche in presenza di una produzione nazionale record. Questo mese, l’Usda (Dipartimento dell’Agricoltura Usa) ha rivisto le stime sulla stagione 2022/23 con la produzione globale scesa a 2,5 milioni di tonnellate, un quarto in meno sia rispetto all’anno precedente e alla media quinquennale. Anche le preoccupazioni sulla produzione nel 2023/24 stanno esacerbando l’impennata dei prezzi per le condizioni di siccità nel Mediterraneo.

Sebbene i prezzi abbiano in qualche modo moderato il consumo, le preferenze dei consumatori e della cultura per l’olio d’oliva ne rendono difficile la sostituzione nonostante le abbondanti scorte di altri oli vegetali. Per questo i prezzi di olio d’oliva rimarranno elevati fino al 2023/24, soprattutto se il prossimo raccolto sarà influenzato in modo simile da condizioni sfavorevoli. Gli esportatori sensibili ai prezzi, in Medio Oriente e Nord Africa, tendono a ridurre il loro consumo di olio d’oliva mentre gli acquirenti meno sensibili al prezzo, tuttavia, continuano a comprare. Ad esempio, gli Stati Uniti
le importazioni di solito rappresentano circa il 30% del commercio globale di olio d’oliva, ma quest’anno dovrebbero essere 35 per cento e 37 per cento nel 2023/24.

Visti i prezzi, sono inevitabili i furti. Secondo quanto riportato da El Mundo, circa 50.000 litri di olio extra vergine in uno dei frantoi spagnoli, Marin Serrano El Lagar, sono stati rubati il 30 agosto. Si tratta di più di 420.000 euro di olio d’oliva che l’azienda di famiglia ha perso. Poco prima, i ladri avevano rubato 6.000 litri di olio del valore di 50.000 euro dal frantoio di Terraverne, sempre secondo riferisce El Mundo.

Eni, nella stazione di servizio un diner all’americana con menu di chef Romito

L’atmosfera è quella retrò, di un Diner hopperiano newyorkese. Un chiaroscuro di tavolini e neon colorati in cui la colazione, il pranzo, la cena hanno contorni sfumati. Il cibo è quello di un fast food stellato, dove tutti gli ingredienti, dalle farine ai lieviti, all’olio di frittura sono ben selezionati. Si chiama ‘Alt Stazione del Gusto’ e si trova a Roma, nella storica stazione di servizio di Eni in viale America all’Eur.

Aprirà le porte a chi parte e a chi arriva in città, a chi sosta per un rifornimento, a chi si ferma per un caffè al volo prima di iniziare la giornata o si intrattiene per un aperitivo dopo il lavoro. L’idea nasce da una collaborazione di Enilive, brand di Eni Sustainable Mobility, e Accademia Niko Romito dello chef tre stelle Michelin. L’obiettivo è raggiungere 100 aperture nel quadriennio, a cominciare dalle principali città italiane.

E’ il primo assaggio di Enilive, il nuovo brand lanciato una settimana fa, e dà l’idea di come stiamo trasformando la nostra società dedicata alla bioraffinazione, alla produzione di biometano, alle soluzioni di smart mobility e alla commercializzazione dei servizi e di tutti i vettori energetici per la mobilità, anche attraverso le oltre 5mila Enilive Station in Europa”, spiega durante la presentazione Stefano Ballista, amministratore delegato di Eni Sustainable Mobility.

La proposta di Alt è un unicum nell’evoluzione dei servizi per le persone in mobilità e, ribadisce l’ad, “conferma l’impegno a essere sempre più vicini alle esigenze di chi frequenta e vive i nostri punti vendita, non solo per fare rifornimento“. Dopo aver consolidato la principale catena italiana di bar, gli Eni Café, la prima apertura del nuovo format avviene in una stazione dal valore storico e simbolico, quella di viale America, dove, ricorda, “siamo presenti fin dagli anni Sessanta e che da oggi si distingue e anticipa l’offerta che in futuro verrà estesa a tante altre Enilive Station, e non solo”.

Il menu si declina dalla colazione alla cena, in una serie di proposte al tavolo o da asporto. Per Enilive, la collaborazione con l’Accademia Niko Romito si inserisce nel percorso di rinnovo e ampliamento dell’offerta di servizi nella rete dei suoi oltre 5.000 punti vendita in Europa, di cui oltre 4.000 in Italia: le stazioni Eni oggi sono diventate ‘mobility point’ in grado di soddisfare un numero sempre maggiore di esigenze delle persone in movimento, attraverso la messa a disposizione di servizi che consentono ai clienti di trasformare la sosta per il rifornimento tradizionale o elettrico da necessaria a utile. Nel punto vendita di viale America è disponibile un’area dedicata alla ricarica dei veicoli elettrici attraverso tre colonnine di Plenitude il cui avvio e pagamento potranno essere effettuati anche direttamente nel ristorante.

La partnership tra Accademia Niko Romito e Enilive prevede un piano di sviluppo anche tramite franchising. Il progetto, oltre ai flagship che Niko Romito gestirà direttamente, svilupperà un piano di franchising proponendo modelli di gestione e formazione strategici e innovativi. Il progetto di sviluppo è diretto a un segmento di giovani imprenditori interessati a diventare gestori di un format di cucina popolare “su strada” di qualità, sviluppato attraverso un modello di business snello, organizzato e standardizzato.

Romito descrive Alt come la declinazione della sua ricerca in chiave “più democratica e trasversale“. “Ho immaginato un modello di ristorazione su strada perché le strade sono di tutti“, spiega lo chef: “Volevo lavorare ad un’offerta di cucina popolare, con piatti facilmente comprensibili, che avessero un’accezione quasi domestica e un approccio creativo, di qualità. Ho realizzato quello che io stesso vorrei trovare quando per lavoro viaggio e mi sposto: un menù che, dalla colazione alla cena, possa soddisfare il viaggiatore, il motociclista, la famiglia che transita, chi si ferma per un pranzo di lavoro in un’atmosfera informale o chi vuole portare via una merenda, del buon pane o un pollo fritto”.

Lollobrigida: “Sicurezza alimentare è centrale, assicurare buon cibo a tutti”

Lo sviluppo di un Paese o di un continente, passa anche dalla sicurezza alimentare, che oggi è “centrale. Ne è convinto Francesco Lollobrigida, che dopo aver incontrato in mattinata i pescatori di Goro, insieme al viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Galeazzo Bignami, per rassicurarli sul problema del distruttivo granchio blu (“bisogna contrastare l’eccessiva presenza e indurre al consumo“), mentre l’Emilia-Romagna pressa per avere la dichiarazione dello stato di emergenza, dal palco del Meeting di Rimini tocca, poi, diversi argomenti che riguardano l’agroalimentare italiano ed europeo. “Il nostro sistema di sviluppo parte da un presupposto: il cambio di epoca nella quale viviamo – dice il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste -. Per anni abbiamo vissuto di certezze su questo Pianeta, che ci hanno fatto fare delle scelte, terminate però improvvisamente“. Vedi alla voce pandemia e guerra di aggressione russa in Ucraina. Se con il Covid “eravamo certi della libertà e a un certo punto abbiamo scoperto che si può perdere, anche senza aver commesso reati“, il conflitto ci ha fatto scoprire “che si può perdere anche la certezza di approvvigionamenti, se ci si affida a nazioni instabili come forniture rinunciando alla propria produzione, rischiando di avere un uomo solo al comando che decide di cancellare le tue fonti di approvvigionamento, il tuo modello di sviluppo, il tuo modello di civiltà e quindi anche la tua libertà di decidere“.

Dunque, ecco che torna il concetto: “La sicurezza alimentare è certezza di approvvigionamento, è ricerca della possibilità di soddisfare delle criticità legate all’aumento demografico del pianeta“. Ma, avverte Lollobrigida, la risposta “non può essere ‘dare cibo a tutti’, ma essere in grado di dare buon cibo a tutti: questa è la sfida sulla quale l’Italia può essere protagonista, ovviamente non da sola“. In questo senso le parole del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, suonano come un vero e proprio campanello d’allarme: “I cittadini del mondo aumentano, saremo 10 miliardi da qui ai prossimi 20 anni e, secondo i dati dell’Ocse, dovremo produrre di più, soprattutto in termini di generi alimentari. Si stima un aumento del 30% della produzione agricola a livello globale“. Per centrare l’obiettivo, però, serve “la digitalizzazione dell’agricoltura“. Secondo Giansanti “è possibile produrre di più preservando le risorse naturali” mettendo “a sistema quella mole di dati che oggi gli agricoltori producono e condividendoli nel sistema generale”, oltre all’utilizzo “dei migliori strumenti che la tecnologia offre: da quelle di evoluzione assistita fino ai satelliti“. In questo modo “si potrà diminuire l’utilizzo di acqua del 20-25%, dei prodotti fitosanitari del 10%, dei fertilizzanti del 15% e delle macchine dal 4 all’8%, con un minor utilizzo anche di gasolio“.

Certo, l’export sarà fondamentale. Così come prepararsi ad affrontare le sfide geopolitiche, che condizionano anche l’economia. “Il bombardamento dei depositi dei silos del grano ucraino sta portando un aumento della capacità produttiva russa, anno su anno, del 36%, si prevede che l’anno prossimo la Russia sarà il primo esportatore di cereali a livello mondiale, con una quota di mercato del 25%“, sottolinea infatti il presidente di Confagricoltura.

L’Italia sta cercando di trovare vie alternative con il Piano Mattei, che non riguarda solo l’energia, ma anche la cooperazione agroalimentare con un continente ricco di materie prime e potenzialità. “Enrico Mattei ha piantato nel deserto una idea” di sviluppo e collaborazione con “che oggi abbiamo ripreso e proveremo a sviluppare, proprio attraverso un progetto che ha una visione strategica e non solo l’utilizzo di denaro a pioggia“, spiega il responsabile del Masaf. Chiarendo l’obiettivo: “Far crescere le nazioni in difficoltà, per garantire sicurezza alimentare, senza cambiare il modello di civiltà al quale siamo stati educati e al quale crediamo ancora“.

Anche sulla dieta mediterranea Lollobrigida ha idee decisamente chiare. La cucina italiana è candidata a Patrimonio Unesco perché “difendere il buon cibo, difendere la qualità è anche una questione di civiltà e di rispetto di un modello di sviluppo che mette le persone tutte sullo stesso piano e non si lascia condizionare esclusivamente dal loro potere d’acquisto“. Il ministro usa l’esempio degli Stati Uniti: “Sono un grande popolo, ma sul mangiare non possono insegnarci nulla. Da loro – continua – c’è un differente modello di educazione alimentare, mentre il nostro è interclassista. Da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi perché, cercando dal produttore l’acquisto a basso costo, comprano qualità“. La sfida del futuro passa anche (soprattutto) dal fattore alimentare.

Meloni: “Sicurezza alimentare cruciale, sarà priorità Presidenza italiana del G7”

Per tre giorni Roma sarà “la capitale mondiale della sicurezza alimentare“. Sono le parole usate dalla premier, Giorgia Meloni, nel suo intervento alla giornata inaugurale del Vertice Fao sui sistemi alimentari. Un appuntamento che cade in uno dei momenti particolarmente delicati per equilibri economici, sociali e geopolitici globali, per la scelta della Russia di uscire dagli accordi per far partire il grano ucraino dal Mar Nero. Se Mosca non dovesse ripensarci, a rischio ci sarebbero milioni di persone. “La sicurezza alimentare è cruciale”, dice la premier, Giorgia Meloni. “Bisogna fare in modo che le persone abbiano l’opportunità di stare nel proprio Paese, questo è anche il vero significato della sovranità alimentare – continua -: il diritto di tutte le persone di poter scegliere il proprio modello produttivo e il proprio modello alimentare”.

Per Meloni il tema sarà “una priorità anche nell’agenda del G7 durante la nostra Presidenza, il prossimo anno“, ma esorta le grandi nazioni a cooperare, investire e innovare, perché “solo finanziando in modo massiccio” le azioni per garantire cibo (di qualità) per tutti “si può arrivare a dei cambiamenti veri, radicali nel sistema alimentare”. E in questo senso “la collaborazione con le istituzioni finanziarie internazionali è un elemento cruciale per l’implementazione di progetti agricoli”. L’Italia farà la sua parte, con un progetto sull’agritech che sarà sviluppato a Napoli: “Un centro di ricerca strategico” che “svilupperà nuove tecnologie, partendo dal settore aerospaziale e ne studierà le applicazioni nel campo agricolo“.

Altro argomento chiave è rimettere a posto le ‘falle’ del sistema alimentare. Compito non facile, perché “mentre cerchiamo di combattere ancora con le conseguenze della pandemia e ricostruire i flussi mondiali, la guerra di aggressione russa in Ucraina ha creato dei disagi sui prezzi, scatenando l’inflazione in tutto il mondo – spiega Meloni – e ovviamente a farne le maggiori spese sono le nazioni più vulnerabili meno ricche, soprattutto al Sud del mondo“. La premier non usa giri di parole: “Questa guerra ha esacerbato problemi già esistenti come la sicurezza alimentare, soprattutto in molte nazioni africane, già messe alla prova da lunghi periodi di siccità“. Meloni ricorda il Piano Mattei del governo italiano: “Lo spirito è stabilire un modello di cooperazione non predatorio”, perché “una relazione più forte tra i Paesi verso una produzione più sostenibile può essere un’opportunità da cogliere”.

Del resto, ricorda, “la sicurezza alimentare è sempre stata una delle linee guida più strategiche della nostra politica estera, un’area prioritaria della cooperazione italiana allo sviluppo ed è diventata una delle maggiori sfide della nostra epoca in questo mondo così interconnesso“. E’ urgente, dunque, “collaborare con tutte le altre nazioni nel mondo per sostenere” l’Africa e “creare la loro prosperità“. Motivo per il quale “mi aspetto unanimità su un accordo per un’azione concreta“. Una riflessione in armonia con le parole del direttore generale della Fao, Qu Dongyu, secondo il quale “di fronte alle crescenti incertezze e alle molteplici crisi, dobbiamo intraprendere con urgenza questa trasformazione per soddisfare le grandi aspettative che abbiamo dai nostri sistemi agroalimentari“. E l’organismo delle Nazioni Unite vuole “sfruttare gli acceleratori trasversali”, concentrandosi su quattro aree chiave: scienza e innovazione, miglioramento delle capacità dei dati, aumento dei finanziamenti pubblici e privati mirati e coordinati e creazione di meccanismi di governance dei sistemi agroalimentari inclusivi. Perché “per liberare il pieno potenziale dei sistemi agroalimentari è necessario concentrarsi su questi acceleratori, per ridurre al minimo i compromessi e massimizzare le sinergie“, conclude Qu.

Nel pomeriggio di ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al Quirinale il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alla presenza del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il capo dello Stato sottolinea quanto il Vertice Fao “sia particolarmente importante in questo periodo e in questo momento“, con la “quasi la coincidenza di tre grandi eventi – conclude Mattarella -: la conferenza sui sistemi alimentari, che è in corso, a breve la 70esima sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite e poi in settembre il summit sullo Sviluppo sostenibile”.

spreco alimentare

Stretta dell’Ue contro gli sprechi alimentari: -30% entro 2030

Sprechi di beni, sprechi di risorse, sprechi di soldi. La Commissione Europea ha deciso di dare una stretta agli sprechi alimentari e del settore tessile, di fronte all’evidenza di un problema ancora non risolto dalla legislazione comunitaria e dei 27 Paesi membri. Due proposte all’interno dello stesso quadro di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti del 2008, che lasciano molto spazio ai Ventisette per definire le strategie e le modalità operative, ma con obiettivi che devono trovare un riscontro entro la fine del decennio.

Sul piano della lotta agli sprechi alimentari l’obiettivo fissato dal gabinetto von der Leyen è quello di un taglio entro il 2030 del 10% nella trasformazione e nella produzione e del 30% (pro capite) nella vendita al dettaglio e nel consumo, tra ristoranti, servizi alimentari e famiglie. La legislazione comunitaria prevede già che gli Stati membri attuino programmi nazionali di prevenzione e riduzione dei rifiuti alimentari in ogni fase della catena di approvvigionamento, ma finora la quantità di rifiuti “non è diminuita abbastanza”. Per questo Bruxelles spinge i Ventisette a “intraprendere azioni ambiziose e a sostenere i cambiamenti comportamentali”, ma anche a rafforzare la collaborazione tra gli attori dell’intera catena del valore alimentare. Tra le migliori pratiche identificate compare anche l’agevolazione della donazione di cibo “attraverso misure legislative e incentivi fiscali” alla ridistribuzione delle eccedenze alimentari. Prevista una revisione formale dei progressi dei Ventisette “entro la fine del 2027”.

La Commissione Ue vuole anche un’azione decisa contro gli sprechi del settore tessile. Il cuore della nuova proposta è la responsabilità dei produttori per l’intero ciclo di vita dei prodotti. Si tratta in particolare di introdurre schemi obbligatori e armonizzati di responsabilità estesa del produttore per i prodotti tessili in tutti gli Stati membri, sulla base dei risultati positivi nella gestione di imballaggi, batterie e apparecchiature elettriche ed elettroniche. vale a dire che i produttori copriranno i costi di gestione dei rifiuti tessili, “incentivandoli a ridurre i rifiuti e ad aumentare la circolarità dei prodotti tessili, progettando prodotti migliori fin dall’inizio”. L’importo da pagare sarà regolato in base alle prestazioni ambientali dei prodotti tessili, un principio noto come “eco-modulazione”.

Il risultato previsto dal gabinetto von der Leyen è quello di rendere più facile per i 27 Paesi membri Ue attuare l’obbligo di raccolta differenziata dei prodotti tessili a partire dal 2025, in linea con la legislazione attualmente in vigore. I contributi dei produttori finanzieranno gli investimenti nelle capacità di raccolta differenziata, selezione, riutilizzo e riciclaggio: “Le imprese sociali attive nella raccolta e nel trattamento dei tessili beneficeranno di maggiori opportunità commerciali e di un mercato più ampio per i tessili di seconda mano”, è quanto mette in chiaro la Commissione. Parallelamente sarà affrontata anche alla pratica dell’esportazione di rifiuti mascherata da riutilizzo verso Paesi non attrezzati per la gestione, chiarendo “cosa si intende per rifiuti e cosa per prodotti tessili riutilizzabili”. In questo modo le spedizioni potranno avvenire solo se ci sono “garanzie che i rifiuti siano gestiti in modo ecologicamente corretto”.

grano

Indice Fao materie prime alimentari giù del 20,5% su marzo 2022

Le forniture di grano aumentano, la domanda di importazioni diminuisce e l’Iniziativa sui cereali del Mar Nero viene estesa. La discesa dei prezzi sulle materie prime alimentari registrata dall’indice Fao non si arresta, per il 12esimo mese consecutivo, con una media di 126,9 punti nel mese di marzo 2023 e fa registrare un -2,1% su febbraio 2023 e addirittura un -20,5% rispetto al livello massimo raggiunto nel marzo 2022.

A fare da traino, naturalmente, è il calo delle quotazioni mondiali di cereali e oli vegetali.

Nel dettaglio, l’indice dei cereali scende del 5,6% rispetto a febbraio, con un calo del 7,1% dei prezzi internazionali del grano, spinto al ribasso dalla forte produzione australiana, dalle migliori condizioni dei raccolti nell’Unione Europea, dalle elevate forniture della Federazione Russa e dalle esportazioni in corso dall’Ucraina dai porti del Mar Nero. I prezzi mondiali del mais sono scesi del 4,6%, in parte a causa delle aspettative di un raccolto record in Brasile, mentre quelli del riso sono diminuiti del 3,2% a causa dei raccolti in corso o imminenti nei principali Paesi esportatori, tra cui India, Vietnam e Thailandia.

L’Indice degli oli vegetali registra una media inferiore del 3,0% rispetto al mese precedente e del 47,7% rispetto al livello del marzo 2022, in quanto l’ampia offerta mondiale e la scarsa domanda di importazioni globali hanno spinto al ribasso le quotazioni di soia, colza e girasole. Ciò ha più che compensato l’aumento dei prezzi dell’olio di palma, che sono cresciuti a causa dei minori livelli di produzione nel sud-est asiatico dovuti alle inondazioni e alle restrizioni temporanee alle esportazioni imposte dall’Indonesia. “Sebbene i prezzi siano scesi a livello globale, sono ancora molto alti e continuano ad aumentare nei mercati interni, ponendo ulteriori sfide alla sicurezza alimentare. Questo vale soprattutto per i Paesi in via di sviluppo importatori netti di prodotti alimentari, la cui situazione è aggravata dal deprezzamento delle loro valute rispetto al dollaro USA o all’euro e dall’aumento del debito“, sottolinea Máximo Torero, Economista Capo della Fao.

L’Indice dei prodotti lattiero-caseari scende dello 0,8% a marzo. I prezzi del burro sono aumentati a causa della solida domanda di importazioni, mentre quelli del formaggio sono scesi a causa del rallentamento degli acquisti da parte della maggior parte dei principali importatori in Asia e dell’aumento delle disponibilità nei principali esportatori.

L’Indice dello zucchero, invece, aumenta dell’1,5% rispetto a febbraio, raggiungendo il livello più alto dall’ottobre 2016, a causa delle preoccupazioni per il calo delle prospettive di produzione in India, Thailandia e Cina. Le prospettive positive per le coltivazioni di canna da zucchero che stanno per essere raccolte in Brasile hanno limitato la pressione al rialzo sui prezzi, così come il calo dei prezzi internazionali del greggio, che ha ridotto la domanda di etanolo.

Quanto alla carne, l’Indice Fao aumenta leggermente, dello 0,5%. Le quotazioni internazionali della carne bovina sono aumentate, influenzate dall’aumento dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America, a causa delle aspettative di minori forniture in futuro, mentre i prezzi della carne suina sono aumentati a causa dell’aumento della domanda in Europa in vista delle festività. Nonostante i focolai di influenza aviaria in diversi grandi Paesi esportatori, i prezzi mondiali della carne di pollame sono scesi per il nono mese consecutivo a causa di una domanda d’importazione globale contenuta.

Nel Cereal Supply and Demand Brief, la Fao alza le previsioni per la produzione mondiale di grano nel 2023, ora fissata a 786 milioni di tonnellate, con un calo dell’1,3% rispetto al livello del 2022 e il secondo risultato più alto mai registrato. In Asia si prevedono aree seminate quasi da record, mentre le condizioni di siccità stanno colpendo il Nord Africa e l’Europa meridionale.

Nell’emisfero meridionale, le superfici seminate e le prospettive di produzione del mais in Brasile sono previste ai massimi storici, sostenute da una robusta domanda di esportazione. Le prospettive di resa sono buone anche in Sudafrica, che nel 2023 potrebbe registrare il suo secondo raccolto più abbondante. Per contro, le prolungate condizioni di siccità hanno influito negativamente sui raccolti di mais in Argentina. Su anche le previsioni per la produzione cerealicola mondiale nel 2022 a 2.777 milioni di tonnellate, con un calo di solo l’1,2% rispetto all’anno precedente. La produzione mondiale di riso nel 2022/23 è ora fissata a 516 milioni di tonnellate, l’1,6% in meno rispetto al record raggiunto nel 2021/22, ma con un raccolto superiore alla media. La previsione aggiornata della Fao per l’utilizzo dei cereali a livello mondiale nel 2022/23 è ora di 2.779 milioni di tonnellate, in calo dello 0,7% rispetto al 2021/22. Le scorte mondiali di cereali alla fine della stagione 2022/2023 dovrebbero diminuire dello 0,3% rispetto ai livelli iniziali, attestandosi a 850 milioni di tonnellate. Il rapporto scorte mondiali di cereali/utilizzo scenderà probabilmente dal 30,7% del 2021/22 al 29,7%, indicando comunque un livello globale confortevole. Si prevede che il commercio mondiale di cereali nel 2022/23 subirà una contrazione del 2,7% rispetto al livello del 2021/22, attestandosi a 469 milioni di tonnellate. Il calo riflette principalmente le aspettative di riduzione del commercio di cereali secondari, mentre si prevede un aumento del commercio globale di grano. Il commercio internazionale di riso nel 2023 è previsto in calo del 5,2% rispetto al livello record del 2022.