La lotta al cambiamento climatico passa anche dalla…radiologia

Nella lotta al cambiamento climatico ciascuno può fare la propria parte, radiologi compresi. Un gruppo di autori diversi, guidati dall’Università di Toronto, ha sviluppato un approccio per i reparti e gli studi di radiologia per ridurre le emissioni di gas serra e diventare più resistenti agli effetti del cambiamento climatico. Il loro piano d’azione è stato pubblicato su Radiology, rivista della Radiological Society of North America(RSNA).

“L’aumento delle emissioni di gas serra provoca cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi e un peggioramento dell’inquinamento atmosferico con effetti negativi sulla salute”, spiega l’autrice principale Kate Hanneman, secondo la quale “l’obiettivo di questo articolo è aumentare la consapevolezza del rapporto interconnesso tra salute del pianeta e radiologia, sottolineare perché i radiologi dovrebbero preoccuparsi della sostenibilità, mostrare le azioni che possono essere attuate per mitigare il nostro impatto e preparare i reparti ad adattarsi agli effetti del cambiamento climatico”.

Si stima, infatti, che la radiologia, attraverso la produzione e l’uso di apparecchiature di imaging medico e delle relative forniture, generi fino all’1% delle emissioni complessive. Da qui l’esigenza di “un approccio coordinato e di azioni concrete” da mettere in atto. Gli autori suggeriscono che i dipartimenti di radiologia dovrebbero istituire di un team di sostenibilità per monitorare e misurare le metriche chiave e gli indicatori di performance.
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Gli interventi ad alto impatto raccomandati per migliorare la sostenibilità in radiologia includono anche il passaggio da forniture mediche monouso a quelle riutilizzabili, lo spegnimento dei sistemi di climatizzazione nelle aree non occupate e quelle delle apparecchiature quando non sono in uso. Come spiega Hanneman, spegnendo gli scanner o portandoli a livelli di potenza inferiori quando non sono in uso, le emissioni complessive di gas serra possono essere ridotte fino al 33% per la risonanza magnetica e tra il 40% e l’80% per la TAC.

Un’altra azione potenziale consiste nell’implementare strumenti di supporto alle decisioni per scegliere esami di imaging a basso consumo energetico, quando è opportuno. Le emissioni di anidride carbonica equivalente variano a seconda della modalità di imaging e sono più elevate per la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata rispetto agli ultrasuoni e alle radiografie.

Gli autori suggeriscono anche di abbreviare i protocolli di imaging e di espandere l’uso delle applicazioni cliniche della RM a basso campo e di collaborare con i produttori per aggiornare o rinnovare le apparecchiature piuttosto che acquistarne di nuove, quando possibile. Per ridurre i rifiuti di imballaggio, si suggerisce, poi, di passare da sistemi di iniezione di contrasto monodose a sistemi multipaziente e di stabilire programmi di gestione dei rifiuti sostenibili.

“Non tutte le azioni suggerite saranno applicabili o attuabili in ogni reparto di radiologia”, dice l’autrice, che invita i team che si occupano di sostenibilità a “pensare in modo creativo per determinare quali azioni avranno il maggiore impatto nel loro reparto”.

Innovativo e attento all’ambiente, è ‘griffato’ Italia il nuovo palazzo della City di Shanghai

Un palazzo di 16 piani caratterizzato da una lunga rampa da 1 chilometro in corten posizionata nella facciata ovest che costituisce un percorso di accesso ai vari piani, mentre due rampe a ovest e sud-est conducono ai garage sotterranei. Con queste caratteristiche è stata inaugurata a Shanghai la nuova sede dell’East China Electronic Power Design Institute, progettato dallo studio fiorentino di Archea Associati guidato dall’achistar Marco Casamonti, autore tra le altre cose del Viola Park, della cantina Antinori nel Chianti Fiorentino recentemente considerata la più bella del mondo, del nuovo stadio nazionale e della torre di Tirana, e che sta ultimando il Kiss bridge in Vietnam.

Il progetto mira a integrare le varie funzioni all’interno di un unico blocco in cui tutte le esigenze funzionali sono centralizzate, rendendo il progetto più economico ed efficiente. L’intervento ha voluto rispettare la scena esistente e rispondere alle caratteristiche del sito, tenendo conto del paesaggio urbano e dei requisiti di pianificazione generale. L’immobile si affaccia su due strade principali della città di Shanghai: Wuning Road a est e Zhongshan North Road (Inner Ring Elevated) a sud, posizione che gli conferisce il potenziale per diventare un punto di riferimento cittadino.

Il progetto mantiene due ingressi su Wuning Road utilizzati uno come accesso principale e l’altro come entrata secondaria per il traffico veicolare e pedonale. Elemento caratterizzante dell’intero edificio è una lunga rampa (1 km) in corten posizionata nella facciata ovest che costituisce un percorso di accesso ai vari piani, mentre due rampe a ovest e sud-est conducono ai garage sotterranei. L’edificio si sviluppa su sedici livelli fuori terra per una superficie di 50mila metri quadrati e due piani interrati di 25mila metri quadrati, per un totale di 75mila mq.

I primi piani ospitano molteplici funzioni: reception, sale riunioni, area espositiva, palestra, sala conferenze, archivio. I piani intermedi sono open space destinati ad aree di lavoro, mentre gli ultimi piani sono adibiti a uffici direzionali e sale riunioni. Il tetto, invece, ha funzione più ricreativa grazie alla presenza di un piccolo bar e di un giardino.

 

Photo credit: Jump comunicazione

Italiani chiedono e Google risponde: impennata di ricerche ‘sostenibili’

Viaggi sostenibili? +220% in 5 anni. Riciclare un computer? +50% nell’ultimo anno. Come vivere in modo sostenibile? +200% in cinque anni. In occasione della Giornata della Terra, Google ha rilasciato le ‘classifiche’ italiane legate ai grandi temi di attualità ambientale, come la raccolta differenziata dei rifiuti e l’economia circolare.

In particolare, il mondo delle automobili ha fatto moltiplicare le richieste. Quelle per il riciclo dei veicoli sono aumentate del 340% e del 110% nell’ultimo anno quelle relative al recupero degli pneumatici. Gli italiani hanno mostrato interesse anche per il riciclo dei tessuti (+190%), delle batterie (+180%), dell’energia (+50% in 5 anni). Sul fronte dei rifiuti e sul luogo in cui conferirli, il motore di ricerca ha stilato una classifica delle richieste più frequenti: sul podio salgono smartphone, polistirolo e ‘gli stracci’, seguiti da lampadine, tessuti e abiti, ‘esami raggi’, tetrapack, alluminio, cassette di legno.

Ma non solo. Gli italiani hanno chiesto a Google anche come riciclare una lunga serie di materiali. Tra questi, plastica, uova di Pasqua, vetro, carta, panettoni, tappi di sughero, batterie al litio e stoffa.

Che il clima sia uno dei grandi temi del momento, lo dimostrano anche le domande più frequenti rivolte a Google sull’argomento. Tra tutte, “cos’è il cambiamento climatico” e “quando è iniziato”, come combatterlo, “cosa possiamo fare?” e “cosa sono i green bond?”. Gli italiani più attenti, poi, hanno chiesto più informazioni sull’Agenda 2030 dell’Onu, sullo sviluppo sostenibile e perché si chiama così.

E proprio oggi Google ha annunciato funzionalità nuove e ampliate per aiutare le persone ad essere più sostenibili, soprattutto in viaggio attraverso nuove funzionalità della ricerca e di Maps. Proprio nelle mappe saranno mostrati i trasporti pubblici o i suggerimenti a piedi accanto ai percorsi in auto, se i tempi di viaggio sono comparabili e pratici. Sarà disponibile nelle prossime settimane in oltre quindici città in tutto il mondo, tra cui Amsterdam, Barcellona, ​​Londra, Montreal, Parigi, Roma e Sydney.

G7, a Venaria summit su Energia e Clima. Pichetto: “Idee chiare e risultati veri”

Materie prime critiche, economia circolare, Africa e Piano Mattei, biodiversità della terra e dei mari. Sul tavolo del G7 Clima, Energia e Ambiente, il 28 e 29 aprile nella Reggia di Venaria a Torino, c’è tanto di cui discutere. Sui temi energetici, terrà banco il passaggio dai fossili alle energie pulite. Nelle intenzioni di Gilberto Pichetto, il summit sarà “un ponte tra la Cop28 e la Cop29, con uno sguardo al prossimo G20“.

Tra gli invitati, infatti, oltre ai paesi del G7 e alla Commissione europea, ci saranno anche la delegazione emiratina che ha guidato Cop28 e quella azera che guiderà Cop29, così come il Brasile, prossima presidenza del G20. E, data l’importanza che assume il continente africano in ottica del Piano Mattei, saranno presenti la Mauritania, presidenza di turno dell’Unione Africana, il Kenya in rappresentanza dell’Africa subsahariana, l’Algeria, in rappresentanza del Maghreb, e la Banca Africana di Sviluppo.

Vogliamo imprimere una forte spinta allo sviluppo delle rinnovabili e allargare gli orizzonti a tutte le fonti che, con il supporto scientifico, possano garantirci la sicurezza energetica, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi ambientali”, spiega Pichetto presentando l’iniziativa nella nuova sede della Stampa Estera, a Roma. A Venaria, garantisce, “l’Italia arriva con idee chiare e con la determinazione necessaria per rendere questo G7 portatore di risultati reali e ambiziosi”.

I gruppi di lavoro a cui hanno preso parte i negoziatori dei rispettivi Paesi hanno definito in questi mesi i temi al centro del Comunicato finale, che traccerà il percorso verso le prossime scadenze globali. Per la parte Ambiente, il focus sarà su consumo e produzione sostenibili, economia circolare ed efficienza delle risorse, con particolare riferimento al tema del riciclo delle materie prime critiche e della circolarità nell’industria tessile e nella moda. Verranno poi affrontati gli ambiti legati al contrasto dell’inquinamento per natura e persone, la biodiversità, gli ecosistemi, il mare e gli oceani. Centrale sarà il tema dell’uso sostenibile delle risorse idriche. Particolare rilievo avrà la collaborazione con Paesi terzi, in particolare con l’Africa su temi trasversali quali il contrasto al degrado del suolo e la lotta alla desertificazione, l’uso delle tecnologie avanzate per il monitoraggio e la prevenzione degli effetti dei cambiamenti climatici e la sostenibilità delle filiere produttive.

Nella sessione Clima ed Energia, si affronterà il tema della ‘Net-zero’ agenda, con obiettivi volti a potenziare i sistemi di accumulo e flessibilità, in modo da gestire il forte apporto delle rinnovabili. Al centro anche il potenziamento dell’efficienza energetica e il rafforzamento della sicurezza, in particolare per la catena di approvvigionamento dei minerali critici necessari per lo sviluppo delle rinnovabili. E ancora, puntare su nuove tecnologie energetiche tra cui ricerca e sviluppo del nucleare sostenibile, ridurre le emissioni di metano e promuovere la collaborazione con i Paesi terzi, specie con quelli più vulnerabili e con gli Stati africani, sul fronte dello sviluppo di risorse energetiche, infrastrutture locali e adattamento.

Carbon Market Watch: “Olimpiadi di Parigi 2024 lontane da medaglia d’oro ecologica”

A quasi 100 giorni dall’inizio dei Giochi Olimpici, l’impatto di Parigi 2024 sul pianeta è “troppo grande” per essere ecologicamente “sostenibile“, secondo l’Ong Carbon Market Watch, che chiede una riforma “radicale“. In origine, il Comitato organizzatore dei Giochi olimpici e paralimpici aveva promesso che i Giochi di Parigi sarebbero stati “neutrali dal punto di vista climatico“, cioè senza emissioni nette di gas serra. Ma di fronte alle critiche, la comunicazione è cambiata e ora parla di un inquinamento da carbonio pari alla metà di quello delle Olimpiadi precedenti.

Siamo molto contenti che Parigi 2024 abbia fatto marcia indietro” rispetto alla sua affermazione iniziale, ha dichiarato all’AFP Benja Faecks, esperto di Carbon Market Watch, e “accogliamo con favore il fatto che abbiano redatto un bilancio delle emissioni di carbonio prima dell’evento“, nonostante i dubbi sulla “legittimità” del calcolo. Si prevede che Parigi 2024 emetterà circa 1,58 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, meno della metà della media di 3,5 milioni di tonnellate dei Giochi di Londra (2012) e Rio (2016). Ma l’obiettivo “sembra ambizioso a prima vista” e “difficile da verificare“, avverte l’Ong. A suo avviso, la strategia climatica degli organizzatori rimane “incompleta” e “manca di trasparenza“: “Non sono stati resi noti né la metodologia né i dettagli del metodo di calcolo“, spiega l’organizzazione in un rapporto. Gli organizzatori “meritano un elogio” per il loro tentativo di rendere più ecologico un evento di tale portata, ma “nonostante i miglioramenti marginali“, l’impronta di carbonio dei Giochi “rimane troppo alta per essere sostenibile“. Questo è “incoraggiante“, ma “bisogna fare di più“, riassume Gilles Dufrasne, uno dei responsabili di Carbon Market Watch.

Per settore, Carbon Market Watch prevede che le principali emissioni di gas serra proverranno dai trasporti (circa il 40%) e dall’edilizia (32%). Il resto è suddiviso tra cibo (1%), acquisti non alimentari come i prodotti alimentari (20%) e consumo di energia (8%). Da parte sua, il Comitato stima che le emissioni saranno suddivise in tre terzi: uno per i viaggi (e il 25% del totale per i soli viaggi degli spettatori), un altro per la costruzione (compreso il 25% per gli edifici permanenti) e il terzo per le operazioni dei Giochi (alloggi, sicurezza, catering, ecc.).
Sono stati compiuti “sforzi” per limitare le emissioni derivanti dalla costruzione – il 95% delle infrastrutture è già esistente o temporaneo – o grazie ai menu vegetariani, ma “gli organizzatori hanno le mani legate quando si tratta di affrontare le maggiori fonti di emissioni”, si legge nel rapporto. È il caso del trasporto aereo di atleti e spettatori, le cui emissioni, allo stato attuale, “non possono essere ridotte in modo significativo“.

Carbon Market Watch evidenzia anche “incoerenze“, in particolare nella scelta degli sponsor: “L’assenza di criteri climatici” imposti ai partner “è un’occasione mancata (…) per influenzare le grandi aziende“. Infine, l’Ong ha definito “opache” le promesse degli organizzatori di compensare le emissioni inevitabili con crediti di carbonio. Il ricorso a questo meccanismo “è problematico in tutti i casi“, afferma Faecks, perché da un lato implica la possibilità di “superare i limiti” e dall’altro perché “i crediti di carbonio di alta qualità scarseggiano“.

Si possono ancora organizzare i Giochi in un periodo di riscaldamento globale? “È chiaro che i Giochi Olimpici non possono essere veramente compatibili con il rispetto della barriera di 1,5 gradi di riscaldamento“, l’obiettivo più ambizioso degli accordi di Parigi, “a meno che non ripensiamo radicalmente” la loro organizzazione, ritiene Carbon Market Watch. Invece di far convergere atleti e spettatori da tutto il mondo nello stesso luogo, l’ONG suggerisce che per ogni disciplina la competizione si tenga in una città diversa con accesso riservato alle popolazioni locali: l’atletica a Città del Messico, gli sport acquatici a Buenos Aires, gli sport da combattimento a Seul, il ciclismo ad Ankara, ecc. Oltre a ridurre l’impronta di carbonio, “l’altro vantaggio sarebbe quello di aumentare l’accessibilità dei Giochi“, con un maggior numero di persone in grado di vederli in loco, sostiene Carbon Market Watch.

inquinamento

Non solo danni all’ambiente: ecco come l’inquinamento ci rende infelici

L’inquinamento ambientale non solo causa danni al nostro pianeta, ma agisce anche sul benessere individuale e collettivo e può realmente renderci infelici. Lo rivela uno studio pubblicato a marzo su Environmental Research, nel quale i ricercatori dell’Università di Osaka rivelano che i contaminanti presenti nell’ambiente possono avere un effetto sul benessere emotivo della nostra vita.

Ma come si calcola il livello di felicità? Attraverso uno strumento sviluppato ad hoc si definisce un’aspettativa di vita felice come il periodo durante il quale una persona sperimenta il benessere emotivo soggettivo, mentre la perdita di aspettativa di vita felice (LHpLE) è una diminuzione della durata delle esperienze emotive positive, calcolata combinando sia la riduzione della felicità sia l’aumento della mortalità associata all’esposizione al rischio. Questo indicatore è stato utilizzato per valutare il disagio psicologico e il rischio di cancro associato all’esposizione alle radiazioni dopo l’incidente della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, spiega l’autore principale dello studio Michio Murakami. “Tuttavia – dice – questo strumento non era stato utilizzato per valutare gli effetti del cancro o dell’esposizione ad agenti cancerogeni ambientali sulla felicità”.

La nuova ricerca è cominciata proprio da qui, incrociando i dati relativi all’età, al sesso e al rapporto tra cancro e diminuzione della felicità. In seguito, lo studio ha tenuto conto anche dell’esposizione ai comuni agenti ambientali cancerogeni in Giappone, nonché del disagio psicologico, consentendo di confrontare i diversi tipi di esposizione al rischio. Il risultato? “Abbiamo scoperto che la felicità emotiva – dice Shuhei Nomura, uno degli autori – non è diminuita in modo significativo nelle persone affette da cancro, né c’è stata alcuna associazione significativa tra la felicità emotiva e il tipo, la storia o lo stadio del cancro”.

Complessivamente, l’esposizione ad agenti cancerogeni ambientali ha ridotto la durata della vita della felicità emotiva di 0,0064 anni per il radon, 0,0026 anni per l’arsenico e 0,00086 anni per il particolato fine nell’aria. La diminuzione della felicità emotiva è stata ancora più pronunciata per il disagio psicologico, che ha portato a un LHpLE di 0,97 anni. “I nostri risultati suggeriscono che l’esposizione agli agenti cancerogeni e il disagio psicologico riducono significativamente la felicità nel corso della vita”, afferma Murakami.

Ambiente, inquinamento acqua e protezione uccelli: l’Europa verde nasce negli anni 70

Green Deal e transizione sostenibile, energia rinnovabili, riduzione delle emissioni a gas serra e mobilità elettrica. La politica dell’Ue si tinge di verde, sulla spinta di un’agenda fortemente voluta dall’attuale presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Per qualcuno una svolta, anche se l’impegno dell’Unione europea per ambiente e sostenibilità è una storia lunga quasi 50 anni. L’anno ‘zero’ è il 1973, quando viene approvato il primo programma di azione ambientale, che pone l’accento sul rischio inquinamento delle acque e stabilisce principi, obiettivi e misure da prendere per tutelare il patrimonio comune. La strategia si rese necessaria all’indomani della moria di pesci nel Reno nel 1969, prodotta dall’inquinamento delle acque del fiume. Fu questo l’inizio di un percorso tortuoso, non semplice, e pur destinato a proseguire nel tempo.

Altro momento chiave è il 1979, anno in cui la Commissione europea presenta la proposta di direttiva per la tutela e la protezione dell’avi-fauna. E’ la normativa più nota come ‘direttiva uccelli’ a segnare il vero punto di svolta e l’inizio delle politiche ambientali di un’Unione europea allora ancora Comunità economica europea e composta da appena nove Stati membri (Italia, Francia, Germania ovest, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca, Irlanda e Regno Unito). Il Parlamento europeo non aveva ancora i poteri che ha oggi, si chiamava Assemblea parlamentare con funzione sostanzialmente consultivi. Eppure sono proprio i membri del Parlamento a spingere per una normativa in materia, di fronte a una Commissione restia a prendere iniziativa.

L’attrito inter-istituzionale si spiega con gli assetti dell’epoca. Nella Cee di allora, gli aspetti internazionali della conservazione della natura, inclusi gli uccelli migratori, ricadevano tra le competenza del Consiglio d’Europa, e dunque degli Stati membri. Per questa ragione la Commissione ritenne di non dover intervenire in un ambito riservato ai governi nazionali. L’Europa aveva provato, timidamente, a darsi delle regole. Nel 1967 il Consiglio varò due risoluzioni, una a sostegno della salvaguardia degli habitat naturali dell’avifauna e un’altra sui limiti alla caccia dei volatili, in particolare le specie migratorie. Un primo passo, a cui si oppose la comunità delle associazioni ambientaliste ed ecologiste. Servirà un’armonizzazione delle regole, troppo nazionali e quindi troppo diverse. Il dibattito era stato avviato e il percorso normativo avviato e fu in questo momento che il Parlamento europeo iniziò a insistere per una normativa europea in materia.

Nel 1970 l’allora commissario per l’Agricoltura, Sicco Mansholt, nel corso del primo dibattito d’Aula di sempre sull’inquinamento dell’acqua, riconobbe “il massacro degli uccelli” in atto nel territorio della Cee, aprendo alla possibilità di esplorare la possibilità di agire oltre i limiti della Commissione. Ci volle del tempo, ma nel 1976 la proposta di direttiva per la protezione degli uccelli venne messa sul tavolo, per essere approvata nel 1979. Oggi gli addetti ai lavori non hanno dubbi: il ruolo del Parlamento europeo fu decisivo, nel senso che senza quella pressione e determinazione non si sarebbe mai giunti alla direttiva in vigore tutt’oggi.
Le iniziative del 1973 e del 1979 sono considerate come l’inizio della storia delle politiche ambientali e sostenibile dell’Unione di oggi. Ciò è vero soprattutto per la ‘direttiva uccelli’, la prima vera iniziativa della Commissione europea. Un risultato allora non scontato, in una Cee per nome, definizione e mandato, concentrata quasi esclusivamente all’integrazione economica.

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Vivere in una strada ‘verde’ aiuta a dormire più a lungo

Vivere in una strada più verde o avere una vista sulla costa o sul fiume dalla propria casa aiuta a dormire più a lungo. Una nuova ricerca condotta in 18 Paesi dal Centro europeo per l’ambiente e la salute umana dell’Università di Exeter ha scoperto che vivere in strade più verdi – quelle con prati, alberi e vegetazione visibili – è legato a un sonno migliore. Sebbene già in passato alcune ricerche abbiano riscontrato questo legame, è la prima volta che vengono analizzati diversi tipi di ambienti naturali in diversi Paesi.

La mancanza di sonno, definita tale quando si dorme meno di sei ore a notte, è un importante problema di salute pubblica nei Paesi industrializzati, che colpisce, ad esempio, circa il 16% degli adulti del Regno Unito. La carenza di sonno è legata a una serie di esiti negativi per la salute e il benessere, tra cui malattie non trasmissibili come l’obesità, il diabete e le patologie cardiovascolari, oltre a un maggiore rischio di mortalità.

L’autrice principale, la dottoressa Leanne Martin del Centro europeo per l’ambiente e la salute umana dell’Università di Exeter, spiega che, durante la ricerca “le persone che vivevano in strade più verdi hanno riportato una migliore salute mentale, che è stata il fattore trainante di un sonno migliore”. Le iniziative di rinverdimento delle strade esistono già nelle città urbane per affrontare i rischi ambientali come le inondazioni e gli effetti dell’isola di calore, “ma i nostri risultati suggeriscono che i responsabili politici dovrebbero estenderle alle aree residenziali per sostenere la salute pubblica promuovendo abitudini di sonno più sane”.

Per lo studio sono stati utilizzati i dati di oltre 16.000 persone in 14 Paesi europei, oltre che in Australia, Canada, Stati Uniti e Hong Kong, nell’ambito della BlueHealth International Survey (BIS), un’indagine trasversale coordinata dal Centro europeo per l’ambiente e la salute umana di Penryn. Agli intervistati è stato chiesto di indicare la quantità di verde presente nella loro strada, se da casa avevano una vista su fiumi, laghi e coste (cioè spazi blu), quanto tempo libero trascorrevano in spazi naturali, nonché la loro salute mentale e quante ore dormivano a notte.

Dalla ricerca è emerso che gli individui che vivevano in strade più verdi o che avevano una vista sugli spazi blu dalla loro casa tendevano a dichiarare una migliore salute mentale, che a sua volta era associata a una quantità di sonno più sana. Anche gli individui che trascorrevano più tempo libero in spazi verdi e blu riferivano una migliore salute mentale e una durata del sonno più sana.

Complessivamente, i risultati hanno rilevato che il 17% delle persone che vivevano in strade verdi ha riferito di dormire meno di sei ore a notte, rispetto al 22% di coloro che non vivevano in strade verdi.

La principale fonte di finanziamento di questo progetto è stato il programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea.

Le ‘donne della transizione’ rompono il soffitto di cristallo

La parità di genere, quella vera, è ancora lontana. Ma negli ultimi anni la società civile ha fatto comunque dei passi avanti notevoli, così come la politica e il mondo dell’impresa. Dalle istituzioni alle grandi aziende, oggigiorno ci sono molte più donne ai posti di vertice rispetto a un passato anche recente, ma il percorso è lungo. E chissà se il processo che dovrà portare al compimento delle transizioni, ecologica, energetica e digitale, possa dare quella spinta che serve per frantumare definitivamente il soffitto di cristallo. Non solo perché Greta Thunberg è diventata ormai un simbolo mondiale dell’attivismo per il clima e la decarbonizzazione.

La riflessione emerge se, con santa pazienza, si prova a scorrere negli elenchi di Camera, Senato, Palazzo Chigi, management delle imprese chi sono attualmente i vertici. L’esempio più concreto è sicuramente quello del governo, dove Giorgia Meloni è entrata a far parte della storia del Paese come prima donna presidente del Consiglio. Nelle sue mani passano tutti i dossier più importanti, compresi quelli del Green Deal ovviamente. Oltre alla premier, tra le ‘donne della transizione‘ c’è di sicuro Vannia Gava, che per la seconda volta ricopre il ruolo di vice ministro dell’Ambiente, dicastero al quale da questa legislatura viene affiancata anche la delega alla Sicurezza energetica.

In Parlamento, invece, Chiara Braga, capogruppo del Partito democratico alla Camera, e Luana Zanella, presidente dei deputati di Avs, portano avanti la bandiera dell’ambientalismo nelle istituzioni. Tra i banchi di Montecitorio siede anche Elly Schlein, prima segretaria del Pd, sempre in prima linea sulle battaglie per il clima.

In Europa, poi, entra di fatto e di diritto nel pantheon la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Non foss’altro perché, anche nel suo caso, la responsabilità dei temi passa comunque tutta dalle sue mani. Nella squadra di Bruxelles, poi, ci sono la vicepresidente esecutiva, Margrethe Vestager, che si occupa di Digitale, Kadri Simson, che ha il compito di gestire la delega all’Energia, e Iliana Ivanova, commissaria a Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù.

Nel mondo economico e finanziario è Christine Lagarde, attuale presidente della Banca centrale europea ed ex direttrice del Fondo monetario internazionale, il volto più conosciuto sul palcoscenico mondiale. Mentre sta iniziando a ritagliarsi il suo spazio anche Nadia Calvino, nominata lo scorso 1 gennaio presidente della Banca europea per gli investimenti: prima donna a ricoprire questo ruolo dalla fondazione della Bei, nel 1958.

Tornando in Italia, la situazione inizia a cambiare anche nei board delle principali società partecipate. Sebbene la strada sia ancora faticosamente lunga, visto che la prima e unica donna (della storia) a capo di una delle più grandi aziende italiane è l’amministratrice delegata e direttrice generale di Terna, Giuseppina Di Foggia, nominata il 9 maggio di un anno fa. Nel gruppo Eni, invece, Rita Marino è presidente di Plenitude, mentre tra i manager figurano Chiara Ficeti per l’Energy Management, Giorgia Molajoni per Digital, Information Technology & Communication, Giovanna Bianchi Health, Safety, Environment and Quality e Simona Napoli Internal Audit.

Rimanendo nel campo energetico, Francesca Gostinelli è Head of Enel X Global Retail, Silvia Fiori direttrice della funzione Audit di Enel, Elisabetta Colacchia è Head of People and Organization, Margherita Mezzacapo, Marina Lombardi e Donata Susca rispettivamente responsabili di Audit, Innovazione e Health, Safety, Environment and Quality di Enel Green Power & Thermal Generation, la business line di Enel che si occupa della generazione di energia elettrica.

Spostando l’obiettivo verso la parte più economica, Silvia Maria Rovere è presidentessa di Poste Italiane dal maggio 2023, Alessandra Ricci è amministratrice delegata e direttrice generale di Sace, che molto spesso investe in progetti relativi alla transizione ecologica e la sostenibilità. Altro nome di rilievo è quello di Silvia Massaro, presidentessa di Sace Srv, la società specializzata nel recupero dei crediti e gestione del patrimonio informativo. Regina Corradini D’Arienzo, inoltre, è ad e dg di Simest e Alessandra Bruni presidentessa di Enav.

Spostando l’attenzione sul mondo associazionistico, le donne con ruoli apicali diventano ancora di meno. Perché tra le grandi sigle ricoprono incarichi di vertice Annamaria Barrile, direttrice generale di Confagricoltura, Maria Letizia Gardoni, presidentessa di Coldiretti Bio, Maria Grazia Mammuccini, presidentessa di FederBio, Barbara Nappini e Serena Milano, rispettivamente presidentessa e direttrice generale Slow Food Italia, e Nicoletta Maffini, presidentessa di AssoBio. Infine, c’è molto da rivedere nel mondo sindacale, se solo Daniela Piras ha un incarico di vertice come segretaria generale della Uiltec.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Turismo, Italia terzo Paese in Europa per estensione delle coste

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA sono classificati i Paesi europei per lunghezza delle coste. L’Italia si posiziona al terzo posto, dopo Grecia e Regno Unito, con i suoi quasi 8.000 km di costa. In ultima posizione il Principato di Monaco con appena 4 km di litorale.