Cdm e vertice governo, inizia ‘l’autunno’ della politica. Riflettori sulla legge di Bilancio

Giornata piena a Palazzo Chigi, quella di oggi 30 agosto. Con il vertice di governo tra la premier, Giorgia Meloni, e i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e il successivo primo Consiglio di ministri post-ferie, inizia ufficialmente ‘l’autunno’ della politica. No, le stagioni non sono cambiate – nonostante il clima continui a dare segnali di profonda sofferenza -, ma questo, storicamente, è il momento di ‘mettere a terra’, come si usa dire oggi, i progetti di lavoro da qui alla fine dell’anno.

In agenda sono tanti i temi da discutere, tra gli alleati di governo e maggioranza. La partita europea è chiusa, non nel senso che gli accordi siano stati già definiti con Ursula von der Leyen, anzi. Ma la quadra su Raffaele Fitto è stata trovata da tempo e domani in Sala del Consiglio, dopo lo scampanellio della premier, si tratterà solo di mettere il suo nome nero su bianco sul foglio da spedire a Bruxelles con oggetto: candidato italiano alla nuova Commissione Ue. Poi tutto passerà nelle mani della presidente Udl, alla quale staranno fischiando parecchio le orecchie da direzione sud-Europa, dopo il tour de force del leader Ppe, Manfred Weber, a Roma. La partita andrà avanti fino a novembre, mese nel quale la squadra sarà completata con giocatori e ruoli assegnati.

Nel frattempo l’Italia deve imbastire tutti i passaggi che dovranno portare alla prossima legge di Bilancio 2025. In primis, il Piano strutturale di bilancio da consegnare a Parlamento e Unione europea: il Mef garantisce che arriverà in Cdm nei tempi previsti, ovvero metà settembre. Il documento non è di poco conto, perché prende il posto della Nadef e da quello si capirà se i rumors sui tagli all’assegno unico per i figli, il lavoro femminile e le pensioni sono reali, o fake news come sostiene il ministero dell’Economia. Dalle opposizioni chiedono chiarezza anche sulle reali intenzioni del governo rispetto alla transizione ecologica e la conseguente conversione industriale, perché, a detta degli avversari di centrosinistra (se riusciranno a trovare la quadra sulla potenziale coalizione), la lotta ai cambiamenti climatici non sembra proprio essere in cima ai pensieri della maggioranza.

Uno scenario, questo, che richiama ancora una volta alla sfida europea. Perché a Bruxelles il centrodestra continua a chiedere di avere un’Ue “meno ideologica“, ergo razionalizzando i dettami del Green deal. Principio sul quale, invece, la rive gauche italiana (e non solo) non vuole cedere e insiste con i vertici delle istituzioni continentali per andare avanti. Forti anche del fatto che i voti a von der Leyen per la riconferma, loro, non li hanno fatti mancare. Come il Ppe, che vuole realismo per non sovraccaricare le imprese. Sarà un bel nodo da sciogliere, per la riconfermata presidente.

Altro punto: i trasporti. L’estate nera per l’intensa opera di infrastrutturazione delle linee ferroviarie starebbe volgendo al termine, ma da sciogliere restano comunque diversi nodi, soprattutto sull’alta velocità. Per inciso, il ministro Salvini esulta per il via libera della commissione Mase agli interventi sulla AV Salerno-Reggio Calabria.

C’è il tema lavoro, poi. Il rilancio del piano industriale italiano ed europeo, fortemente voluto da Adolfo Urso. Il ministro delle Imprese e il Made in Italy dovrà mettere mano a diversi dossier, primo tra tutti Stellantis, per la Gigafactory di Termoli (il tavolo è fissato per il 17 settembre) e non solo. C’è da capire se arriverà, come sperano a Palazzo Piacentini, un secondo produttore automobilistico (ma anche un terzo e un quarto). Inoltre, vanno risolti i tavoli di crisi aperti, incrociando le dita che i dati sul fatturato dell’industria (in calo su base annua, a luglio) non ne portino altri in dote. Allo stesso tempo, c’è da aiutare le imprese a mantenere uno standard elevato di export (che va a gonfie vele), potenziando l’internazionalizzazione delle nostre aziende nel mondo.

Agricoltura. Capitolo complicato, legato a doppio nodo sia al Green deal, per il contrasto ai cambiamenti climatici, sia al braccio di ferro sulle regole europee, che i nostri agricoltori contestano perché miopi e troppo restrittive nella competizione con mercati che, invece, hanno pochi ostacoli da superare.

Tutto questo scenario, infine, si incrocia con la partita politica delle prossime elezioni regionali. Si voterà in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria: tre partite che potrebbero riaprire i giochi per il centrosinistra oppure chiuderli (per il momento) a favore del centrodestra e del governo. Anche di questo parleranno Meloni, Salvini e Tajani. Cosa che faranno pure nel campo opposto (vedremo se largo o meno). Per l’appunto, l’autunno della politica è già iniziato.

A Roma l’assemblea mondiale dei mercati contadini. Prandini: “Valore da oltre 4,5 miliardi”

Photo credit: canali social Coldiretti

 

Salvaguardare la biodiversità, valorizzandola. Roma diventa il centro del mondo enogastronomico per la due giorni della World Farmers Markets Coalition, l’associazione che riunisce i mercati contadini del pianeta. Nata nel 2021 su impulso di Coldiretti e Campagna Amica, si tratta di un’organizzazione non-profit che fa parte dei dieci progetti selezionati nell’ambito del Programma Food Coalition della Fao e ha richiamato nella Capitale italiana agricoltori dai cinque continenti per portare le proprie specialità da salvare. I numeri rendono meglio l’idea della portata di questa manifestazione: oltre 70 associazioni rappresentative da 60 Paesi, 20mila mercati coinvolti, 200mila famiglie agricole e oltre 300 milioni di consumatori.

Il Wfmc è un’opportunità per lo sviluppo e la crescita, anche dei Paesi emergenti che si trovavano in difficoltà”, dice il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, a margine dei lavori che si svolgeranno venerdì 12 e sabato 13 luglio al mercato di Campagna Amica, al Circo Massimo. Il numero uno dei coltivatori diretti ricorda l’esempio italiano: “Grazie a ‘Campagna amica’ abbiamo salvato 30mila imprese, quindi nuclei familiari, creando un valore, all’interno della filiera, nella vendita diretta, superiore ai 4,5 miliardi. Ma soprattutto – aggiunge – creiamo le condizioni perché si possa fare cultura, in termini di informazione, difesa della biodiversità e della distintività del modello agroalimentare italiano e creare le condizioni per le quali ci sia sempre l’attenzione al tema degli sprechi di cibo”.

Altro tema emerso con forza nella prima giornata di assemblea è la necessità di porre un freno alla deriva delle catene globali, nelle quali le grandi multinazionali spingono l’acceleratore verso i cibi ultraprocessati, oltre a sfruttare i territori e le loro risorse, mentre in diverse zone del mondo è la filiera di prossimità a nutrite le popolazioni. “Se riusciremo a fare il chilometro zero a livello globale, creeremmo una opportunità di crescita e attenzione per i cittadini, ma anche per i nostri produttori”, sottolinea ancora Prandini. Supportato anche dai risultati dello studio condotto da Ipes-FoodFood from somewhere: building food security and resilience through territorial markets‘: oltre il 70% della popolazione mondiale è alimentata da piccoli produttori e reti di agricoltori che utilizzano meno di un terzo delle terre agricole e delle risorse globali.

Inoltre, secondo un’analisi Coldiretti su dati Fao, gli agricoltori di piccola scala e a conduzione familiare producono l’80% dell’approvvigionamento alimentare nell’Africa sub-sahariana e Asia. In media, con il fabbisogno alimentare delle città viene fornito principalmente da un’agricoltura attiva nel raggio di 500 chilometri.

Una tendenza che è molto presente anche nel nostro Paese. Anche in questo caso vengono in supporto i numeri delle analisi. Secondo quella condotta da Coldiretti su dati della Noto sondaggi, infatti, il 64% degli italiani, quindi quasi due su tre, preferiscono fare la spesa nei mercati contadini. Non solo, perché il 73% degli intervistati nell’indagine ritiene che acquistare direttamente dall’agricoltore sia il modo migliore per avere la garanzia della sicurezza di quanto portano in tavola tra tutte le forme di distribuzione, dal supermercato al web. Infatti, l’86% dei nostri concittadini vorrebbe avere a disposizione un mercato contadino di prossimità. Percentuale che sale al 93% nelle regioni del Centro.

Dobbiamo garantire, soprattutto nel nostro Paese, prodotti di qualità, quindi anche la differenziazione della produzione è utile e va sostenuta”, afferma il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, tra gli ospiti d’onore della prima giornata di World farmers market coalition. “Allo stesso tempo – continua il responsabile della Farnesina – bisogna sostenere l’industria agroalimentare, che rappresenta un punto di forza della nostra economia reale e del nostro Export. Ne parleremo anche al G7 commercio internazionale di Reggio Calabria”.

Che serva “un nuovo patto tra l’Europa e il mondo agricolo” ne è convinto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Mettendo “al centro la sostenibilità con il mondo agricolo alleato in questa battaglia”. Per il primo cittadino della Capitale è “fondamentale la centralità della riduzione delle emissioni, che non va visto come un pericolo, anzi l’agricoltura può essere alleato non solo dal punto di vista produttivo, ma come forma di cura del suolo e difesa dell’ambiente”. Evitando, però, “lo sviluppo di una industrializzazione che quando fa dell’ultra processato l’unità di misura fondamentale di qualsiasi fase nutritiva delle persone – avvisa Gualtieri – mette in discussione sia la salute delle persone, sia una filiera produttiva di qualità”.

La seconda e ultima giornata del Wfmc sarà aperta dal ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida. Le conclusioni, invece, saranno affidate al presidente e al direttore generale del World farmers market coalition, Richard McCarthy e Carmelo Troccoli.

Commissione Ue, parte il toto-nomi in Italia. Ma prima va chiusa la partita dei ‘Top Jobs’

La partita europea entra già nel vivo. Chiuse le urne e completati i conteggi, il negoziato sembra avviato sulla linea di una possibile riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue, ma stavolta la maggioranza potrebbe allargarsi a Verdi e Ecr, quanto meno a nuclei della famiglia dei Conservatori europei. Dunque, anche la composizione della squadra di governo continentale potrebbe essere più ‘larga’ del previsto, nonostante le iniziali ritrosie dei Socialisti. Prima, però, vanno definiti i cosiddetti ‘Top Jobs‘, ovvero i ruoli di vertice: Presidenza di Commissione e Consiglio, alto rappresentante per la politica estera, per intenderci. L’Italia può dire la sua, forte del fatto che l’esecutivo – uno dei pochi nel Vecchio continente – non ha subito contraccolpi dal voto, anzi ne esce rafforzato, in particolar modo la premier, Giorgia Meloni.

Non sarà una fase facile, né veloce anche se i rumors sono indirizzati verso la soluzione dei negoziati entro il 18 luglio. In questo lasso di tempo dovranno essere scelte anche le figure dei commissari con la relativa assegnazione delle varie deleghe. Ed è qui che si fa più calda la situazione nel nostro Paese. L’Italia vorrebbe un ‘ministero’ di peso: le voci di corridoio dei palazzi della politica suggeriscono di tenere d’occhio le deleghe alla Concorrenza (sarebbe il vero obiettivo di Meloni), ma anche l’Agricoltura, il Mercato interno o addirittura l’Energia, che potrebbe chiudere il cerchio di quel Piano Mattei su cui Palazzo Chigi sta puntando molte delle sue fiches di politica estera. Difficile, ma non fantascienza, che al nostro Paese venga assegnata la Difesa, mentre potrebbe rivelarsi un boomerang accettare eventualmente la delega agli Affari interni, che in pancia porta la delicata questione dei flussi migratori, storicamente divisivo in Europa.

Una volta deciso chi farà cosa, allora si potrà passare alla fase dei nomi. Sebbene il pallottoliere stia già andando a mille dalle parti di Roma. Finora sono tre i ministri del governo Meloni che hanno pubblicamente fatto sapere di non essere disponibili: in primis Giancarlo Giorgetti, che ha ripetuto spesso (e volentieri) di preferire il campo italiano a quello europeo. Si chiama fuori dai giochi anche Adolfo Urso, che vuole completare il lavoro al Mimit: “Il Paese ha altre personalità che saranno sicuramente più adeguate del sottoscritto, io certo non posso mollare quello che faccio“. Out pure Antonio Tajani, che più chiaro non poteva essere: “Ritengo non si debba tornare dove si è lavorato per 30 anni“, aggiungendo che preferisce restare alla Farnesina.
Sul taccuino, dunque, resta Raffaele Fitto, che in questi due anni ha avuto stretti contatti con Bruxelles nel suo ruolo di ministro degli Affari Ue, della Coesione e del Pnrr. Ma nelle ultime ore sono circolate altre ipotesi, altrettanto valide, come quella di Roberto Cingolani, attuale ceo di Leonardo con un passato da ministro della Transizione ecologica nel governo di Mario Draghi. Sarebbe un ‘tecnico‘, certo, ma con esperienza istituzionale, che alle latitudini europee conta eccome come criterio per essere scelto. Ancora, della squadra dell’ex Bce potrebbe avere il phisique du role Vittorio Colao, che ha guidato una multinazionale come Vodafone e ha fatto il ministro dell’Innovazione e Transizione digitale.

I bene informati non escludono, però, colpi di scena. Come Maurizio Leo che, però, ha ‘solo‘ gli ultimi due anni da viceministro dell’Economia nel suo curriculum politico da poter spendere a Bruxelles, dove è preferibile avere personalità che abbiano ricoperto cariche di maggiore responsabilità, sebbene il Mef sia considerato un dicastero assolutamente ‘pesante‘. Nella ruota dei ‘papabili‘ restano comunque Gilberto Pichetto (Mase) e Guido Crosetto (Difesa), così come a mezza bocca è circolato il nome di Francesco Lollobrigida, attuale ministro dell’Agricoltura, forse la persona più vicina alla premier. Molto difficile che possa traslocare dal Masaf, ma in politica vige una sola regola: ‘nulla è impossibile.

Ue versa IV rata Pnrr a Italia: 16,5 mld. In Cdm approvata norma ad hoc sul Superbonus

Una boccata d’ossigeno per l’Italia. La Commissione europea, infatti, ha versato la quarta rata del Pnrr e il nostro Paese porta in cassa altri 16,5 miliardi di euro. Cifra che aggiorna il totale delle risorse ottenute finora a circa 102 miliardi, ovvero più la metà dei 209 miliardi previsti dagli accordi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il percorso, però, non è stato facile. Ci sono volute settimane di negoziati, a volte con qualche tensione di troppo, ma il governo ha portato comunque a casa la modifica degli obiettivi senza perdere un centesimo delle risorse europee. Il nuovo pagamento, infatti, è legato al conseguimento di tutti i 28 obiettivi e traguardi legati alla quarta rata, come accertato dall’Ue. “Ciò dimostra i grandi progressi fatti dall’Italia nel raggiungimento delle misure previste”, si legge in una nota di Palazzo Chigi.

I target raggiunti riguardano misure necessarie per proseguire l’attuazione delle riforme in materia di giustizia e pubblica amministrazione, oltre a quelle relative all’inclusione sociale e gli appalti pubblici. I principali investimenti sono legati alla digitalizzazione, in particolare per quanto riguarda la transizione dei dati delle Pubbliche Amministrazioni locali verso il cloud, lo sviluppo dell’industria spaziale, l’idrogeno verde, i trasporti, la ricerca, l’istruzione e le politiche sociali.

Grande soddisfazione per l’erogazione avvenuta oggi da parte della Commissione europea della quarta rata del Pnrr del valore di 16.5 miliardi”, commenta sui suoi canali social il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, che ha il compito di seguire il dossier. “L’impegno del presidente Meloni e del governo era di ricevere i fondi entro la fine del 2023 e lo abbiamo rispettato – sottolinea -. Questo è il risultato di un grande impegno collettivo e di una costante e costruttiva collaborazione la Commissione europea”.

Ma ora, come scrive ancora Fitto, “il lavoro prosegue”. Palazzo Chigi fa sapere che “sulla base del Piano così come recentemente modificato dal Consiglio Ue, il governo proseguirà nell’opera di piena e tempestiva attuazione del Pnrr, nel quadro della continua e stretta collaborazione con la Commissione europea”. L’obiettivo è chiudere anche la partita della quinta rata, accelerando sull’iter di verifica dei 52 obiettivi connessi, indispensabile per inviare a Bruxelles la richiesta di pagamento entro il 31 dicembre.

Intanto, sul fronte della maggioranza, si allentano le tensioni interne dopo l’accordo trovato tra i partiti che sostengono il governo che porta all‘approvazione, nell’ultimo Cdm dell’anno, a un provvedimento specifico sul Superbonus. Stavolta a esultare è Forza Italia, dopo settimane di trattative lontane dai riflettori e dichiarazioni pubbliche per spingere a rivedere la decisione del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, avallata dalla premier, Giorgia Meloni, sulla fine della misura per l’efficientamento energetico degli edifici. Per i cittadini “meno abbienti, di fatto ci sarà una sorta di ‘sanatoria’ per il 2023, cioè per chi ha superato il 30% dei lavori: se non ha raggiunto la conclusione non dovrà pagare nulla, anche per eventuali omissioni – spiega il vicepremier, Antonio Tajani -. Quindi, di fatto, né l’impresa si rivarrà sui clienti, sui condomini, né dovrà versare penali allo Stato e restituire i soldi“. Inoltre, “per i lavori che non sono stati conclusi al 100% e che usufruivano del Superbonus 110, con il secondo stato di avanzamento lavori già fatto prima del 31 dicembre“, sempre “per le persone meno abbienti, sarà lo Stato a pagare la differenza tra il 70 e il 110%“, sottolinea il segretario nazionale degli azzurri.

Continuerà ad esistere il bonus al 70% per tutti coloro che proseguiranno i lavori nel 2024 ed è prevista una sanatoria che permetterà di evitare la restituzione delle somme per tutti coloro che non hanno completato i lavori entro il 31 dicembre“, entra ancora nei dettagli il capogruppo di FI alla Camera, Paolo Barelli. “Il bonus edilizio al 110% resterà comunque in vigore per coloro che hanno reddito basso e non hanno completato i lavori“.

Critiche le opposizioni. Per il Pdsulla questione Superbonus maggioranza e governo stanno dando vita a un indecoroso teatrino sulla pelle di cittadini e imprese“, attacca il capogruppo del Partito democratico in commissione Bilancio alla Camera, Ubaldo Pagano. Aggiungendo: “Le possibilità sono due: o hanno preso in giro il parlamento bocciando le nostre proposte per poi inserirle in un nuovo provvedimento. Oppure quella che stanno costruendo è una norma vuota e inutile per risolvere i problemi aperti dalle loro scelte miopi e dannose“. Duro anche l’affondo di Angelo Bonelli: “Per mesi il governo ha criticato il provvedimento, con dichiarazioni che lo hanno definito una ‘allucinazione’ da parte del ministro Giorgetti e addirittura la ‘più grande truffa ai danni dello Stato’ secondo Meloni. Tuttavia – continua il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avsoggi assistiamo a un cambio di rotta, con la maggioranza che dichiara di aver raggiunto un accordo. Siamo nel circo della politica“.

Confagricoltura: “Serve un Piano straordinario per il settore, investire in innovazione”

Per alimentare il trend positivo del comparto agricolo e agroalimentare bisogna puntare in alto investendo. E’ quanto emerge dall’assemblea invernale 2023 di Confagricoltura. “L’agricoltura sta vivendo una stagione straordinaria“, spiega il presidente, Massimiliano Giansanti: “Da una parte abbiamo una ripresa sull’importanza della strategicità, sui temi della sovranità alimentare, dall’altra le sfide mondiali, se pensiamo alla nuova geopolitica del cibo, perché ci sono i progressi fatti dal Brasile, dagli Usa, dalla Cina, le nuove coltivazioni di olivicoltura in Arabia Saudita“. Tutto questo, sottolinea ancora il numero uno della confederazione, “deve farci pensare che il settore deve continuare a investire, a investire sull’innovazione e per fare questo serve un Piano straordinario per l’agricoltura“.

Del resto, la filiera agroalimentare, dalle imprese alla ristorazione, “è arrivata a incidere per il 16% sulla formazione del Pil“, ma “tenendo anche conto dei mezzi tecnici per la produzione agricola, si sale oltre il 20 percento“, elenca ancora Giansanti, ricordando che “sono 1, 4 milioni i posti di lavoro assicurati” e “le potenzialità di crescita rilevanti“. Numeri importanti, che necessitano di un programma a lungo termine, che vada oltre gli interventi previsti dal Pnrr che, arrivati a questo punto, hanno un orizzonte temporale (il 2026) limitato, per le ambizioni del comparto. Fortissimo anche nell’export: “Il Made in Italy agroalimentare ha toccato il massimo storico di 60 miliardi di euro e continua a salire, nonostante le difficoltà innescate dall’inflazione e dal rallentamento dell’economia in Europa e nel mondo“, ricorda il numero uno di Confagricoltura. Che prosegue con altri dati: “Dal 2013 al 2022 la quota italiana sulle esportazioni totali della Ue verso i Paesi terzi è passata dal 9,5 all’11,3%, La Francia è scesa dal 19,2 al 17,2 percento“.

Un aspetto sottolineato anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento: “L’Ue è il primo esportatore globale di prodotti agroalimentari e, in essa, Italia e Francia si contendono il primo posto. E’ parte del soft power europeo“. Non solo, per il capo dello Stato l’Italia “può giocare d’iniziativa a tutto campo; in una stagione che vede, insieme, alimentazione, tutela dell’eco-sistema, governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali“. Ma per questo “è necessario rendere tutti consapevoli di quanto centrale sia oggi l’agricoltura“.

Anche a livello europeo è importante adeguare le normative alle sfide del nostro tempo. Ne è convinta la premier, Giorgia Meloni, che nel suo intervento video sottolinea come “il comparto agroalimentare italiano è tante cose messe insieme: identità, territorio, qualità, sostenibilità, innovazione, sviluppo“. Ecco perché il governo “fin dall’insediamento ha lavorato per valorizzare le nostre filiere, stimolare la produzione nazionale, difendere il nostro modello agroalimentare, la nostra biodiversità, i cibi di qualità dall’omologazione e dall’impoverimento“. Infatti, il capo del governo rivendica il successo sullo stop al cibo sintetico: “Siamo la prima nazione al mondo ad averlo fatto e siamo orgogliosi di poter essere un modello da seguire anche su questo“.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche il vicepremier, Matteo Salvini, che chiede all’Ue norme più corrispondenti alla realtà e rilancia il tema del nucleare come elemento per il futuro. A patto, però, che ci siano le centrali in Italia, perché “svilupparlo senza averle, sarebbe… azzardato“. Sul tema si pronuncia anche l’altro vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, che promuove la bozza di conclusioni della Cop28 nel passaggio favorevole proprio al nucleare: “E’ l’unica soluzione che abbiamo di fronte, nel breve, medio e lungo periodo per ridurre le emissioni di Co2, gradatamente, e avere anche una politica sociale non soltanto una politica di lotta al cambiamento climatico, permettendo l’autosufficienza energetica“. A proposito di energia, “se oggi il settore agricolo concorre per quasi il 10% sulla produzione elettrica totale da fonti rinnovabili, è in gran parte merito dei nostri imprenditori, è giusto riconoscerlo“, sottolinea Giansanti.

L’agricoltura è “pilastro della nostra economia, facendo dell’Italia la terza economia agricola europea e seconda, dopo la Francia, per valore aggiunto“, dice poi il ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, nel suo videomessaggio. Dimostrando un’attenzione, da parte del governo, confermata dal responsabile del Masaf, Francesco Lollobrigida: “Stiamo lavorando, in Italia e nei consessi europei, per aumentare i fondi al settore“, garantisce il ministro dell’Agricoltura, sovranità alimentare e delle foreste. Che ricorda: “Abbiamo chiesto sostegno maggiori alla Pac e una previsione chiara di quelle che dovranno essere i nuovi ingressi in Europa, perché se da una parte siamo convintissimi della necessità di aggregare intorno all’Ue altri Stati, a cominciare dall’Ucraina, sappiamo bene quale possano essere i rischi per i nostri agricoltori se non vi è una pianificazione in grado di sostenere il nostro modello produttivo e i nostri agricoltori con nazioni che hanno costi di produzione più bassi ed estensioni territoriali più ampie“. Un discorso che si sposa perfettamente con la visione di Confagricoltura, che infatti indica quelle che dovrebbero essere le priorità del prossimo Parlamento Ue e della nuova Commissione europea dal 2024: “Bilancio pluriennale dopo il 2027 e una nuova riforma della Politica agricola comune”. La nuova Ue dovrà ripartire da lì.

Il sistema di etichette su alcolici è legge in Irlanda. Italia insorge: “Dà false informazioni”

Nuovo passo sulla strada dell’entrata in vigore del contestato sistema di etichettatura delle bevande alcoliche in Irlanda e nuova ondata di polemiche in Italia contro quella che viene letta come una misura che impatterà negativamente il commercio di vino nazionale nel mercato di uno dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea. Il ministro della Salute irlandese, Stephen Donnelly, ha firmato il Regolamento 2023 sulla salute pubblica, introducendo così ufficialmente le disposizioni sull’indicazione di informazioni sanitarie sui prodotti alcolici venduti su tutto il territorio nazionale. “Questa legge è stata concepita per dare a tutti noi consumatori una migliore comprensione del contenuto alcolico e dei rischi per la salute associati al consumo di alcol“, ha commentato lo stesso ministro annunciando l’entrata in vigore delle nuove misure dal 22 maggio 2026.

Dopo un periodo di transizione di tre anni per dare alle aziende un tempo “significativo” per prepararsi al cambiamento, la legge prevederà una serie di indicazioni in materia di salute pubblica: non solo che le etichette indichino il contenuto calorico e i grammi di alcol presenti nei prodotti alcolici, ma anche i rischi di malattie epatiche, tumori mortali e per la gravidanza dovuti al consumo di alcol. “Le confezioni di altri prodotti alimentari e bevande contengono già informazioni sulla salute e avvertenze sanitarie, questa legge mette in linea anche i prodotti alcolici”, ha precisato il ministro, esortando “altri Paesi a seguire il nostro esempio“.

L’Irlanda aveva notificato il 21 giugno 2022 alla Commissione Europea e agli altri 26 Paesi membri l’intenzione di introdurre le nuove norme. La proposta di Dublino si basa sul fatto che, per quanto riguarda la prevenzione oncologica, “il livello più sicuro di consumo di alcol non esiste”, come rileva l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Nel periodo di sei mesi previsto dal Regolamento Ue 1169 del 2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori sono emersi i “pareri circostanziati sfavorevoli” di nove Stati membri, tra cui Francia e Italia, ma il silenzio-assenso dell’esecutivo comunitario è durato fino alla scadenza del periodo di moratoria di sei mesi previsto dalla normativa. Il 22 dicembre è arrivato il via libera all’Irlanda ad apporre etichette con ‘health warning’ sulle bottiglie di alcolici.

E l’Italia insorge: “Abbiamo già chiesto di intervenire, perché è in contrasto con le regole del Mercato interno”, ha commentato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani:Riteniamo che le informazioni contenute nel bollino rosso irlandese siano fuorvianti”. La questione aveva già sollevato a gennaio aspre polemiche in particolare in Italia, capofila di un gruppo di Stati membri che ha provato a spingere l’Irlanda a fare un passo indietro e trovare una soluzione di compromesso. “Non condividiamo assolutamente queste false informazioni che vengono date ai consumatori globali”, è l’attacco ancora più duro del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Secondo la Coldiretti “l’entrata in vigore della legge sulle etichette allarmistiche del vino in Irlanda è un precedente pericoloso che mette a rischio il record nelle esportazioni di vino Made in Italy di 7,9 miliardi realizzati lo scorso anno“. In attesa che la misura possa essere ridiscussa nel comitato barriere tecniche dell’Organizzazione mondiale del commercio (Oms) il prossimo 21 giugno, il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamglia, ha definito quello dell’Irlanda un “comportamento inaccettabile” e un “aperto gesto di sfida“.

Di Maio inviato Ue nel Golfo, Lega-FI attaccano: “Scelta curiosa”

L’Italia conquista una casella nello scacchiere europeo. Luigi Di Maio, a meno di clamorose retromarce dell’ultimo secondo, sarà il nuovo inviato dell’Unione europea per il Golfo persico. Secondo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha tutte le carte in regola per ricoprire il ruolo. Per diversi partiti politici, invece, la sua nomina sarebbe da evitare. O almeno così la pensa la Lega, che a caldo aveva definito la scelta fatta a Bruxelles una “indicazione vergognosa, un insulto all’Italia e a migliaia di diplomatici in gamba“. Commento reiterato dopo 24 ore dal segretario federale del Carroccio, che è anche vice premier del governo Meloni: “Con tutti i diplomatici di carriera, che hanno fatto tanto in Italia e in Europa, mandare a mediare il signor Di Maio Luigi è curioso“, tuona Matteo Salvini. Garantendo che “non è una questione personale“, anche se in passato, soprattutto dalla fine dell’esecutivo gialloverde, nel 2019, ha spesso e volentieri incrociato le spade (politicamente, sia chiaro) con l’ex collega.

Per il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti “non è l’unica iniziativa curiosa da parte di alcune istituzioni europee, che sono più ideologiche che pragmatiche, penso alle direttive case e auto green, carni sintetiche, vini farlocchi“. Ecco perché fa sapere di contare sul fatto “che ci ripensino, ci sono persone con curriculum superiori“. Nemmeno il suo attuale omologo, Antonio Tajani, ha gradito la nomina, ma con realismo ammette: “L’iter è avviato e non è facilmente modificabile“. In Forza Italia, comunque, sono in tanti a pensarla come il ministro degli Esteri. La notizia della nomina europea sempre più vicina per Di Maio non fa fare i salti di gioia, ma neanche le barricate, ai partiti di centro. A domanda, il leader di Azione, Carlo Calenda, ad esempio risponde senza troppi giri di parole: “Non lo avrei designato, ma Borrell avrà fatto le sue analisi. Io ho visto Di Maio prendere molte decisioni, sempre in coincidenza con il suo interesse personale. Detto questo, non faremo una battaglia contro, se sta bene a Borrell sono fatti suoi“.

Nel frattempo l’ex responsabile della Farnesina ha ridotto al minimo i contatti. Anche i suoi fedelissimi hanno difficoltà a raggiungerlo, non foss’altro per fargli gli in bocca al lupo di rito. Mentre i suoi ex colleghi del Movimento 5 Stelle restano in silenzio. Lo strappo consumato alla fine della scorsa legislatura, con l’addio alla casa-madre per fondare prima il gruppo Insieme per il futuro e, successivamente, Impegno civico con Bruno Tabacci, non si è mai sanato. Difficilmente, quindi, potrà contare sul sostegno pentastellato nel suo nuovo incarico. Mentre nel Partito democratico qualche vecchio amico su cui contare ce l’ha ancora. E per il momento può anche bastargli così.

Energia e transizione ecologica alla “Cernobbio degli imprenditori cattolici”

Una serata per fare comunità, parlando dei temi di più stretta attualità, che toccano famiglie e imprese. La cena di apertura dell’anno sociale 2023 dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti del Lazio, avvenuta martedì 28 marzo, a Roma, è stata l’occasione per mettere allo stesso tavolo, non solo idealmente, ministri, esponenti di governo, presidenti di commissione, manager di partecipate pubbliche, consiglieri regionali e assessori del Lazio, ma soprattutto manager, ceo e presidenti di società italiane e multinazionali, oltre a banchieri e assicuratori. “Il Gota dell’economia e della finanza nazionale che si riunisce per fare comunità”, dice il presidente di Ucid Lazio, Riccardo Pedrizzi. Che definisce la serata “una sorta di Cernobbio degli imprenditori cattolici”.

Ospiti della serata, dal titolo emblematico ‘L’autonomia energetica per la sovranità nazionale’, tra gli altri, personalità del calibro di Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, e Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepremier, oltre alla ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, al vice presidente del Senato, Maurizio Gasparri, l’ex ministro dell’Ambiente, Luciano Galletti, il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio Cardinalizio, e il vescovo Paolo Selvadagi, consulente ecclesiastico dell’Ucid gruppo Lazio. “Da un punto di vista umano vogliamo creare delle reti di solidarietà, perché in questo momento, nel nostro Paese, c’è bisogno di fare comunità per affrontare sfide drammatiche, come quella energetica”, spiega ancora Pedrizzi. Che indica le priorità anche dell’Ucid: “Gli approvvigionamenti e la transizione energetica che ci viene proposta dall’Europa”.

Secondo l’ex senatore “Abbiamo scongiurato l’appuntamento disastroso per quello che riguarda le macchine elettriche. Il governo italiano ha fatto un buon lavoro, ha stoppato questa transizione e adesso c’è da scongiurare la transizione energetica sulle nostre case”. Perché “l’Europa vorrebbe l’efficientamento energetico per il nostro patrimonio immobiliare, il ché significherebbe andare a colpire le famiglia, anche per le piccole abitazioni, con una spesa di circa 25-30mila euro che non si possono permettere. In questo la rappresentanza italiana in Europa dovrà farsi sentire”.

Anche Tajani non si sottrae dal tema. “La guerra in Ucraina ci ha costretto a liberarci dalla dipendenza dalla Russia: i risultati sono molto positivi, c’è stata una politica molto saggia”, sottolinea il responsabile della Farnesina. Che ricorda: “L’Italia vuole diventare hub energetico nel Mediterraneo per tutta Europa, andiamo avanti, è un impegno prioritario per il governo”.

Descalzi, nel suo breve intervento, parla di sovranità energetica e autonomia, che passano da tre macrofattori: diversificazione delle fonti di approvvigionamento, infrastrutture e mix di gas e tecnologie di proprietà. La ricetta del ceo di Eni, da un anno impegnato anche nel difficile compito di aiutare l’Italia e il governo a liberarsi dalle forniture russe (Mosca “non sta dando più nulla all’Italia e molto poco all’Europa, siamo al 5-6% rispetto alla domanda“) creando una indipendenza per il nostro Paese, parte da un ragionamento molto articolato. “Siamo un grande complesso di trasformazione industriale” ma senza “energia propria, quindi siamo in una grande macchina che però non ha energia. Come se avessimo comprato una Ferrari ma non abbiamo la benzina. Questa è la situazione”. Dunque, “quando si parla di sovranità o autonomia, vuol dire riuscire ad avere l’energia necessaria per far muovere la propria macchina, le proprie imprese”. Per ovviare al problema, però, Descalzi richiama tutti alla realtà del momento: “Prima di tutto bisogna mettere i piedi per terra: il gas non può scomparire domani”.

Tajani

Tajani: “Se Russia taglia gas sono problemi, più autosufficienza”

La questione energetica continua ad agitare la politica europea. Un rischio di tagli delle forniture russe verso l’Ue è uno scenario che nessuno auspica, ma che comunque entra prepotentemente nella agende non solo nazionali, tanto è vero che il tema è stato oggetto di confronto anche attorno al tavolo del Partito popolare europeo (Ppe), riunito come consuetudine prima del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue. “Se la Russia smette di inviare gas sono problemi”, riconosce Antonio Tajani, coordinatore unico di Forza Italia e vicepresidente del Ppe, nel colloquio concesso a Gea a margine dei lavori. “Ci auguriamo che non succeda, ovviamente”, ma in ogni caso quello che serve è uno sforzo collettivo per trovarsi preparati se mai il peggio dovesse concretizzarsi. “Dobbiamo accelerare sui tempi dell’autosufficienza energetica”, il che vuol dire investimenti e politiche mirate. I primi vanno stimolati, le seconde varate con priorità assoluta.

L’autosufficienza energetica passa anche per un maggior ricorso al gas petrolio liquefatto, il Gnl che l’Ue ha iniziato ad acquistare sul mercato, soprattutto quello nordamericano. Ma anche qui “occorre accelerare”, insiste Tajani. “Servono rigassificatori”, che l’Europa degli Stati al momento non ha. “Ne servono più di quanti ce ne sono” attualmente. È una consapevolezza diffusa, attorno al tavolo del centro-destra europea, che “rifiuta di chiudere gli occhi di fronte a queste sfide impegnative”. Un passaggio contenuto anche nella dichiarazione del Ppe diffusa alla fine summit. “Abbiamo discusso anche della situazione economica”, spiega ancora Tajani, perché se il possibile taglio alle consegne di gas russo sono un’eventualità, il problema dei prezzi dell’energia è già un problema reale, che si ripercuote sul tessuto produttivo e le prospettive di crescita dell’Europa.

M5S contro Draghi dopo bocciatura Superbonus

L’eco della stroncatura per il Superbonus 110% fatta a Strasburgo da Mario Draghi, rimbomba forte nei palazzi della politica romana, anche a distanza di oltre 24 ore. Sono soprattutto i Cinquestelle – ça va sans dire – a non aver gradito l’uscita del premier, che parlando per la prima volta alla Plenaria del Parlamento Ue non ha nascosto la sua contrarietà per una misura che, a sua detta, ha più che triplicato i costi per l’efficientamento degli edifici e delle abitazioni. Parole dure, che spiazzano il partito di maggioranza relativa. “Mi meraviglia che difronte all’Europarlamento il presidente Draghi trovi l’esigenza di parlar mal di una misura che sta facendo correre l’economia” e “che ha consentito a lui di andare in Europa e in tutto il mondo, a testa alta, a fregiarsi del 6,6% di Pil“, replica il leader M5S, Giuseppe Conte. “Lo dicono tutti gli economisti: l’incertezza rischia di frenare o rallentare l’economia, qui sul Superbonus si sta bloccando tutto, prima mistificando sulle frodi, poi con il dibattito sulla cessione dei crediti – aggiunge -. Gli operatori quotidianamente ci chiedono come possono programmare se non sappiamo qual è la posizione del governo. Quindi, obiettivamente, tutto questo crea incertezza”.

Si accoda all’analisi anche Stefano Patuanelli, che non solo è il ministro delle Politiche agricole dell’esecutivo presieduto dall’ex Bce, ma è anche il capodelegazione pentastellato. “Dispiace che il presidente del Consiglio del nostro Paese critichi una misura del suo governo in un consesso europeo. Ue che – sottolinea –, quando ci ha comunicato la tranche di pagamento del Pnrr qualche settimana fa, ha citato come prima misura virtuosa la proroga degli strumenti di efficientamento degli edifici“. Per il responsabile del Mipaaf “non si possono dare messaggi sbagliati”, inoltre “anche tecnicamente le cose dette dal premier non sono corrette. E’ un provvedimento che ha fatto ripartire un settore fermo dal 2008“. Lo stupore dei Cinquestelle è doppio, riflettendo sul fatto che solo lunedì scorso il Cdm, nel dl Energia2, con gli aiuti a famiglie e imprese, ha prorogato i termini per le villette unifamiliari.

Non è solo il Movimento 5 Stelle a difendere il Superbonus, però. Forza Italia, infatti, da tempo sostiene la misura e il vice presidente e coordinatore nazionale degli azzurri, Antonio Tajani, pur con toni e parole differenti, replica a Draghi: “E’ uno strumento per fare ripartire l’edilizia, ha ancora effetti positivi. Si tratta di un provvedimento a tempo, è chiaro che deve aver un termine, che può essere fine anno“, ma occorre dare “certezze alle imprese“, dunque “le informazioni contraddittorie rischiano di fare fallire le aziende, con ripercussioni sull’occupazione“.

Ad agitare le acque nella maggioranza c’è anche un altro tema: il termovalorizzatore di Roma. Altro terreno di scontro con il M5S, ma stavolta più all’interno della cosiddetta area progressista. L’obiettivo è soprattutto il Pd, che appoggia il sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, nel progetto. Conte vuole un chiarimento dagli alleati dem e si augura che non venga posta la fiducia sul decreto Energia2 (che contiene la norma che autorizza il commissario per il Giubileo ad accorciare i tempi di realizzazione), lasciando intendere che in quel caso sarebbe difficile votarla per i suoi parlamentari. L’ex ministro dell’Economia, però, non sembra preoccupato: “Un partito che a Roma è all’opposizione si è astenuto (in Consiglio dei ministri, ndr), non mi pare un dramma – sintetizza il concetto Gualtieri -. Il nostro piano è razionale, green e comporta un abbattimento delle emissioni ben superiore di tutte le alternative disponibili“. Dunque, il termovalorizzatore si farà: “E’ il momento che la città recuperi il tempo perduto. Non mi interessano le polemiche, ma dare ascolto ai cittadini e utilizzare le tecnologie green più avanzate. Metteremo Roma all’avanguardia nell’economia circolare“. Con buona pace dei Cinquestelle, che sentono puzza di bruciato: “Dicono spesso che il Movimento voglia far cadere il governo, inizio a pensare che qualcuno voglia spingerci fuori dal governo. Se fosse questa l’intenzione ce lo dicano chiaramente“, rimarca Conte alzando il sopracciglio.

Per usare una metafora meteorologica, sull’esecutivo si addensano nuvole grigie, con possibili rovesciamenti. Se a ‘carattere temporalesco’, però, sarà solo il tempo a dirlo.

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