Oceano

Munizioni, armi chimiche e ordigni: sotto i mari milioni di bombe a orologeria

Milioni di tonnellate di munizioni convenzionali o chimiche giacciono silenziosamente in fondo ai mari del mondo, minacciando l’ambiente, la salute e le attività economiche. Al largo delle coste europee e asiatiche si trovano ovviamente le mine marine, le munizioni che non sono esplose durante battaglie o bombardamenti o ancora i carichi di navi affondate dal nemico. Ma la maggior parte delle munizioni che giacciono sui fondali sono state volontariamente abbandonate in mare. Nel Regno Unito, ad esempio, tra il 1920 e il 1950 sono state affondate un milione di tonnellate di armi convenzionali nella fossa di Beaufort’s Dyke, tra la Scozia e l’Irlanda del Nord. Tutte le coste europee sono interessate, così come quelle del Nord America, dell’Asia e dell’Australia, che nel 2018 ha riconosciuto la presenza di 21.000 tonnellate di armi chimiche al largo delle sue coste. I dati sono stati diffusi in occasione del vertice di Nizza sugli Oceani.

La smilitarizzazione dei due grandi sconfitti della Seconda Guerra Mondiale, Germania e Giappone, ha portato allo scarico massiccio di tutto ciò che poteva restare loro in termini di munizioni. Ci sono così 1,6 milioni di tonnellate di munizioni convenzionali solo nelle acque territoriali tedesche. “La gente pensava davvero di essersene sbarazzata in modo sicuro, perché consideravamo i nostri mari come discariche”, spiega Rüdiger Strempel, segretario esecutivo dell’organizzazione che riunisce i paesi rivieraschi del Mar Baltico (Helcom).

Per molto tempo le uniche vittime sono stati i pescatori che trovavano le bombe nelle loro reti. Alla fine del XX secolo, ogni anno venivano segnalati decine di incidenti nel Mar Baltico. Ma con il tempo, il deterioramento degli involucri delle munizioni ha rivelato un problema ambientale: gli esplosivi, il fosforo o il gas mostarda contenuti stanno iniziando a fuoriuscire. Alcuni studi hanno rilevato tracce di questi prodotti nei molluschi e in alcuni pesci, spiega Agnieszka Jedruch, ricercatrice presso l’Istituto polacco di oceanologia. Per ora si tratta solo di tracce che non costituiscono un pericolo per i consumatori, ma in un mare quasi chiuso come il Baltico, dove potrebbero trovarsi fino a 40.000 tonnellate di armi chimiche, la concentrazione di sostanze tossiche è destinata ad aumentare.

E queste munizioni rappresentano anche un pericolo per lo sviluppo dell’economia blu: cavi sottomarini, gasdotti, turbine eoliche offshore, hanno bisogno di sicurezza. Ma ripulire i fondali marini da questo veleno rappresenta una sfida tecnica e logistica senza precedenti, avverte Strempel. La scorsa estate è stato avviato un progetto pilota nel Mar Baltico, nella baia di Lubecca (Germania settentrionale), dove 65.000 tonnellate di armi convenzionali sono state affondate a 2 km dalle spiagge.

Per cominciare, è necessario trovare delle tecniche per individuarle, perché al sonar non si distinguono da altri tipi di rifiuti e perché nel 1945 i pescatori pagati per scaricarle non si sono necessariamente preoccupati di farlo nelle zone designate. Con l’aiuto di un drone sottomarino, i ricercatori dell’istituto oceanografico tedesco Geomar hanno mappato con precisione l’area e individuato oltre 500 cumuli di munizioni. Attualmente stanno provando diverse tecniche per riportare le munizioni in superficie e stanno preparando la costruzione di una piattaforma mobile in grado di smaltirne 750 tonnellate all’anno.

Per questa prima fase è stato stanziato un budget di 100 milioni di euro, spiega Stefan Mehlhase, referente del progetto presso il Ministero tedesco dell’Ambiente. Successivamente, saranno necessari 70 milioni di euro all’anno per il funzionamento della piattaforma.

La questione delle munizioni sommerse figura nel Patto europeo per l’oceano presentato la scorsa settimana a Bruxelles e in un accordo franco-tedesco firmato questa settimana a Nizza. Nessuno si azzarda a quantificare il costo del loro smaltimento, anche se l’Helcom spera che l’esperienza acquisita nel Mar Baltico possa aiutare a procedere più rapidamente negli altri mari. Sarà “terribilmente costoso”, avverte Strempel.

Ma nessuno può nemmeno dire quando le munizioni inizieranno a rilasciare le loro sostanze tossiche su larga scala. Tra vent’anni o tra un secolo, dicono i ricercatori, spiegando di aver trovato proiettili intatti accanto a proiettili molto deteriorati, senza poter spiegare questa diversa resistenza agli stessi elementi.

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Costa (M5S): “13 miliardi per spese militari e non a sanità e ambiente? Delirio di irragionevolezza”

Gira e rigira i numeri su istruzione, ambiente e sanità, che ormai ha fissato a memoria. Non manda giù che il governo voglia aumentare le spese militari, mentre le priorità per Sergio Costa sono assolutamente altre. Con GEA il deputato M5S, ex ministro dell’Ambiente nel Conte 1 e Conte 2, oggi vicepresidente della Camera, prova a spiegare perché ci sono errori nelle scelte che rischiano di far pagare un prezzo troppo alto al Paese.

Presidente Costa, lei è saltato dalla sedia quando il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha annunciato che l’Italia aumenterà la spesa militare, perché ci sono altre priorità. Cosa c’è di sbagliato nelle scelte del governo?

“Numeri alla mano, se questo governo ha deciso di destinare il 2% del Pil per le spese militari – un must che anche Draghi aveva definito e che l’esecutivo Meloni ha ripreso – vuol dire un incremento su base annua, per un numero di anni indefinito, di circa 13 miliardi di euro. Sono bei soldini, visto che mediamente una Finanziaria cuba 30 miliardi. E ancora: si dice che il 2% è troppo poco, si dovrebbe andare oltre? Questo è un altro elemento preoccupante, perché a me sembra una pazzia. Per definire completamente la sfera del dissesto idrogeologico dell’Italia, Paese che ha il 74% del territorio fragile, occorrono circa 20 miliardi di euro, ‘secchi’, per prevenzione e non emergenza, dunque quello che evita i morti, sostanzialmente. Attualmente a disposizione ce ne sono circa 10-11 miliardi, peraltro appostati nel Conte 1 e Conte 2. Mi domando: siamo disposti a spendere 13 miliardi per un numero indefinito di anni e non spenderne 10 per mettere in sicurezza l’Italia? Così viene il dubbio: è più importante sparare, quindi uccidere, o salvaguardare il territorio? Ma aggiungo…”.

Prego.

E’ più importante comprare armi o spendere risorse per la salvaguardia sanitaria nazionale? E’ stato stimato che, per consentire alle Regioni di azzerare o quasi le liste di attesa, migliorare l’assistenza domiciliare o migliorare la medicina territoriale, occorrerebbero tra i 50 e i 70 miliardi complessivi, compreso il completamento degli organici e le strutture. Questo vuol dire una media di cinque annualità di acquisto di armi, che potrebbero essere invece usati per mettere a posto la sanità. Roba che se succedesse sarei disposto ad andare a piedi a Pompei e ritorno. E aggiungo anche un altro dato, perché alla fin fine i numeri fanno la differenza. Parliamo anche di istruzione. In Italia abbiamo circa 8 milioni di studenti nella scuola dell’obbligo, circa 40mila siti scolastici, di cui solo il 43% dotato di un’Aula magna, ma solo il 12% di tutti gli istituti ha una palestra. Il 66% di questi edifici scolastici è costruito prima del 1976, quindi con un sistema vecchio che andrebbe rigenerato dal punto di vista sismico, energetico e della manutenzione. L’8% di questi edifici, poi, ha proprio problemi strutturali. Mi domando, di nuovo: preferiamo comprare e gestire armi o far crescere il livello di istruzione, mettendoci al pari con l’Ue, visto che siamo al quartultimo posto per offerta formativa, nonostante il nostro Paese sia nel G7?”.

Lei viene dalla carriera militare, è arrivato anche a ricoprire ruoli di primo piano nell’Arma dei Carabinieri. Conosce entrambe le materie.

“E’ necessario rigenerare il sistema di difesa dello Stato? Io dico di sì. Ma lo faccio a parità di spesa attuale. Nessuno dice di diminuire le risorse, semmai di efficientare quello che c’è: 25 miliardi su base annua, che ci sta per la difesa nazionale. Ma se la proposta è aumentare la spesa bypassando il Patto di stabilità, e non in funzione sanitaria, di prevenzione del rischio idrogeologico o dell’istruzione, ma delle armi è davvero una pazzia. Soprattutto se pensiamo che il ministro Crosetto ha detto che ‘se non andiamo in deroga siamo obbligati a tagliare altre spese’, che sono ancora sanità, rischio idrogeologico e istruzione. È incredibile, non trovo altre parole per descrivere questa situazione. E dov’è il dibattito politico nella maggioranza su questo tema: la priorità sono le armi?”.

In queste ultime ore, poi, c’è anche un altro tema che sta alimentando le polemiche: il Superbonus con l’approvazione del decreto ieri in Cdm.

“Questa vicenda lascia perplesso, perché nelle sofferenze del tessuto sociale, che sta andando davvero in un ‘cul de sac’ cosa fanno, bloccano il Superbonus. Sia chiaro, legittimamente un governo democraticamente eletto fa delle scelte, ma per principio di ragionevolezza se dei cittadini e delle aziende hanno creduto nello Stato, quando si decide di cancellare una misura bisogna anche salvaguardare tutto ciò che è stato fatto. Perché stiamo parlando di 40 mila aziende, di circa 1 milione di posti lavoro (contando tutto l’indotto) e di famiglie che hanno fatto sacrifici e ora si trovano con la casa a metà strada: non è ristrutturata e i lavori non vanno avanti perché le aziende sono sull’orlo del fallimento. Se un esecutivo pensa che la misura sia sbagliata, è legittimato a farlo, ma se cambi le regole bisogna creare una rete di salvataggio per le aziende e le famiglie, che non hanno nessuna colpa. Il problema è che ci sono state le truffe? È successo, vero. Ma accade anche sulla tutela dei diversamente abili, eppure non si tagliano le misure di aiuto”.

Insomma, il giudizio sull’operato del governo è negativo su tutta la linea?

“Alcune volte penso che non sia più una questione di destra o sinistra, ma di essere ragionevoli o meno. Mi sembra che in questo momento ci sia un delirio di irragionevolezza. Che non si voglia affrontare il problema nella sua complessità, ma lo si voglia semplificare per forza”.

Greenpeace

Swg-Greenpeace: Italiani bocciano spese militari e vogliono un futuro più green

Gli italiani e le italiane hanno le idee chiare sulla direzione da percorrere per il futuro: investire nella transizione energetica, fermare la corsa al riarmo, tassare gli extra profitti delle aziende fossili e dell’industria militare. E’ la fotografia scattata dall’11 al 16 gennaio da un sondaggio Swg per Greenpeace Italia, i cui risultati vengono diffusi poche ore dopo la presentazione delle linee programmatiche del ministro della Difesa Crosetto.

La maggioranza degli italiani si schiera contro l’aumento della spesa militare: il 55% degli intervistati boccia la proposta del Governo di portare il budget della Difesa al 2% del Pil entro il 2028. Solo il 23% è favorevole ad aumentare la spesa militare. Tra i più contrari ci sono i residenti nel Nord-Ovest e nel Centro e i laureati. Per contro, invece, il 53% delle persone intervistate ritiene che “alla luce dell’attuale situazione internazionale politica ed energetica” l’Italia debba investire “esclusivamente” (27%) o “in gran parte” (26%) nella transizione energetica. Solo il 22% ritiene che il Paese debba puntare “in egual misura tra fonti fossili e transizione energetica”. Marginali le percentuali di chi vuole che l’Italia investa “in gran parte” (6%) o “esclusivamente” (3%) nelle fonti fossili.

Maggioranza schiacciante anche sulla proposta di tassare al 100% gli extra profitti delle aziende del gas e del petrolio e utilizzare il ricavato per contrastare il caro bollette (80%) e investire in energie rinnovabili (76%). Più di due italiani su tre (69%), inoltre, vorrebbero tassare anche gli extra profitti delle aziende della difesa. Solo il 12% è contrario.

Questo sondaggio conferma che per la maggioranza degli italiani la priorità è fermare il caro bollette e potenziare le energie rinnovabili. I risultati ci danno indicazioni inequivocabili anche su come finanziare questo cambio di rotta, ovvero tassando gli extra profitti di chi sta guadagnando da questo periodo di crisi: non solo le aziende fossili, ma anche quelle della difesa”, dice Simona Abbate, campaigner Energia e Clima di Greenpeace Italia. “Il nostro Paese deve smettere di investire nelle infrastrutture fossili e nelle armi. Cittadine e cittadini lo hanno capito, quando lo capirà anche il Ministro Crosetto ed il governo?”, conclude.

Ghini (Anpam): Stiamo lavorando per industria delle armi sostenibile

Da un anno e mezzo alla guida di Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni civili e sportive, Giovanni Ghini ha chiara la strada da percorrere per tutelare il suo settore anche nel segno della sostenibilità. “Lo stiamo facendo, ma ci vuole tempo. Abbiamo performance da rispettare, non si può cambiare dalla sera alla mattina”, ha detto intervistato da GEA nel corso dell’evento ‘How we can governe Europe?’, tenutosi martedì e mercoledì a Roma, nella cornice della nuova sede di Commissione e Parlamento europeo.

Ghini (Anpam): Stiamo lavorando per industria delle armi sostenibile

Da un anno e mezzo alla guida di Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni civili e sportive, Giovanni Ghini ha chiara la strada da percorrere per tutelare il suo settore anche nel segno della sostenibilità. “Lo stiamo facendo, ma ci vuole tempo. Abbiamo performance da rispettare, non si può cambiare dalla sera alla mattina”, ha detto intervistato da GEA nel corso dell’evento ‘How we can governe Europe?’, tenutosi martedì e mercoledì a Roma, nella cornice della nuova sede di Commissione e Parlamento europeo.

Presidente Ghini, l’Europa è in fase di discussione sulle strategie della difesa. Dal suo punto di vista questo percorso si sta svolgendo nel modo giusto o manca ancora qualcosa?

“Io credo che debba essere presa in considerazione l’evoluzione che c’è stata in questo ultimo anno. E credo che il conflitto russo-ucraino abbia creato delle nuove priorità. E a queste nuove priorità l’Europa e l’insieme delle nazioni devono dare una risposta. Per quello che riguarda l’industria, deve dare una risposta compatibile con quelli che sono i tempi dell’industria. Non sempre i piani che l’Europa propone possono essere seguiti dall’industria così come un piano quinquennale di nota memoria”.

Sul piano ambientale e della sostenibilità che progressi ha fatto l’industria delle armi?

“In generale l’industria si sta muovendo verso una completa sostenibilità. Ci sono studi e ricerche per sostituire con materiali sostenibili quelli che sono sempre stati i materiali utilizzati nel tempo. Però ci vuole pazienza perché noi abbiamo delle performance da rispettare e non possiamo dalla sera alla mattina, o nel giro di poco tempo, dare le risposte tecniche che il committente, come può essere l’esercito, si aspetta. In questo caso noi abbiamo bisogno di tempo per lavorare, anche se il nostro sforzo è cominciato ad esempio per sostituire le plastiche con materiale biodegradabile o compostabile”.

Dal punto di vista pratico, il reperimento delle materie prime per la produzione è un problema o il vostro settore non sta vivendo queste difficoltà?

“Diciamo che all’inizio è stato un problema, l’industria delle munizioni si è dovuta adeguare con tempi non propri. Nel senso che era abituata ad avere un canale che riforniva in continuazione e invece si è ritrovata a disagio per la crescita degli ordini e per la difficoltà a reperire materie prime. Il vero problema oggi è di natura strategica. Ovvero da dove le prendiamo queste materie prime, perché oggi le troviamo ma le stiamo prendendo sostanzialmente per più della metà quelle tradizionali fuori dall’Europa e quasi integralmente per quelle non tradizionali, che dovrebbero sostituire, fuori dall’Europa. Quindi siamo al 100% di dipendenza straniera”.

Albania

Le armi della seconda Guerra Mondiale inquinano i fondali albanesi

Ai piedi di una scogliera nella baia di Valona, uno dei luoghi più belli della Riviera albanese, le munizioni della Seconda guerra mondiale arrugginiscono in fondo al mare, inquinando le acque cristalline dell’Adriatico. Per mettere in sicurezza l’area, i sommozzatori francesi e albanesi stanno cercando vecchie granate e razzi nell’ambito di una missione congiunta. “È uno sforzo congiunto con la marina albanese, che conosce il sito meglio di noi“, ha dichiarato il capitano Aymeric Barazer de Lannurien, comandante del gruppo francese di sommozzatori per lo sminamento nel Mediterraneo. “Stiamo intervenendo per collaborare con loro in questa missione di bonifica e messa in sicurezza del sito”.

I sommozzatori “cercano munizioni e, man mano che procedono, le munizioni che trovano vengono portate sulla spiaggia per essere prese in carico dall’esercito albanese“, spiega il capitano Barazer di Lannurien. Il risultato dell’operazione è impressionante. In meno di due ore, hanno raccolto 85 munizioni arrugginite, probabilmente armi italiane gettate in mare più di 70 anni fa, ha detto il capitano albanese Ilirian Kristo, che ha spiegato che le immersioni sono il suo “lavoro” ma anche la sua “passione“.

L’Albania fu occupata successivamente dall’Italia e dalla Germania tra l’aprile 1939 e il novembre 1944. “Abbiamo trovato mortai, proiettili di diverso calibro, da 20 millimetri a 155 mm“, ha dichiarato un sommozzatore francese che non può essere nominato a causa delle regole navali. Nel 2021, una precedente missione congiunta franco-albanese ha permesso agli specialisti di recuperare 310 oggetti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.

Si trattava soprattutto di proiettili d’artiglieria, ha detto il capitano Barazer de Lannurien. Ma “avevamo trovato una o due granate che si trovavano sul fondo tra le rocce, facilmente accessibili alla popolazione e che potevano essere pericolose per gli utenti del mare“, ricorda. Sebbene non esistano stime ufficiali sulla quantità di munizioni sommerse, gli esperti ritengono che ci siano almeno 20 relitti del conflitto nel Mar Adriatico e nel Mar Ionio, teatro di combattimenti durante la Seconda guerra mondiale.

(Photo credits: AFP STORY BY BRISEIDA MEMA)